neurovascular coupling

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definizione

L’accoppiamento neuro-vascolare descrive la relazione diretta fra il flusso sanguigno cerebrale e l’attività neuronale a livello encefalico, ovvero l’influenza che queste due entità esercitano reciprocamente, l’una sull’altra: l’attività cellulare del sistema nervoso è in grado di aumentar e la perfusione ematica, ma la diminuzione dell’apporto sanguifero è in grado di inibire l’attività nervosa, anche distrettualmente.

neurovascular coupling e aree neurologiche metabolicamente attive

I capillari presenti nel sistema nervoso non hanno semplicemente il compito di supportare metabolicamente i fabbisogni neuronali: il cervello dei mammiferi possiede un sistema estremamente articolato ed evoluto costituito da cellule dell’endotelio vasale, periciti, fibroblasti, cellule gliali e dagli stessi neuroni che generano un complesso sistema di interazioni e integrazioni fra la componente vascolare e le cellule di sostegno, in grado di reagire agli stimoli e modulare la funzionalità del sistema nervoso; questo sistema, definito neurovascular coupling, assicura la perfusione ematica nelle differenti aree cerebrali influenzando l’attivazione o la riduzione dell’attività metabolica neuronale nei differenti distretti del sistema nervoso e condizionandone, di conseguenza, le risposte.

Il metabolismo cerebrale dipende dal costante rifornimento di glucosio e ossigeno, indispensabili per mantenere la funzione cerebrale: sono assicurati dall’apporto ematico, per cui esiste un rapporto biunivoco obbligato, un “accoppiamento” fra il lavoro svolto dai singoli neuroni o dai centri nervosi ed i mutamenti del flusso ematico cerebrale; il tessuto nervoso rilascia molecole ad azione angiogenica in grado di promuovere la proliferazione di reti capillari diffuse e mediatori chimici capaci di regolare la funzione endoteliale di tali vasi.

Già durante lo sviluppo embrionale, la profonda interazione fra il tessuto nervoso in via di replicazione e differenziazione ed i vasi che ne sostengono l’accrescimento e la differenziazione crea “nicchie ecologiche” in grado di supportare la neurogenesi e le prime forme di attività nervosa: le nicchie perivascolari ottimizzano un ambiente idoneo al funzionamento neuronale, garantendo non solo l’apporto dei nutrienti necessari e la rimozione delle tossine metaboliche, ma anche distretti dove i mediatori chimici possono veicolare messaggi ad azione locale; le cellule endoteliali dei capillari, la muscolatura liscia che agisce su questi ultimi, i periciti, i fibroblasti e la microglia, caratterizzata da astrociti e cellule gliali, costituiscono complesse interazioni che possono differire da una regione cerebrale all’altra, conferendo specificità ai microambienti vascolari.

In particolare, i periciti, cellule indifferenziate con origine mesenchimale neuro-ectodermica, svolgono una funzione contrattile sui vasi, circondando parzialmente le cellule endoteliali dei capillari e delle venule; i loro prolungamenti, che aderiscono all’epitelio capillare, sono in grado di formare delle «gap junction» (giunzioni comunicanti) con le cellule endoteliali di cui si compongono i piccoli vasi: queste giunzioni sono direttamente coinvolte nello scambio di materiali nutritivi, nella regolazione dei rapporti fra le cellule, nella conduzione degli impulsi elettrici, nell’accrescimento, nella differenziazione e nell’integrazione dell’attività cellulare, contribuendo a formare, controllare il funzionamento e l’integrità della barriera emato-encefalica, oltre che a intervenire nel mantenimento della componente vascolare e nell’angiogenesi.

Così come il neurovascular coupling è in grado di sostenere positivamente l’attività neurologica, ed in particolare quella cerebrale, all’opposto il “disaccoppiamento” che deriva dal ridotto flusso sanguigno, conseguente alla ridistribuzione delle risorse che viene attuato da parte dell’organismo in caso di stress, ne deprime l’attività: la necessità di supportare metabolicamente le aree più attive nella gestione degli eventi stressanti comporta un’inibizione distrettuale delle “nicchie ecologiche” perivasali nelle zone non ritenute prioritarie; le “devascolarizzazione” superficiale si manifesta in particolare a livello corticale, di concerto con la riduzione dei flussi circolatori dermo-cutanei.

stress e ridistribuzione dell’energia:
effetti sulla circolazione sanguigna

Lo stress induce nell’organismo una serie di adattamenti difensivi riflessi, accompagnati da modificazioni funzionali e metaboliche atte a ottimizzarne la reazione, definiti, nel loro complesso sindrome generalizzata di adattamento: non dobbiamo stupirci che il corpo contingenti le proprie energie, in un’ottica di conservazione delle riserve, nell’attesa di una possibile “guerra” da affrontare che potrebbe rivelarsi lunga ed onerosa.

Più l’organismo permane nella propria “confort zone”, uno stato di omeostasi funzionale ed energetica che garantisce un equilibrio ottimale delle risorse ed un’adeguata capacità di adattamento, meno l’organismo risulta essere vulnerabile agli stressor; viceversa, quando il dis-confort si manifesta come effetto di stimoli sopraliminali o alla presenza di cronicizzazione degli squilibri, si osserva l’instaurarsi di uno stato di fragilità somato-emozionale e debolezza energetica: questo stato di mal-essere porta, spesso, ad una progressiva perdita dell’efficienza corporea come conseguenza all’insorgenza di tensioni o rigidità che esprimono atteggiamenti antalgici finalizzati a ridurre l’angoscia e l’ansia.

Infatti, quando ci confrontiamo con stressor o noxæ sufficientemente potenti da perturbare il nostro equilibrio, quando differenti cofattori eziologici vanno a deprimere la nostra energia vitale, quando le spine irritative continuano ad agire, come braci sotto la cenere, quando un fattore scatenante, come una goccia che fa traboccare un vaso, è in grado di innescare uno stato di difesa o di paura, si rende necessaria una strategia di sopravvivenza che assicuri una rimodulazione delle priorità per l’individuo ed una riorganizzazione delle priorità metaboliche: grazie ad un effetto domino neuro-ormonale, si osserva la “messa in opera” del sistema catecolaminico ed il coinvolgimento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale, che ripartiscono proporzionalmente le risorse, in base agli obiettivi sopravvenuti o alle nuove esigenze.

Contestualmente, l’arousal causato dalle pressioni somato-emozionali e sociali induce atteggiamenti comportamentali volti ad interagire in base a patterns preordinati di difesa o di reazione, che normalmente vengono inquadrati nella cosiddetta “fight-or-escape response”; questa attitudine comportamentale ci prepara, secondo schemi ancestrali e metaprogrammi arcaici, a lottare per la nostra vita o a fuggire dinanzi ad un possibile pericolo mortale, indipendentemente dal fatto che gli avvenimenti siano o meno potenzialmente o realmente pericolosi: l’effetto di questa cascata di eventi (metabolici, umorali o attitudinali) è una ridistribuzione dell’energia corporea, mediata da profonde modificazioni della circolazione sanguigna.

Si osserva, cioè, un blood-shift, ovvero uno spostamento del sangue dalla superficie corporea verso distretti più profondi che risultano essere prioritari per la risposta dinamica e la sopravvivenza dell’individuo.

Il sistema vascolare è composto di vasi sanguigni che hanno il compito di rifornire l’intero corpo di sostanze nutrienti ed ossigeno (anabolismo) e, allo stesso tempo, di rimuovere i rifiuti e l’anidride carbonica veicolandoli alle vie di eliminazione naturale (catabolismo): questo processo viene realizzato per mezzo del sistema arterioso (che porta il sangue dal cuore ai vari distretti dell’organismo), delle vene (che s’incaricano del deflusso di questo sangue), e dell’intricata rete capillare che svolge il compito di distribuzione all’interno dei vari distretti, unendo le vene alle arterie; è nel letto capillare che avvengono gli scambi metabolici, a livello degli spazi interstiziali del tessuto connettivale. Normalmente è attiva soltanto una minima parte del sistema capillare presente negli organi interni o nei muscoli, mentre la maggioranza del sangue circola nei vasi profondi (grandi arterie e arteriole o vene maggiori) oppure a ridosso della “superficie”, cioè nel derma sottocutaneo o nelle aree corticali del cervello: qualora si verifichi un aumento del fabbisogno/consumo di ossigeno, come avviene in caso di intensa attività fisica o nello stress, una maggior quantità di sangue viene pompata nella rete capillare muscolare, per reagire adeguatamente all’incremento delle esigenze prestazionali e alla necessità di far fronte ad un aumento della performance; contestualmente viene “ritirata” dalle zone corporee non immediatamente interessate dall’aumento delle necessità metaboliche, cioè da quei distretti non coinvolti direttamente nell’attività richiesta e nella gestione dello stress.

In particolare, qualora si renda necessario mettere in atto una risposta generalizzata di adattamento, per reagire ad una serie di sforzi o per contrastare gli effetti dello stress, quando cioè è prioritario predisporre una replica agli stimoli somato-emozionali cui siamo sottoposti, finalizzata alla “sopravvivenza immediata”, l’organismo predispone una serie di modalità adattative basate sull’interazione neuro-endocrina: la secrezione catecolaminica e l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale che ne conseguono, necessarie per sostenere la reattività comportamentale provocata dallo “sovraccarico” e dallo “sforzo” generato dal contatto con gli stressor (caratterizzata dalla dualità lotta/fuga), provocano una progressiva “devascolarizzazione” delle aree corporee non ritenute essenziali per la sopravvivenza dell’individuo; attraverso il cosiddetto blood-shift, che non interessa esclusivamente i distretti cutanei o l’apparato gastro intestinale, ma anche aree cerebrali non considerate fondamentali per la gestione dell’emergenza, il sangue viene dirottato verso distretti attivi, incrementandone la perfusione.

Il neuro-scienziato Paul Donald MacLean, ha elaborato una tesi che considera il sistema nervoso non come una entità unica, per quanto differenziata, ma piuttosto una struttura trinitaria («Triune Brain»): pur apparendo come un sistema unitario, in realtà, debba essere considerato morfo-funzionalmente trino; l’idea di fondo è che il sistema cerebro-spinale, nel corso della filogenesi, si sia sviluppato attraverso un processo di stratificazioni successive, per cui le strutture originarie più arcaiche, semplicemente, sono state “ricoperte” da altre più moderne, senza che siano avvenute radicali modifiche strutturali, sovrapponendo integrazioni, aggiunte funzionali ed estensioni in grado di effettuare elaborazioni più articolate. Un potenziamento che porta il sistema nervoso dal “semplice” controllo dell’omeostasi, messo in atto dal cosiddetto R-Complex, più arcaico, all’elaborazione attuata dal Sistema Limbico delle componenti emozionali e l’interazione fra i messaggi provenienti dal mondo esterno con quelli endogeni, fino allo sviluppo di capacità cognitive acquisite con l’evoluzione del Neo-Pallium corticale; come risposta a stress significativi, si osservano forme di “involuzione” funzionale che comportano lo spostamento del sangue dalle aree del “cervello cosciente” alla parte più emozionale, la Paleo-Cortex o, addirittura verso i nuclei più profondi, “rettiliani” ed istintuali: la conseguenza determina una semplificazione delle dinamiche comportamentali a vantaggio della velocità di reazione agli eventi stressanti.

La “decorticazione” cerebrale conseguente allo stress deve essere presa in considerazione in quanto l’organismo, per affrontare lo stato di vigilanza continuo, tipico dei fenomeni di disagio che assumono un andamento cronico, tende a ridurre la propria capacità di agire razionalmente, nel presente, secondo una visione di tipo “hic et nunc”: la percezione soggettiva della propria finitudine e dell’intrinseca fragilità che lo contraddistingue, l’incapacità di “esser-ci” non solo porta l’essere umano a rifuggire la sofferenza del presente, ad alienarsi, ma lo induce, inconsapevolmente a “rinunciare” alla propria evoluzione biologica, ritornando ad una dominanza neurologica arcaica, talvolta rettiliana; l’uso della razionalità porta a compiere azioni nell’immediatezza del presente, come conseguenza della consapevolezza e della ponderatezza della realtà mentre, come effetto dello stress, ci proiettiamo nel passato e nel futuro, cioè nei ricordi, nelle aspettative e nelle speranze che, per quanto importanti, sono stati mentali disconnessi dalle esigenze che nascono degli eventi correnti.

Il blood-shift associato allo stress, riadattando la perfusione dei tessuti in base ai pattern generati dallo stress, riduce l’attività delle aree che subiscono una diminuzione dell’afflusso ematico conseguente alla ridistribuzione sanguifera stessa: da uomo evoluto in grado di elaborare gli eventi, per “colpa” del progressivo esaurimento, la persona si trasforma in un soggetto in preda alle proprie paure ed insicurezze, che a causa della propria vulnerabilità è dominato  dagli istinti primordiali di sopravvivenza; si crea un progressivo distacco dalla realtà, in quanto si tende a proiettare le esperienze pregresse (fallimentari) sul presente, secondo una logica temporale ma non razionale, creando sillogismi del tipo «post hoc propter hoc».

Questa locuzione latina, usata anche nella sua forma estesa «post hoc, ergo propter hoc» (cioè dopo di questo e perciò a causa di questo»), descrive l’esistenza di fenomeni causali tra due (o più) avvenimenti, partendo dall’argomentazione: se A è vero e precede B, allora B ne è la conseguenza; la consecutio, cioè l’esistenza di una relazione diretta fra due eventi in base al principio di causa-effetto, indica un nesso di causalità spazio-temporale, per il solo fatto che l’uno è posteriore all’altro, in altre parole esprime una forma di coazione (un impulso ad agire, da cui si fatica o non ci si riesce a liberare, pur giudicandolo futile o inidoneo).

La logica che sottostà ai modi di agire stereotipati, causati dallo stress, parte dal presupposto che le scelte comportamentali che sono risultate vincenti in passato (cioè hanno permesso di “sopravvivere”) sono probabilmente in grado di portare esiti positivi, come soluzione coerente col fatto che gli eventi attuali sono parzialmente sovrapponibili, soprattutto emotivamente, a quelli del passato: tali processi condizionano l’interpretazione delle circostanze che si vivono nel presente ed inducono la tendenza a seguire percorsi già sperimentati, per quanto tortuosi, o ad agire secondo un qualche programma reiterativo, consolidando le abitudini acquisite; in poche parole si attivano loop negativi e circoli viziosi, assimilabili a profezie negative auto-avverantisi, che spesso impediscono la rivalutazione del presente e l’identificazione delle vere priorità e necessità.

stress e accoppiamento neuro-vascolare

Le risposte alle pressioni cui siamo sottoposti riflettono una sequenza gerarchica di reazioni, che consentono all’organismo di orchestrare l’adattamento ai fattori di stress (coping); al centro di questo processo è posto il sistema catecolaminergico, espressione funzionale del sistema nervoso ortosimpatico, coadiuvato dall’azione della midollare del surrene, e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene: quest’ultimo è un sistema neuro-endocrino, organizzato secondo modelli cibernetici, che viene stimolato sia da stressor fisici reali, sia da minacce percepite o previste, rifacendosi a modelli di anticipazione emozionale, oppure dagli effetti che la valutazione sociale ed il giudizio esercitano sull’individuo. Tanto nel caso in cui venga attuata una strategia di gestione immediata dello stress, derivante da un orizzonte temporale limitato, quanto nel management del “sovraccarico” a lungo termine, l’ottimizzazione delle risorse passa attraverso una redistribuzione del sangue verso distretti considerati prioritari per la sopravvivenza dell’organismo.

Cuore, reni, cervello sono le aree che ricevono la maggior attenzione dal sistema nervoso, essendo fondamentali per pompare l’energia, garantire l’equilibrio biochimico del milieu interiéur, ed interagire con gli stimoli interni o esterni: la risposta neurologica è finalizzata a trovare il miglior compromesso possibile fra le richieste cui si è sottoposti e le risorse disponibili; per quello che riguarda, però il sistema encefalico e spinale, non tutte le regioni assumono uguale importanza per la sopravvivenza e la gestione dello stress.

All’aumentare delle pressioni, sociali o ambientali cui siamo sottoposti, il sistema nervoso disattiva le aree non immediatamente necessarie, per favorire la velocità di reazione; i capillari sanguiferi, presenti nel sistema nervoso, non hanno semplicemente il compito di supportare metabolicamente i fabbisogni neuronali ma per effetto del cosiddetto “neurovascular coupling” (accoppiamento neuro-vascolare) sono in grado di reagire agli stimoli e modulare la funzionalità del sistema nervoso stesso: la diffusione del sangue all’interno dei distretti cerebrali influenza l’attivazione o la riduzione di attività, in particolare delle regioni encefaliche. Questo fenomeno assume un ruolo rilevante nei meccanismi d’interazione con lo stress e nel coinvolgimento di differenti aree nelle dinamiche adattative (anche alla luce del diverso coinvolgimento delle strutture arcaiche del cervello, rispetto a quelle più moderne) e nella gestione degli eventi che coinvolgono situazioni di pericolo o di dolore. Essendo lo stress codificato sotto i termini di scelta istintuale “lotta-fuga-mimetismo-sopravvivenza”, le aree coinvolte nel controllo circolatorio sono prioritariamente l’Ipotalamo ed i centri sottocorticali che tendono a escludere il predominio della corteccia cerebrale, dando maggior spazio a quella serie di comportamenti, che spesso definiamo istintivi o intuitivi, che, in certe condizioni, possono divenire il fattore che ci mantiene imprigionati nelle dinamiche difensive di allarme o vigilanza.

Il sistema nervoso, sotto stress, favorisce aree operazionali, che devono intervenire con una pronta azione (muscoli, cuore) rispetto a zone che possono venire temporaneamente inibite funzionalmente (pelle, area intestinale); ugualmente, la modifica della distribuzione sanguifera nel sistema nervoso centrale crea i presupposti necessari per irrorare distretti coinvolti nel dare una serie di adattamenti automatici non coscienti (e più veloci), inibendo contestualmente con la riduzione del flusso ematico, l’azione razionale della corteccia cerebrale.

la risposta ipotalamica

L’Ipotalamo prende il sopravvento in tutte le manifestazioni istintive quali fame, sete, gioia, punizione, sesso, sopravvivenza ed altre ancora, modulando l’attività sia del Sistema Nervoso Parasimpatico, sia di quello Ortosimpatico, che a loro volta controllano il sistema cardiocircolatorio: la modificazione dei flussi circolatori dipende prevalentemente dalla attivazione dell’Ortosimpatico con la conseguente inibizione del Parasimpatico. La corteccia cerebrale, pur potendo intervenire con un messaggio di controllo sull’Ipotalamo, spesso “delega” questa struttura ad agire, portandoci a passare la maggior parte della nostra vita mentale ad elaborare una strategia difensiva nei confronti delle emozioni causate dalle esperienze passate, che proiettiamo sui vissuti del presente; come conseguenza siamo spesso condizionati a vivere in uno stato continuo di stress e di sopravvivenza: il sangue viene dirottato, anche se solo parzialmente, dalla corteccia (neo-encefalo) a parti maggiormente primitive, coinvolte nelle manifestazioni di rabbia – paura – violenza (paleo-encefalo e Cervello Rettiliano), impedendoci di pensare razionalmente ed anestetizzandoci dal provare emozioni coinvolgenti quali amore – piacere – dolcezza che ci porterebbero ad uscire dallo stato di difesa.

Contemporaneamente lo spostamento del sangue dal distretto cutaneo a quello muscolare, ci impedisce di avere sensazioni “epidermiche”: è questo il motivo per cui negli shock, nei traumi, ma anche nei momenti di maggior rabbia o paura, perdiamo il controllo della razionalità, liberando comportamenti o espressioni verbali aggressive; non “vogliamo” sentire quello che ci dicono, o vedere la situazione com’è realmente, ma anche perdiamo la sensibilità al dolore, al contatto con la pelle, al caldo ed al freddo; non dobbiamo dimenticare che, nel feto, la pelle si forma dallo stesso foglietto germinativo delle cellule nervose (ectoderma) e, nell’adulto, rappresenta il più ampio ed articolato organo sensoriale che possediamo.

L’alterata percezione sensitiva si rivela vantaggiosa in quanto dolori legati ai traumi o di tipo viscerale potrebbero “sopraffare” la focalizzazione dell’individuo verso la sopravvivenza, rendendolo più vulnerabile e, di conseguenza, incapacitando le possibili reazioni difensive/adattative: la riduzione delle sensazioni propriocettive è uno strumento di controllo delle possibili interferenze nei meccanismi di sopravvivenza; in un certo senso il predominio delle aree sottocorticali, della parte più “animale” dell’individuo, garantisce nel breve termine una sorta di anestesia associata ad una inibizione dei comportamenti sociali e socializzanti.

I nostri sensi, in un certo qual modo, vengono “disturbati” dalle componenti emotive sottocorticali che alterano le percezioni, le snaturano e, a volte, le sopraffanno al punto da portandoci a falsificare gli odori, creando disosmie o parosmie, adulterare il senso del gusto fino alla disgeusia o parageusia, a subire distorsioni uditive (disacusie) o visive che possono essere paragonate a forme di allucinazione, ad alterare la nostra sensibilità al dolore, al contatto con la pelle, al caldo ed al freddo ed agli stimoli sensoriali esterni, spesso sostituiti dall’idea “interna” che abbiamo di ciò che dovremmo sentire.

la dominanza rettiliana

Quando il perdurare dello stress induce una ulteriore “decerebrazione” ed anche il Sistema Limbico viene in un certo qual modo sopraffatto dal Cervello Rettiliano, la parte più antica del cervello, possono manifestarsi reazioni primitive, legate all’aggressività ed alla sopraffazione dell’antagonista, talvolta associate a pulsioni distruttive o auto-distruttive: da un punto di vista comportamentale, si evidenzia una preferenza per la routine, per le risposte stereotipate basate sull’esperienza o per le azioni rituali, per i riflessi condizionati, definiti “istintuali”, legati alla dinamiche di sopravvivenza dell’individuo e della specie; l’atteggiamento e le reazioni sono basate su modelli genetici, che implicano azioni quali il prendere possesso e difendere il territorio, impegnarsi in vari tipi di parata (comportamenti dimostrativi) finalizzati alla creazione di gerarchie sociali o alla seduzione finalizzata all’accoppiamento ed alla procreazione, anche in forma simbolica. Il repertorio comportamentale rettiliano è principalmente organizzato negli schemi di azione che permettono l’attività di predazione, territorialità ed esplorazione: queste reazioni comportamentali sono fisse ed automatiche, in quanto, una volta innescate dallo stimolo, tendono ad essere condotte a termine, con ridotta attitudine alla modulazione o all’arresto, segnalando la loro stretta dipendenza da una catena di riflessi pavloviani.

Si può dire che il Cervello Rettiliano  programmi comportamenti stereotipati seguendo le istruzioni derivate dall’apprendimento ancestrale e da memorie arcaiche: si ha l’impressione che non riesca a staccarsi dalle situazioni che precedono, in una “consecutio” logica e sequenziale; l’R-complex ha la capacità di fissare rapporti fra i fenomeni secondo una logica temporale ma non razionale (facoltà tipica del cervello neo-mammaliano), in base a nessi causali: ciò porta ad abitudini, in conformità a contesti precedenti, a prassi di comportamenti. Dal punto di vista della condotta soggettiva, evidenzia la tendenza a seguire percorsi tortuosi, ma già sperimentati, o ad agire rifacendosi a qualche metaprogramma reiterativo o pattern consolidato, rafforzando abitudini dotate di valore ai fini della sopravvivenza; possiamo definire questi comportamenti caratterizzati da forme di “coazione a ripetere“, come espressione di imprinting ancestrali, derivanti dalle esperienze personali, familiari o tribali: i rituali cerimoniali sono, in un certo senso, l’istituzionalizzazione del condizionamento dell’uomo esercitato dalla storia individuale o sociale.

Il Cervello Rettiliano non può imparare e ripete quello che sa fare in modo innato o istintuale; un impulso rettiliano (e quindi istintivo) influenza il pensiero razionale, mentre il pensiero razionale può solo controllare o dominare l’istinto, ma non modificare una risposta istintuale. Le emozioni sono primitive e promuovono l’autoconservazione e la sopravvivenza: paura e rabbia sono le principali “molle” che sostengono l’azione reattiva, che innescano manifestazioni di aggressività ed egotismo, associati, talvolta, a fenomeni di spersonalizzazione (alienazione), distorsione della percezione, reazioni fobiche e superstiziose che hanno, in ultima istanza, lo scopo di mantenere il benessere, la sopravvivenza, la riproduzione e la sicurezza personale.

Il predominio delle componenti rettiliane comporta un ulteriore blood-shift verso le aree più profonde ed antiche del cervello, soventemente associate ad una ulteriore riduzione della perfusione vasale nei tessuti corporei: nonostante le reni siano considerate, assieme a cuore e cervello, aree prioritarie per la sopravvivenza, alla presenza di forti stress, traumi o situazioni di logoramento cronico o burn-out, si possono osservare quadri di insufficienza renale da ipoperfusione (sindrome nefrosica); talvolta la riduzione di afflusso sanguigno nei distretti periferici è tale da causare ulcere acute da stress, come le ulcere di Curling e di Cushing (a livello cutaneo o gastro-duodenale) o l’ulcera gastrica, oppure quando il fenomeno perduri per lunghi periodi, fenomeni di sclerosi dei tessuti come forme di gastrite atrofica, alterazioni intestinali, disidrosi cutanee. Non si può escludere che il fenomeno, quando localizzato nell’encefalo, possa portare a manifestazioni come il Parkinson o l’Alzheimer.

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