definizione
Detta anche troposmia (dal greco τροπή → mutazione), è una forma di disosmia, ovvero una alterazione del senso dell’olfatto che comporta un fraintendimento nel riconoscimento olfattorio: un odore è percepito erroneamente o scambiato per un altro, cioè il cervello non è in grado di identificare correttamente l’odore naturale o intrinseco di qualcosa, ingenerando false percezioni odorose; dal greco παρά- (pará- → deviazione, alterazione) e – ὀσμή (-osmḗ → odore, profumo, odorato, sensibilità olfattiva).
Può essere di carattere allucinatorio (osmeni), se si manifesta in assenza di qualunque eccitazione neuro-sensoriale odorosa (fantosmie) ed è tipica degli individui con disturbi neuropsichici, come l’isteria e di alcune forme di epilessia (crisi uncinate); in altri casi possono essere percepiti come forti o sgradevoli profumi normalmente gradevoli (cacosmia), o, all’opposto, la percezione di puzzo o fetore, come se fosse un profumo gradevole (euosmia).
Correlati
- whey protein
definizione
Letteralmente, dall'inglese, "proteine del siero del latte”: whey (siero) è il termine utilizzato per denominare il materiale liquido organico che si separa come sottoprodotto della produzione del formaggio, durante la cagliata; il siero di latte è ciò che resta della coagulazione del latte vaccino, una soluzione contenente il 5% di lattosio in acqua, sali minerali, grassi ed una un'importante frazione proteica costituita da vari tipi di proteine, fra cui le β-lattoglobuline (~65%), le α-lattoalbumine (~25%), le siero albumine (~8%).
Le whey protein vengono considerate di elevato valore biologico per la presenza di un'alta concentrazione di amminoacidi ramificati e di amminoacidi essenziali; sono considerate di elevata digeribilità con rapido aumento della concentrazione plasmatica postprandiale di aminoacidi: fungono da substrato per la gluconeogenesi, stimolano la sintesi proteica la crescita muscolare, aumentando il rilascio di insulina e diminuendo la glicemia postprandiale, svolgono un'azione anticatabolica.
- precursore
definizione
In chimica, detto di sostanza che interviene o si è formata in uno stadio preliminare di una reazione o di un processo chimico o biochimico e che in seguito si è trasformata in un’altra o in altre sostanze: un precursore quando può essere considerata una molecola che serve per la formazione di un'altra molecola o una sostanza da cui ne viene prodotta un'altra, più attiva o più matura, attraverso il metabolismo; il significato etimologico deriva dal latino praecursorem composto da prae ovvero “avanti” e da cursorem ossia “che corre”, significando «colui che giunge prima di un altro per annunziarne la venuta"», dal latino praecursor (→ battistrada, servo precorritore, avanguardia, che precorre), derivato di praecurrĕre (→ precorrere, precedere).
Qualsiasi cosa che precede, produce o sviluppa una cosa definita, come una cellula indifferenziata o una sostanza che si trova in una fase precoce della sequenza metabolica.
- amminoacido semi-essenziale
definizione
Un aminoacido viene considerato quando l'organismo può sintetizzarlo autonomamente ed endogenamente, ma solo a partire da un aminoacido essenziale: sono considerati aminoacidi semiessenziali la cisteina e la tirosina, in quanto l'organismo li può sintetizzare a solo utilizzando come substrati, rispettivamente, dalla metionina e dalla fenilalanina.
La cisteina riveste un ruolo importante nella cheratinizzazione, favorendo quindi ad esempio la crescita sana di capelli e unghie, e nell’assorbimento delle proteine; è importante controllarne il giusto apporto soprattutto per chi ha una evidente carenza di vitamina B e in chi soffre di alcolismo in quanto questi soggetti potrebbero infatti manifestarne una carenza.
La tirosina è imprescindibile nella costituzione di neurotrasmettitori come la dopamina, l’adrenalina e la noradrenalina, fondamentali per le capacità adattive dell’organismo, soprattutto in situazioni stressogene, è inoltre coinvolta nella produzione degli ormoni tiroidei e nella produzione della melanina.
- aminoacido condizionatamente essenziale
definizione
Aminoacidi che ricoprono un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'omeostasi e delle funzioni dell'organismo in determinate situazioni fisiologiche o in alcune condizioni patologiche ove possono non essere sintetizzati a velocità sufficiente per far fronte ai reali bisogni dell'organismo: sono considerati aminoacidi condizionatamente essenziali l'arginina (precursore della creatina), la glicina (costituente del collagene), la glutammina (stimolante la sintesi proteica), la prolina (interviene nella riparazione dei tessuti) e la taurina (agisce nel processo di crescita di muscoli, sistema nervoso e sistema cardiovascolare); vengono inseriti fra gli aminoacidi condizionatamente essenziali anche la cisteina e la tirosina, definiti spesso amminoacidi semi-essenziali, in quanto l'organismo li può sintetizzare solo a partire da altri due aminoacidi essenziali, cioè, rispettivamente, la metionina e la fenilalanina.
La locuzione condizionatamente essenziali pone l'accento sul fatto che l'indispensabilità di tali amminoacidi (comunque prodotti, potenzialmente, a partire da precursori presenti nell'organismo) deriva che la loro assunzione esogena è subordinata a particolari esigenze metaboliche o dal fatto che la loro produzione endogena è potenzialmente compromessa da condizioni pato-fisiologiche come la nascita pretermine, distress, gravi problematiche di natura catabolica; per alcuni autori, istidina e arginina andrebbero considerati essenziali essenziali, anche se solamente durante la fase di crescita, mentre per altri, l'istidina sarebbe essenziale anche durante l'età adulta, nonostante che la sua rimozione dalla dieta non induca immediatamente un bilancio di azoto negativo, come succede, invece, per gli altri amminoacidi essenziali.
- perossidazione lipidica
definizione
Chiamata anche lipoperossidazione è una reazione chimica di ossidazione, dovuta (solitamente) alla presenza di radicali liberi contenenti ossigeno molecolare (R.O.T.S.) o composti radicalici dell’azoto (R.N.T.S.) che altera i lipidi contenenti acidi grassi insaturi e i loro esteri, che vengono direttamente ossidati: la perossidazione è un’ossidazione che porta alla formazione di un perossido, ovvero un composto contenente due atomi di ossigeno collegati tra loro da un legame covalente semplice, detto legame perossidico (−O−O−), cioè un ossido la cui molecola contiene almeno due atomi di ossigeno che scambiano tra loro una valenza; i perossidi sono per lo più molecole instabili, tendendo a liberare ossigeno e devono essere pertanto considerate sostanze ossidanti.
Le perossidazioni sono le reazioni mediante le quali si perossida un composto, una sostanza o una molecola: la differenza tra ossidazione e perossidazione può essere ricondotta al fatto che nell’ossidazione si verifica la combinazione di una sostanza con l’ossigeno mentre è detta la perossidazione qualsiasi reazione di ossidazione (soprattutto di un ossido) che produce un perossido (ovvero un legame covalente altamente reattivo fra due molecole di ossigeno); l’ossidazione è una reazione chimica in cui gli atomi di un elemento perdono elettroni e lo stato di ossidazione dell’elemento aumenta.
Nello specifico, si parla di perossidazione lipidica quando i lipidi contenenti acidi grassi insaturi e i loro esteri vengono direttamente ossidati dall'ossigeno molecolare: il danno provocato dalla reazione di perossidazione è in grado di propagarsi mediante una reazione a catena, in quanto i lipidi privati di elettroni tendono a reintegrare la perdita sottraendoli alle molecole contigue, fino a coinvolgere anche le proteine del nucleo centrale ed il DNA.
Il termine è composto dalla radice latina per-, cha possiede un valore genericamente intensivo col significato di “molto” o “assai”: in chimica,...
- α-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata
definizione
L'alfa-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata, chiamata anche con l'acronimo B.C.K.D.C., è un complesso composto da subunità enzimatiche presente sulla membrana mitocondriale interna in grado di catalizzare la decarbossilazione ossidativa degli alfa-chetoacidi ramificati a catena corta: questo complesso enzimatico è un membro della famiglia dell'alfa-chetoacido deidrogenasi mitocondriale, che comprende anche la piruvato deidrogenasi e l'alfa-chetoglutarato deidrogenasi, enzimi chiave nel ciclo di Krebs.
metabolismo dei B.C.A.A.
La regolazione degli enzimi chiave del catabolismo degli amminoacidi ramificati i B.C.A.A. è essenziale per limitare l’ossidazione irreversibile di questi aminoacidi quando l’assunzione di questi nutrienti è insufficiente, e per eliminarli efficientemente quando sono assunti in eccesso rispetto alla normale richiesta: il loro catabolismo coinvolge inizialmente due vie enzimatiche comuni, una transaminazione e una successiva decarbossilazione ossidativa, di conseguenza, le quantità relative dei singoli aminoacidi a catena ramificata si influenzano vicendevolmente, gli enzimi catabolici degli aminoacidi a catena ramificata, a differenza di quelli di tutti gli altri amminoacidi essenziali che sono presenti solo nel fegato, sono distribuiti ubiquitariamente in tutto il corpo e tutte le trasformazioni biochimiche avvengono nei mitocondri (con l’unica eccezione del SNC dove le reazioni avvengono nel citosol).
Gli aminoacidi a catena ramificata vengono assorbiti nell’intestino e giungono al fegato da dove, non subendo trasformazioni chimiche, vengono immessi nella circolazione sanguigna per essere poi metabolizzati in larga parte a livello del muscolo scheletrico ove subiscono il primo passaggio del proprio metabolismo, cioè la deaminazione mediante l’enzima branched‐chain amino‐trasferasi per produrre α‐cheto‐acidi a catena ramificata; esistono due diverse isoforme per questo enzima: la prima, distribuita ubiquitariamente...
- barriera emato-encefalica
definizione
Sbarramento funzionale interposto fra sangue e parenchima nervoso che, separandoli fisicamente in compartimenti distinti, ostacola il passaggio di sostanze e regola selettivamente il passaggio di sostanze chimiche e metaboliti bidirezionalmente, fra il distretto ematico d il cervello; la finalità di tale sistema è la protezione del sistema nervoso centrale da avvelenamenti e intossicazioni: è l’ostacolo che si frappone alla diffusione di sostanze corpuscolate o di molecole dai capillari, presenti nel sistema nervoso centrale, dal tessuto nervoso, e viceversa.
barriera
Il termine barriera, in anatomia, viene utilizzato per definire strutture (fisiche o funzionali) che svolgono il compito di ostacolare il passaggio di sostanze fra due diversi compartimenti o distretti, definendo un confine, una demarcazione, che impedisce il transito: in genere, il passaggio che viene impedito o limitato, in altri distretti, avviene senza alcun freno; la barriera funzionale non solo svolge un ruolo di filtro ma contribuisce per mezzo di azioni di trasporto attivo di sostanze fra i due distretti divisi dalla barriera stessa.
Dal francese barrière, derivato da barre (→ barra, traversa), la barriera è una struttura cellulare che costituisce una separazione tra parti diverse di un organo e tra l’ambiente interno e quello esterno: può essere costituita da cellule endoteliali dei capillari, cellule connettivali, cellule gliali o di altro tipo, rappresentando un filtro selettivo per il passaggio delle sostanze.
descrizione
È costituita dall’endotelio dei capillari sanguigni del cervello, dalla tunica elastica e avventiziale e da cellule gliali (astrociti). Le giunzioni strette delle cellule endoteliali dei capillari impediscono il passaggio delle sostanze e gli astrociti, i cui filamenti avvolgono i capillari cerebrali, esercitano un’attiva azione di filtro per molecole varie. Va distinta dalla barriera emato-liquorale, formata dagli endoteli dei capillari, dagli...
- enzima limitante
definizione
Può essere rappresentato come il fattore limitante di una reazione biochimica catalizzata da un enzima: l'enzima limitante diviene l'elemento che pone o costituisce un limite, che riduce o condiziona la reazione chimica, circoscrivendone i risultati; può essere considerato come l'enzima, di solito presente in piccole quantità, che controlla la velocità di una via metabolica regolando uno dei suoi passaggi.
- enzima BCAA ammino-transferasi
definizione
Il metabolismo dei B.C.A.A. avviene grazie ad un enzima chiamato B.C.A.T. (branched‐chain amino‐trasferasi); valina, leucina e isoleucina sono i tre amminoacidi essenziali, detti aminoacidi a catena ramificata in quanto caratterizzati da una catena di atomi di carbonio che devia dalla catena principale: l'enzima BCAA ammino-transferasi, presente nel muscolo ma non a livello epatico, è in grado di metabolizzare questi aminoacidi producendo α‐cheto‐acidi a catena ramificata (detti B.C.K.A.) che possono essere utilizzati come fonte di energia dal muscolo, cuore, cervello o incorporati nelle proteine.
branched‐chain amino‐trasferasi
La regolazione degli enzimi chiave del catabolismo dei B.C.A.A. è essenziale per limitare l’ossidazione irreversibile di questi aminoacidi quando l’assunzione di questi nutrienti è insufficiente, e per eliminarli efficientemente quando sono assunti in eccesso rispetto alla normale richiesta: il loro catabolismo coinvolge inizialmente due vie enzimatiche comuni, una transaminazione e una successiva decarbossilazione ossidativa, di conseguenza, le quantità relative dei singoli aminoacidi a catena ramificata si influenzano vicendevolmente, gli enzimi catabolici dei B.C.A.A., a differenza di quelli di tutti gli altri amminoacidi essenziali che sono presenti solo nel fegato, sono distribuiti ubiquitariamente in tutto il corpo e tutte le trasformazioni biochimiche avvengono nei mitocondri (con l’unica eccezione del SNC dove le reazioni avvengono nel citosol).
Gli aminoacidi a catena ramificata vengono assorbiti nell’intestino e giungono al fegato da dove, non subendo trasformazioni chimiche, vengono immessi nella circolazione sanguigna per essere poi metabolizzati in larga parte a livello del muscolo scheletrico ove subiscono il primo passaggio del proprio metabolismo, cioè la deaminazione mediante l’enzima branched‐chain amino‐trasferasi per produrre α‐cheto‐acidi a catena ramificata; esistono due diverse isoforme per questo...
- proteosintesi
La sintesi proteica (biosintesi delle proteine) detta anche proteogenesi, protidogenesi, proteinogenesi o proteoneogenesi, è il processo biochimico responsabile della produzione di proteine sulla base dell'informazione genetica contenuta nella sequenza nucleotidica del mRNA (RNA messaggero) e quindi del DNA da cui l'mRNA è stato precedentemente codificato: per questo viene definita anche traduzione del mRNA o semplicemente traduzione; la sintesi proteica inizia da un filamento di mRNA, prodotto a partire da un gene sul DNA attraverso il processo di trascrizione, che viene usato come stampo per la produzione di una specifica proteina.
- aminoacido glucagonogenico
definizione
Dall'inglese “glucagonogenic ammino acids”, con questa definizione si identifica una classe di amminoacidi in grado di stimolare la produzione di glucagone: la denominazione, in realtà poco utilizzata, venne coniata da alcuni ricercatori attorno alla fine degli anni ottanta (Schmid et al., 1989), per definire quegli amminoacidi che, in seguito all'ingestione di proteine, stimolano maggiormente la produzione di questo ormone.
il glucagone
Ormone peptidico secreto dalle cellule α delle isole di Langerhans del pancreas, ha come bersaglio principale alcune cellule del fegato ove stimola la glicogenolisi e la gluconeogenesi, permettendo il ripristino della glicemia: se il livello ematico di glucosio scende sotto una soglia di circa 80 – 100 mg/dl (= 0,8 - 1 g/l), le cellule α cominciano a secernere glucagone che, una volta rilasciato nel torrente ematico, si lega ai suoi recettori presenti principalmente sugli epatociti, attivando la degradazione del glicogeno (glicogenolisi) e un conseguente rilascio di glucosio nel sangue: sebbene venga in genere considerato antagonista dell'insulina per il suo compito di contrastare l'ipoglicemia, insulina e glucagone intervengono in sinergia in seguito all'introduzione di proteine/amminoacidi, poiché la prima determina lo stivaggio degli amminoacidi (proteosintesi) nei tessuti, mentre il secondo previene l'ipoglicemia causata dall'insulina; è importante ricordare che il glucagone attiva la glicogenolisi epatica, ma non glicogenolisi muscolare (che, viceversa, è stimolata dall'adrenalina), la glicogeno sintetasi (cioè la sintesi di glicogeno) e promuove la gluconeogenesi a partire dai grassi e dalle proteine.
In seguito all'ingestione di cibi proteici, il pancreas endocrino reagisce con una serie di risposte ormonali, tra cui la secrezione di insulina e glucagone, al fine di mantenere l'omeostasi glicemica, senza incrementare i livelli di glucosio ematico: il ruolo del glucagone, in questo contesto fisiologico, è...
- aminoacido ramificato
definizione
Gruppo di amminoacidi essenziali rappresentati da leucina, isoleucina e valina, chiamati anche con l'acronimo B.C.A.A. (branched-chain amino acid), e conosciuti come amminoacidi a catena ramificata, in quanto la loro struttura forma delle ramificazioni; rappresentano il 35% degli amminoacidi essenziali nelle proteine presenti a livello del tessuto muscolare, anche se i B.C.A.A. sono presenti nel muscolo scheletrico in forma libera (non proteica) in quantità marginali: a differenza di molti altri amminoacidi, sono metabolizzati prevalentemente nel muscolo scheletrico, ove svolgono un'azione anti-catabolica sulla muscolatura, poiché l'enzima BCAA ammino-transferasi non è presente nel fegato dove invece sono convertiti molti altri amminoacidi.
Gli amminoacidi a catena ramificata sono amminoacidi insulinogenici, ma non sono amminoacidi glucagonogenici; l'isoleucina è chetogenica, e la leucina, oltre è una amminoacido chetogenetico ma non glucogenetico.
muscolo e amminoacidi a catena ramificata
A differenza della gran parte degli altri aminoacidi, gli aminoacidi ramificati bypassano il metabolismo epatico per essere utilizzati direttamente a livello muscolare, dove servono da donatori di azoto per la sintesi di altri importanti aminoacidi, come la glutammina e l'alanina: l'enzima limitante del metabolismo dei B.C.A.A. è l'alfa-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata che si trova nel muscolo ed è effettivamente attivato dall'esercizio fisico o dal digiuno.
Fra gli aminoacidi ramificati, la leucina è il più prontamente ossidato, risultando un amminoacido insulinogenico con la conseguente riduzione dei livelli glicemici e la stimolazione alla produzione dell'ormone della crescita (GH): sia durante gli stress acuti, sia durante il lavoro muscolare intenso e protratto e nella prima fase del recupero post-attività, solitamente si osserva una diminuzione della concentrazione di glucosio e di insulina nel sangue ed un aumento delle catecolammine...
- tolleranza al glucosio
definizione
Con la locuzione “tolleranza al glucosio” si definisce la capacità dell'organismo di “smaltire” un carico di glucosio, ovvero la capacità di utilizzare il glucosio assunto attraverso gli alimenti o somministrato a scopi diagnostici, e/o mantenere i livelli di glicemia all'interno dei parametri definiti dai set-points omeostatici; quando si parla, viceversa, di intolleranza al glucosio, ci si riferisce alla ridotta capacità di smaltimento del glucosio da parte dell'organismo, descrivendo genericamente un gruppo di condizioni metaboliche che determinano livelli di glucosio nel sangue più alti del normale.tolleranza al glucosio e glicemia
L'organismo umano possiede un sistema di regolazione intrinseco che consente di mantenere relativamente costante la glicemia durante l'arco della giornata: partendo dal presupposto che la presenza di glucosio nel sangue è essenziale per la vita, essendo un nutriente essenziale per tutte le cellule dell'organismo, il mantenimento della concentrazione ematica del glucosio all'interno dei set-point omeostatici è un fattore altrettanto importante per garantire una buona funzionalità del corpo umano.
In un soggetto sano, che segue una dieta mista, la glicemia dovrebbe mantenersi, durante la giornata, tra i 60 e i 130 mg/dl, con un valore medio di riferimento di 90 mg/100 ml: la costanza di questi parametri è importante per assicurare il normale apporto energetico al cervello: a differenza di altri organi e dei muscoli, il cervello non è in grado di immagazzinare riserve di glucosio dalla cui disponibilità dipende direttamente e pertanto il glucosio ematico è l'unico substrato energetico utilizzabile dal sistema nervoso, se si escludono situazioni di digiuno prolungato ove l'organismo supplisce alla carenza cerebrale di glucosio con la produzione di chetoni (corpi chetonici); sia l'ipoglicemia, sia l'iperglicemia sono potenzialmente pericolose per l'organismo e, se protratte per lunghi periodi, possono portare a...
- apparato
definizione
In anatomia, gli organi corporei risultano raggruppabili, sulla base della loro funzione, in sistemi o apparati, nei quali essi collaborano a funzioni più generali: in particolare, anche se spesso i due termini vengono utilizzati come sinonimi, per apparato si intende, un raggruppamento di organi che collaborano a uno scopo comune e diversi sia per funzione sia per struttura, e spesso anche per origine embriologica, mentre con il termine sistema si indica un insieme di organi che collaborano a uno scopo comune ed omogenei per funzione e struttura, spesso anche per derivazione embriologica; dal latino apparatus derivato di apparare (→ preparare).
- glucosio-6-fosfato
definizione
Estere del glucosio ottenuto con l'aggiunta di acido fosforico ovvero glucosio fosforilato su carbonio 6, chiamato anche G6P o α-D-glucosio-6-fosfato: è composto molto comune in quanto la maggior parte del glucosio contenuto nelle cellule è fosforilato in questo modo; a causa della sua importanza per quanto riguarda la chimica cellulare, il G6P ha molti destini possibili all'interno della cellula.
Il glucosio presente nel sangue entra nelle cellule attraverso la membrana plasmatica e viene immediatamente fosforilato sul carbonio 6 dall'enzima esochinasi e indirizzato verso tre vie metaboliche. la prima, presente in tutte le cellule, è la via della glicolisi che è deputata alla produzione di ATP; la seconda, è la via dei pentoso fosfati, utile alla cellula per produrre il ribosio-5-fosfato ed il NADP ridotto, mentre la terza, presente solo nel fegato e nei muscoli, è la via della glicogeno sintesi che porta alla formazione rispettivamente del glicogeno epatico e del glicogeno muscolare una forma di riserva del glucosio.
- macromolecola
definizione
Molecole di dimensioni grandi e di peso molecolare molto elevato, costituite da un rilevante numero di atomi: sono costituite da molte unità più piccole, uguali o simili tra loro, ripetute parecchie volte, legate tra loro tramite legami covalenti; possono essere lineari, ramificate o reticolate.
Sono comuni nei sistemi viventi: nel linguaggio scientifico corrente si utilizza il termine macromolecola per designare i polisaccaridi, le proteine, gli acidi nucleici, cioè le macromolecole naturali di grande importanza biologica, anche se fra le macromolecole devono essere annoverati anche anche i polimeri, sintetici e artificiali, ed i macrocicli (macromolecole cicliche o porzione ciclica macromolecolare di una molecola).
- glicogenosintesi
definizione
Sintesi del glicogeno a partire dal glucosio.
- glicogenolisi
definizione
Il processo metabolico che degrada molecole di glicogeno, per mezzo di enzimi litici, fino ad ottenere il monosaccaride glucosio: la scissione delle molecole glucidiche avviene nel fegato e nei muscoli sotto stretto controllo ormonale soprattutto come effetto della risposta generalizzata di adattamento allo stress, grazie all'azione catalizzatrice di differenti enzimi fra cui la glicogeno fosforilazioni può essere considerata prevalente; dal greco γλυκύς (glykýs → dolce), -γενής (genḗs → nato da) e con il significato attivo «che genera» dal tema γεν- (→ generare), assieme al suffisso λύσις (lýsis → scioglimento).
La degradazione del glicogeno a glucosio-6-fosfato nel fegato è promossa dall'ormone glucagone, mentre nei tessuti muscolari e cardiaci è l’adrenalina a produrre lo stesso effetto; contemporanea, questi ormoni inibiscono la glicogenosintesi, e stimolano la produzione di glucosio a partire dal lattato e da alcuni amminoacidi nel processo metabolico definito gluconeogenesi.
considerazioni sulla glicogenolisi
Quotidianamente, l'organismo umano necessita di regolare i suoi equilibri, attraverso l'omeostasi, finalizzata a mantenere costanti i parametri fisiologici indispensabili per il corretto funzionamento dell'organismo; fra i differenti set-point omeostatici, la concentrazione ematica del glucosio (glicemia) è un valore fondamentale.
L'ipoglicemia, cioè a presenza di una concentrazione di glucosio nel sangue inferiore alla normalità, viene avvertita e segnalata dal glucagone, definito ormone iperglicemizzante, che agisce a livello epatico attivando una serie di eventi biochimici che portano alla liberazione di glucosio nel sangue. Un altro ormone è l'adrenalina, che ha lo stesso compito del glucagone, ma, a differenza di questo, agisce a livello muscolare.
A seguito dello stimolo ormonale (sia esso epatico che muscolare) viene attivata una protein-chinasi, capace di legare un gruppo fosfato sui residui di serina dell'enzima,...
- dispepsia funzionale
definizione
Disturbo estremamente fastidioso che si caratterizza per una serie di sintomi di varia natura quali l'aerogastria, il senso di sazietà, il gonfiore addominale, il bloating, la pirosi, che insorgono a digiuno o dopo mangiato oppure indipendentemente dall'assunzione di cibo, apparentemente sine causa, chiamato solitamente, nel gergo popolare “digestione lenta”: viene definito “dispepsia” in quanto questo termine descrive una difficoltà digestiva mentre il termine “funzionale” sta a indicare l’assenza di un danno o di una lesione evidente d’organo e, di conseguenza, il fatto che la sintomatologia sia dovuta solo a un’alterazione della funzionalità.
Occorre ricordare che dispepsia è già termine generico che ricomprende i disturbi della funzione digestiva, gastrici o intestinali, di qualunque natura essi siano, spesso utilizzato come sinonimo di “cattiva digestione”; dal greco δυσπεψία (dyspepsía → cattiva digestione), composto da δυσ– (dys– → alterazione, funzionamento anomalo) e πέψις (pépsis → digestione); non essendo mai stati definiti i parametri clinici che permettono di distinguere i soggetti sani dai soggetti affetti da patologie dispeptiche, non è possibile classificare i differenti casi sintomatologici in precisi quadri clinici: dispepsia è semplicemente il descrittore di una condizione di dis-stress gastro-intestinale, caratterizzato dalla presenza predominante di acidità gastrica e dolore, accompagnato spesso da pirosi, aerogastria, eruttazioni e rigurgiti (che possono portare allo sviluppo di nausea e vomito), fastidio e tensione persistente o ricorrente localizzato nell’epigastrio (talvolta dolente), più o meno associato a senso di pienezza ed anoressia, bloating, meteorismo, flatulenza e gonfiore addominale, associati talvolta ad alitosi.
La differenziazione delle differenti dispepsie serve a orientare semplicemente le ipotesi diagnostiche: la motivazione di fondo della dispepsia funzionale risiede in una condizione di disagio emotivo,...
- metabolismo
definizione
Il complesso delle trasformazioni chimiche, degli effetti energetici concomitanti e dei fenomeni fisici che avvengono nelle cellule e nei tessuti di un organismo vivente, e che assicurano la conservazione e il rinnovamento della materia vivente; del greco μεταβολή (→ mutazione, cambiamento).
Queste reazioni catalizzate da enzimi consentono agli organismi di crescere e riprodursi, mantenere le proprie strutture e rispondere alle sollecitazioni dell'ambiente circostante; con il termine metabolismo si può anche indicare l'insieme di reazioni chimiche che avvengono negli organismi viventi, incluse la digestione e il trasporto di sostanze all'interno delle cellule e tra cellule differenti, nel qual caso la serie di reazioni che avvengono all'interno delle cellule prende il nome di metabolismo intermedio.
Il metabolismo è generalmente diviso in due categorie: catabolismo, che disgrega la materia organica e produce l'energia attraverso la respirazione cellulare e l'anabolismo che utilizza l'energia per costruire i vari componenti delle cellule, come le proteine e gli acidi nucleici: le reazioni chimiche del metabolismo sono organizzate in vie metaboliche, in cui una sostanza chimica subisce un processo di trasformazione attraverso una serie di passi in un'altra sostanza, grazie a una serie di enzimi.
Gli enzimi sono fondamentali per il metabolismo poiché permettono agli organismi di compiere le reazioni chimiche volute, che necessitano di un quantitativo di energia che non permetterebbe che siano eseguite spontaneamente: gli enzimi agiscono come catalizzatori consentendo alle reazioni di procedere più rapidamente, permettendo anche la regolazione delle vie metaboliche in risposta ai cambiamenti nel contesto della cellula o ai segnali provenienti da altre cellule.
Le reazioni chimiche, siano esse anaboliche o cataboliche, possono avvenire spontaneamente solo se la variazione di energia libera è negativa, ovvero se l’energia libera dei prodotti (stato...
- chinurenina
definizione
Amminoacido aromatico che si forma nei tessuti in seguito al catabolismo del triptofano: in realtà la chinurenina non solo è il principale metabolita del triptofano, ma è un prodotto intermedio della biosintesi della nicotinammide (NAD), che viene scissa in alanina e acido antranilico dall'enzima chinureninasi presente nel fegato; dal greco κυνός (kynós → cane) e οὖρον (ûron → urina), utilizzati per descrivere questa sostanza rintracciata inizialmente nell'urina dei cani.
Le concentrazioni tissutali di chinurenina crescono nel corso della gravidanza, nel soggetto anziano, negli stati febbrili, nella tubercolosi, nei tumori e nelle malattie mentali ma anche negli obesi o alla presenza di sindrome metabolica, stesso cronico (burn out, sindrome da stanchezza cronica ...), dolori cronici, depressione, sclerosi multipla e malattie autoimmuni; la concentrazione di questo amminoacido si incrementa per effetto dello stress, riducendo il triptofano disponibile alla conversione in serotonina, come conseguenza dell'aumento dell’attività dell’enzima triptofano-pirrolasi, presente a livello del fegato: stimolato dall’eccesso di corticosteroidi circolanti, questo enzima è in grado di deviare il metabolismo del triptofano dalla produzione di serotonina verso quella della chinurenina con un aumento delle manifestazioni di tipo depressivo,
Mentre la chinurenina passa la barriera ematoencefalica, incrementando il quadro ansioso/depressivo, allo stesso tempo la sua produzione diminuisce la disponibilità di triptofano trasformabile in serotonina, aumentando ulteriormente la tendenza depressiva, sviluppando di ansia, sintomi psicotici e deterioramento cognitivo; in presenza di chinurenina aminotransferasi (enzima incrementato dall'attività fisica) la chinurenina viene trasformata in acido chinurenico che non solo non è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, ma agisce anche da legante non competitivo dei recettori del glutammato, svolgendo un ruolo di...
- amina
definizione
Utilizzata anche nella forma linguistica ammina, èè la denominazione convenzionale per ogni composto organico la cui molecola deriva da quella dell'ammoniaca per sostituzione di uno, due o tre atomi di idrogeno con altrettanti radicali alchilici (-CH3) o arilici (aromatici): secondo il numero di atomi di idrogeno sostituiti, le ammine possono essere primarie, secondarie o terziarie; la formula generica può essere R−NH2 (ammina primaria), dove con R si intende un radicale idrocarburico monovalente, mentre nelle amine secondarie avviene la sostituzione di due atomi di idrogeno (R−NH−R) e nelle amine terziarie di tre (NR3).
Fra le principali ammine si annoverano: acetilcolina, adrenalina, noradrenalina, dopamina, serotonina, catecolammina, istamina, cadaverina, putrescina, taurina.
Il lemma è derivato di am(moniaco), col suffisso -ina, utilizzato per definire nomi che indicano sostanze di varia natura; l’aggettivo ammoniaco deriva dal latino ammoniăcus, che a sua volta discende dal greco ἀμμωνιακός (ammoniakós → di Ammone): perché anticamente il sale ammoniaco si raccoglieva presso il tempio del dio egiziano Ammone, in Libia.
Il termine viene utilizzato per classificare i composti alifatici e aromatici, sintetizzati dagli organismi viventi, che hanno nella loro molecola una funzione amminica; alcune di queste sostanze si trovano, come importanti prodotti intermedi, nei processi biosintetici, occupando una posizione chiave nel ciclo dei composti azotati e hanno notevole importanza fisiologica, patologica e farmacologica.
- fattore limitante
definizione
Può essere rappresentato come un evento, uno stimolo od un elemento che pone o costituisce un limite, che riduce o condiziona un'azione circoscrivendone i risultati: un fattore (dal latino factor, dal participio passato di facĕre, cioè → fare), che sottolinea come l’azione evidenziando che l’elemento agente ha già svolto un ruolo di attivazione o, in questo caso, di limitazione e noi ne vediamo gli effetti; limitante è il participio presente del verbo latino limitāre, deriva da limes (→ limite, confine tra due campi, linea di demarcazione), descrivendo una linea che separa nettamente.
Pertanto, quando si parla di fattore limitante, si vuole sottolineare un qualcosa che per la sua intrinseca natura ha impedito e continua ad impedire che si verifichi una seri di eventi dipendenti dalla sua essenziale presenza o assenza; ci si può riferire ad un fattore che può determinare il successo riproduttivo di una popolazione di animali; ad esempio un fattore abiotico può essere limitante in quanto impedisce lo sviluppo della vita, così come, in un ecosistema, l’elemento presente in quantità inferiore rispetto a quella necessaria costituisce il fattore limitante.
In biochimica, si parla di reagente limitante di una reazione chimica quella specie chimica che si consuma per prima e che determina la quantità dei prodotti di reazione; ugualmente un amminoacido carente, che viene chiamato anche amminoacido critico, è il fattore limitante per i processi di sintesi proteica.
- amminoacido non proteinogenico
definizione
Denominati con la sigla N.P.A.A. (→ Non-Proteinogenic Amino Acids), sono amminoacidi che non vengono incorporati nelle proteine durante il processo di biosintesi (traduzione), in quanto non presenti nell'informazione genetica cioè non sono codificati naturalmente nel codice genetico umano né si trovano nelle catene polipeptidiche: questo non esclude la loro presenza nelle proteine, in quanto possono essere inclusi post-traduzionalmente lungo la catena peptidica o possono essere il risultato di modifiche di amminoacidi normalmente presenti; anche se tali amminoacidi non fanno normalmente parte delle catene polipeptidiche umane, svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo e nelle funzioni corporee e sono elementi costitutivi essenziali delle proteine negli organismi come batteri, funghi, piante e animali marini.
Si differenziano dagli amminoacidi proteinogenici in quanto questi, per definizione, sono gli amminoacidi usati per la costruzione delle proteine; vi sono oltre 800 NPAA in natura: alcuni di questi metaboliti sono componenti del metabolismo, fungendo da intermedi nelle vie biosintetiche o come molecole di segnalazione durante le risposte allo stress.
Gli amminoacidi non proteinogenici possono essere amminoacidi non incorporati nelle proteine, come la triiodotironina (T3), dotata di un’importante funzione biologica; in altre occasioni possono essere amminoacidi incorporati erroneamente nella sintesi proteica, al posto di un amminoacido codificato dal genoma, come accade con la canavanina che può prendere il posto dell’arginina, con gravi rischi per la salute; possono essere il risultato di processi che avvengono dopo la sintesi proteica, come avviene nel caso dell’idrossiprolina, prodotta dall’idrossilazione dell’amminoacido prolina da parte dell’enzima prolil-idrossilasi, come modifica post-traduzionale: sebbene non sia incorporata direttamente nelle proteine, l’idrossiprolina rappresenta circa il 4% di tutti gli amminoacidi presenti...
- 5-idrossi-triptofano
definizione
Conosciuto spesso con la sigla 5 HTP (o 5-HTP), questo amminoacido non proteinogenico derivato dal triptofano è particolarmente importante (e conosciuto) in quanto precursore del serotonina, un neurotrasmettitore di vitale importanza per l'intero organismo in quanto capace di regolare non solo il tono dell'umore, la cognizione, la ricompensa, l’apprendimento, la memoria ma anche molte funzioni gastro-intestinali o processi fisiologici: essendo la conversione, in vivo, del triptofano in 5-idrossitriptofano il fattore limitante del processo biologico che porta alla produzione della serotonina, il 5 HTP diviene un possibile supplemento nutrizionale molto importante, vista anche la sua capacità di attraversare la barriera ematoencefalica; la sua formula bruta è C11H12N2O3.
dal triptofano alla serotonina
A partire dall'amminoacido triptofano, mediante una reazione di idrossilazione operata dall'enzima triptofano idrossilasi, l'organismo produce il 5-idrossitriptofano; una volta formatosi, il 5-HTP viene poi trasformato in serotonina attraverso una decarbossilazione. La reazione che avviene all'interno dell'organismo è la seguente:
Dal momento che il 5-HTP è il precursore diretto, nella reazione di sintesi della serotonina operata a partire dal triptofano, la sua assunzione orale può favorire l'incremento della concentrazione, nei tessuti cerebrali, di questo neurotrasmettitore a livello centrale il 5-idrossi-triptofano è in grado di superare la barriera ematoencefalica e di raggiungere il sistema nervoso centrale, a livello del quale può poi essere convertito in serotonina; l'assunzione orale di 5-HTP può anche indurre un incremento dei livelli di altri neurotrasmettitori, come la melatonina (che esercita un ruolo molto importante nella regolazione del ritmo sonno-veglia), la dopamina e la noradrenalina (implicate anch'esse nei meccanismi di regolazione dell'umore) e le beta-endorfine (coinvolte in numerose funzioni biologiche, fra cui la... - cromaffine
definizione
Detto di cellula, di organo o di sostanza intracellulare che, con i composti di cromo, assume una particolare colorazione nera; questa proprietà è caratteristica di un tessuto presente, nell’uomo, in alcuni organi quali le capsule surrenali (nella loro parte midollare) e il glomo carotideo
- vaso sanguifero
definizione
Sinonimo di vaso sanguigno, cioè di vaso sanguĭneus (→ " del colore del sangue ", dal latino); il termine sanguifero, etimologicamente, sarebbe più corretto, in quanto significa letteralmente "che trasporta sangue" derivando dalla radice latina sanguis (→ sangue) ed il suffissoide -ferum (→ che porta): si definiscono vasi sanguiferi (o sanguigni) i condotti sanguigni del sistema circolatorio adibiti al trasporto del sangue attraverso il corpo.
L'insieme dei vasi sanguigni forma il sistema vascolare, preceduto dall'aggettivo cardio nel caso in cui si considerino anche il sangue ed il cuore.
Le tipologie più importanti sono le arterie, le vene, e i capillari che portano, rispettivamente, il sangue dal cuore al resto dell'organismo e viceversa; mentre i capillari constano in poco più di uno strato di endotelio, talvolta abbracciato da tessuto connettivo, i vasi sanguigni di calibro maggiore hanno sostanzialmente la stessa struttura di base: la parete interna è detta endotelio ed è circondata da un tessuto connettivo subendoteliale, attorno a cui si trova uno strato di muscolo vascolare liscio, che è particolarmente sviluppato nelle arterie, circondato, infine, da un ulteriore strato di tessuto connettivo (avventizia), che contiene i nervi che servono lo strato muscolare, e i capillari per il trasporto dei nutrienti nei vasi più grandi.
La presenza di tessuto muscolare ed elastico permette alle arterie di accumulare, dilatandosi, l'energia impressa alla massa sanguigna dalla contrazione del cuore; quando questo si rilassa tra una contrazione e l'altra, l'energia accumulata dalle arterie viene ceduta lentamente alla colonna ematica diretta in periferia: si ottiene, pertanto, la trasformazione della pulsazione intermittente, causata dalla contrazione cardiaca, in un flusso continuo (laminare) essenziale per consentire i normali scambi a livello capillare.
Mentre i vasi sanguigni non sono in grado di intervenire attivamente nel trasporto di sangue, non...
- estradiolo
definizione
Chiamato anche E2, nella sua forma isomerica 17-β-estradiolo, è il principale ormone steroideo della classe degli estrogeni: oltre a modulare l'espressione dei caratteri sessuali e intervenire nella regolazione della sessualità e della riproduzione, influenza le funzioni di un gran numero di tessuti ed organi.
biochimica - azione fisiologica
Il nome è composto da estra(no) e diolo, sottolineando la sua derivazione dall'estrano e la presenza di due gruppi alcoolici: anche se il 17-β-estradiolo, l'isomero con ossidrile in posizione cis, è il più diffuso e attivo nel corpo, con la maggior attività estrogenica, nel corpo è presente in forma α-estradiolo (ossidrile in posizione trans), dotata di proprietà inibitrici della funzione della ghiandola pituitaria.
Nella donna in età riproduttiva la maggior parte dell'estradiolo è prodotto dalle ovaie sotto lo stimolo degli ormoni adenoipofisari LH (luteinizzante) e FSH (follicolo stimolante): l'ormone luteinizzante ipofisario (LH) si lega ai recettori delle cellule della teca interna del follicolo ovarico in maturazione, promuovendo la sintesi di androgeni (androstenedione e testosterone), che in gran parte vengono captati dalle cellule della granulosa e prontamente convertiti in estradiolo (l'androstenedione può essere convertito anche in estrone).
Grazie alla sua azione diretta sugli organi riproduttivi, stimola lo sviluppo delle mammelle e la tipica conformazione corporea femminile, con deposizione di adipe in zone preferenziali (seno, fianchi, cosce).
Viene prodotto anche nell'uomo a livello delle e cellule del Setoli (cellule testicolari del Leydig) localizzate a livello dei testicoli, anche se in concentrazioni inferiori, rispetto alla donna; l'enzima aromatasi, che converte gli androgeni in estrogeni, è presente in svariati tessuti, specie in quello adiposo.
Una non trascurabile quantità di estrogeni è prodotta anche dai muscoli scheletrici, in risposta all'attività muscolare; dalla corteccia...
- ipriflavone
definizione
Isoflavone derivato dalla daidzeina, fitoestrogeno contenuto nella soia, è un flavonoide in grado di inibire il riassorbimento osseo, di limitare la perdita di massa ossea (osteolisi) e di favorire sia la differenziazione sia la stimolazione degli osteoblasti con conseguente deposizione di nuovo tessuto osseo (osteogenesi) attraverso meccanismi d'azione diretti, mantenendo la densità ossea: viene utilizzato come agente preventivo o di supporto in caso di osteoporosi e demineralizzazione ossea, in particolare nella prevenzione e nel trattamento dell'osteoporosi post-menopausale e senile.
Il nome è 7-isopropossi-isoflavone; la formula di struttura è C18H16O3.
La sua azione si esplica rallentando l'azione degli osteoclasti, consentendo agli osteoblasti di rigenerare l'osso, essendo in grado di interagire con alcuni recettori degli estrogeni coinvolti nel metabolismo osseo, potenziando l'effetto degli estrogeni endogeni: è in grado di proteggere le donne osteopeniche dalla perdita ossea che accompagna naturalmente la menopausa, con conseguente riduzione degli effetti collaterali della menopausa e diminuzione dei livelli del colesterolo; nonostante agisca sui recettori estrogenici, non possiede azione estrogenica diretta, non modificando i livelli serici di LH, FSH, prolattina ed estradiolo, né cambiamenti nella citologia vaginale.
L'assunzione dell'ipriflavone, in associazione con opportuni trattamenti di riequilibrazione posturale ed esercizi finalizzati al recupero dell'attività fisica, favoriscono la regressione dei sintomi caratteristici dell'osteoporosi post-menopausale o dell'osteoporosi senile, quali il dolore a riposo, durante la marcia, ai movimenti di rotazione e di flessione); i parametri indicativi della situazione della massa ossea migliorano e si stabilizzano dopo i primi mesi di assunzione con aumento della densità ossea o arresto della sua riduzione, diminuzione del numero di collassi e di fratture vertebrali da compressione e delle...
- dimero
definizione
Molecola formata dall'unione di due subunità (dette monomeri) di identica natura chimica (omodimero) oppure di natura chimica differente (eterodimero): dal greco δι-(da δίς → due volte») e μέρος (méros → parte).
Per dar vita a un dimero, i monomeri devono essere uniti con un legame chimico forte (di solito covalente), per mezzo di differenti tipi di reazione quali la policondensazione, cioè tramite l'unione dei due monomeri con espulsione di una molecola semplice, come l'acqua (disidratazione) o alcoli, etc., oppure la poliaddizione, una reazione che avviene senza produzione di sottoprodotti.
In biologia, il termine dimero si riferisce solitamente a proteine o a carboidrati: esempi di dimeri sono il maltosio (due molecole di glucosio), il lattosio (glucosio e galattosio), il saccarosio (glucosio e fruttosio) e il diossido di carbonio, (due molecole di monossido di carbonio) noto anche come biossido di carbonio o anidride carbonica oppure con la formula CO2.
- cellulasi
definizione
Enzimi responsabili della digestione della cellulosa, che è degradata con formazione di vari prodotti di polimerizzazione fino a ottenere il cellobiosio, un disaccaride formato da due molecole di glucosio: è una famiglia di biocatalizzatori, prodotti principalmente da funghi, batteri e protozoi che appartengono alla famiglia delle idrolasi, in grado di idrolizzare i legami 1,4-β-D-glicosidici nella cellulosa, la lichenina ed i β-D-glucani dei cereali; sono presenti anche forme di cellulasi in organismi animali e vegetali, spesso differenti per struttura e meccanismo di reazione.
Il termine è derivato di cellul(osa), col suffisso –asi usato in chimica biologica per formare le denominazioni degli enzimi.
- lipasi
definizione
Gruppo di enzimi idrosolubili, appartenenti alle idrolasi (esterasi), che catalizzano la digestione dei lipidi (grassi neutri), scindendo il legame estereo che lega i gruppi ossidrili del glicerolo agli acidi grassi a lunga catena (lipolisi); la scissione dei grassi neutri in glicerolo e acidi grassi avviene l'idrolasi del legame estere, con al liberazione di tre radicali acidi del trigliceride; il processo di distacco dal glicerolo dei tre acidi grassi non avviene simultaneamente, ma successivamente, dando origine a mono- e digliceridi. Alcune lipasi agiscono a livello extracellulare, altre sono confinate all’interno della cellula: le principali lipasi sono quelle presenti nel tratto digestivo, mentre altre lipasi vengono prodotte dal fegato, dall'endotelio vasale e all'interno delle cellule, come le lipasi lisosomiali e quelle ormono-dipendenti.
Il termine deriva dal greco λίπος (lípos → adipe, grasso) col suffisso –asi usato in chimica biologica per formare le denominazioni degli enzimi.
lipasi digestive
Le lipasi presenti nel tratto digestivo, al contrario delle amilasi, che nel tratto superiore del tubo digerente vengono secrete soltanto dalle ghiandole salivari, sono rilasciate sia nel cavo orale sia nel tratto gastrico sia in quello duodenale ove vengono rilasciate, tramite il dotto di Wirsung (a livello della papilla di Vater), da parte del pancreas.
La lipasi linguale, secreta nella regione posteriore della lingua, è attiva in un ampio spettro di pH (2-6) e può quindi proseguire la sua attività anche nel pH acido dello stomaco (al contrario della ptialina che opera preferenzialmente a pH compresi tra 6.7 e 7); anche la lipasi gastrica e la lipasi pancreatica sono acido-resistenti e possono intervenire nella digestione dei trigliceridi assunti con gli alimenti.
Le lipasi linguali e le lipasi gastriche attaccano i trigliceridi, che rappresentano circa il 90-98% dei lipidi alimentari, idrolizzano il legame esterico degli acidi grassi...
- amilasi
definizione
Ogni enzima, animale o vegetale, che catalizza l'idrolisi (scissione) dei legami oligosaccaridici e polisaccaridici per ottenere zuccheri più semplici e più facilmente digeribili; tipici esempi sono gli enzimi in grado di scindere l’amido o il glicogeno in maltosio e destrine; il termine è derivato di amilo-, dal latino amy̆lum (→ amido) col suffisso -asi usato in chimica biologica per formare le denominazioni degli enzimi.
Esistono diverse amilasi:
→ α-amilasi - di origine sia vegetale sia animale; le prime si trovano soprattutto nei semi, le seconde nella saliva e nel succo pancreatico dei mammiferi, nell’intestino dei pesci; ne sono note molte di origine batterica e fungina. Agiscono in qualsiasi punto della molecola, producendo oligosaccaridi a basso peso molecolare che possono, a loro volta, fungere da substrato.
→ β-amilasi - tipiche del mondo vegetale, idrolizzano le catene d’amido a maltosio a partire dall’estremità non riducente della molecola producendo sostanze a medio peso molecolare, dette destrine limite.
→ glucan 1,4-α-glucosidasi (o γ-amilasi) - oltre a scindere gli ultimi legami glicosidici α-1,4 all’estremità non riducente di amilosio e amilopectina, scinde anche i legami glicosidici α-1,6, producendo glucosio.
→ glucano 1,4-α-maltoidrolasi (o amilasi maltogenica) - catalizza l'idrolisi dei legami (1→4)-α-D-glucosidici nei polisaccaridi, in modo da rimuovere i residui di α-maltosio dalle estremità non riducenti delle catene; tra le varie catene che possono essere substrato dell'enzima, figurano l'amido, il pullulano e le ciclomaltodestrine; la produzione di monomeri di α-maltosio differenzia questo enzima dalla β-amilasi, che produce monomeri di β-maltosio.Tipiche amilasi nell’uomo sono la ptialina, contenuta nella saliva, e la amilopsina del succo pancreatico, enzimi che catalizzano l’idrolisi del legame α-1,4-glicosidico dei polisaccaridi costituenti l’amido e il glicogeno.
- masticazione
definizione
Processo mediante il quale il cibo è frantumato e preparato dai denti ad essere avviato lungo l'apparato gastro intestinale, per completare la digestione (di cui può essere considerato il primo atto): la masticazione aumenta l'area superficiale del cibo che in tal modo subisce un'azione più efficace da parte degli enzimi digestivi; il termine esprime l'atto del masticare, dal greco μαστιχάω (mastikháō → schiacciare, triturare tra i denti).
Durante la fase della masticazione il cibo è posizionato tra i denti, per la frantumazione, dalle guance e dalla lingua: la suddivisione meccanica degli alimenti, prodotta dai denti, è coadiuvata dai movimenti della lingua e delle guance che concorrono al rimescolamento del bolo preparato dall’azione della saliva: via via che la masticazione continua, il cibo è reso morbido e riscaldato, e gli enzimi della saliva cominciano a scindere i carboidrati dell'alimento.
Una volta completato il processo di parcellizzazione del cibo per mezzo della masticazione del cibo, il bolo insalivato è deglutito, per essere inviato nell'esofago e proseguire fino allo stomaco, dove avviene il successivo passo della digestione.
dinamica masticatoria
La masticazione, nell'uomo, è ottenuta per l'azione combinata dei muscoli masticatori, che, agendo sull'articolazione temporo-mandibolare, svolgono l'azione di triturazione e sminuzzamento del cibo; i muscoli coinvolti, deputati alla motilità della mandibola, sono:
→ muscoli masseteri;
→ muscoli temporali;
→ muscoli pterigoidei interni;
→ muscoli pterigoidei esterni;
→ muscolo buccinatore;
che, secondo l’azione che svolgono possono essere suddivisi in elevatori, abbassatori, propulsori e retrattori della mandibola. Insieme ai muscoli abbassatori della mandibola (muscoli ioidei), permettono movimenti di elevazione e di abbassamento, nonché di propulsione e retrazione della mandibola.L’atto masticatorio è controllato da centri corticali e bulbo-protuberanziali e rappresenta una...
- digestione
definizione
l’insieme dei processi meccanici e chimici (masticazione e insalivazione, imbibizione di succo gastrico e succo pancreatico, trasformazioni idrolitiche ed eliminazione, con le feci, dei residui non digeriti) che avvengono nell’apparato digerente per rendere gli alimenti utilizzabili ai fini della nutrizione: è un processo fisiologico che avviene nella cavità orale, nello stomaco e nella prima parte dell'intestino, mediato da una serie di trasformazioni chimico-fisiche, attraverso le quali l'organismo muta gli alimenti in sostanze atte ad essere assorbite ed assimilate, completandosi nel secondo tratto dell'intestino, ove avvengono ulteriori processi di trasformazione, fermentazione e putrefazione; dal latino digestio, derivato di digerĕre (→ distribuire), composto di dis- (→ prefisso verbale e nominale che indica separazione, dispersione) e gerĕre (→ portare).
- enzima
definizione
Il termine fu coniato nel 1877 dal fisiologo tedesco Wilhelm Kühne per ribattezzare quello che già nel XIX secolo Louis Pasteur aveva descritto come entità (da lui chiamate "fermenti") contenute all'interno delle cellule di lievito o di altri microrganismi vivi oppure secrete da cellule vive o estraibili dalle stesse, in grado di permettere i processi di fermentazione ovvero di fermentare (mettere in moto, far bollire) i substrati organici: il lemma, infatti, è la germanizzazione (enzym ) del greco ἐν (èn → dentro) e ζύμη (zými → lievito, fermento).
Attualmente, per enzima, si intende qualunque sostanza di natura proteica dotata della facoltà di agire come condizionatore o catalizzatore delle reazioni biochimiche che hanno luogo negli organismi viventi: presenti sia nel mondo animale sia in quello vegetale sia in quello degli organismi unicellulari, il loro ruolo biologico è fondamentale per la vita, in quanto sono in grado di catalizzare numerose e complesse reazioni chimiche (reazioni enzimatiche), motivo per cui sono denominati anche catalizzatori biologici. Sono sostanze di natura proteica dotate della proprietà di accelerare una reazione biochimica specifica, senza venire consumate e senza partecipare ai prodotti finali della reazione, provocando pertanto la trasformazione dei substrati in altre sostanze organiche. A differenza dei catalizzatori inorganici, molti enzimi sono capaci di agire solo su un determinato tipo di substrato, specifico per ognuno di essi; sono contraddistinti in genere nella nomenclatura biochimica dalla terminazione -asi del nome.
caratteristiche
Pur esistendo enzimi costituiti da proteine semplici (come la ribonucleasi), che determinano da sole sia la specificità sia la reazione, moltissimi sono formati da proteine coniugate: in questo caso nell’enzima è presente anche un gruppo non proteico che prende il nome di gruppo prostetico quando è saldamente legato al resto della molecola, mentre quando la parte proteica e...
- cibo
definizione
Nome generico per indicare tutto ciò che si mangia anche se, in senso più ristretto, può indicare anche semplicemente l’insieme degli alimenti che si assumono durante un pasto: l'importanza del “cibo” nella nostra vita è sottolineata dal fatto che il termine, in senso figurato, viene spesso utilizzato per indicare tutto ciò che costituisce un arricchimento dal punto di vista intellettuale o spirituale (cibo per la mente, cibo eucaristico ...); dal latino cibus, il lemma viene usato indifferentemente come sinonimo di alimenti, cibarie, generi alimentari, vettovaglie ma anche l'atto di mangiare, alimentarsi, nutrirsi oppure del pasto.
mangiare, nutrirsi, alimentarsi
Anche se il cibarsi è una atto che ci accompagna dalla nascita alla morte, spesso, non siamo completamente consapevoli del fatto che il cibo condiziona fortemente la nostra qualità di vita, il nostro benessere psico-fisico e somato-emozionale: essendo un gesto naturale necessario che si ripete giornalmente, tende a divenire un'azione automatica, cui non prestiamo attenzione, che attuiamo in maniera inconsapevole; non di rado consumiamo i nostri pasti mentre facciamo altro, incuranti di come lo stiamo facendo, di ciò che stiamo mangiando, e di come ci sentiamo in quel momento.
Mangiare, nutrirsi, alimentarsi, cibarsi, pur essendo usati come sinonimi, possono sottintendere sfumature differenti, evidenziando come il nostro rapporto col cibo sia, in realtà, un atto complesso, pregno di molti significati anche emotivi.
Il rapporto che ognuno di noi ha con il cibo è il risultato dell’interazione tra le emozioni che sottintendono la nostra ricerca di gusti e sapori, dinamiche emotive basate su fattori psicologici personali o esperienziali (che coinvolgono gli aspetti affettivi del cibo), componenti socio-culturali quali gli insegnamenti derivanti dal contesto familiare, le credenze tribali o altri contesti di appartenenza (comunità religiose, gruppi sociali ..) o convinzioni acquisite...
- substrato
definizione
Molecola sulla quale agisce un enzima, cioè le molecole di partenza nelle reazioni chimiche catalizzate dagli enzimi: il substrato lega il sito attivo dell'enzima, formando il complesso enzima-substrato, attivando l'attività enzimatica che permette la conversione del substrato stessi in un prodotto che, per effetto della trasformazione viene rilasciato dal sito attivo, che diventa nuovamente pronto a ricevere il substrato; nella descrizione di un meccanismo di una reazione, la molecola del composto reagente su cui avvengono l'addizione, la sostituzione o l'eliminazione di uno o più gruppi funzionali.
Dal latino substratus, derivato di substernĕre (→ stendere, collocare sotto), composto da sub (→ sotto) e sternĕre (→ distendere, spianare); si utilizza anche il termine equivalente sostrato, anche se sempre più raramente.
specificità di substrato enzimatico
In generale, un sito di legame per il substrato è costituito da un incavo (o da una fessura) sulla superficie della molecola enzimatica che ha una forma complementare a quella del substrato (complementarietà geometrica): i residui amminoacidici che formano il sito di legame sono organizzati in modo da interagire con il substrato mediante attrazioni elettrostatiche (complementarietà elettronica); le molecole che differiscono dal substrato per la forma o per la distribuzione di gruppi funzionali non si possono legare produttivamente all'enzima, quindi, questi composti non possono generare complessi enzima-substrato, che determinano poi la formazione di qualsiasi prodotto.
Gli enzimi sono altamente specifici sia nel legame di substrati chiralici, sia nel catalizzare le loro reazioni: questa stereospecificità deriva dal fatto che gli enzimi, possedendo essi stessi una specifica chiralità (le proteine sono costituite solo da L-amminoacidi), formano siti attivi asimmetrici; aer esempio, la tripsina idrolizza rapidamente polipeptidi composti dal L-amminoacidi, ma non quelli contenenti D-amminoacidi.
definizione
Un'unità di cellulasi è definita come la quantità di attività che produrrà una variazione di fluidità relativa di 1 pollice in un substrato definito di carbossi-metil-cellulosa, in 5 minuti, nelle condizioni del test (pH4.5 e 40°C); il grado di idrolisi dei legami β-1,4-glucosidici corrispondono a una riduzione nella viscosità del substrato che è determinata usando a viscosimetro calibrato.
- unità di proteasi acida spettrofotometrica
definizione
Un'unità di proteasi acida spettrofotometrica è quella attività che rilascerà 1 µmol di tirosina al minuto alle condizioni specificate (pH 3,0 e 37°C); il test si basa sull'idrolisi enzimatica di un substrato di caseina in cui la caseina è solubilizzata: il filtrato viene determinato spettrofotometricamente.
- unità USP di attività enzimatica
definizione
Un'unità USP di attività enzimatica è definita come la quantità di una sostanza che decompone un determinato substrato a una velocità specificata in condizioni di test USP standard: per convenzione, i prodotti a base di enzimi pancreatici sono etichettati in base alla quantità di lipasi che contengono; tutti i prodotti a base di enzimi pancreatici contengono anche proteasi e amilasi, ma le quantità etichettate ed effettive di questi 2 enzimi possono differire da prodotto a prodotto anche quando le quantità di lipasi etichettate sono le stesse.
Un'unità USP di attività enzimatica è definita come la quantità di una sostanza che decompone un determinato substrato a una velocità specificata in condizioni di dosaggio USP standard, USP in realtà è l'acronimo per United States Pharmacopeia (Farmacopea degli Stati Uniti)
Pancreatin Amylase Units (Unità di Pancreatina/Amilasi): un'unità USP di attività dell'amilasi contenuta nella quantità di pancreatina che decompone l'amido a un velocità iniziale tale che sia 0,16 µEq di legame glicosidico idrolizzato al minuto nelle condizioni del test (pH 6,8 e 25°C). La quantità di 0,1 N di sodio tiosolfato consumato nella titolazione di un solubile il substrato di amido viene misurato e confrontato con il Norma di riferimento USP.
Pancreatin Protease Units (Unità di Pancreatina/Proteasi): un'unità USP di attività proteasica contenuta nella quantità di pancreatina che idrolizza la caseina ad un tasso iniziale tale da essere rilasciato in un minuto una quantità di peptidi non precipitata dall'acido tricloroacetico che dà lo stesso assorbanza a 280 nm come 15 µmol di tirosina sotto le condizioni del saggio (pH 7,5 e 40°C). L'idrolizzato dal substrato di caseina si misura spettrofotometricamente rispetto all'USP di riferimento normativo.
Pancreatin Lipase Units (Unità di Pancreatina/Lipasi): un'unità USP di attività della lipasi è contenuta nella quantità di pancreatina che libera 1,0 µEq di acido
al minuto nelle...- α-amylase dextrinizing unit
definizione
Un'unità di destrizzazione dell'α-amilasi è definita come la quantità di α-amilasi che destrizzerà amido solubile, in presenza di un eccesso di β-amilasi, alla velocità di 1 g/h a 30°C: il grado di idrolisi è determinato confrontando il colore dello iodio dell'idrolizzato con quello dello standard.
1 HUT equivale, approssimativamente, a 48 USP
- Hemoglobin Unit Tyrosine base
definizione
Questa procedura viene utilizzata per determinare l'attività proteolitica, espressa come unità di emoglobina sulla tirosina base (HUT): un'unità HUT di attività proteolitica è definita come quella quantità di enzima che produce un idrolizzato la cui assorbanza a 275 nm è la stessa di una soluzione contenente 1,10 µg/ml di tirosina in 0,006N acido cloridrico in 1 minuto nelle condizioni del test (pH 4,7 e 40°C).
Il test si basa sull'idrolisi enzimatica di 30 minuti di un substrato di emoglobina a pH 4,7 e 40°C: il substrato non idrolizzato viene precipitato con acido tricloroacetico e rimosso per filtrazione. La quantità di emoglobina solubilizzata nel filtrato viene determinata spettrofotometricamente.
1 HUT equivale, approssimativamente, a 6,5 USP
- Food Chemical Codex Papain Unit
definizione
Spesso indicato con l'acronimo FCCPU, è la quantità di enzima che libera l'equivalente di 1 µg di tirosina all'ora nelle condizioni del test: il test si basa su un'idrolisi proteolitica di 60 minuti di un substrato di caseina a pH 6,0 e 40°C; il substrato di caseina non idrolizzata è precipitato con acido tricloroacetico e rimosso da filtrazione in modo da poter misurare la caseina solubilizzata spettrofotometricamente.
Questa procedura viene talvolta utilizzata per determinare l'attività proteolitica della bromelina.
- sesqui
definizione
Primo elemento di composti, derivati dal latino o formati modernamente, nei quali indica un rapporto di tre a due: dal latino sesqui- (sincope di semisque → e mezzo, mezzo in più).
In chimica, indica che in un composto chimico binario il rapporto tra il numero degli atomi dell’elemento a valenza inferiore e quello degli atomi dell’elemento a valenza superiore è di 1,5 come nel caso dei sesquiossidi; è usato per indicare i terpeni in cui sono presenti tre unità di isoprene (sesquiterpene), distinguendoli così dai monoterpeni formati da due unità isopreniche.
- ossido
definizione
Composto chimico binario ottenuto dalla reazione dell'ossigeno con un altro elemento, così che la sua formula chimica contenga almeno un atomo di ossigeno e uno dell'altro elemento.
Composto dal prefisso ossi-, usato nella chimica organica per indicare la presenza, nella molecola, di uno o più gruppi idrossilici −OH, come nel caso dell'acido ossi-butirrico, dell'aldeide ossi-butirrica (detta anche aldolo nella sua forma beta-), dell'ossi-benzene, (composto derivato dal benzene, conosciuto comunemente col nome di fenolo), dell'acido ossi-benzoico (composto derivato dall’acido benzoico, che nella forma orto- è più noto con il nome di acido salicilico), dell'acido ossi-succinico (detto anche acido malico), ossi-tetraciclina; nella nomenclatura chimica più moderna, gli si preferisce il prefisso idrossi- (per cui si tende a sostituire ossi-acido, ossi-alchile, ossi-aldeide, ossi-fenil-, ... con idrossiacido, idrossi-alchile, idrossi-aldeide, idrossi-fenil-, ....). Nei composti inorganici il prefisso ossi- indica la presenza di ossigeno, come nell'ossicloruro di fosforo (POCl3), nell' ossicloruro di cromo(CrO2Cl2) ed in altri composti.
Il suffisso -ide viene utilizzato per formare nomi di composti organici o, meno spesso, inorganici di natura diversa (come amide, glicoside, anidride, ...).
chimica inorganica
Può essere definito come un composto binario dell’ossigeno con un metallo (ossido basico, che, reagendo con acqua, forma un idrossido basico o base) o con un non metallo (con cui può formare un ossido neutro oppure un ossido acido detto anche anidride, che, reagendo con acqua, forma un acido); a seconda del numero di molecole di ossigeno presenti nel composto si parla di mono-, bi- (o di-), tetro-, sesqui-, collegando la denominazione degli ossidi al rapporto stechiometrico tra l’ossigeno e l’elemento: si hanno così i monossidi (CO, NO), i biossidi (MnO2, NO2), i sesquiossidi (Fe2O3, Cr2O3), i tetrossidi (OsO4).
Nel caso in cui un elemento formi...
- perossidazione
definizione
Reazione chimica di ossidazione, dovuta (solitamente) alla presenza di radicali liberi contenenti ossigeno molecolare (R.O.T.S.) o composti radicalici dell’azoto (R.N.T.S.): la perossidazione è un'ossidazione che porta alla formazione di un perossido, ovvero un composto contenente due atomi di ossigeno collegati tra loro da un legame covalente semplice, detto legame perossidico (−O−O−), cioè un ossido la cui molecola contiene almeno due atomi di ossigeno che scambiano tra loro una valenza; i perossidi sono per lo più molecole instabili, tendendo a liberare ossigeno e devono essere pertanto considerate sostanze ossidanti.
Le perossidazioni sono le reazioni mediante le quali si perossida un composto, una sostanza o una molecola: la differenza tra ossidazione e perossidazione può essere ricondotta al fatto che nell'ossidazione si verifica la combinazione di una sostanza con l'ossigeno mentre è detta la perossidazione qualsiasi reazione di ossidazione (soprattutto di un ossido) che produce un perossido (ovvero un legame covalente altamente reattivo fra due molecole di ossigeno); l'ossidazione è una reazione chimica in cui gli atomi di un elemento perdono elettroni e lo stato di ossidazione dell'elemento aumenta.
Il termine è composto dalla radice latina per-, cha possiede un valore genericamente intensivo col significato di "molto" o "assai": in chimica, il prefisso è usato per denominare i composti che contengono elementi nel più elevato stato d’ossidazione (con valore contrario a ipo- ed equivalente all’ormai disusato iper-) oppure perossidi, ovvero composti organici o inorganici, contenenti l’aggruppamento atomico −O−O−.
perossidazione ed alterazioni fisiopatologiche
Nell’organismo, durante i normali processi metabolici, si formano perossidi che, a causa dell'elevata reattività del legame covalente fra le molecole di ossigeno, si comportano come radicali liberi fortemente instabili: decomponendosi, danno luogo a prodotti citotossici che alterano...
- Equisetum Hyemale
definizione
L'Equiseto Invernale, conosciuto comunemente con il nome di "Coda di Cavallo" o "Coda Cavallina" (Horsetail Grass), è l'unica felce appartenente alla classe sottoclasse delle Equisetidae, che dominavano i sottoboschi nella tarda era Paleozoica, sopravvissuta fino ad oggi potendo essere considerata, a tutti gli effetti, un "fossile vivente"; sono tra le piante più antiche della terra: il ritrovamento di resti fossili di alcune specie dell'ordine delle Equisetales indicano che erano piante diffuse già alla fine del Devoniano (395 – 345 milioni di anni fa). Dal punto di vista filogenetico sono piante più primitive delle angiosperme, in quanto sono senza organi sessuali distinti, propagandosi e riproducendosi per mezzo di spore e non di semi.
Gli antichi romani conoscevano l’azione pulente dovuta alle saponine (equisetonina), contenute nell'Equisetum Hyemale, e per questo lo usavano come un vero e proprio sapone per sgrassare e lucidare; come conseguenza dell'elevato contenuto di silice (5-6% della pianta secca) l'equiseto veniva utilizzato come abrasivo nella lucidatura delle pentole di rame. Le proprietà abrasive dell'equiseto sono sfruttate in alcuni cosmetici adatti al peeling, un trattamento cosmetologico o dermatologico con cui si asportano le cellule dello strato più superficiale dell'epidermide, con lo scopo di aumentare l'elasticità della pelle ed allontanare piccole cicatrici; la pianta è assai utilizzata anche nella prevenzione di rughe ed invecchiamento cutaneo.
proprietà
I principali principi attivi contenuti nell'Equiseto sono la silice e diversi sali minerali (potassio, calcio, magnesio, zinco), i flavonoidi (isoquercetina), i tannini e le saponine, alcuni fitosteroli e vitamine, acidi organici (vitamina C, acido cinnamico, acido di-caffeico-tartarico, acido ossalico ed altri) e tracce di alcaloidi (equispermina e laustrina).
Nella medicina popolare l'equiseto trova impiego nel trattamento del catarro della vescica, delle emorragie...
- acido acetoacetico
definizione
Detto anche acido acetacetico o acido acetilacetico, è un β-chetoacido, di formula CH3COCH2COOH, facente parte dei cosiddetti corpi chetonici, presente nei tessuti e nelle urine: per accumulo di una piccola quantità di acetil-coenzima A, due molecole si condensano formando acetacetil-coenzima A che, per azione dell’enzima tiolesterasi, viene idrolizzato nel fegato ad acido acetoacetico e coenzima A; questo processo diventa importante in condizioni di abnorme produzione o non completa utilizzazione di acetil-coenzima A, come nel diabete mellito, nel digiuno, in diete povere di carboidrati o ricche di grassi.
Circa i 2/3 dell’acido acido acetoacetico vengono ridotti nel fegato ad acido β-idrossibutirrico, mentre una frazione più piccola viene decarbossilata ad acetone.
- chetogenesi
definizione
La chetogenesi è la via sintetica che porta alla formazione dei corpi chetonici a partire dall'acetil-CoA: questo substrato origina da differenti processi metabolici ed in particolare dal metabolismo dei lipidi; solitamente l'acetil-CoA tende a combinarsi con l’ossalacetato derivante dal metabolismo dei glicidi (citrato sintasi), per formare acido citrico e venire poi ossidato seguendo il ciclo di Krebs per produrre energia; quando i livelli di ossalacetato sono bassi oppure quando il rapporto NADH ridotto e NAD ossidato è elevato, può originarsi acido acetoacetico per effetto della condensazione di due molecole di acetil-CoA che possono andare incontro alla sintesi di acetoacetil-CoA, con liberazione di un CoASH, in una reazione sostenuta dalla β-chetotiolasi (reazione inversa alla tiolisi).
Dall'acido acetoacetico derivano gli altri corpi chetonici (acido β-idrossibutirrico e acetone).
Nello stato di carenza insulinica (diabete mellito), nel digiuno o nella dieta ricca di grassi, a causa dell’eccessiva produzione di acetil-CoA, oppure per il blocco del ciclo di Krebs a opera dell’eccesso di ATP derivante dal catabolismo degli acidi grassi, la chetogenesi assume maggiori proporzioni e l’accumulo di corpi chetonici nel sangue determina la condizione patologica della chetoacidosi; anche il metabolismo dei protidi può portare alla formazione di corpi chetonici, in particolare qualora siano presenti amminoacidi chetogenici come la leucina oppure la lisina (o, in maniera minore, la fenilalanina, l'isoleucina, la tirosina ed il triptofano).
A partire dall'acetoacetil-CoA, per l'addizione di un'altra molecola di acetil-CoA per mezzo della reazione prodotta dalla catalisi dell'HMG-CoA sintasi, si ottiene il β-idrossi-β-metilglutaril-CoA (o HMG-CoA): l'HMG-CoA, se sintetizzato nel citosol, è uno dei primi intermedi della sintesi del colesterolo; se si trova nei mitocondri, esso può invece andare incontro a lisi ad opera della HMG-CoA liasi a liberare...
- chetoacidosi
definizione
Stato patologico di produzione incontrollata di chetoni, che porta all'acidosi metabolica: nella maggioranza dei casi è provocata da una deficienza di insulina (diabete di tipo I o stadi avanzati del diabete di tipo II), ma può anche essere il risultato dell'abuso cronico di alcol, salicilismo (avvelenamento da acido salicilico), ingestione di alcol isopropilico o stress emotivo; non deve essere confusa con la chetosi, anche se i termini talvolta sono usati impropriamente come sinonimi.
La chetoacidosi provoca gravi disturbi metabolici, e costituisce un'emergenza medica potenzialmente fatale; è distinta dalla chetosi fisiologica in quanto produce anche un'insufficienza nella naturale regolazione della produzione di corpi chetonici: nella chetosi fisiologica la chetonemia tende a superare il set-point omeostatico, ma l'omeostasi acido-base del corpo si mantiene regolare; infatti la differenza sostanziale fra chetoacidosi e chetosi è che nel primo caso non si osserva solamente un incremento nei chetoni a livello ematico (chetonemia), per iperproduzione e accumulo di chetoni, ma si osserva contestualmente una modificazione dell’equilibrio acido-base nel sangue: i chetoni possono essere eliminati attraverso il rene (sono rinvenibili nelle urine) oppure attraverso la respirazione a cui l'acetone, in caso sia presente in notevoli quantità, conferisce all’alito il tipico odore di frutta avariata.
chetoacidosi diabetica
La bassa concentrazione ematica di insulina, insieme con la presenza di ormoni controregolatori, come il glucagone, il cortisolo o il GH, provoca una aumentata gluconeogenesi epatica che induce un'aumentata proteolisi e lipolisi, con aumento di NEFA ematici e corpi chetonici; solitamente la resistenza periferica all'insulina causa un minore uso del glucosio da parte dei tessuti non essenziali, con la conseguente iperglicemia che può manifestarsi con glicosuria (diuresi osmotica) associata e perdita di elettroliti e ipovolemia. La...
- dispnea
definizione
Respirazione difficoltosa, spesso definita “fame d'aria”, “senso di peso sul torace”, frequentemente associato a “incapacità di effettuare un respiro profondo”, ma che, comunque, comporta l'aumento dello sforzo respiratorio, con la conseguenza di un impegno muscolare non spontaneo, per compiere inspirazioni ed espirazioni; dal greco δύσπνοια (dýspnoia → difficoltà del respiro), composto da δυς– (dys → male, cattivo) e e πνέα (pnéa → respiro):
Si tratta di un sintomo avvertito e accusato solo dal paziente, che può prescindere, in alcuni casi, da qualsiasi difficoltà obiettiva all'espletamento di una normale funzione respiratoria e per questo è paragonabile, in un certo senso, al dolore che, anche se provocato da una identica stimolazione, può suscitare sensazioni di intensità molto variabile, da soggetto a soggetto.
Questa manifestazione insorge in seguito ad un aumento del lavoro respiratorio oppure quando vengono stimolati i centri respiratori situati nel tronco encefalico o i recettori dislocati a livello di vie aeree superiori, spazio alveolare ed interstiziale, muscoli respiratori e parete toracica.
La difficoltà respiratoria può presentarsi improvvisamente (dispnea acuta) o in modo graduale, come accade in malattie croniche di varia origine: spesso, rappresenta il sintomo cardine di patologie delle vie respiratorie, soprattutto bronco-polmonari o pleuriche, ma può essere l'espressione di affezioni otorinolaringologiche, neurologiche o neuro-muscolari, anomalie della gabbia toracica come nella scoliosi grave, metaboliche, cardio-circolatorie oppure essere causata da ansia e stress; può essere di natura funzionale, quando si tratta di un fenomeno compensatorio attuato per superare un ostacolo alla regolare ventilazione polmonare, oppure a soddisfare una maggiore richiesta di ossigeno dell'organismo.
- diplopia
definizione
Fenomeno visivo per cui si vedono doppie le immagini, in senso orizzontale o verticale; può riguardare uno (monoculare) o entrambi gli occhi (binoculare); dal greco δι- (di- → due), πλο- (plo- → moltiplicato per) e -ωπία (-opía → vista).
La diplopia binoculare è l'espressione di un disturbo della muscolatura estrinseca e può essere orizzontale, verticale od obliqua; si dice omonima o crociata se la doppia immagine si percepisce, rispettivamente, dal lato dell’occhio deviato o dal lato opposto.
La diplopia monoculare è causata prevalentemente da alterazioni anatomiche a carico del cristallino; si possono osservare diplopie traumatiche, secondarie a edema della papilla o a neuropatie (come nella sclerosi multipla): di notevole interesse semeiotico è la relazione che è stata evidenziata dalla Kinesiopatia® fra l'insorgenza di diplopia, poliploidia o strabismo e le alterazioni dell'apparato stomatognatico.
Le immagini provenienti dall'esterno cadono normalmente su punti retinici definiti corrispondenti dei due occhi: si chiamano così perché ricevono i raggi luminosi dallo stesso punto dello spazio; le immagini che si formano sulla retina non sono proprio uguali, dal momento che vengono percepite dai due occhi da posizioni leggermente differenti, ma se non sono troppo diverse la corteccia visiva riesce ad integrarle, e la sensazione è di ricevere una immagine stereoscopica, immagine che garantisce il senso della profondità. Il meccanismo di fusione permette di far convergere gli occhi sui punti esterni di interesse e quindi tramite complicati processi neurologici la corteccia visiva integra le due immagini dei due occhi in una.
Se il meccanismo di fusione viene a mancare, per difetti neurologici o muscolari, la corteccia visiva percepirà due immagini. In alcuni casi, come nei bambini, una delle due immagini viene ignorata, con il meccanismo definito soppressione, che consente al cervello di evitare la confusione indotta dalla diplopia.
- sensore
definizione
Nell'ambito delle scienze fisico/chimiche e della tecnologia, ed in particolar modo nella tecnica dei sistemi di misura e di controllo automatico, con il termine sensore si intende un dispositivo in grado di rilevare una grandezza (lunghezza, tensione, pressione, temperatura, concentrazione, pH ...) interagendo con essa: l’energia ricevuta dal sensore ne modifica lo stato, creando un segnale in uscita che dipende dal valore dello stimolo in ingresso, dall'intensità della sollecitazione o dal differenziale causato dalla variazione determinata dallo stimolo stesso. Talvolta il termine "trasduttore" è utilizzato come sinonimo del termine "sensore", sebbene nella terminologia tecnica abbiano un significato differente: il sensore è l’elemento sensibile che converte la grandezza fisica in ingresso in una grandezza fisica in uscita mentre il trasduttore è il dispositivo nel suo complesso, che trasforma la grandezza fisica da misurare in un segnale di natura elettrica.
Nell'ambito del corpo umano i sensori corrispondono ai recettori: da questo deriva che la distinzione fra sensore e trasduttore diviene più sfumata, in quanto ogni recettore trasforma la grandezza in ingresso, qualunque sia la sua natura, in un impulso elettrico, pertanto si può affermare che il recettore è al contempo sensore e trasduttore, perché all'interazione con una grandezza in ingresso è associata in genere anche l’operazione di conversione in una di natura differente in uscita.
Nell'organismo gli stimoli sono acquisiti in forma analogica, essendo continuo nel tempo e potendo assumere valori continui all’interno di un certo intervallo, e trasformati in impulsi digitali.
- ipossia
definizione
Condizione patologica determinata da una carenza di ossigeno nell'intero organismo (ipossia generalizzata) o in una sua regione (ipossia tissutale), per insufficiente disponibilità (in condizioni di ipossiemia, di anemia o di stasi ematica distrettuale) o per ridotta capacità di utilizzazione (in caso di alterazioni patologiche del tessuto); l'ipossia. produce una parallela riduzione del contenuto di ossigeno nel sangue, detta ipossiemia, mentre una totale mancanza di ossigeno provoca un'anossia.
Il termine è formato dal prefisso ipo (insufficiente), dal greco ὑπό (hypo → sotto), e dalla contrazione di ossigeno (generatore di acidi, di ossidi), composto da ὀξύς (oxýs → acuto, acido) e la radice γεν- (ghen-, → generare): il termine ossigeno deve la sua denominazione al fatto che si riteneva erroneamente che tutti gli acidi richiedessero ossigeno nella loro composizione.
sintomi
Il segno più tipico dell'ipossia tissutale è il pallore della cute o delle mucose in sedi specifiche quali il palmo della mano, il padiglione auricolare, la mucosa dell'interno delle labbra e la congiuntiva palpebrale; genera solitamente una manifestazione di sincope. Stanchezza e sonnolenza, nausea, cefalea, errori di valutazione, lentezza di ragionamento, diminuzione della forza muscolare, convulsioni, tachipnea, cianosi delle labbra (dovuta alla presenza di sangue non ossigenato), ritardo dei tempi delle reazioni nervose sono sintomi abbastanza comuni.
La persona colpita non riesce a rendersi conto delle condizioni del suo stato, con una conseguente sopravvalutazione delle proprie ridotte capacità percettive, che possono essere anche fatali; i primi tessuti a risentire della mancanza o del calo di ossigeno sono i tessuti nervosi, in particolare il cervello, l'apparato visivo e quello uditivo: lo scarso apporto di ossigeno al cervello provoca una percezione sbagliata dei colori e scotoma. Si possono creare alterate sensazioni termiche, perdendo o confondendo la...
- milieu intérieur
definizione
Letteralmente, dal francese, “ambiente interno”, locuzione utilizzata dal fisiologo francese Claude Bernard per descrivere l'ambiente extracellulare, o più precisamente il liquido interstiziale, e la sua capacità di garantire stabilità e protezione ai tessuti ed agli organi degli organismi pluricellulari; in particolare sintetizzò, nella classica espressione «fixité du milieu intérieur», il concetto per cui si debba ritenere essenziale, per la vita degli organismi superiori, la costanza della composizione chimica e delle proprietà fisiche del sangue e degli altri liquidi biologici: ciò permette l'affrancamento dell'individuo dalle influenza dell'ecosistema di riferimento.
Quest'idea, fondamentale per la biologia moderna, divenne, in seguito, il pensiero da cui il fisiologo americano Walter Bradford Cannon sviluppò l'interpretazione dei modelli adattativi dell'organismo che chiamò omeostasi e sarà la base da cui Norbert Wiener sviluppò le basi della cibernetica.
Claude Bernard utilizzò questa espressione in molti lavori scientifici a partire dal 1854, mutuando la locuzione dall'istologo Charles Robin, che la utilizzava come sinonimo dell'idea umorale della medicina ippocratica: anche se inizialmente il concetto di “milieu de l’intérieur” era orientato prevalentemente allo studio del ruolo del sangue nel mantenimento dell'ecosistema interno, in un secondo momento inserì l'intero organismo, con i suoi sottosistemi di controllo e attuativi o adattativi, come mezzo per il mantenimento della stabilità interna.
Nel suo articolo “Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux“, spiegava:
«Il corpo vivente, sebbene abbia necessità di un ambiente circostante, è nondimeno relativamente indipendente da esso: questa indipendenza che ha l’organismo rispetto all’ambiente esterno deriva dal fatto che, nell’essere vivente, i tessuti sono, in effetti, isolati dalle influenze esterne dirette e protetti da un vero ambiente interno,...
- encefalo
definizione
Porzione anteriore (rostrale) del sistema nervoso centrale, costituita dal cervello, dal cervelletto e dal tronco encefalico; è racchiusa nella scatola cranica, ed è sede dei centri della sensibilità specifica (olfattiva, visiva, acustica, gustativa) e generale (tattile, termica, dolorifica, cinestesica, propriocettiva e dell’equilibrio), nonché dei centri associativi, integrativi, e dei centri superiori della corteccia cerebrale; dal greco ἐγκέϕαλος (enkéfalos → che è dentro la testa), lemma composto da ἐν- (en- → in) e κεϕαλή (kefalí → testa).
descrizione
Convenzionalmente viene utilizzato questo termine per definire quella parte del sistema nervoso centrale completamente contenuta nella scatola cranica e divisa dal midollo spinale tramite un piano convenzionale passante subito sotto la decussazione delle piramidi.
Al suo interno sono presenti cavità virtuali, i ventricoli cerebrali, ripieni di liquor: sono i ventricoli laterali (contenuti negli emisferi cerebrali) connessi al terzo (III) ventricolo tramite i forami interventricolari di Monroe; quest'ultimo, collocato in posizione mediana tra i due emisferi, all'interno del diencefalo, comunica tramite un lungo canale, detto acquedotto di Silvio, con il quarto (IV) ventricolo da cui il liquido cefalorachidiano prosegue nel suo cammino, per mezzo dei fori di Luschka e di Magendie, la cisterna magna, il canale ependimale del midollo spinale (un residuo del lume centrale del tubo neurale) e gli spazi subaracnoidei.
L’encefalo contrae rapporti con formazioni ossee, membranose e vascolari della base, delle pareti e della volta della scatola cranica, dalle quali è separato per l’interposizione delle meningi e del liquido cefalorachidiano che circola nello spazio subaracnoidale e nei ventricoli cerebrali contenuti all'interno dell'encefalo stesso.
Dalla regione encefalica hanno origine le 12 paia di nervi cranici.
embriologia
Da un punto di vista embriologico, l'encefalo si sviluppa dalla parte...
- sistema catecolaminergico
definizione
Il sistema catecolaminergico prende nome dalla famiglia della catecolamine, caratterizzate dalla presenza di catecolo, una molecola derivata dalla tirosina, contraddistinta da un anello fenolico con due gruppi ossidrilici (OH): i principali neurotrasmettitori di questo gruppo sono l'epinefrina (adrenalina), norepinefrina (nor-adrenalina) e dopamina, utilizzati dal sistema nervoso autonomo simpatico nella regolazione fisiologica dell’organismo nei casi di lotta e fuga. Il suffisso -ergico deriva dalla radice greca ἔργω (→ operare, agire), con il significato di energico, sinergico: che agisce come le catecolamine.
- hic et nunc
definizione
«qui e ora»: il nostro esistere nello spazio e nel tempo; anche se è utilizzata in altri contesti, la locuzione può assumere sia il significato di "in questo momento e in questo luogo", cioè assolutamente nel presente, oppure "subito, immediatamente", "all'istante", "senza alcun indugio", "su due piedi" ed è pronunciata di solito nel dare un ordine o da parte chi si appresta a eseguirne uno, assumendo le caratteristiche di un imperativo categorico perchè sottintende un adempimento o una questione la cui risoluzione non ammette proroghe.
«hic et nunc» racchiude in sé anche un senso più profondo, venendo utilizzata per riferirsi alla condizione umana, alla sua esistenza ed alla necessità che ha l'uomo di vivere il presente, cosciente che il tempo a sua disposizione è limitato e che la sua felicità è da ricercarsi nell'unico momento in cui è possibile agire e vivere, senza pensare né al futuro né al passato; questo costrutto è associato alla corrente filosofica esistenzialista, la quale vede l'uomo come essere fragile e infelice a causa della sua finitudine.
«hic et nunc» nella lingua latina: Orazio
Anche se l’espressione viene generalmente attribuita al poeta Orazio, sarebbe più corretto riconoscere che, in realtà, si tratta di una locuzione di uso comune nella lingua latina, che il poeta utilizzò per alludere a un tema importante della sua poetica: infatti i due termini che la compongono, concettualmente, ricorrono spesso nelle sue opere fondamentali; nei suoi scritti, «hic et nunc» indica non tanto e non solo un concetto quanto piuttosto il desiderio di esprimere l’immediatezza di un evento singolare. Questa poetica è caratterizzata da alcuni tratti fondamentali:
⇒ un elemento spaziale, denominato «angulus» e riconducibile all'«hic», ovvero alla dimensione spaziale dell’immediatezza del presente.
⇒ un elemento temporale, «nunc», che indica una chiusura protettiva del tempo (in un tempo proprio, interiore) e dal tempo (dal tempo comunemente...
- Sistema Limbico
definizione
Complesso di strutture diencefaliche che partecipano all'integrazione emotiva, istintiva e comportamentale; costituito da una serie di strutture cerebrali e un insieme di circuiti neuronali presenti nella parte più profonda e antica del telencefalo, correlati alle funzioni fondamentali per la conservazione della specie; dal latino limbus (→ bordo, contorno).
Si ritiene che il sistema limbico intervenga nella modulazione dello stato affettivo di base e dell’ansia, nelle reazioni di paura e in quelle aggressive, nei comportamenti alimentare e sessuale; agendo sui neuroni ipotalamici che secernono il releasing factor della corticotropina, attivi la liberazione dello ACTH e che, tramite il Sistema Neuro-Vegetativo, influenzi lo stato funzionale di vari organi, quali il cuore, i vasi sanguiferi, la colecisti, l’intestino e la vescica.
È implicato nell'integrazione dell'olfatto, nella memoria a breve termine, nella gestione delle emozioni e dell'umore, partecipa allo sviluppo del senso di autocoscienza determinando il comportamento dell'individuo; nell'uomo comprende il lobo limbico, l'ippocampo, l'amigdala, i nuclei talamici anteriori e la corteccia limbica.
- R-Complex
definizione
Può essere considerato, da un punto di vista filogenetico, la parte più arcaica del sistema nervoso, identificabile con la matrice del tronco cerebrale superiore, che comprende buona parte del sistema reticolare, delle porzioni superiori del midollo spinale, del mesencefalo e dei gangli della base; detto anche Cervello Proto-Rettiliano, si pensa che rappresenti il centro "antico", evolutivamente parlando, e fondamentale, il più profondo ed interno.
Assume un ruolo determinante nell'espressione delle forme di comportamento predeterminate, legate alla conquista ed al possesso del territorio ed alla difesa della territorialità; nei comportamenti che riguardano l'accoppiamento, la sessualità e la sopravvivenza della specie; predispone ad attuare comportamenti stereotipati e ritualistici, compresi quelli dimostrativi ("da parata"); attua meccanismi istintuali per la sopravvivenza individuale o sociale del gruppo di appartenenza, attivando risposte del tipo fight-flight-fright (fight/flight).
In pratica un cervello isoprassico, specifico, sessuale, territoriale, gerarchico, temporale, sequenziale, spaziale e semiotico.
- blood-shift
definizione
Letteralmente significa "spostamento del sangue": indica una reazione che si realizza sempre, sia pure con intensità diversa, in tutte le condizioni di stress corporeo, quando si pone la necessità di incrementare l'afflusso di sangue agli organi chiave per la sopravvivenza, a scapito di tessuti periferici che hanno una maggiore resistenza all'ipossia.
stress e ridistribuzione del sangue
L'attivazione ortosimpatica del sistema nervoso autonomo, attraverso l'azione delle catecolamine sulle anastomosi artero-venose presenti a livello dei plessi arteriosi profondi del derma, dei distretti muscolari o viscerali, comporta uno spostamento di sangue dal microcircolo dermo-cutaneo e dell'apparato gastro-intestinale alla zona cefalica (encefalo prevalentemente), toracica (cuore/polmoni) e renale: contemporaneamente, si verifica una vasocostrizione periferica che, aumentando la resistenza al flusso sanguigno nei tessuti, incrementa la pressione ematica.
Una parte del sangue è direzionata anche alle strutture muscolari; l'area di perfusione varia in funzione del tipo di risposta comportamentale, determinata dalla «fight&flight reaction»: in caso di prevalenza di un atteggiamento aggressivo d tipo fight, si osserva l'attivazione della muscolatura cervico-brachiale, con conseguente perfusione sanguigna per ottimizzare l'attività difensiva o offensiva nei confronti dello stressor.
In caso di dominanza dell'atteggiamento flight, tipico in caso di prevalenza di ansia o paura, il sangue tenderà a vascolarizzare la muscolatura delle gambe, per favorire l’eventuale fuga del soggetto; in caso di dominanza fright, ovvero la sensazione della persona di essere paralizzata, può esserci uno spostamento paradosso del sangue in profondità, con manifestazioni assimilabili alla sincope: la riposta vascolare è predeterminata dalla reazione istintuale conseguente al distress, anche se può essere influenzata da riflessi condizionati, dall'addestramento o dall'educazione della...
- fight – flight – fright reaction
definizione
Detta anche "fight-or-escape response" o semplicemente "fight&flight", è la locuzione utilizzata da Walter Bradford Cannon, per descrivere la reazione che mettiamo in atto quando ci sentiamo in pericolo, mediata da risposte comportamentali e neuro-ormonali; come ha dimostrato Hans Selye, quando siamo sollecitati da uno stressor, il nostro organismo innesca una risposta generalizzata di adattamento, chiamata stress, come modalità difensiva nei confronti della potenziale alterazione della nostra omeostasi, producendo quella che viene chiamata comunemente “sindrome generale di adattamento” (G.A.S.).
Una risposta di tipo "fight, flight or fright" può essere definita come una “risposta acuta allo stress”, essendo una reazione inconsapevole ed automatica ad eventi percepiti come potenzialmente pericolosi: se da un lato il sistema limbico, coordinando ed integrando l'azione del R-Complex, attiva una cascata di reazioni adattative neuro-ormonali finalizzate a preparare il corpo all'azione, dall'altro mette in atto comportamenti stereotipati orientati ad attuare condotte predittive per contrastare, evitare, eludere il confronto con la sorgente dello stress stesso.
La risposta aggressiva mirata alla sopraffazione dell'antagonista, reale o presunta, porta ad una fight reaction, cioè ad un combattimento o ad una lotta (talvolta immaginario) diretti a bloccare il nemico o l'avversario; la percezione di inferiorità nei confronti del pericolo, induce invariabilmente comportamenti di evitamento o strategie elusive, in cui il corpo si prepara, anche fisicamente ad una fuga, manifestando una flight reaction; qualora si crei la sensazione di impotenza, la risposta "istintuale", legata alla sopravvivenza, potrebbe essere l'immobilità, una sorta di paralisi volta a rendersi "invisibili", cioè non visibili, per sfuggire, attraverso una fright reaction, espressione dell'impressione soggettiva di essere incapace a reagire allo...
- asse ipotalamo-ipofisi-surrene
definizione - funzioni
Chiamato anche H.P.A., dall'acronimo inglese “hypothalamic–pituitary–adrenal axis”, può essere considerato un sistema multicentrico di coordinazione delle risposte del sistema nervoso allo stress, attraverso la modulazione dell’attività ormonale; è il fulcro della risposta neuro-endocrina agli stimoli ambientali, essendo costituito da componenti ipotalamiche endocrine, dalla porzione anteriore dell’ipofisi, nonché dal principale organo effettore, le ghiandole surrenali. Quando la percezione di pericolo, la paura, la sensazione di non essere all'altezza nei confronti di situazioni o come conseguenza di cambiamenti nell'ambiente l’organismo ha la necessità di utilizzare le risorse energetiche immagazzinate per reagire alle sollecitazioni, l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale, di concerto con il sistema nervoso autonomo è in grado di far fronte a queste esigenze, per rendere il corpo reattivo.
Per poter mettere in atto le risposte adeguate alle situazioni potenzialmente pericolose, il sistema neuro-endocrino deve essere in contatto diretto con gli organi di senso, per poter ricevere informazioni dal mondo esterno ed essere in grado di mobilitare le risorse energetiche in modo rapido e specifico; le aree ipotalamiche ricevono le afferenze provenienti dagli organi di senso: in caso di stress, i neuroni nel nucleo ipotalamico paraventricolare (PVN) e dell’eminenza mediana secernono l'ormone di rilascio della corticotropina (CRH - Corticotropin Releasing Hormone) direttamente nella circolazione portale ipotalamo-ipofisaria. Chiamato anche CRF (Corticotropin Releasing Factor), stimola, nell'ipofisi anteriore, la produzione ed il rilascio di ormone adrenocorticotropo (ACTH - adrenocorticotropina), ormone in grado di provocare il rilascio, da parte della corticale del surrene, di glucocorticoidi, il cui principale esponente è il cortisolo; questa famiglia di ormoni coordina la risposta fisiologica allo stress modulando il...
- effetto domino
definizione
Reazione a catena lineare che si verifica quando un piccolo cambiamento è in grado di produrre a sua volta un altro cambiamento analogo, dando origine ad una sequenza di eventi concatenati.
Il termine deriva dalla caduta delle tessere del domino messe in fila: spingendo la prima, questa urta la seconda, che a sua volta urta la terza e così via: generalmente l'espressione è riferita ad una serie di eventi correlati che si verificano a breve distanza l'uno dall'altro, sia meccanicamente (in senso letterale dell'espressione) sia in senso figurato.
- stimolazione sopraliminale
etimologia e definizione
Dal latino supra (→ sopra, di più, oltre) e limen (→ soglia, limitare): stimolo neuro-sensoriale d’intensità superiore ad un valore di soglia, cioè ad uno stimolo liminare: gli stimoli sovraliminali (o supraliminali che dir si voglia) generano nei neuroni lo stesso potenziale d'azione di uno liminare: lo stimolo attiva le vie afferenti sensitive.
La stimolazione sensoriale, sia essa olfattiva, gustativa, visiva, uditiva o tattile, raggiunge la consapevolezza, poiché la sua presenza viene percepita dai recettori e, di conseguenza, dal sistema nervoso. Il termine, riferito al settore cosciente dell'attività psichica, indica il fatto che può essere consapevolmente percepito.
Il termine sopraliminale può indicare anche, impropriamente, che lo stimolo è eccessivo.
- astrocita
definizione
Cellula del sistema nervoso centrale, costituente della cosiddetta neuroglia, caratterizzata da numerosi appendici e prolungamenti a disposizione raggiata che le fanno assomigliare ad una stella; come le cellule dell’ependima e gli oligodendrociti, gli astrociti derivano dall'ectoderma del tubo neurale e si distinguono, a seconda della preponderanza del corpo cellulare o dei prolungamenti, in:
⇒ astrociti fibrosi o astrociti fibrillari, dotate di poche appendici molto lunghe, localizzate prevalentemente nella sostanza bianca del nevrasse; hanno un piccolo corpo cellulare e sono provvisti di numerosi prolungamenti filiformi a superficie liscia: l caratteristica principale di queste cellule è la presenza nel corpo cellulare e nei prolungamenti di spesse strutture fibrillari, le gliofibrille, che risultano costituite dall'aggregazione di gliofilamenti più sottili, costituiti di sub unità globulari più piccole di quelle dei neurofilamenti, e a differenza di questi ultimi mancano di braccia laterali.
⇒ astrociti protoplasmatici, che hanno numerose appendici corte e predominano nella sostanza grigia del sistema nervoso centrale; sono meno ricchi di gliofilamenti, hanno un corpo cellulare più grande e citoplasma granuloso relativamente abbondante. La loro caratteristica più saliente è il pleomorfismo dei suoi numerosi e tenui processi citoplasmatici, che si insinuano tra i costituenti cellulari del neuropilo (il groviglio dei prolungamenti neuronici) sotto forma di esili lamine; come la maggior parte delle cellule della microglia, anche gli astrociti protoplasmatici sono capaci di fagocitosi.
Queste cellule svolgono vari ruoli che vanno, dalla partecipazione alla funzione di filtro della barriera emato-encefalica, allo stimolo e al supporto degli assoni, ad attività metaboliche e di riparazione di strutture del sistema nervoso centrale. Embriologicamente gli astrociti, come tutti gli elementi della neuroglia, ad esclusione delle cellule satelliti e...
- nevroglia
definizione
Termine proposto dall'anatomo-patologo Rudolf Virchow per indicare lo stroma interstiziale dell’encefalo e del midollo spinale, che, a differenza di quanto avviene negli altri organi, non è formato dal tessuto connettivo, bensì da elementi di origine ectodermica (astrociti, oligodendrociti, cellule di Schwann, cellule ependimali) e di origine mesenchimale (microgliociti); dal greco νεῦρον (nevron → nervo) e γλία (glía → colla), insieme delle cellule non neuronali presenti nel tessuto nervoso.
funzioni
Sostegno, trofismo, difesa e riparazione così come la mediazione dell’impulso nervoso e la programmazione dell’attività neuronale sono i compiti della nevroglia, ognuna specificamente associata al tipo di cellula che la costituisce; possono essere schematizzate in:
⇒ funzione di sostegno e azione trofica - la rete formata dalle cellule di nevroglia e dai loro prolungamenti costituisce una trama di sostegno ed il mezzo interno per gli scambi nutritivi e gassosi tra le cellule e il sangue: la nevroglia è paragonabile, funzionalmente, al tessuto connettivo lasso interstiziale in altri organi; alcuni prolungamenti dei gliociti si connettono con i vasi sanguigni, sui quali terminano con ingrossamenti globosi, e con la pia madre per mezzo di piccole espansioni a forma di pedicelli. Si ritiene che le terminazioni gliali intorno ai vasi sanguigni abbiano la funzione di stabilire rapporti trofici tra i capillari e le cellule nervose.
⇒ riparazione delle lesioni del sistema nervoso centrale - assicura l'isolamento dei tessuti nervosi e la protezione da corpi estranei in caso di lesioni; alla presenza di fenomeni degenerativi, i gliociti si ipertrofizzano e proliferano riempiendo gradualmente gli spazi lasciati liberi dai neuroni degenerati.
⇒ modulazione della trasmissione dell’impulso nervoso - le cellule della glia intervengono anche nella modulazione della trasmissione dell’impulso nervoso regolando, la concentrazione di particolari elettroliti...
- disosmia
definizione
Deterioramento, temporaneo o permanente, del senso olfattivo, che si manifesta con l'alterazione della capacità di percepire uno o più odori: la mancanza dell’olfatto viene definita anosmia, la sua diminuzione è l'iposmia, mentre la percezione spropositata di cattivi odori è detta cacosmia; dal greco δυσ- (dys- → prefisso che indica alterazione, difettoso funzionamento o anomalia) e ὀσμή (osmḗ → odore, profumo, odorato, sensibilità olfattiva).
Rientrano nell'ambito delle disosmie anche le fantosmie, cioè le allucinazioni olfattive, le parosmie, gli odori sono percepiti in modo erroneo o scambiati uno per l'altro, e le iperosmie, cioè l'aumentata sensibilità.
Spesso, queste manifestazioni costituiscono un quadro clinico assai complesso, di difficile valutazione, viste le strette correlazioni esistenti tra olfatto e gusto: frequentemente all'iposmia e all'anosmia si associano forme di alterazione qualitativa del gusto, come la disgeusia.
Le turbe della funzione olfattoria dipendenti da alterata trasmissione (disosmie di trasmissione) possono determinarsi per cause meccaniche come traumi, deviazioni alte del setto nasale, corpi estranei delle fosse nasali o dei seni paranasali), riniti, sinusiti, polipi delle fosse nasali, nonostante l'assoluta integrità delle vie e dei centri olfattori.
Le disosmie di percezione sono manifestazioni secondarie a lesioni delle vie o dei centri olfattivi, associate frequentemente a processi patologici della mucosa respiratoria nasale di ordine ostruttivo, come per esempio nell'allergia naso-sinusale; la senescenza è un fattore responsabile della progressiva rarefazione dei recettori nervosi.
Le infezioni virali come l'influenza; l'abuso di tabacco, di vasocostrittori o cocaina; le intossicazioni endogene, come per esempio l'uremia od il diabete, oppure esogene, come quelle da sali di cromo, piombo, mercurio, sono tutte potenziali alterazioni della capacità olfattiva.
Possono esistere anche disosmie di conduzione,...
- disgeusia
definizione
Qualunque alterazione o indebolimento delle facoltà gustative, cioè della capacità di distinguere i sapori: nella maggioranza dei casi, l’alterazione del gusto risulta temporanea e parziale (ipogeusia) mentre la totale perdita del senso del gusto (ageusia) è un evento raro; dal greco δυσ- (dys- → prefisso che indica alterazione, difettoso funzionamento o anomalia) e γεῦσις (ghêusis → gusto).
descrizione
Il disturbo del senso del gusto è caratterizzato da una distorsione nella percezione, definibile parageusia; può dipendere dall'assenza della stimolazione relativa o da percezione qualitativamente errata; come tutti i disturbi sensoriali, può essere causata da condizioni che interferiscono con l’incontro fra lo stimolo (sostanza chimica) con le cellule recettoriali (calici gustativi), da danni alle cellule recettoriali ai nervi che trasportano la sensibilità od alle vie gustative centrali.
Difficilmente è una manifestazione primaria, ma può essere l'espressione di disfunzioni o malattie del sistema nervoso; stati tossici o infettivi; disturbi dell'apparato gastro-enterico, quali paraodontosi, stomatiti o glossiti, glossodinia, xerostomia, candidosi (mughetto), gastriti; sinusiti o riniti; carenze nutrizionali come la ridotta assunzione di zinco o l'insufficienza di vitamina B12 (cobalamina); sindrome della bocca urente.
Sensazioni di gusto anomalo possano essere dovute a disturbi psichiatrici, come la schizofrenia o l'anoressia nervosa; lesioni del nervo trigemino, del nervo facciale o del nervo glossofaringeo; come conseguenza di infarto, insufficienza epatica, gravidanza, neuropatie diabetiche o sclerosi multipla.
Frequentemente la disgeusia si associa a forme di disosmia; talvolta è una manifestazione dell'aura emicranica, forma di alterazione sensoriale dell'emicrania.
- parageusia
definizione
Alterazione del senso del gusto, sensazione gustativa qualitativamente anomala, talvolta illusoria, allucinazione o perversione gustativa, che si distingue, pertanto, dalle disgeusie quantitative come l'ageusia, ipergeusia e ipogeusia; dal greco παρα- (para- → prefisso che indica, in questo caso, deviazione o anomalia) e γεῦσις (ghêusis → gusto).
Nelle parageusie propriamente dette, o illusioni del gusto, sono interpretate erroneamente le sensazioni gustative reali: viene scambiato un sapore elementare (dolce, amaro, acido, salato), con un altro o lo percepisce come sapore sgradevole (metallico, astringente); si verifica la tendenza a percepire sapori cattivi, come, ad esempio, la sensazione di "gusto metallico", frequentemente imputabile all'assunzione di alcuni farmaci; talvolta, come nelle allucinazioni del gusto, si hanno percezioni gustative in assenza di un oggetto stimolante.
Le parageusie sono frequentemente associate ad altre turbe del gusto (ipogeusie o ipergeusie) o dell’olfatto (iperosmie, ipoosmie, cacosmie, parosmie): si osservano, solitamente, nelle malattie del sistema nervoso centrale, come nelle crisi epilettiche gustative da focolaio insulare, nelle manifestazioni dell'aura emicranica, nell'ambito dei disturbi psichici, come la schizofrenia o l’isterismo.
La glossite atrofica associata alla gastrite atrofica, presente spesso come conseguenza dell'anemia perniciosa, è una causa frequente di parageusia: l'integrazione nutrizionale di Vitamina B12, in genere, risolve il disturbo sensoriale; a volte anche la carenza di zinco può causare disgeusie.
- sensibilità
definizione
Il termine nasce dal latino sensibilĭtas, derivato da sensibĭlis (→ che ha la capacità di sentire), per effetto della crasi di sensus, participio passato di sentire (→ sentire, percepire, provare) e abĭlis (nella forma -ibilis); il suffisso -abĭlis esprime sia la possibilità o la necessità di quanto predicato dal verbo (senso passivo), sia con valore attivo
Avere sensibilità ed essere sensibile sono le due facce espresse da questo lemma: non solo l'abilità, cioè la capacità o la possibilità, di sentire ma anche l'essere percepito tramite i recettori deputati a interpretare gli stimoli sensori; nello specifico, è definibile come l'attitudine o la facoltà di ricevere impressioni attraverso i sensi, cioè di conoscere l'ambiente per mezzo degli organi deputati alla percezione.
sensibilità sensoriale
Esprime l'attività del sistema nervoso, caratterizzata dall'abilità di avvertire e di analizzare gli stimoli che agiscono sull'organismo, siano essi interni o esterni, informandone (o meno) la coscienza.
Può essere identificata una sensibilità specifica, i cui elementi recettoriali sono riuniti in apparati, anatomicamente ben distinti dal rimanente organismo (organi sensoriali), che si esprime in forme (cioè in sensazioni) definite, particolarmente precise e nitidamente avvertite dalla coscienza (visiva, acustica, gustativa, olfattiva ...); esiste, poi, una sensibilità generale, così denominata perché i suoi recettori sono sparsi in molti organi e apparati o perché, pur essendo questi riuniti in un organo ben circoscritto (sensibilità vestibolare), le percezioni e le risposte adattative da esse dipendenti, interessano l’organismo nel suo insieme.
La sensibilità generalizzata è caratterizzata dagli stimoli derivanti dall'esterno (esterocettiva), come nel caso della percezione tattile, dolorifica e termica a livello di cute e mucose o da stimoli interni, di sensazioni derivanti da muscoli, tendini, articolazioni detta sensibilità propriocettiva (o...
- riflesso condizionato
definizione
Il riflesso condizionato o riflesso pavloviano, dal nome dello scienziato russo Ivan Pavlov che elaborò il concetto agli inizi del Novecento nell'ambito degli studi sul comportamento è la risposta che il soggetto dà alla presentazione di uno stimolo condizionante: è una reazione prodotta dall'abitudine ad associare ad un preciso stimolo (presentato subito dopo durante la fase di condizionamento; subito prima una volta effettuato il condizionamento): il primo agente diventa perciò lo stimolo chiave, ciò che attiva il riflesso condizionato.
Pavlov ha dimostrato la possibilità di ottenere una reazione riflessa sostituendo a quello specifico un qualsiasi altro stimolo, per sua natura inattivo, che sia stato in precedenza sistematicamente associato, in un determinato rapporto cronologico, alla provocazione del riflesso abituale: tutti i riflessi fisiologici sono suscettibili di trasformarsi in condizionati secondo leggi che regolano l’acquisizione di questi riflessi, il loro rinforzo, la loro estinzione, la loro irradiazione e la loro inibizione.
- trauma
definizione
Dal greco τραῦμα (trâuma → ferita, perforazione, trafittura, lesione): l’etimologia descrive il concetto di lacerazione, di taglio prodotto da qualcosa esterno al corpo, di azione che causa un danno, passando da parte a parte; lesione prodotta nell'organismo da un qualsiasi agente capace di azione improvvisa, rapida e violenta, spesso associata a turbamento dello stato somato-emozionale. In genere per trauma s’intende l’effetto di un avvenimento dotato di notevole carica emotiva, frequentemente associato all'alterazione del normale stato psichico che non sempre dipende esclusivamente da una lesione fisica ma che può essere il prodotto o la conseguenza di esperienze negative o fatti tristi e dolorosi, che creano turbamento e disorientamento.
il danno
Così come una ferita può lacerare, provocare dolore o lasciare cicatrici per tutta la vita, un evento traumatico è, per definizione, potenzialmente dannoso potendo generare profonda sofferenza che, al di là dell’apparente guarigione, può avere ripercussioni sulla persona anche a lungo termine: ogni volta che ci sentiamo in grave pericolo, indipendentemente dal fatto che la minaccia sia reale o solo l’effetto di ciò che percepiamo, tutte le volte in cui abbiamo la sensazione che il nostro equilibrio vitale sia a rischio di “rottura”, quando abbiamo l’impressione che le nostre capacità e la nostra forza vitale non sia in grado d affrontare lo stress da cui ci sembra essere soverchiati, siamo potenzialmente esposti al un trauma.
Anche se gli stressor che incontriamo quotidianamente nella vita e le difficoltà con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno possono rivelarsi, una volta superati, mezzi di crescita personale, quando questi provocano dis-stress possono indurre in noi uno stato di shock; quando viviamo un evento come drammatico ed emotivamente destabilizzante, quando ci sembra di non avere le risorse per fronteggiarlo e ci sentiamo impotenti e senza strumenti per difenderci, quando sentiamo che...
- neurovascular coupling
definizione
L’accoppiamento neuro-vascolare descrive la relazione diretta fra il flusso sanguigno cerebrale e l’attività neuronale a livello encefalico, ovvero l’influenza che queste due entità esercitano reciprocamente, l’una sull'altra: l’attività cellulare del sistema nervoso è in grado di aumentar e la perfusione ematica, ma la diminuzione dell’apporto sanguifero è in grado di inibire l'attività nervosa, anche distrettualmente.
neurovascular coupling e aree neurologiche metabolicamente attive
I capillari presenti nel sistema nervoso non hanno semplicemente il compito di supportare metabolicamente i fabbisogni neuronali: il cervello dei mammiferi possiede un sistema estremamente articolato ed evoluto costituito da cellule dell’endotelio vasale, periciti, fibroblasti, cellule gliali e dagli stessi neuroni che generano un complesso sistema di interazioni e integrazioni fra la componente vascolare e le cellule di sostegno, in grado di reagire agli stimoli e modulare la funzionalità del sistema nervoso; questo sistema, definito neurovascular coupling, assicura la perfusione ematica nelle differenti aree cerebrali influenzando l’attivazione o la riduzione dell’attività metabolica neuronale nei differenti distretti del sistema nervoso e condizionandone, di conseguenza, le risposte.
Il metabolismo cerebrale dipende dal costante rifornimento di glucosio e ossigeno, indispensabili per mantenere la funzione cerebrale: sono assicurati dall'apporto ematico, per cui esiste un rapporto biunivoco obbligato, un “accoppiamento” fra il lavoro svolto dai singoli neuroni o dai centri nervosi ed i mutamenti del flusso ematico cerebrale; il tessuto nervoso rilascia molecole ad azione angiogenica in grado di promuovere la proliferazione di reti capillari diffuse e mediatori chimici capaci di regolare la funzione endoteliale di tali vasi.
Già durante lo sviluppo embrionale, la profonda interazione fra il tessuto nervoso in via di replicazione e differenziazione ed i vasi che ne...
- tioestere
definizione
Molecole caratterizzate da un legame che si instaura tra un acido carbossilico ed un tiolo: sono composti con la struttura R–S–CO–R', dove il gruppo funzionale -S-CO- viene detto tioestere oppure tiocarbossile; i tioesteri hanno un ruolo importante nel metabolismo: il più importante tioestere esistente nel nostro metabolismo è l'acetil-CoA, molecola cruciale nella via di demolizione del glucosio.
- acetil-coenzima A
definizione
Spesso abbreviato in acetil-CoA, di formula (CH3COSCoA), è una molecola fondamentale nel metabolismo di tutti gli organismi viventi: dal punto di vista chimico si tratta di un tioestere, ovvero il prodotto della condensazione di un tiolo (che in questo caso è il coenzima A) e un acido carbossilico, che in questo caso è l'acido acetico; dal punto di vista biochimico, la molecola è la forma in cui l'acido acetico è attivato, grazie all'intrinseca instabilità (ovvero elevata reattività) del legame tioestereo.
L'acetil-coenzima A occupa una posizione fondamentale in alcune vie metaboliche fondamentali: permettere, ad esempio, l'utilizzo del piruvato, derivato della glicolisi, nel ciclo di Krebs ed è fondamentale nel metabolismo degli acidi grassi e degli amminoacidi; oltre ad essere il precursore dell'HMG-CoA, componente fondamentale delle vie di sintesi del colesterolo, interviene nel processo di acetilazione della colina, ad opera della colina acetiltransferasi, volto a produrre acetilcolina.
L'acetil-CoA deriva dal catabolismo di glucosio, degli acidi grassi e delle proteine, sia che siano introdotti col cibo, sia che siano espressione delle riserve endogene: l'acetil-coenzima A viene prodotto a partire dal piruvato prodotto principale del processo glicolitico), grazie ad un sistema multi-enzimatico detto “complesso della piruvato deidrogenasi”, oppure a partire dagli acidi grassi, per mezzo della β-ossidazione che avviene nella matrice mitocondriale a partire da acil-CoA; può derivare anche dalla degradazione di proteine che, venendo idrolizzate da specifiche proteasi, rilasciano amminoacidi che possono essere utilizzati oltre che per la produzione di nuove proteine e molecole non proteiche, per la sintesi di acetil-CoA (amminoacidi chetogenici) e intermedi del ciclo di Krebs (amminoacidi glucogenici), dopo perdita del gruppo amminico.
- corpo chetonico
definizione
Composti sintetizzati dalla cellule epatiche in caso di eccesso di acetil-CoA: normalmente sono presenti nel sangue in piccole quantità e la loro concentrazione plasmatica è definita chetonemia: sono l'acetone, l'acido aceto-acetico e l'acido β-idrossi-butirrico; il processo di sintesi dei corpi chetonici a partire dall'acetil-CoA è detta chetogenesi ed è un processo finalizzato a ridurre il consumo di proteine per produrre glucosio (gluconeogenesi) in caso di digiuno prolungato, di ipoglicemia (glicopenia) o per fornire substrati energetici al sistema nervoso centrale (β-idrossibutirrato e acetoacetato).
utilizzo energetico dei corpi chetonici
Acetoacetato e β-idrossibutirrato possono essere ossidati nel ciclo dell'acido citrico (ciclo di Krebs) per produrre energia in tessuti quali il muscolo scheletrico, la corteccia renale e il cuore; anche il cervello in condizioni di digiuno prolungato, ossia quando il glucosio è scarsamente disponibile (neuroglicopenia), può utilizzare i corpi chetonici, ad esclusione dell'acetone, come substrato energetico: sono usati come fonte di energia in molti tessuti, ad eccezione del fegato in quanto questo organo è mancante dell'enzima β-chetoacil-CoA transferasi (tioforasi). L'acetone, a differenza degli altri due corpi chetonici, è prodotto in piccole quantità e prontamente eliminato con la respirazione: un suo incremento significativo può costituire un indice di un processo patologico.
L'aumento della chetonemia è di notevole rilevanza in eventi fisiologici e patologici, in quanto i corpi chetonici possono accumularsi durante il digiuno e negli individui affetti da diabete mellito, portando alla genesi di un fenomeno definito chetosi: nel corso del digiuno prolungato, la gluconeogenesi porta alla sottrazione di intermedi al ciclo di Krebs, in particolare l'ossalacetato, indirizzando l'acetil-CoA verso la produzione dei corpi chetonici.
- tessuto glucosio-dipendente
definizione
Gruppo di tessuti che necessitano di glucosio per la loro attività metabolica, ovvero che, a differenza della maggioranza dei tessuti corporei, non possono utilizzare i lipidi (acidi grassi e corpi chetonici) quando i carboidrati non sono disponibili e non sono sensibili all'insulina: oltre all'encefalo ed al midollo spinale (che hanno comunque la capacità di utilizzare anche i corpi chetonici), i tessuti glucosio-dipendenti sono la midollare del rene, il midollo osseo, gli eritrociti ed i leucociti, la retina ed il cristallino, i testicoli e le fibre muscolari scheletriche coinvolti negli sforzi intensi (tipo II), cioè sono sempre dipendenti dalla sua captazione.
Anche se in condizioni dietetiche normali, il glucosio è l'unico substrato energetico per il sistema nervoso centrale, qualora si osservi una deprivazione prolungata di carboidrati (ipoglicemia), il cervello è in grado di coprire gran parte delle richieste energetiche dai chetoni, consumando solo una minima parte di glucosio; oltre al glucosio (scelta prioritaria) ed ai corpi chetonici, i neuroni utilizzano il lattato, ottenuto dalla circolazione o attraverso l'accoppiamento metabolico che si verifica fra gli astrociti e i neuroni, come substrato glucogenetico: pertanto, nonostante il sistema nervoso centrale rientri nella definizione di tessuto glucosio-dipendente, in condizioni di digiuno molto prolungato o di dieta a bassissimo apporto di carboidrati (dieta chetogenica), esso è in grado di ricavare indirettamente la maggior parte dell'energia utilizzando i grassi depositati nel tessuto adiposo, convertiti negli epatociti in corpi chetonici, attraverso il ciclo di Krebs.
Un'ipotesi di studio suggerisce che la generazione di corpi chetonici da parte degli epatociti sia primariamente finalizzata a rifornire al cervello un substrato energetico derivante dai grassi durante periodi in cui i carboidrati non sono disponibili; al contrario dell'encefalo e del midollo, le cellule che non sono...
- aldoesoso
definizione
Detto anche aldoesosio, termine utilizzato per indicare un carboidrato a sei atomi di carbonio contenente un gruppo terminale aldeidico e presentante quattro atomi di carbonio asimmetrici: gli aldoesosi presentano quattro centri chirali, che generano un numero totale di 16 possibili stereoisomeri; composto di aldo- (prefisso che indica la presenza di un gruppo aldeidico), es- (dal greco ἕξ → sei), ed -oso (suffisso che indica un carboidrato).
Sono aldoesosi l'allosio, l'altrosio, il glucosio, il mannosio, il gulosio, l'idosio, il galattosio ed il talosio.
- aldo-
definizione
Prefisso che indicala presenza del gruppo aldeidico −CHO in un composto organico, caratteristico delle aldeidi o comunque relazione col gruppo aldeidico; tratto da aldeide.
- glucosio
definizione
Noto anche come glicosio (o destrosio, limitatamente all'enantiomero destrogiro), è un esoso aldeidico, cioè uno zucchero a sei atomi di carbonio: in particolare è un monosaccaride, cioè uno zucchero che non può essere idrolizzato in un carboidrato più semplice con formula bruta C6H12O6; è il composto organico più diffuso in natura, sia libero sia sotto forma di polimeri ovvero disaccaridi come il saccarosio ed il maltosio, oppure polisaccaridi come la cellulosa, l'amido ed il glicogeno.
Il livello di glucosio nel sangue è detto glicemia.
caratteristiche chimiche
Il glucosio è uno zucchero aldoesoso perché la sua molecola è composta da sei atomi di carbonio (da cui il suffisso -esoso) e contiene un gruppo carbonilico aldeidico -CHO tipico delle aldeidi; è una molecola chirale, di cui esistono due enantiomeri, cioè l'enantiomero destrogiro (D-glucosio o destrosio) che è il più diffuso in natura, presente allo stato libero in numerosi frutti zuccherini, nella maggior parte dei liquidi organici, nel fegato, nel sangue e nella milza, e l'enantiomero levogiro (L-glucosio).
La sua forma più stabile, in soluzione acquosa, è quella in cui uno dei gruppi ossidrile si lega al carbonio C1 del gruppo aldeidico (-CHO) a formare un anello a 6 atomi, un anello piranosico, attraverso una reazione di ciclizzazione (formazione dell'anello) reversibile: non tutto il glucosio va incontro a questa trasformazione, in quanto una minima parte rimane in forma aperta.
Rispetto ad altri carboidrati esosi è caratterizzato da una sua ridotta tendenza a reagire con i gruppi amminici delle proteine, per mezzo della glicazione (glicosilazione non enzimatica), reazione chimica che riduce o annulla l'attività di molti enzimi ed è responsabile di numerosi effetti a lungo termine del diabete, quali la cecità e la ridotta funzione renale: la bassa reattività del glucosio verso la glicosilazione è dovuta al suo prevalente permanere nella forma ciclica, meno reattiva.
Quando la...
- clorofillina
definizione
Derivato della clorofilla dove il magnesio è sostituito dal rame; sotto forma di sale sodico, è solubile in acqua: possiede effetti antimutageni, antiossidanti (inibisce le reazioni promosse dall'ossigeno, prevenendo così l'ossidazione e l'irrancidimento), antiapoptotici e immunostimolatori, ed è dotata della capacità di legare ed incrementare l'espulsione delle esotossine. Fornisce benefici, come la prevenzione dell'odore corporeo (riduce o maschera gli odori sgradevoli del corpo) sia a livello cutaneo, intestinale (alitosi, bromopnea, fermentazione o putrefazione intestinale) o urinario; facilita la guarigione delle ferite e migliore il turgore cutaneo.
- cloridrato
definizione
Forma chimica in cui vengono convertiti molti principi attivi destinati all'uso orale o parenterale, in modo da rendere più efficace la somministrazione: l'utilizzo di molecole ad attività terapeutica sotto forma di cloridrati permette di modificarne e modularne le proprietà farmacocinetiche al fine di migliorarne la biodisponibilità.
- M.A.O.
definizione
Acronimo per «monoamino ossidasi», enzimi che metabolizzano per via ossidativa le monoammine, un insieme di sostanze endogene che comprendono alcuni neurotrasmettitori (come la serotonina e le catecolamine adrenalina, noradrenalina, melatonina, dopamina) o composti esogeni come la tiramina e alcuni farmaci; l'inibizione della degradazione dei neurotrasmettitori che svolgono un ruolo nella regolazione del tono dell'umore, ne comporta un aumento nel sistema nervoso centrale. L'inibizione delle MAO a livello del sistema nervoso centrale determina un aumento dei livelli sia intracellulari che sinaptici delle catecolamine e della serotonina, che svolgono un ruolo nelle patologie psichiatriche.
Esistono due isoforme di monoaminossidasi: le MAO-A, che degradano preferenzialmente serotonina, melatonina, noradrenalina, adrenalina, dopamina e triptamine, e le MAO-B, che degradano invece dopamina, triptamine e feniletilammina. Entrambe le isoforme sono presenti nel sistema nervoso centrale dove sono tra i principali responsabili della degradazione dei neurotrasmettitori monoaminici: le MAO-A sono estensivamente espresse anche nel fegato (dove degradano le monoamine come la tiramina assunte con la dieta), nel tratto gastrointestinale, nella placenta e nell'endotelio vascolare polmonare, mentre le MAO-B si ritrovano soprattutto nelle piastrine.
fitoterapia e monoaminossidasi
La curcumina ed alcune sostane naturali posseggono la capacità di inibire (non selettivamente) le MAO; berberina, coptisina, resveratrolo sono inibitori selettivi delle MAO-A, mentre piperina, catechina, idrossitirosolo agiscono sulle MAO-A. La Glycyrrhiza Glabra (liquirizia) e l'Eleutherococcus Senticosus (ginseng siberiano) posseggono un'azione anti-MAO, ma non si conosce su quali recettori svolano la loro azione.
- set-point omeostatico
definizione
Anglicismo dal significato letterale di “valore fissato”, cioè valore normale o fisiologico: un parametro intorno a cui fluttua il range fisiologico di valori “attuali”, cioè misurati istantaneamente; il set-point è un insieme ristretto di valori normali che corrispondono al funzionamento ottimale dell’organismo. Talvolta l’insieme queste misure, utilizzabili come termini di raffronto, vengono definiti parametri vitali.
parametri vitali e omeostasi
L’omeostasi è quel particolare fenomeno che permette di mantenere una serie di parametri vitali all'interno del loro valore prefissato, ovvero del proprio specifico set-point: il suo mantenimento è fondamentale per la stabilità dei sistemi fisiologici, cioè per la tutela dell’ambiente interno (milieu intérieur); ciò è possibile grazie al monitoraggio continuo da parte di tessuti nervosi specializzati, i recettori, di ciò che accade nel corpo.
Dalla temperatura corporea all'acidità o alcalinità corporea, dalla concentrazione del glucosio e di certi metaboliti alla percentuale di ossigeno presente nei tessuti, dal livello di idratazione alla pressione ematica, ognuno di questi elementi fondamentali per la sopravvivenza ha un proprio parametro fisiologico, cioè un set-point specifico; questi parametri devono rimanere costanti o avere fluttuazioni minimali, per non creare squilibri, malfunzionamenti o dis-funzioni.
loop a feedback negativo o a feedback positivo
I centri di controllo, a livello encefalico, giocano un ruolo fondamentale nella regolazione e nella supervisione di questi valori: ogni volta che si verificano variazioni, gli automatismi di regolazione omeostatica, detti loop (circuiti), agiscono per minimizzare le differenze tra il valore attuale della variabile ed il suo valore normale.
Il circuito a feedback negativo (retroazione negativa) ha fondamentalmente una finalità inibitoria, producendo un cambiamento opposto allo stimolo iniziale, ovvero all'aumentare della variazione iniziale,...
- Total Mitochondria
descrizione
L’insieme sinergico dei componenti rendono questo nutraceutico il supporto nutrizionale di prima scelta per ottimizzare la funzione mitocondriale e per agevolare una efficiente produzione di energia; grazie alla sua azione lipotropica e ergogenica, esplica un’azione normalizzante su disglicemie e dislipemie favorendo la mobilizzazione dei grassi, riducendo la resistenza periferica all’insulina. La sua capacità di prevenire i danni cellulari, associata alle proprietà antiossidanti e antiaging, grazie alla sinergia di potenti radical-scavenger e immuno-modulanti, permette di agire efficacemente sull’inflamm-aging e prevenire i processi senescenziali dipendenti dalla ridotta produzione di energia.
ingredienti
Ogni tavoletta contiene: vitamina C (acido ascorbico), vitamina E, tiamina, riboflavina, niacina (niacinamide), acido folico, magnesio, zinco, selenio manganese; miscela proprietaria, composta da: lecitina, catechina (estratto da Camellia Sinensis), fosfatidilcolina, superossido dismutasi, acido α-lipoico, N-acetil-carnitina, N-acetil-cisteina, glutatione, tirosina, glicina, acido glutammico, Co-enzima Q10, fosfatidilserina, clorofilla (sale sodico di clorofillina).
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TOTAL MITOCHONDRIA (NW2722)
confezione 90 compresseNessuna affermazione riportata sulla presente pubblicazione è finalizzata alla cura di malattie diagnosticate o ignote: si consiglia sempre di riferire sintomi e disturbi al proprio medico curante e di informarlo d’eventuali integratori assunti per prevenire potenziali interazioni con farmaci. Nessuna delle affermazioni riportate, dei suggerimenti nutrizionali e delle ricerche riportate sono finalizzate alla diagnosi, alla cura o al trattamento di patologie e non dovrebbero essere considerate consiglio medico.
- glicopenia
definizione
Condizione caratterizzata da una ridotta concentrazione di zuccheri (glicidi), che risulta al di sotto del valore normale a livello cellulare, in tessuti specifici, come nel caso della neuroglicopenia o nell'ipoglicemia: la glicopenia indica uno stato caratterizzato da concentrazioni dei carboidrati inferiori al set-point omeostatico, cioè ai parametri fisiologici; composta del greco γλυκύς (glukýs → dolce) e πενία (penía → povertà).
La glicopenia è un potente stimolo al senso della fame.
glicopenia e chetoacidosi
Essendo il glucosio il principale substrato energetico, qualora si verifichi una deficienza assoluta o relativa di insulina, associata ad un aumento della concentrazione degli ormoni iperglicemizzanti quali il glucagone, il cortisolo, le catecolamine ed l’ormone somatotropo (GH), si può manifestare una glicopenia intracellulare
In caso di marcato deficit insulinico, il metabolismo energetico della cellula passa da un metabolismo basato sull’ossidazione del glucosio ad uno di tipo ossidativo lipidico, con conseguente aumento della chetogenesi: questo fenomeno è tipico nel caso della chetoacidosi secondaria ad uno stato di diabete mellito, che può manifestarsi anche in soggetti già in terapia diabetica per l’instaurarsi di uno stato di insufficienza insulinica assoluta o relativa.
La chetoacidosi diabetica è caratterizzata da glicosuria, chetonuria (diretta conseguenza della chetonemia) associata ad acidosi metabolica: l’accumulo dei corpi chetonici esita in uno stato di acidosi metabolica e la loro continua eliminazione attraverso i reni aggrava la diuresi osmotica (già presente a causa della glicosuria) con conseguente disidratazione e perdita di elettroliti; talvolta è presente il vomito che accentua lo stato di ipovolemia, di acidosi metabolica nonché gli squilibri elettrolitici.
glicopenia e nutrizione
La glicopenia deve essere considerato l'esito di un quadro di disglicemia a lungo termine di cui il diabete mellito è solo...
- suffisso -penia
definizione
Il suffisso -penia è solitamente utilizzato come secondo elemento nelle parole composte, nelle quali indica scarsità, diminuzione rispetto alla norma di ciò che è indicato nel primo elemento del termine (leucopenia, linfopenia, piastrinopenia, glicopenia ...); dal greco πενία (penía → povertà).
- neuroglicopenia
definizione
Detta anche sindrome neuroglicopenica, è un quadro disfunzionale caratterizzato dalla carenza di glucosio a livello cerebrale, solitamente causata da ipoglicemia: la glicopenia influenza la funzione dei neuroni e altera il comportamento del cervello, in quanto il sistema nervoso centrale fa parte dei tessuti glucosio-dipendenti; la neuroglicopenia prolungata o ricorrente può provocare la perdita di coscienza, danni al cervello (potenzialmente irreversibili) ed eventuale morte.
Il cervello umano costituisce soltanto il 2% del peso totale del nostro corpo, però arriva a consumare fino al 20% delle nostre risorse energetiche: queste risorse vengono dai carboidrati, che il nostro corpo trasforma in zucchero (glucosio).
metabolismo energetico del sistema nervoso
Il cervello si distingue dagli altri organi per alcune caratteristiche metaboliche importanti, potendo ricavare l’energia necessaria al suo funzionamento solo dalla scissione aerobica del glucosio (ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa): il metabolismo di questo complesso sistema cibernetico dipende da un insieme di trasformazioni biochimiche e di scambi energetici, regolati da reazioni enzimatiche, che avvengono nel sistema nervoso e in particolare nel cervello, autoregolandosi, secondo modalità in buona parte differenti, rispetto al resto del corpo.
Innanzitutto il metabolismo cerebrale del glucosio non è modulato dall’insulina, in quanto questo ormone non può attraversare la barriera ematoencefalica; non possiede molecole come la mioglobina, atte a legare reversibilmente l’ossigeno, non è in grado di immagazzinare quantità significative di glucosio in forma di glicogeno e la produzione cerebrale di lattato tramite la glicolisi anaerobica è trascurabile, mentre l’utilizzazione di corpi chetonici derivati dagli acidi grassi si osserva solo in condizioni di digiuno prolungato: per questi motivi, il funzionamento del sistema nervoso e la sua stessa vita dipendono interamente dal continuo...
- ipoglicemia
definizione
Abbassamento della glicemia al di sotto dei valori normali (set point omeostatico), ovvero un basso livello di zuccheri (glucosio) nel sangue, che può causare, se prolungato, uno stato patologico; dal greco greco υπογλυκαιμία, composto di ipo- e glicemia.
L'ipoglicemia provoca una nutrita serie di effetti e sintomi, la maggior parte dei quali originata da uno scarso afflusso di glucosio al cervello, che ne riduce le funzioni cognitive (neuroglicopenia): questa diminuzione della funzione cerebrale può andare da un vago senso di malessere al coma e in rari casi alla morte. Una condizione di ipoglicemia può avere origine da molte cause diverse, e può accadere a qualsiasi età.
Si può osservare dopo lunghi periodi di scarsa alimentazione, in caso di abnorme attività della parte endocrina del pancreas, dopo somministrazione di insulina, ecc. Può essere permanente – e allora di solito ben tollerata – oppure accessionale, come nella crisi ipoglicemica e nel coma ipoglicemico (➔ diabete). Le condizioni di i. sono possibili in vari quadri clinici e la sintomatologia è piuttosto variabile. I sintomi dell’i. possono essere divisi in quelli prodotti dai sistemi di regolazione ormonali (adrenalina e glucagone), che si innescano al diminuire della glicemia, e in quelli prodotti dall’insufficiente apporto di glucosio alle cellule nervose. Si hanno tremito, sudorazione abbondante, pallore, dilatazione delle pupille, tachicardia. Un abbassamento della glicemia modifica in modo netto la risposta mentale, con la comparsa di note d’ansia, inquietudine, irritabilità, incertezza nell’organizzare la sequenza di parole in un discorso, fino a quadri francamente deliranti. Nel persistere della i. si può arrivare ad uno stato non reversibile con modificazione del respiro, shock ed evoluzione comatosa.
Segnali e sintomi di ipoglicemia
I sintomi e gli effetti dell'ipoglicemia possono essere divisi in quelli prodotti dai sistemi di regolazione ormonali (adrenalina e...- suffisso -ide
definizione
Suffisso con cui sono formati nomi di composti organici o, meno spesso, inorganici di natura diversa.
- suffisso -osio
definizione
Suffisso utilizzato per indicare un carboidrato; attualmente si tende a preferire la forma -oso.
- oloside
definizione
Termine usato per gli oligosaccaridi, da cui si ottengono monosi (monosaccaridi) per idrolisi completa: gli olosidi si distinguono in di-, tri-, tetra- e poliolosidi (polisaccaridi), a seconda del numero di molecole glicidiche che costituiscono la molecola il maltosio; composto di olo- e dei suffissi -oso (utilizzato per indicare un carboidrato) e -ide.
- irrancidimento lipolitico
definizione
Detto anche irrancidimento idrolitico o, più propriamente, inacidimento, è un fenomeno favorito dall'umidità e, soprattutto, dall'azione combinata della luce e della lipasi, un enzima che può essere di natura endogena o esogena, in grado di idrolizzare i trigliceridi: il risultato di questa trasformazione (idrolisi) è la scissione del grasso nei suoi componenti, rappresentati da glicerolo, mono e digliceridi e, infine, acidi grassi liberi (F.F.A.); si verifica in particolare negli alimenti ricchi d'acqua, come i grassi animali, o nei frutti oleosi come le olive, potendo provocare irrancidimento.
In generale è un processo negativo che porta anche allo sviluppo di sapori e odori sgradevoli quando si liberano acidi grassi a basso peso molecolare (acido butirrico, acido capronico, acido propionico), oltre a predisporre gli alimenti all'irrancidimento ossidativo.
- irrancidimento chetonico
definizione
Processo di natura enzimatica attuato da batteri, lieviti e muffe che si svolge a carico di acidi grassi a basso peso molecolare e comporta la beta-ossidazione di un acido grasso, con formazione di un β-chetoacido che per decarbossilazione si trasforma in un metilchetone; in genere si tratta di un'alterazione microbica, a carico di frutti e semi oleaginosi provvisti di un certo grado di umidità, che porta alla formazione di odori e sapori sgradevoli.
L'irrancidimento chetonico è invece un processo desiderato in alcuni casi limitati, come nel caso dai formaggi erborinati (Gorgonzola, Roquefort, Brie, Camembert), ad opera di muffe dei generi Penicillium o Aspergillus , in grado di produrre la trasformazione dei grassi per produrre il caratteristico aroma. L'irracidimento chetonico aiuta alla formazione delle proteine
- autossidazione
definizione
Ossidazione spontanea, che si produce in una sostanza esposta all'azione ossidante dell'aria, cioè dell’ossigeno atmosferico; il processo avviene casualmente a temperatura ambiente, anche se è accelerato per effetto della luce e/o della temperatura; è il più importante tra i processi coinvolti nel deterioramento ossidativo dei lipidi (irrancidimento) e per questo viene detto anche irrancidimento ossidativo, procedendo con una velocità direttamente proporzionale al grado di insaturazione degli acidi grassi.
L’ossigeno atmosferico, sotto l’azione della luce che agisce come iniziatore, attacca un legame C−H, creando gruppi idroperossidici (-HO2 ), radicale idroperossido), fortemente instabili, che conferiscono alla molecola un potere ossidante in grado di generare R.O.T.S.; la molecola ossidata tende a reagire immediatamente liberando ossigeno e ripristinando il composto iniziale (o un radicale a esso corrispondente), che tende però a ricombinarsi con l’ossigeno, creando reazioni a catena.
- fattore intrinseco
definizione
Scoperto dal clinico americano William Bosworth Castle, il fattore intrinseco di Castle, detto anche fattore gastrico anti-pernicioso, è una glicoproteina secreta dalle cellule ossintiche della mucosa gastrica, in grado di favorire l'assorbimento della vitamina B12 (cobalamine) e del ferro, oltre a facilitare la digestione delle proteine; viene prodotto in risposta agli stessi stimoli che determinano la secrezione di HCl (acido cloridrico): la sua secrezione è l'unica funzione gastrica essenziale per la vita dell'uomo.
fisiologia del fattore intrinseco
A livello dello stomaco, la pepsina ed il pH fortemente acido, derivante dalla cloridria del chimo gastrico, facilitano il rilascio della cobalamina legata alle proteine alimentari; una volta libera si lega all'aptocorrina (un polipeptide salivare, che la protegge dall'acidità gastrica, detto proteina-R) e così complessata, giunge nel duodeno, dove le proteasi pancreatiche degradano l'aptocorrina liberando le cobalamine; una volta libere nel lume intestinale, si associano immediatamente al fattore intrinseco, che ne previene la degradazione batterica e l'ossidazione del gruppo cianidrico, permettendone il transito nel digiuno e nel tratto prossimale dell'ileo.
È nel tratto terminale dell'ileo che si lega a specifici recettori (cubiline) presenti nell'orletto a spazzola delle cellule epiteliali e viene inglobato per endocitosi dalle stesse cellule, dove si dissocia dal fattore intrinseco, si lega alla transcobalammina II (TCII) e viene veicolata al fegato attraverso il circolo portale.
Il fattore intrinseco, a questo punto inutile, viene eliminato con le feci.
sindromi carenziali
I fattori che possono provocare carenza di questo fattore sono l'alcolismo, gastriti, parassitosi, malattie autoimmuni e, in generale, danni alla mucosa gastrica.
La carenza di cobalamina, presente spesso in caso di gastrite atrofica, ma anche conseguente a interventi di interventi di chirurgia bariatrica (per...
- lattide
definizione
Composto organico ciclico che si forma per reazione fra due molecole di acido lattico, con eliminazione di acqua: nome generico di un composto derivante da due molecole di alfa-ossiacido per esterificazione del gruppo alcolico dell’uno col gruppo carbossilico dell’altro e viceversa; derivato di (acido) latt(ico) col suffisso -ide. In generale, un lattide è diestere ciclico, cioè il di-lattone di due molecole di qualsiasi acido 2-idrossicarbossilico, ovvero l'estere ciclico dell'acido lattico, cioè l'acido 2-idrossipropionico.
L'acido lattico non può formare un lattone intramolecolarmente come fanno altri idrossiacidi perché l'ossidrile è troppo vicino al gruppo carbossilico e formerebbe un ciclo a tre: l'acido lattico forma un dimero, che è simile a un 5-idrossiacido; il dimero contiene un gruppo ossidrile ad una distanza conveniente dal gruppo carbossilico per la formazione di un lattone, pertanto forma rapidamente un diestere ciclico a sei membri conosciuto come lattide.
- glicemia
definizione
Letteralmente, la concentrazione di glucosio nel sangue, dal greco γλυκύς (glukýs → dolce) e αἷμα (haîma → sangue): Il glucosio è fondamentale per l’organismo poiché è il nutriente essenziale per tutte le cellule che lo prelevano direttamente dal sangue.
- legame glicosidico
definizione
Legame covalente che unisce il gruppo emiacetalico di uno zucchero con un atomo di un'altra molecola, formando un glicoside; a seconda del tipo di atomo per mezzo del quale si verifica la connessione si parla di legami O-glicosidici, se l'atomo è l'ossigeno, di legami N-glicosidici, se è un atomo di azoto, e di legami S-glicosidici, se invece è un atomo di zolfo.
I più importanti legami glicosidici sono quelli che permettono il legame di più zuccheri semplici tra loro per dar luogo dai disaccaridi, fino ai polisaccaridi complessi (legame O-glicosidico): qualora la prima molecola che viene legata è di glucosio (o altro carboidrato) è in forma α si parla di legame α-glucosidico mentre se è in forma β allora si creerà un legame β-glucosidico, e ciò è indipendente dalla configurazione dell’altro carboidrato coinvolto nella condensazione.
La stessa nomenclatura viene utilizzata qualora l'aglicone unito al glicone del glicoside, non sia un carboidrato ma una qualunque altra molecola; anche i legami N-glicosidici assumono una notevole importanza da un punto di vista biologico: si pensi al legame glicosidico fra il ribosio o il desossiribosio e determinate basi azotate, per formare i nucleosidi che, una volta fosforilati, formeranno i nucleotidi che compongono gli acidi nucleici (DNA o RNA).
Da un punto di vista chimico il legame è una condensazione in quanto libera una molecola d'acqua mentre la reazione inversa, di scissione del legame, è una idrolisi: gli enzimi che catalizzano l'idrolisi del legame glicosidico sono detti glicosidasi, solitamente caratterizzate solitamente da una specificità di reazione, essendo in grado di catalizzare la rottura di un legame α o β ma non di entrambi; fra le glicosidasi, alcune sono in grado di catalizzare la scissione solamente di specifici carboidrati, come nel caso delle cellulasi che idrolizzano esclusivamente il legame β-glicosidico della cellulosa. Talvolta il legame glicosidico, a causa della temperatura o del...
- carboidrati complessi
definizione
Appartenenti alla classe dei polisaccaridi, sono così chiamati per la loro struttura biochimica notevolmente più elaborata rispetto agli altri carboidrati, in particolare rispetto agli zuccheri semplici; la loro struttura molecolare è polimerica, in quanto costituiti dall'unione di almeno una decina monomeri di carboidrati semplici, potendo arrivare a costruire catene comprendenti diverse migliaia di unità (al di sotto delle 10 unità si parla di oligosaccaridi); le unità monomeriche costituenti sono i monosaccaridi, ovvero le molecole elementari dei glucidi.
Per l'uomo, i carboidrati complessi possono essere suddivisi in base alla loro varietà molecolare:
⇒ omopolisaccaridi - quando è presente un unico tipo di monosaccaride a costruire lunghe catene polisaccaridiche: amido, glicogeno, cellulosa, inulina e chitina.
⇒ eteropolisaccaridi - costituiti da migliaia di molecole eterogenee, cioè composti da differenti tipi di monosaccaridi: emicellulose, mucopolisaccaridi, glicoproteine e pectine.
Esiste anche una classificazione funzionale dei carboidrati complessi, che si basa sulla loro funzione biologica, potendo classificarli in nutrizionali, cioè in grado di fungere da deposito/riserva energetica come amido e glicogeno, oppure strutturali, come la cellulosa, l'emicellulosa, la pectina ed altre sostanze simili.
carboidrati complessi nell'alimentazione
L'essere umano è in grado di digerire in parte i carboidrati complessi, grazie a un pool enzimatico che agisce a partire dalla bocca (amilasi salivare) fino all'intestino (amilasi pancreatica e disaccaridasi dell'orletto a spazzola intestinale): questi enzimi sono in grado di scindere i legami α-glicosidici.
L'omopolisaccaride nutrizionale più diffuso tra le riserve vegetali è l'amido, composto da catene di amilosio (20%) e amilopectina (80%): l'amilosio è un polimero lineare composto da 250-300 unità di glucosio, contiene legami α1,4 glicosidici e risulta solubile in acqua, mentre l'amilopectina è...
- zucchero semplice
definizione
I glucidi di interesse alimentare sono solitamente suddivisi in carboidrati complessi e zuccheri semplici, anche se questi ultimi, più correttamente, andrebbero chiamati carboidrati semplici o solamente zuccheri; a questa categoria appartengono i monosaccaridi, come glucosio e fruttosio, ed i disaccaridi, come saccarosio, maltosio e lattosio; si tratta di composti dal sapore dolce, solubili in acqua, cristallizabili, di facile digestione e generalmente di rapido assorbimento in quanto i monosaccaridi sono assorbiti come tali, mentre i disaccaridi, per essere assorbiti, vengono prima idrolizzati a monosaccaridi a livello dell'orletto a spazzola dei villi intestinali.
Gli zuccheri semplici possono essere classificati in “disponibili”, come la maggior parte degli zuccheri semplici di origine alimentare, che sono prontamente utilizzabili dall'organismo e in “non disponibili”, come ad esempio il lattulosio, lo xilosio, lo xilitolo, il mannitolo ed il sorbitolo, che non sono digeribili, assorbibili e metabolizzabili; possono essere suddivisi anche in relazione alla struttura chimica, cioè in base al numero di atomi di carbonio che li compongono, potendo essere suddivisi in in triosi, tetrosi, pentosi ed esosi, o al gruppo funzionale che li caratterizza, che li ripartisce in aldosi (-CHO) e chetosi (R-CO-R).
Questi zuccheri, contrariamente ai carboidrati complessi, vengono assorbiti velocemente, causando picchi glicemici anche piuttosto importanti (rapidi innalzamenti della glicemia), in virtù del fatto che passano molto velocemente dall’intestino al circolo sanguigno e proprio per questa caratteristica, sono caratterizzati da un bassissimo effetto saziante: come reazione all'iperglicemia che consegue all'assunzione di zuccheri semplici, l'organismo è costretto a produrre e a liberare in circolo notevoli quantità di insulina per fronteggiare l'iperglicemia; il massiccio rilascio di quest'ormone può indurre brusco calo glicemico (ipoglicemia reattiva),...
- gruppo idrossilico
definizione
Il gruppo funzionale composto da ossigeno e da idrogeno, di formula -OH, conosciuto anche come gruppo idrossile, gruppo ossidrile, gruppo ossidrilico o gruppo alcolico, è un gruppo funzionale peculiare, in chimica inorganica, degli idrossidi (identificando le basi), mentre nella chimica organica costituisce il gruppo caratteristico degli alcoli e dei fenoli, ma è presente anche nel gruppo acido carbossilico (-COOH); tipicamente il gruppo idrossilico è attaccato ad un atomo di carbonio che non deve essere implicato in legami multipli.
L’atomo di carbonio può essere primario, secondario o terziario e dà origine i corrispondenti alcoli; la denominazione degli alcoli termina sempre in –olo, preceduta dal nome del corrispondente idrocarburo e preceduta o seguita dal numero che identifica la posizione del gruppo funzionale: tale posizione viene calcolata a partire dall’estremità della catena più vicina al gruppo -OH.
Il gruppo idrossilico, caratterizzato dal radicale monovalente (-OH), nei composti organici può divenire un radicale ossidrilico (•OH).
- chetoso
definizione
Detto anche chetosio è un monosaccaride contenente nella molecola un gruppo chetonico (funzione chetonica); può essere considerato derivato dal corrispondente polialcol per ossidazione di un gruppo alcolico primario e in soluzione acquosa assume carattere acido poiché dotato di un idrogeno terminale fortemente acido; che si trovano in natura, il più importante è il fruttosio.
Può essere definito un carboidrato semplice che presenta un gruppo chetonico sul secondo atomo di carbonio della loro molecola, cioè un gruppo carbonile (C=O) il cui carbonio, è direttamente legato agli atomi di carbonio che lo precederono e seguono nella molecola dello zucchero; a seconda del numero di atomi di carbonio posseduti dallo zucchero, si hanno i nomi di chetotrioso (3 atomi di carbonio → diidrossiacetone), chetotetroso (4 atomi di carbonio → trulosio, eritrulosio), chetopentoso (5 atomi di carbonio, esempio: ribulosio, xilulosio) e chetoesoso (6 atomi di carbonio, esempio: fruttosio, sorbosio); composto di cheto-, abbreviazione di chetone, che indica la presenza, nella molecola del composto del gruppo chetonico (, con il suffisso -oso o -osio, suffisso utilizzato per indicare un carboidrato.
I chetopentosi e i chetoesosi possono ciclizzare, per reazione tra il gruppo alcolico in posizione distale e il gruppo chetonico al secondo atomo di carbonio, formando un emichetale: se l'anello è costituito di 6 atomi prende il nome di anello piranosico, se invece gli atomi sono 5 l'anello è furanosico.
- aldoso
definizione
Detto anche aldosio è un monosaccaride contenente nella molecola un gruppo aldeidico (funzione aldeidica); può essere considerato derivato dal corrispondente polialcol per ossidazione di un gruppo alcolico primario e in soluzione acquosa assume carattere acido poiché dotato di un idrogeno terminale fortemente acido; il più importante è il glucosio.
Può essere definito un carboidrato semplice contenente un gruppo −CHO che, a seconda del numero di atomi di carbonio posseduti dallo zucchero, si hanno i nomi di aldoesosio (6 atomi di carbonio → allosio, altrosio, glucosio, mannosio, gulosio, idosio, galattosio e talosio.), aldopentosio (5 atomi di carbonio → ribosio, arabinosio, xilosio e lixosio), aldotetrosio (4 atomi di carbonio → eritrosio e treosio) e aldotrioso (3 atomi di carbonio → gliceraldeide); derivato di al. dehyd., cioè aldeide (che discende da alcohol dehydrogenatum), con il suffisso -oso o -osio, suffisso utilizzato per indicare un carboidrato.
- deossizucchero
definizione
Glucidi in cui un gruppo ossidrilico è rimpiazzato da un atomo di idrogeno, per mezzo di una reazione di deossigenazione (solitamente sul sesto carbonio).
Il deossizucchero più abbondante in natura è il deossiribosio, 2-deossizucchero che interviene nella formazione dell'acido deossiribonucleico (DNA). Altri esempi di comuni deossizuccheri sono rappresentati dal D-chinovosio (6-deossi-D-glucopiranosio), L-ramnosio (6-deossi-L-mannopiranosio) e L-fucosio (6-deossi-L-galattopiranosio), tutti costituenti di molecole riscontrate in piante e batteri.
I dideossizuccheri, ovvero i glucidi in cui vengono rimpiazzati due gruppi OH, sono più rari ma non meno importanti. Si riscontrano come unità terminali di oligosaccaridi legati a proteine di superficie di vari batteri.
- glicone
definizione
Porzione glicidica di un glicoside, solitamente rappresentata da un monosaccaride che, per mezzo di una reazione di condensazione con eliminazione di una molecola di acqua, si combina con un aglicone, cioè una sostanza che può avere natura diversa (di solito a carattere alcolico o fenolico), generano un glicoside: in base al glicone, cioè al monosaccaride, che li caratterizza, i glicosidi possono essere classificati in glucosidi (glicone = glucosio), fruttosidi (glicone = fruttosio), ramnosidi (glicone = ramnosio), galattosidi (glicone = galattosio), arabinosidi (glicone = arabinosio), steviosidi (glicone = steviolo).
Dal greco γλυκύς (glykýs → dolce) con il suffisso -one, che in chimica organica, indica la presenza, in un composto, di uno o più gruppi carbonilici (=CO).
- saccaride
definizione
Termine usato in chimica organica come sinonimo di carboidrato o di glicide; condivide la radice etimologica con zucchero, dal greco σάκχαρον (sákkharon → zucchero di canna), che assume in parole composte il significato «che contiene zucchero» o «che ha relazione con lo zucchero», con il suffisso -ide (con cui sono formati nomi di composti organici).
- disaccaride
definizione
Carboidrato che risulta dalla condensazione di due molecole di un monosaccaride, appartenenti alla famiglia dei glucidi ed in particolare ai cosiddetti zuccheri semplici: i disaccaridi sono la classe più semplice ed importante degli oligosaccaridi, che si formano quando due monosaccaridi (il primo con l'ossidrile emiacetalico, il secondo con uno qualsiasi dei suoi ossidrili), per mezzo di condensazione enzimatica, si uniscono eliminando una molecola d'acqua; chimicamente un disaccaride è un acetale, ed il legame che si forma è un legame acetalico, comunemente chiamato legame O-glicosidico.
La maggior parte dei disaccaridi esistenti in natura è costituita da esosi e pertanto corrisponde alla formula generale C12H22O11; il legame glicosidico tra le due molecole di monosaccaridi può coinvolgere il gruppo glicosidico (o aldeidico) dell’una e il gruppo alcolico dell’altra, dando luogo a uno zucchero riducente come il maltosio e il lattosio, oppure il legame può coinvolgere due gruppi glicosidici, con formazione di uno zucchero non riducente, come il saccarosio: come i monosaccaridi che li costituiscono, generalmente i disaccaridi sono solubili in acqua ed hanno un sapore dolce e potere dolcificante.
Ad esclusione del lattosio, contenuto nel latte, i disaccaridi provengono dai vegetali, nei quali sono presenti come tali, o uniti in numerose molecole a formare polisaccaridi, oppure sotto forma di glicosidi: fra i principali disaccaridi di origine vegetale il più conosciuto è il saccarosio (lo “zucchero” utilizzato normalmente per dolcificare), che viene prodotto grazie alla fotosintesi clorofilliana ed è costituito da una molecola di glucosio e da una di fruttosio; il maltosio è composto da due molecole di glucosio e generalmente deriva dall'idrolisi parziale dell'amido.
Nell'uomo il legame glicosidico, in alcuni casi, può essere scisso per idrolisi, mediante enzimi specifici localizzati a livello della mucosa intestinale, in particolare nell'orletto a...
- monosaccaride
definizione
Famiglia di zuccheri semplici, costituiti da una sola molecola di carboidrati, non ulteriormente scomponibili per idrolisi, che insieme ai disaccaridi rappresentano i glucidi a rapido assorbimento: classificati in base al numero di atomi di carbonio (da 3 a 9) costituenti la catena carboniosa (triosi, tetrosi, pentosi, esosi ...) ed al gruppo funzionale aldeidico (aldosi) o al gruppo funzionale chetonico (chetosi) che li contraddistingue; dal greco μόνος (mònos → singolo), σάκχαρον (sákkharon → zucchero di canna), che assume in parole composte il significato «che contiene zucchero» o «che ha relazione con lo zucchero», con il suffisso -ide (con cui sono formati nomi di composti organici).
biochimica dei monosaccaridi
I monosaccaridi, ad eccezione del diidrossiacetone, noto anche con il nome di triulosio, contengono almeno uno stereocentro e sono quindi otticamente attivi: la maggior parte dei monosaccaridi che si trovano in natura ha la configurazione D (destrogira), ad eccezione dell'arabinosio, un aldopentoso, che si trova nella configurazione L (levogira); tutti i monosaccaridi, aldosi o chetosi, sono zuccheri riducenti.
Sono costituiti da una catena lineare di atomi di carbonio che portano tutti un gruppo ossidrilico tranne uno che è legato con legame doppio all'ossigeno (carbonile → =C=O): se il carbonio che forma il gruppo carbonilico si trova all'estremità della catena avremo un'aldeide (aldosio), altrimenti un chetone (chetosio); in generale il suffisso da aggiungere al nome del carboidrato è -oso (oppure -osio), per gli zuccheri aldeidici, e -uloso (oppure -ulosio), per gli zuccheri chetonici, anche se in entrambi i casi ci sono comunque delle eccezioni.
I monosaccaridi più importanti sono i triosi, i pentosi e gli esosi: nei triosi la forma aldeidica si chiama gliceraldeide, mentre la forma chetonica viene chiamata diidrossiacetone; nei pentosi la forma aldeidica si chiama ribosio, mentre la forma chetonica prende il nome di ribulosio;...
- gruppo carbonilico
definizione
Gruppo funzionale, di formula =C=O, costituito da un atomo di carbonio e uno di ossigeno legati da un doppio legame che lo rende spiccatamente reattivo, per cui forma facilmente prodotti di addizione e polimerizzazione; è presente in molte classi di composti organici (aldeidi, chetoni, acidi carbossilici, esteri, ammidi, anidridi ...) e, data la sua alta reattività, è un gruppo funzionale fondamentale in chimica organica, potendo infatti essere utilizzato come punto di attacco per allungare o spezzare catene di atomi; dal latino carbo- (→ carbone, contenente carbonio), il suffisso -ile derivato dal greco -ὕλη (-hýlē → materia), che indica o i radicali idrocarburici o radicali acidi, ed il suffisso -ico, usato per denominare gli acidi e le aldeidi.
L'applicazione più notevole si trova nelle proteine, lunghe catene dotate regolarmente di legami peptidici nei quali è contenuto il carbonile: molti enzimi agiscono proprio sul legame carbonile per spezzarlo e dividere le proteine in segmenti.
- gruppo aldeidico
definizione
Gruppo funzionale caratterizzato dalla presenza di una aldeide, ovvero formato da un carbonile in posizione terminale nella molecola: il gruppo aldeidico è caratterizzato dalla formula −CHO (la cui presenza caratterizza le aldeidi); il nome delle aldeidi deriva da al. dehyd., cioè aldeide, che discende da alcohol dehydrogenatum (→ alcol deidrogenato).
Il gruppo funzionale bivalente =C=O viene detto carbonile (gruppo carbonilico) è comune sia alle aldeidi (R-CHO), sia ai chetoni (R-CO-R'): nelle aldeidi il carbonile è legato ad un radicale ed ad almeno un atomo di idrogeno.
- glicide
definizione
Sostanze ternarie composte da carbonio, idrogeno e ossigeno, la cui molecola contiene diversi gruppi ossidrilici e un gruppo aldeidico od un gruppo chetonico, dette anche carboidrati perché molte di esse contengono idrogeno e ossigeno nelle stesse proporzioni dell’acqua: costituiscono un vasto gruppo, piuttosto eterogeneo, di sostanze organiche di fondamentale interesse biologico, diffusamente presenti nel mondo vegetale e animale, sia come componenti strutturali sia come accumulatori dell'energia necessaria ai processi metabolici; il termine, che si alterna con quello di carboidrato e con quello più generico di zucchero, deriva dal greco γλυκύς (glykýs → dolce), col suffisso -ide, utilizzato in biochimica per formare i nomi dei composti organici. Il termine glicide è spesso utilizzato in modo interscambiabile con glucide e può essere considerato un sinonimo di carboidrato, saccaride e, entro certi limiti, di zucchero.
biochimica dei glicidi
La maggior parte dei glucidi può essere descritta dalla formula Cn(H2O)n, dove n è un numero maggiore o uguale a tre: dal punto di vista chimico, i glucidi sono aldeidi o chetoni ai quali sono stati aggiunti vari gruppi ossidrilici (-OH), solitamente uno per ogni atomo di carbonio che non fa parte del gruppo funzionale aldeidico o chetonico, potendo essere considerati poliossialdeidi, poliossichetoni o composti che possono formarli per idrolisi; in base alla loro complessità chimica si distinguono i monosaccaridi ed i disaccaridi, considerati carboidrati semplici e comunemente detti zuccheri, oppure i polioli, gli oligosaccaridi ed i polisaccaridi.
produzione e funzioni
I glicidi vegetali si formano nelle piante verdi, nelle alghe e nei batteri fotosintetici (organismi autotrofi) che, utilizzando l’energia solare, sotto l’azione catalitica della clorofilla trasformano l’acqua e l’anidride carbonica in sostanza organica; i glicidi animali, possono essere di derivazione alimentare oppure essere prodotti a...
- carboidrato
definizione
Noti in ambito biologico con il nome di glucidi e in ambito chimico come zuccheri, sono letteralmente “idrati del carbonio” ovvero sostanze formate da carbonio ed acqua; il nome di carboidrati fu introdotto nella letteratura chimica perché i primi composti studiati rispondevano alla formula generale Cn (H2O)n e forma molecolare (CH2O)n, mostrando un rapporto fra idrogeno e ossigeno uguale a quello con cui sono presenti nell'acqua: tale relazione è presente anche in molti altri composti che non appartengono alla famiglia dei carboidrati e, parimenti, alcuni carboidrati contengono idrogeno e ossigeno in un rapporto diverso da quello che si osserva per l'acqua (2:1). Dal latino carbo- (→ carbone, contenente carbonio) e idrato (→ di composto che contiene una o più molecole di acqua), derivato dal greco ὑδρο- (hýdō- → acqua) ed -ato, suffisso con cui sono formati i nomi dei sali e degli esteri.
Insieme a proteine e lipidi, i carboidrati sono i componenti principali della materia vivente avendo un'importanza fondamentale nella vita delle piante e degli animali: sono sostanze necessarie al mantenimento dell'attività funzionale delle cellule e costituiscono materiali strutturali e di riserva; le piante verdi sono gli unici esseri viventi in grado di sintetizzare i carboidrati partendo dall'anidride carbonica e dall'acqua, grazie alla presenza di clorofilla e mediante energia derivata dalla luce solare (fotosintesi clorofilliana).
Chiamati anche saccaridi, possono essere suddivisi in:
⇒ monosaccaridi - che sono le unità strutturali più semplici, i quali, a loro volta vengono classificati sulla base del numero di atomi di carbonio costituenti la catena (triosi, tetrosi, pentosi, esosi ...) e del gruppo funzionale (aldeidico o chetonico), distinguendosi perciò in aldosi e chetosi: esempi sono il ribosio, il glucosio, il fruttosio o il galattosio;
⇒ disaccaridi - formati dall'unione di due monosaccaridi: saccarosio (glucosio + fruttosio), lattosio (glucosio...
- irrancidimento
definizione
Processo di decomposizione chimica a cui vanno incontro i grassi, gli oli ed altri lipidi negli alimenti, che consiste in una serie di reazioni di idrolisi e/o ossidazione: le modificazioni chimiche avvengono tramite meccanismo radicalico che implica l'azione prolungata dell'ossigeno, con formazione di R.O.T.S. e conseguentemente odori e sapori sgradevoli.
biochimica dell'irrancidimento
Il processo di alterazione dagli oli e dai grassi può avvenire come conseguenza dell’azione della luce e dell’ossigeno presente nell’aria (irrancidimento ossidativo o autossidazione), per la presenza di doppi legami nelle molecole degli acidi grassi insaturi: a causa dell'ossidazione dei doppi legami, l'ossigeno atmosferico viene fissato sulla catena carboniosa, sui gruppi metilenici adiacenti al doppio legame, formando perossidi (radicali liberi idroperossidi) che si decompongono innescando reazioni a catena, producendo idrossiderivati, idrossichetoderivati, aldeidi, chetoni, acidi volatili o altre molecole dall’odore e dal sapore caratteristici, in genere pungente e sgradevole; il fenomeno porta ad un decadimento delle caratteristiche nutritive dell'alimento ed alla perdita significativa di vitamine liposolubili.
Mentre l'autossidazione si verifica esclusivamente alla presenza di acidi grassi insaturi, l’irrancidimento provocato da muffe e batteri, definito irrancidimento chetonico o rancidità biochimica, si può verificare anche su composti saturi: le muffe provocano l’ossidazione dell’atomo di carbonio in posizione β rispetto al gruppo carbossilico e la successiva messa in libertà di un chetone; l'irrancidimento chetonico determina l'aroma dei formaggi erborinati, come il gorgonzola, attraverso la formazione di metilchetoni in seguito ad ossidazione e successiva decarbossilazione.
L'irrancidimento lipolitico (idrolisi dei lipidi, ovvero irrancidimento idrolitico), abbastanza comune per le sostanze grasse, è provocato dalle lipasi, enzimi che attaccano i...
- umami
definizione
Viene considerato uno dei gusti fondamentali percepiti dalle cellule recettrici specializzate presenti nel cavo orale umano; originariamente si pensava che questi fossero dolce, salato, amaro e aspro: solo negli anni '90 del XX° secolo è stato inserito il gusto umami, dal giapponese 旨み、旨味、うまみ (→ saporito, gradevole al palato), termine utilizzato per identificare il sapore di glutammato monosodico o monosodioglutammato (MSG), che è particolarmente presente in cibi come la carne, il formaggio ed altri alimenti ricchi di proteine.
In realtà a partire dalla seconda decade del XXI° è stato riconosciuto un nuovo gusto, definito al momento oleogusto: assieme all'umami ed all'amaro, questi gusti sono stati raggruppati dai ricercatori in un insieme definito “nebulous bucket”, letteralmente scomparto indistinto, in quanto questi sapori sono di più difficile decrittazione da parte del senso del gusto, pur svolgendo un ruolo di esaltatori degli altri sapori base.
scoperta dell'umami
L'umami è stato identificato come un gusto fondamentale nel 1908 dal giapponese, professore di chimica, Kikunae Ikeda che, mentre compiva ricerche sul sapore forte del brodo di alghe Kombu, isolò il glutammato monosodico come responsabile del sapore; l'umami si può percepire anche, in valori più o meno concentrati, in alcuni alimenti già a crudo, quali il formaggio Parmigiano-Reggiano, specie se lungamente stagionato, il pomodoro maturo, i funghi porcini secchi, la colatura d'alici e l'aglio nero. L'umanami è frequentemente rappresentato dalla cucina orientale in quanto presente in alimenti come il katsuobushi (una bottarga di tonno che viene utilizzata in scaglie), nei funghi Shiitake (Lentinula Edodes) essiccati, nel miso (un condimento derivato dai semi della soia gialla, cui spesso vengono aggiunti cereali come l'orzo o il riso, la segale, il grano saraceno o il miglio).
La definizione ufficiale dell’Umami Information Center è «un gusto sapido piacevole che viene dal...
- oleogusto
definizione
Letteralmente “sapore di grasso”, originato dai grassi non esterificati (N.E.F.A.), che stimolano i recettori delle papille gustative: la rivista Chemical Senses, specializzata in chemorecezione (la risposta degli organi sensoriali a uno stimolo chimico), ha pubblicato nel 2015, uno studio che riconosce il grasso, come gusto primario, assieme a dolce, salato, amaro e aspro e umami; finora la presenza del grasso era considerata in funzione della percezione della consistenza e della testura (texture), mentre attualmente viene considerata come identificabile anche per il suo specifico sapore. Il termine oleogusto (oleogustus), proposto per descrivere questa sensazione rilevata dalla presenza di recettori specifici, deriva dalla radice latina ŏleum, dal greco ἔλαιον (élaion → olio), derivato di ἐλαία (elaía → ulivo).
Il sapore non va però confuso con la percezione di grasso, spesso descritta come gusto cremoso o vellutato, responsabile della texture e della palatabilità di certi alimenti, determinata dai trigliceridi: lo stimolo per il sapore è dato dagli acidi grassi di cui i trigliceridi sono costituiti: l'oleogusto, ovvero il sapore assoluto del grasso, soprattutto in eccesso può risultare sgradevole o spiacevole, da solo può provocare disgusto, ma in realtà viene ricercato e ci attrae perché esalta il meglio di altri sapori.
L'eccesso di acidi grassi liberi, qualora vengano ossidati, può conferire agli alimenti il sapore rancido che, da un lato, crea il particolare sapore dei formaggi piccanti o gli erborinati, dall'altro, può ricordare il retrogusto associato all’idea di conservazione difettiva, evocando il sentore del prosciutto tagliato da tempo, della frutta secca invecchiata, del burro diventato giallo, acido e con un retrogusto amarognolo, di caffè invecchiato perchè non confezionato adeguatamente o lasciato lungamente all’aria
- rancido
definizione
Termine utilizzato per descrivere le caratteristiche organolettiche tipiche acquisite dall'olio, dal burro, dalle sostanze grasse o dai cibi, soprattutto crudi, contenenti sostanze grasse che hanno subìto un processo di irrancidimento, acquistando quindi odore e sapore acre, aspro e sgradevole: dal latino rancĭdus, derivato di rancere (→ essere rancido, putrefatto), il lemma viene utilizzato, a volte, per indicare una sostanza grassa andata a male, avariata o deteriorata; è interessante notare che anche il termine rancore deriva dallo stesso verbo.
Il gusto rancido viene associato spesso all'idea di conservazione difettiva, evocando il sentore del prosciutto tagliato da tempo, della frutta secca invecchiata, del burro diventato giallo, acido e con un retrogusto amarognolo, di caffè invecchiato perchè non confezionato adeguatamente o lasciato lungamente all'aria; l’irrancidimento. però, è anche il processo necessario per ottenere formaggi piccanti o gli erborinati, o parte di prodotti antichi che si ritrovano in ogni tradizione.
rancido e oleogusto
Nel concetto gustativo tipico dei sapori, da un punto di vista della cultura alimentare dei paesi europei, il sapore rancido in genere stimola più un atteggiamento di repulsione che di attrazione; diversa è la considerazione che tale stimolo sensoriale scatena in persone cresciute nelle isole Faroe mangiando il «rast» (agnello essiccato per due mesi, senza conservanti), in Marocco mangiando lo «smen» (burro fermentato), o in Tibet, dove si consuma il burro di yak, uno degli alimenti di base della popolazione nel sud dell'Asia centrale, in quella che viene considerata una vera prelibatezza, il «bò cha» (tè tibetano al burro di yak rancido).
Il sapore rancido può essere definito come l'espressione del processo di decomposizione dei trigliceridi per idrolisi o ossidazione: questo processo crea acidi grassi liberi, pertanto l'oleogusto è l'espressione del gusto, assieme alla palatabilità ed alla cremosità,...
- sego
definizione
Detto anche sevo, termine preferito oggi nel linguaggio tecnico e chimico, è il grasso che riveste le regioni sottocutanee addominali e diversi organi interni del bue (cuore e reni): in senso più ampio indica il grasso dei bovini, equini e ovini; dal latino sēbum (→ sebo), il lemma sego viene talvolta utilizzato per caratterizzare un sapore o un odore di grasso nauseante, il tanfo o il lezzo rancido, riferendosi al sego ossidato.
composizione e utilizzo
Solitamente bianco, inodore e insipido, è costituito in massima parte da gliceridi dell'acido oleico, dell'acido palmitico e dell'acido stearico, è caratterizzato dalla presenza di acido grassi saturi o acidi grassi monoinsaturi, che rappresentano circa l'85% ed il 90% del sego: la sua composizione chimica è vicina a quella dello strutto ma con maggior quantità di acidi grassi saturi ma, a differenza di quest'ultimo, può essere conservato relativamente a lungo senza refrigerazione, a patto che sia in un contenitore ermetico che ne prevenga il contatto con l'aria, evitando la perossidazione e l'irrancidimento, per ossidazione dei grassi insaturi; nell'industria alimentare è la base per la preparazione di alcuni tipi di margarine e surrogati del burro (oleomargarina), classificato come additivo alimentare con la sigla E488.
Usato in saponeria come anti-schiumante (può essere indicato in etichetta con il termine inglese «tallowate»), fino alla fine del XIX° secolo era usato per fabbricare candele, oggi viene ancora utilizzato come lubrificante durante il processo di montaggio delle sale montate ferroviarie (le due ruote e l'assile corrispondente), in alternativa ai lubrificanti sintetici, in quanto non lascia residui untuosi dopo la sua decomposizione a contatto con l'aria.
Talvolta il termine sego viene utilizzato anche per grassi vegetali contenuti nei semi di varie piante, in particolare delle Euphorbiaceae (ricino), delle Dipterocarpaceae, o dell'albero del sevo (Sapium Sebiferum - Triadica...
- peptonizzazione
definizione
Trasformazione delle proteine in peptoni; avviene per un processo di scissione enzimatica incompleta a opera di fermenti proteolitici (proteasi) quali la pepsina.
- peptone
definizione
Prodotto intermedio della scissione enzimatica delle proteine ad opera di enzimi proteolitici come la pepsina, costituito da una miscela eterogenea di polipeptidi: il termine è utilizzato genericamente per descrivere le sostanze che si formano durante i processi di demolizione naturale delle sostanze proteiche per azione di fermenti proteolitici (pepsina, pancreatina, papaina) o trattando le proteine con alcali o con acidi in soluzione (peptonizzazione); dal greco πεπτ(ικός) (peptikós → digestivo), con il suffisso -one (accrescitivo sostantivante).
In fisiologia, il termine è usato soprattutto per indicare l’insieme dei prodotti di scissione delle proteine che passa nel duodeno dopo aver subìto nello stomaco l’azione della pepsina.
- clivaggio
definizione
Separazione di due strutture; si parla di piano di clivaggio per indicare la scissione per mezzo di una divisione che si crea agendo sulle zone di minor resistenza, che si manifestano fra le linee di tensione: è la fessura virtuale individuabile tra due tessuti adiacenti o adesi fra loro, usata come riferimento per scollarli chirurgicamente, parallela alle linee di tensione e di compressione dovute ai movimenti ordinari.
Il termine deriva dal francese cliver (→ sfaldare i diamanti o i cristalli) che a sua volta discende dal olandese klieven (→ tagliare), termine utilizzato per descrivere l’arte del tagliare i diamanti; può essere considerato un sinonimo di sfaldatura o fessurazione.
- proteolisi
definizione
Conversione di una proteina in sostanze più semplici, ottenuta per mezzo di enzimi: è il processo di degradazione delle proteine da parte dell'organismo: la proteolisi avviene in genere tramite idrolisi del legame peptidico ad opera di enzimi detti proteasi.
Le proteine, come tutti i componenti cellulari, presentano un determinato turnover: spesso i processi di proteolisi intervengono quando il ripiegamento della proteina non avviene in modo corretto o quando la proteina non serve più (degradazione fisiologica).
- proteasi
definizione
Detti anche peptidasi o proteinasi sono enzimi proteolitici, ovvero idrolasi in grado di catalizzare la rottura del legame peptidico tra il gruppo amminico e il gruppo carbossilico delle proteine: questo meccanismo enzimatico permette di degradare le lunghe catene di molecole di proteine in frammenti più corti (peptidi) e nei loro componenti (aminoacidi); gli enzimi proteolitici sono ubiquitari, cioè presenti nei batteri, nell’archea, in alcuni tipi di alghe, in alcuni virus e nelle piante, ma soprattutto negli animali.
funzione delle proteasi
Le proteasi del tubo digerente, sintetizzate a livello dello stomaco, del pancreas e della mucosa intestinale: questi enzimi, nel loro insieme, sono essenziali per la digestione delle proteine alimentari, che vengono ridotte a frammenti molecolari sufficientemente piccoli da permetterne l'assorbimento; le proteinasi adibite alla digestione delle proteine di origine alimentare rappresentano soltanto una piccola parte degli enzimi proteolitici, in quanto la maggioranza delle sostanze ad azione biologica sono proteine.
Molti ormoni, sono molecole di natura proteica, pertanto proteasi specifiche possono regolarne l'attività degradandole; le cellule del sistema immunitario contengono proteasi in grado di digerire la membrana cellulare dei microorganismi estranei. Alcune proteasi plasmatiche, come l'antitrombina III e la plasmina, giocano un ruolo importante nella coagulazione, impedendo un'eccessiva attivazione di questo meccanismo, che viene invece esaltato dalla trombina (anch'essa appartenente alla grande famiglia delle proteasi); l'azione modulatoria delle proteasi risulta quindi fondamentale nella regolazione delle varie funzioni corporee.
classificazione delle proteasi
Esistono diversi tipi di enzimi proteolitici, classificati in base ai siti in cui essi catalizzano la scissione delle proteine; le due classi principali sono le esopeptidasi, che accorciano la catena polipeptidica rimuovendo un residuo...
- escrezione
definizione
L'emissione di sostanze verso l'esterno del corpo: secondo alcuni autori il termine dovrebbe essere utilizzato solamente nel caso in cui le sostanze evacuate dal corpo siano il prodotto dell'eliminazione di sostanze superflue o scorie del catabolismo cellulare che avviene attraverso gli emuntori; dal latino excretio, derivato da excernĕre (→ separare, scartare composto da ex- (→ prefisso indicante separazione) e cernĕre (→ distinguere, vagliare).
Spesso viene utilizzato, il termine secrezione esocrina come sinonimo, anche se il processo di espulsione dovrebbe essere distinto dall'escrezione, cioè dall'eliminazione cellulare delle sostanze che si formano nel corso del metabolismo e che rappresentano prodotti di rifiuto non più utilizzabili dalle cellule, anche se talvolta questi prodotti possono svolgere a distanza funzioni utili nell'economia dell'organismo, come è il caso della bile o del sudore.
Altri ritengono che il termine debba essere utilizzato anche riferendosi alla secrezione ghiandolare verso l'esterno del corpo, come ad esempio nel caso di secrezioni ghiandolari all'interno dell'intestino, definendo l'escreto come il prodotto dell'attività ghiandolare attività esocrina.
Esempi di strutture a secrezione esocrina sono le ghiandole salivari e sudoripare, le ghiandole sebacee, le cellule mucipare presenti nella mucosa intestinale e bronchiale. Nel pancreas sono presenti cellule endocrine, che secernono insulina e glucagone, e cellule esocrine preposte alla produzione dei succhi pancreatici, contenenti gli enzimi che partecipano nell'intestino alla digestione degli alimenti.
Nel caso in cui si prenda in considerazione esclusivamente l'escrezione come processo di eliminazione delle sostanze inutili o tossiche prodotte dal metabolismo cellulare, le strutture deputate alla eliminazione di tali scorie sono gli organi denominati emuntori; tra di essi figurano: pelle, apparato urinario, intestino, apparato respiratorio, pancreas e fegato. ...
- increzione
definizione
Funzione propria delle ghiandole, di gruppi di cellule o, talvolta, di cellule isolate di elaborare ed immettere sostanze direttamente nel torrente circolatorio, detta anche secrezione endocrina; dal latino incretus, derivato da incernĕre (→ passare al setaccio) derivato da incernĕre (→ separare, scartare), composto da ĭn- e cernĕre (→ distinguere, separare).
Il termine è utilizzato anche per descrivere la produzione di ormoni da parte di una ghiandola endocrina e loro immissione nel torrente circolatorio: in genere il processo avviene attraverso la membrana citoplasmatica della cellula endocrina, regolata da fattori intracellulari che stimolano i granuli intracellulari di deposito dell’ormone; può avvenire in modo discontinuo (con mediazione solitamente calcio-dipendente) o in modo costante e continuo.
- secrezione
definizione
Funzione propria delle ghiandole, di gruppi di cellule o, talvolta, di cellule isolate di elaborare ed immettere sostanze direttamente nel torrente circolatorio (secrezione endocrina, detta anche increzione) o negli spazi interstiziali (secrezione paracrina); dal latino secretio, derivato da secernĕre (→ separare, scartare), a sua volta composto dal prefisso se- (indicante separazione) e cernĕre (→ distinguere, vagliare).
Il processo di secrezione dovrebbe essere distinto dall'escrezione: si parla di secrezione esterna, anche se sarebbe più corretto definirla escrezione, quando il prodotto delle cellule o degli organi viene riversato all'esterno, in superfici libere e in organi cavi; in genere, in questi casi, si parla anche di secrezione esocrina.
Le strutture ghiandolari che intervengono nei processi di produzione delle sostanze secrete vengono dette ghiandole esocrine (che liberano verso l'esterno) ed endocrine (che riversano nel sangue); i processi di secrezione si realizzano in tre momenti diversi e consecutivi: il primo consiste nella formazione endocellulare dei secreti, che avviene in sedi e con modalità differenti secondo la natura del secreto stesso. Il secondo può essere identificato dalla fase di raccolta dei secreti, in genere, sotto forma di granuli, in particolari formazioni citoplasmatiche per essere infine rilasciato nell'ambiente extracellulare, momento che costituisce la secrezione vera e propria (terza fase).
L'emissione dei secreti ghiandolari avviene con modalità diverse: nella secrezione apocrina i granuli di secreto vengono spinti verso la superficie della cellula e quindi eliminati attraverso estroflessioni della membrana cellulare; nella secrezione merocrina i materiali vengono eliminati per un processo di permeabilizzazione della membrana cellulare. Nella secrezione olocrina tutti gli elementi della cellula si trasformano in materiale di secrezione, mentre la cellula in sfaldamento viene distrutta e sostituita per la...
- acido solfidrico
definizione
Detto anche idrogeno solforato o solfuro di diidrogeno, è un idracido debole, diprotico (cioè in grado di cedere due ioni idrogeno), contraddistinto dal caratteristico odore di uova marce; la sua formula chimica è H2S.
In natura l'acido solfidrico si forma per decomposizione batterica o enzimatica delle proteine contenenti zolfo nei legami di stabilizzazione, tipo ponti disolfuro e negli amminoacidi solforati oppure durante la cottura delle proteine (denaturazione delle strutture secondaria, terziaria e quaternaria con rottura dei ponti disolfuro): insieme ai mercaptani, è il responsabile dello sgradevole odore delle feci e delle flatulenze.
acido solfidrico negli alimenti
L'acido solfidrico può essere prodotto negli alimenti dai quali si libera per evaporazione gassosa; è un derivato tipico della denaturazione delle proteine come, ad esempio, la rottura dei ponti disolfuro e l'aggregazione agli idrogenioni (H+): questa reazione è ben percepibile nell'uovo sodo dove la cottura, producendo solfuro diidrogeno a partire dallo zolfo dell'albume che, pur essendo volatile, viene trattenuto dal guscio, al momento della sgusciatura libera istantaneamente il gas rendendolo percettibile all'olfatto.
L'idrogeno solforato è anche un composto che facilita la distinzione tra alimenti di origine animale salubri rispetto a quelli in via di decomposizione: a causa dell'azione batterica putrescente sia verso i ponti solfuro delle proteine, sia a carico degli amminoacidi solforati, alimenti adulterati o eccessivamente invecchiati, provocano la liberazione di solfuro diidrogeno, come chiaramente percepibile, soprattutto, nella degradazione delle uova e del pesce avariati per mal conservazione.
- zimogeno
definizione
Detto anche proenzima, precursore inattivo di un enzima, solitamente proteolitico: lo zimogeno, per poter iniziare la sua attività, richiede la rottura di uno o più legami peptidici specifici ed in tal modo divenire un enzima attivo; dal greco ζύμη (→ lievito, fermento) e -γενής (→ nato da, col significato attivo di «che genera», «che dà origine a»), dal tema γεν- (→ generare).
Gli zimogeni vengono solitamente indicati aggiungendo al nome dell'enzima il suffisso -ogeno, mentre in altri casi, invece, si aggiunge semplicemente il prefisso pro-.
proenzimi
Gli zimogeni, rispetto alla sequenza amminoacidica della proteina matura, possiedono un frammento peptidico in più, che ne modifica la struttura del sito catalitico così da renderlo non accessibile al substrato, quindi cataliticamente inattivo: l'attivazione degli zimogeni può avvenire a causa dell'ambiente acido, di un lisosoma o per opera di enzimi specifici, generalmente attraverso il distacco di un frammento polipeptidico, definito peptide di attivazione; questo frammento viene rimosso proteoliticamente o per autocatalisi, come avviene, per esempio nella tripsina, o per azione di un altro enzima proteolitico, come nel caso della chimotripsina.
Talvolta, per trasformarsi nella sua forma attiva il proenzima può anche necessitare di alcuni ioni metallici (come calcio, magnesio o ferro) o da livelli particolari di pH; la necessità della presenza di zimogeni per l'organismo è legata al fatto che esistono numerose funzioni fisiologiche che devono verificarsi soltanto sotto particolari condizioni, come la digestione, la coagulazione del sangue o l'attivazione del sistema del complemento o dell'apoptosi. Altre volte, il significato biochimico degli zimogeni è quello di impedire che la sintesi proteica di enzimi proteolitici cataliticamente attivi possa portare alla digestione delle cellule e dei tessuti che la stanno effettuando, come si verifica, per esempio, nelle pancreatiti acute.
Un chiaro...
- pepsinogeno
definizione
Precursore proteico (zimogeno) della pepsina, viene secreto dalla mucosa gastrica come forma inattiva dell'enzima e necessita, per essere attivato, l'intervento dall'acido cloridrico: è una sostanza di natura proteica, elaborata dalle ghiandole piloriche e dalle cellule principali delle ghiandole del corpo e del fondo dello stomaco.
attivazione del pepsinogeno
Lo zimogeno, cioè la forma inattiva, acquisisce capacità funzionale soltanto dopo una precisa modifica strutturale: viene convertito in pepsina dopo essere stato secreto nello stomaco, mediante il distacco di 44 amminoacidi dall’estremità N-terminale della catena polipeptidica; questo processo può essere spontaneo a valori di pH inferiori a 2,5 che si attuano per effetto dell'azione acidificante dell'acido cloridrico secreto dalle cellule parietali dello stomaco o catalizzato dalla pepsina stessa (autocatalisi).
Una volta attivato dall'acidità gastrica, agisce come proteasi, ovvero scinde le proteine in peptidi, cioè in catene più piccole di amminoacidi, agendo sugli amminoacidi aromatici: è importantissimo che l'enzima proteolitico sia secreto in questa forma, perché in caso di produzione già in forma attiva all'interno delle cellule peptiche, potrebbe danneggiare gli stessi enzimi intracellulari, provocando un'autodigestione della cellula.
Pur portando un nome singolare, la pepsina, è in realtà costituita da una mistura eterogenea di frazioni proteiche differenti, accumunate da attività simile, che hanno origine dal pepsinogeno di gruppo I, secreto dalle cellule del fondo e del corpo gastrico (parte alta dello stomaco) e da un pepsinogeno di gruppo II, ubiquitario e come tale secreto anche dalle cellule della porzione inferiore (cardiali, antrali e duodenali di Brunner).
Il rilascio di HCl e pepsinogeno è regolato dalla gastrina, la cui secrezione è stimolata da fattori connessi al consumo di cibo (principalmente dalla dilatazione delle pareti gastriche).
importanza dell'acido...
- costipazione
definizione
Il termine assume significati diversi a seconda dell'interpretazione data da differenti persone, rendendo difficile una definizione precisa: generalmente, per costipazione si intende una diminuzione nella frequenza della defecazione, anche se molti la associano alla stitichezza o alla stipsi, sottintendendo la difficoltà nel passaggio delle feci, la durezza delle feci o la sensazione di un’evacuazione incompleta; dal latino constipatiō (→ ammassamento, concentrazione) derivato di cum (→ insieme) e stipere (→ premere).
In caso di costipazione, spesso, si osserva la mancanza di uno stimolo spontaneo alla defecazione: in questo caso il soggetto deve compiere grandi sforzi, per ottenere comunque un risultato incompleto; allo stesso tempo in presenza di costipazione si verifica un senso di ingombro intestinale per effetto dei cibi ammassati, associato all'accumulo di feci nel sigma/retto per la ridotta presenza del riflesso rettale.
- diatesi
definizione
Predisposizione costituzionale, congenita o acquisita, dell'organismo a sviluppare suscitare reazioni abnormi o malattie; la propensione a reagire in modo anomalo a stimolazioni fisiologiche, con manifestazioni potenzialmente morbose; dal greco antico διάθεσις (diáthesis → disposizione), derivante dal verbo διατίθημι (diatíthemi → disporre).
- tanfo
definizione
Odore sgradevole, acre, pesante, ristagnante, fetore proveniente da luoghi maleodoranti, caratterizzato dal sentore di muffa, di putrefazione e fermentazione; dal longobardo thampf (→ vapore): il tanfo, per quanto descriva l'odore con la caratteristica fisica del vapore, sottolinea in modo incisivo la natura di effluvio o di esalazione del miasma cioè un passaggio di sostanze nell'aria che promanano da una fonte malsana.
Il tanfo perciò, intrinsecamente suggerisce un lezzo pesante, stagnante, un odore grosso, grasso, che occupa e ammorba l'aria, fermo, quasi solido, sulfureo, batterico: un mefite, ripugnante, che colpisce le viscere; le cipolle trascurate, imputridendo emetto un tanfo cadaverico, così come lo spurgo di una fossa biologica ammorba l'aria con un tanfo grave, intenso, stagnante, permanente.
- lezzo
definizione
Fetore, puzza, il cattivo odore che proviene dal sudicio del corpo animale, di una stalla, degli appestati: per estensione, il sudiciume stesso, il marciume; da lezzare (→ puzzare), per aferesi e in senso antifrastico di olezzare.
Il termine è magistralmente utilizzato da Giuseppe Giusti nella poesia “Sant’Ambrogio” per descrivere l'odore di sudore che ristagna, creando un tanfo, un odore acre e pesante, misto di alitosi e sudore:
«Sentiva un’afa, un alito di lezzo;
Scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
In quella bella casa del Signore,
Fin le candele dell’altar maggiore»associando il lezzo al sego, cioè al grasso sottocutaneo dei bovini, degli equini e degli ovini, creando quindi la suggestione di odore di stalla dove fiato, sudore ed escrezioni si uniscono a creare un odore mefitico, un miasma, quasi visibile nel vapore dell'alitare.
- fetore
definizione
Odore greve e nauseante, persistente e disgustoso, insopportabile, che suggerisce la putrefazione di cadaveri, mefite, miasma: un'esalazione schifosa, intollerabile, riprovevole e ributtante; dal latino foetor (cattivo odore, lezzo, tanfo), derivato di foetēre (→ puzzare).
- miasma
definizione
Fetore che vizia l’aria, odore mefitico. nidore, esalazione malsana, in genere emanata da sostanze organiche in decomposizione come cadaveri o acque stagnanti: in passato erano credute causa di malattie (come la malaria), di infezioni e contagi, per cui si parlava di miasmi palustri o, in particolare di miasmi pestilenziali; dal greco μίασμα (míasma → lordura), derivato di μἳίνω (mííno → lordare, contaminare).
omeopatia e miasmi
In Omeopatia, il termine miasma (contaminazione), per estensione, diviene diatesi (predisposizione): l'esposizione di diverse persone agli stessi agenti causali (patogeni) porta allo sviluppo di differenti manifestazioni o patologie in base alla predisposizione individuale, espressione della costituzione innata (stamina): l'idea fu ideata da Samuel Hahnemann per spiegare perchè, a lungo andare, i sintomi tendono a ripresentarsi indipendentemente dalle cure, non riuscendo mai a debellare completamente la “malattia”; giunse a distinguere le patologie acute, che presentavano sintomi facilmente arginabili in breve tempo, da quelle croniche, ossia giacenti in profondità e che costituivano la vera causa della sintomatologia.
Secondo Samuel Hahnemann, gli squilibri originari della forza vitale, denominati miasmi, predispongono la persona a una particolare tipologia di malattie, ovvero a manifestare diatesi, cioè inclinazioni costituzionali al morbo, che possono essere suddivise in tre categorie:
⇒ miasma per difetto, detto psora, che dà luogo a ipotrofia e debolezza, corrispondenti a timidezza e insicurezza sul piano psichico;
⇒ miasma per eccesso, detto sicosi, i cui segni si esprimono sotto forma di verruche, noduli, fibromi, e di irrequietezza e impazienza psichiche;
⇒ miasma distruttivo, detto lue, che si manifesta con la disfunzione, l'erosione o la necrosi degli organi, corrispondente ad aggressività e atteggiamento violento.Nel “Organon dell'arte di guarire”, Samuel Hahnemann scrive:
«Se si escludono i disturbi...
- mefite
definizione
Odore che emana dalle mofete, cioè grotte o fumarole vulcaniche da cui fuoriescono miscele di gas composte da anidride carbonica e idrogeno solforato, oppure acque solforose o corrotte (stagnanti o putrescenti): sinonimo di aria malsana, irrespirabile perché impregnata di cattivo odore, equivalente a maleodorante, miasma, tanfo, fetore, lezzo; dal latino mephitis, voce di origine osca (sannitica).
Mefitis, in realtà, era una antica divinità italica, legata alle acque, invocata per la fertilità dei campi e per la fecondità femminile; il nome deriva significa probabilmente «colei che fuma nel mezzo» oppure «colei che si inebria» o ancora, con maggiore probabilità, «colei che sta nel mezzo», ovvero entità intermedia fra cielo e terra, fra morte e vita: a questa dea veniva attribuito il potere di fare da tramite e di presiedere al passaggio: come molte divinità legate al passaggio dalla vita alla morte, la loro presenza era legata ai vulcani o alle zone palustri o impregnate, appunto, da miasmi o mefiti, ricchi di sostanze sulfuree, odore caratteristico della putrefazione della materia organica
Nell'antica Roma a Mefitis era dedicato tempio (aedes Mefitis) ed un boschetto sacro (lucus Mefitis) sull’Esquilino, oltre ad essere onorata in varie località della penisola, in corrispondenza di zone vulcaniche e sorgenti sulfuree: il culto era diffuso in tutta l'Italia osco-sabellica, in particolare nelle zone abitate o frequentate dalle popolazioni sannitiche e nell'Irpinia.
- alitosi
definizione
Detta anche bromopnea, con questo termine si descrive il “respiro fetido, che puzza”: odore sgradevole dell'alito, causato da fenomeni putrefattivi prodotti da batteri anaerobi, in presenza di alterazioni del cavo orale, dell'apparato respiratorio, del sistema gastro-enterico oppure da patologie metaboliche o sistemiche; dal latino halitus, che deriva da halare (→ spirare, soffiare), la cui radice etimologica greca èἄνεμος (ánemos → vento) sommata a -ωσις (-osis → suffisso che indica una manifestazione morbosa, a carattere degenerativo), descrive un “decadimento” della qualità del fiato
Poiché “anima” proviene dalla stessa radice, il termine alitosi trasmette anche l'idea di una degenerazione della nostra parte più profonda, come ad indicare una "putrefazione" interiore: l’alitosi, diviene un involontario biglietto da visita che mostra un lato sgradevole e socialmente imbarazzante, che può essere motivo di esclusione o compromettere relazioni interpersonali.
eziopatogenesi
Il tipico fetore deriva dai cosiddetti composti volatili solforati (CVS), come avviene nella putrefazione di frammenti proteici del cibo rimasti nella bocca, per scarsa igiene alimentare o come conseguenza di xerostomia.
Talvolta il “mefite” dipende da fenomeni fermentativi causati da aerogastria oppure il lezzo ammoniacale deriva dalla crescita incontrollata di Helicobacter Pylori;
Altre volte il tanfo acidulo è causato da una candidosi intestinale o da una disbiosi fermentativa oppure da fenomeni putrefattivi a livello enterico, causati da un'alimentazione iperproteica in presenza di rallentato transito intestinale, per non parlare della manifestazioni come l'acetonemia o la formazione di acido solfidrico per la presenza di microemorragie gastriche; ugualmente il “fiato pesante” si può verificare quando si ingeriscono sostanze solforate volatili nei cibi come Liliacee (cipolla, aglio) o nelle Brassicaceæ (cavolo, broccolo).
- valvola ileo-cecale
definizione
Detta anche valvola di Bauhin, dal cognome del medico svizzero che la descrisse nel XVI secolo, è una struttura anatomica posta nella fossa iliaca destra; caratterizzata dalla presenza di due lembi di mucosa che originano dall'ileo per protrudere nel lume del crasso, delimita il confine tra il tratto terminale dell'intestino tenue e quello prossimale dell'intestino crasso.
Alcuni studiosi ritengono che la giunzione fra il tenue ed il colon sia un manicotto di fibre muscolari lisce che vanno a costituire una sorta di sfintere (sfintere-ileocecale).
Svolge una azione di controllo, regolando il transito del chilo verso il cieco; la sua funzione è di aumentare il tempo di permanenza del chimo nell'Ileo, tratto preposto all'assorbimento dei nutrienti, o impedire, chiudendosi, il reflusso del contenuto intestinale dal crasso al tenue. All'opposto consentire, aprendosi, l'afflusso del contenuto intestinale dal tenue nel crasso.
Di fatto controlla il passaggio del contenuto ileale nel ceco: per maggiori approfondimenti si veda “Valvola Ileo-Cecale: una valvola irritabile; aperta o chiusa?”
Il riempimento del colon aumenta la pressione del cieco e tende a spingere il materiale fecale all’indietro contro i lembi valvolari, determinandone la chiusura: quando il materiale fecale penetra profondamente nell'intestino tenue, è possibile sviluppare una sindrome da contaminazione batterica (S.I.B.O.) o fenomeni infiammatori legati alla superinfezione batterica o micotica del tratto; quando la valvola rimane chiusa, si possono verificare fenomeni fermentativi e putrefattivi, che danno luogo ad un quadro sovrapponibile a quello della valvola aperta.
La disfunzionalità della valvola ileo-cecale, soprattutto quando questa si infiamma, dà luogo alla cosiddetta sindrome della valvola ileo-cecale, un disturbo caratterizzato da poliedricità sintomatologica, con manifestazioni che non solo interessano l'intestino, ma che possono ripercuotersi sull'intero...
- eterogeneità
definizione
Concetto che mira a descrivere la disomogeneità, la disuguaglianza, la diversità o l'eterogenesi (eterogenia); composto dal greco ἑτερο- (etero- → differente) e dal tema γεν- (gen- → generare); che presenta al suo interno differenze formali o sostanziali, ovvero composito, differenziato, disomogeneo, disparato, dissimile, diverso, variegato, vario.
In genetica, l’esistenza di diverse mutazioni che causano fenotipi simili: quando la stessa malattia (definita in termini di sintomatologia clinica) è causata da mutazioni in diversi loci genici; ne sono esempi l’albinismo e la fenilchetonuria. Gli stessi o simili sintomi clinici derivano da mutazioni diverse in uno stesso locus genico, cioè da una eterogeneità allelica o intralocus, ciascuna delle quali può inibire o alterare l’espressione del gene.
- acido cloridrico
definizione
Principale costituente del succo gastrico, è un idracido composto di cloro e idrogeno, che ha formula bruta HCl; in acqua si dissocia completamente, rilasciando uno ione H+ (un protone) e uno ione cloro Cl-, venendo perciò considerato un acido minerale forte (si ionizza completamente in soluzione acquosa) monoprotico (ogni sua molecola, dissociandosi, libera un solo ione idrogeno): in soluzione acquosa lo ione H+ si lega all'acqua (H2O) per dare uno ione idronio H3O+.
un po' di storia
L'acido cloridrico fu scoperto nel IX secolo dall'alchimista persiano Jabir ibn Hayyan, che lo ottenne mescolando il salgemma (NaCl) con del vetriolo verde (acido solforico H2SO4 in soluzione acquosa): Jabir ibn Hayyan scoprì che una miscela di acido cloridrico e acido nitrico, l'acqua regia, è in grado di sciogliere l'oro; nel Medioevo anche questo acido, che a quei tempi era conosciuto come “spirito di sale” o “acidum salis”, fu preso in considerazione per la ricerca della pietra filosofale.
Antoine-Laurent de Lavoisier, chimico, biologo, filosofo ed economista francese, lo battezzò acido muriatico, dal latino muria (→ salamoia), che significa “del sale” o “acqua marina”, nome che è rimasto in uso fino ad oggi.
fisiopatologia umana
Principale componente del succo gastrico, presente in concentrazioni dello 0,3 02470,5% nello stomaco, ove contribuisce alla digestione degli alimenti: viene secreto dalle cellule parietali (cellule ossintiche), appartenenti al sistema delle ghiandole epiteliali gastriche; queste cellule contengono una riserva di succo nei canalicoli, dai quali il secreto viene riversato nello stomaco.
I meccanismi che proteggono l'epitelio gastrico dalla potente azione corrosiva dell'acido cloridrico sono una retroazione negativa delle secrezioni acide (meccanismo di controllo a feedback negativo), la struttura dello stesso epitelio gastrico e lo strato protettivo di muco che ricopre lo ricopre assieme alla secrezione di bicarbonato di sodio da...
- cellule ossintiche
definizione
Cellule ghiandolari della mucosa gastrica secernenti acido cloridrico, dal greco ὀξύνω (oxýno → rendere acido), dette anche cellule delomorfe, da δῆλος (dêlos → evidente) e -μορϕος (morphos → a forma di) o cellule parietali; fanno parte delle ghiandole gastriche e sono responsabili della secrezione di acido cloridrico e del fattore intrinseco di Castle verso il lume dello stomaco.
descrizione
Possiedono un esteso sistema di tubuli intracellulari che hanno la funzione di aumentare la superficie utile alla produzione del principale secreto di questo tipo di cellule, ossia l'acido cloridrico, responsabile del pH acido dei succhi gastrici. Sottostanno a regolazione neuro-ormonale In particolare acetilcolina, istamina e gastrina fungono da fattori stimolanti, mentre somatostatina, PGE, PGI ed EGF (Epidermal Growth Factor) risultano i fattori inibitori.
Le cellule ossintiche sono oggetto di attacco autoimmunitario in una patologia chiamata gastrite cronica atrofica autoimmune: tale condizione si caratterizza per la presenza in circolo di auto-anticorpi, diretti contro le cellule parietali, con conseguente deficit di HCl e di fattore intrinseco, che porta allo sviluppo di un quadro di un'anemia megaloblastica da deficit di vitamina B12 e la comparsa di anemia perniciosa.
- ipochilia
definizione
Sindrome caratterizzata da scarsa secrezione di succhi digestivi (acido cloridrico e pepsina) che si accompagna, quasi invariabilmente, a ipocloridria e dispepsia; dal greco ὑπο- (hypo- → scarso) e χῦλος (chylós → succo, chilo).
Si differenza dall'ipocloridria in quanto in quest'ultima è carente solo la produzione di acido cloridrico da parte della mucosa gastrica: spesso i termini di ipochilia e ipocloridria vengono impiegati indifferentemente, per il fatto che nella massima parte dei casi la insufficiente produzione di acido cloridrico si accompagna ad insufficiente produzione di pepsina.
ipochilia e manifestazioni gastro-intestinali
I sintomi dell'ipochilia sono sovrapponibili a quelli dell’achilia, anche se si manifestano solitamente in forma meno severa: sono legati alla deficiente digestione dei cibi essendo caratterizzata da accentuati fenomeni dispeptici; per la ridotta azione digestiva e antisettica dell’acido cloridrico e per la conseguente atonia gastrica, si verificano inappetenza, senso di peso all'epigastrio, pirosi gastrica, aerogastria, alitosi, spesso con lingua bianca e patinosa o glossite atrofica, potendo generare anche una malattia da reflusso gastro-esofageo.
Poiché il più delle volte vi è insufficienza motoria e quindi ristagno del cibo nello stomaco, dove manca d'altra parte l'azione antisettica dell'acido cloridrico, si producono fenomeni di fermentazione abnorme (dispepsia putrida) con eruttazioni acide, rigurgiti di materiale acido, dovuti alla presenza di acidi organici (acido lattico, butirrico, acetico ...) nei prodotti della decomposizione.
Le tossine prodotte per effetto della fermentazione e della putrefazione, passando nell'intestino, lo irritano, e producono, meteorismo e bloating, flatulenza, alvo irregolare, frequentemente diarree (dispepsia intestinale gastrogena), talvolta alternate a stipsi e costipazione; possono esercitare un'azione tossica su tutti gli organi e specularmente sul sistema nervoso, e dare...
- pepsina
definizione
Enzima proteolitico, della classe delle idrolasi, presente del succo gastrico: deriva, per attivazione da parte dell’acido cloridrico, dal pepsinogeno secreto dalle ghiandole piloriche e dalle cellule principali delle ghiandole del fondo dello stomaco; dal greco πέψις (pépsis → digestione).
In ambiente acido, la pepsina determina la trasformazione delle sostanze proteiche in in grossi frammenti peptidici (peptoni), solubili in acqua; la sua attività si svolge a pH variabile tra 1,5 e 4,5, ad una temperatura fra i 37 °C e i 42 °C, condizioni compatibili con l'ambiente gastrico in cui opera; secondo l'origine del fermento e la natura del substrato, la sua efficacia che aumenta in modo esponenziale al diminuire del pH.
Individuata inizialmente nel 1836 da Theodor Schwann, la pepsina è stata il primo enzima animale ad essere stato descritto.
funzioni della pepsina
La pepsina digerisce la maggior parte delle proteine, fatta eccezione per la mucina e per alcune varietà di protamine e di cheratina: le proteine denaturate vengono scisse più facilmente e rapidamente di quelle integre; svolge un importante ruolo nella digestione delle proteine alimentari, anche se non è indispensabile perché anche i succhi intestinali sono in grado di scindere le proteine in peptoni.
Si dicono peptogene le sostanze (gelatina, peptoni ...) capaci di aumentarne la secrezione della mucosa gastrica: la sua scarsezza (ipochilia) o addirittura la sua mancanza (achilia) nel succo gastrico caratterizza la maggioranza delle gastriti croniche, le neoplasie gastriche, l’anemia perniciosa, l’achilia congenita, ma anche l'aerogastria e le dispepsie o la M.R.G.E.; un sua aumento può manifestarsi in talune gastriti croniche e nell'ulcera gastrica.
- tiramina
definizione
Ammina derivata dalla tirosina (4-idrossi-fenetilamina), la cui formula bruta è C8H11NO, è un composto aromatico e un’ammina biologica che viene sintetizzata per decarbossilazione ossidativa della tirosina in seguito a processi fermentativi o di decomposizione batterica, reazione catalizzata dall'enzima tirosina decarbossilasi: rientra fra le feniletilammine sostituite, cioè una ampia e variegata classe di composti con diversi ruoli ed effetti fisiologici; la tiramina è un simpatico-mimetico ad azione indiretta, perché induce un aumento della concentrazione di catecolamine, ovvero dopamina, adrenalina e noradrenalina nello spazio sinaptico, oppure dell’istamina, responsabile dei sintomi tipici delle reazioni allergiche.
La tiramina, come tutte le monoammine, è metabolizzata dalle monoaminossidasi (MAO) e nel cervello, può essere convertita in dopamina; l’assunzione di farmaci inibitori delle monoaminossidasi (I-MAO), usati come antidepressivi, riduce il metabolismo della tiramina, determinandone un aumento della concentrazione, che porta alle crisi ipertensive, che si manifestano spesso con cefalea.
azione della tiramina
La tiramina è un simpaticomimetico in grado di stimolare il rilascio di noradrenalina, causando vasocostrizione, con aumento dei battiti cardiaci (tachicardia) e della pressione sanguigna (ipertensione), agendo da neurotrasmettitore sui recettori TAAR (Trace amine-associated receptor), distribuiti nel cervello e in tessuti periferici quali i reni (potendo quindi agire in modo diretto sul controllo della pressione sanguigna): l'importanza della tiramina assunta per via alimentare è associata alla possibile recrudescenza delle emicranie.
La maggior parte degli effetti della tiramina si esplicherebbe attraverso il rilascio di catecolammine e serotonina che agirebbero da vasodilatatori cerebrali, con aumento della permeabilità capillare ed edema perivasale: questo può stirare le terminazioni nervose perivasali e, di conseguenza,...
- I-MAO
definizione
Acronimo per «inibitori delle monoamino ossidasi», una classe di farmaci in grado di ridurre o bloccare l'attività delle monoamino ossidasi, gli enzimi che metabolizzano per via ossidativa le monoammine, un insieme di sostanze endogene che comprendono alcuni neurotrasmettitori (come la serotonina e le catecolamine adrenalina, noradrenalina, melatonina, dopamina) o composti esogeni come la tiramina e alcuni farmaci; l'inibizione della degradazione dei neurotrasmettitori che svolgono un ruolo nella regolazione del tono dell'umore, ne comporta un aumento nel sistema nervoso centrale, cui consegue l'effetto antidepressivo ed ansiolitico degli I-MAO. L'inibizione delle MAO a livello del sistema nervoso centrale determina un aumento dei livelli sia intracellulari che sinaptici delle catecolamine e della serotonina, che svolgono un ruolo nelle patologie psichiatriche.
Esistono due isoforme di monoaminossidasi: le MAO-A, che degradano preferenzialmente serotonina, melatonina, noradrenalina, adrenalina, dopamina e triptamine, e le MAO-B, che degradano invece dopamina, triptamine e feniletilammina. Entrambe le isoforme sono presenti nel sistema nervoso centrale dove sono tra i principali responsabili della degradazione dei neurotrasmettitori monoaminici: le MAO-A sono estensivamente espresse anche nel fegato (dove degradano le monoamine come la tiramina assunte con la dieta), nel tratto gastrointestinale, nella placenta e nell'endotelio vascolare polmonare, mentre le MAO-B si ritrovano soprattutto nelle piastrine.
fitoterapia e monoaminossidasi
La curcumina ed alcune sostane naturali posseggono la capacità di inibire (non selettivamente) le MAO; berberina, coptisina, resveratrolo sono inibitori selettivi delle MAO-A, mentre piperina, catechina, idrossitirosolo agiscono sulle MAO-A. La Glycyrrhiza Glabra (liquirizia) e l'Eleutherococcus Senticosus (ginseng siberiano) posseggono un'azione anti-MAO, ma non si conosce su quali recettori svolano la loro...
- formula condensata
definizione
Formula chimica in cui si usa un modo alternativo di indicare la struttura delle molecole, rispetto alla formula di struttura: offre molte più informazioni rispetto ad una formula bruta e possiede una sua utilità pratica nel caso di composti semplici non ciclici.
Il suo scopo non è tanto quello di evidenziare la disposizione spaziale degli atomi, ma piuttosto è quello di mostrare come si succedono i legami tra i gruppi che costituiscono una molecola mediante una rappresentazione grafica contratta e compatta.
esempi
L'etanolo viene indicato, con una formula condensata del tipo CH3CH2OH evidenziando in questo modo un gruppo etilico (CH3CH2-) legato all'ossidrile (OH) caratteristico degli alcoli; quando si succedono diversi gruppi dello stesso tipo, o quando sono presenti ramificazioni, i gruppi interessati vengono racchiusi tra parentesi tonde.
Se si prende in considerazione, ad esempio, l'acido miristico, in cui si succedono 12 gruppi metandiilici (-CH2-) o ponti metilenici, viene indicato con CH3(CH2)12COOH mentre una molecola ramificata come l'isoottano è indicata nel seguente modo: CH3C(CH3)2CH2CH(CH3)2.
- formula di struttura
definizione
La formula di struttura di una molecola è un tipo di formula chimica che indica la natura degli atomi che compongono una molecola, descrivendone la disposizione spaziale e come essi sono legati tra loro: il miglior modo di rappresentare, su una superficie piana, la struttura atomica di una molecola; è possibile utilizzare anche un formula condensata, che è un modo alternativo e conciso di indicare la struttura delle molecole, utilizzata in particolare quando si vuole risparmiare spazio.
Mentre la formula bruta (o formula grezza) evidenzia semplicemente gli elementi chimici e il numero di atomi di ciascun elemento che costituiscono la specie chimica in questione, ma non ci fornisce alcuna informazione sulla connettività degli atomi, ovvero sul modo in cui gli atomi sono legati tra loro, le formule di struttura (o formule di costituzione) ci danno la possibilità di conoscere come gli atomi sono legati tra loro.
Se, ad esempio, prendiamo in considerazione il glucosio, la cui formula bruta è C6H12O6, grazie a questa sappiamo che la molecola è formata da sei (6) atomi di carbonio, dodici (12) di idrogeno e sei (6) di ossigeno, ma non conosciamo in che modo i differenti atomi sono in relazione reciproca; la formula di struttura, viceversa ci dice che c'è uno scheletro (catena carboniosa) caratterizzato dalla presenza di un gruppo aldeico in C1, una serie di gruppi ossidrilici sui carboni da C2 a C4 ed infine un gruppo alcolico in posizione C6.
È importante osservare che ad una unica formula bruta possono corrispondere più composti e quindi più formule di struttura: ad esempio, alla stessa formula bruta C6H12O6 corrispondono composti che presentano formule di struttura diverse, cioè sia a una serie di stereoisomeri definiti generalmente inositolo (vitamina B7) che, dal punto di vista chimico, sono dei polioli carbociclici, sia a differenti esosi isomeri, cioè carboidrati caratterizzati dalla presenza di sei atomi di carbonio, chiamati allosio, altrosio,...
- lecitina da Helianthus Annuus
definizione
Miscela emulsionante ed un antiossidante, ottenuta dai semi di girasole (Helianthus Annuus), commercializzata come additivo alimentare con la sigla E 322: può essere considerata la miglior fonte di lecitina vegetale in quanto ricca di fosfolipidi ed acidi grassi essenziali, ed un un ottimo sostituto della più conosciuta e diffusa lecitina di soia (pericolosa per i soggetti allergici a questa sostanza).
lecitina
Scoperta nel 1846 dal ricercatore francese, chimico e farmacista, Maurice Gobley, che per primo la isolò dal tuorlo d'uovo, la lecitina è una miscele di molecole costituite da una regione lipidica, insolubile in acqua, e da un residuo di acido ortofosforico, idrosolubile: grazie a tale particolarità, le lecitine sono agiscono come emulsionanti, permettendo di mantenere in soluzione i grassi e l'acqua, normalmente non miscibili; le lecitine sono presenti in tutte le cellule in quanto componenti della membrana cellulare.
I principali costituenti di questi glicerofosfolipidi sono, in varie proporzioni, fosfatidilcolina, fosfatidiletanolammina, fosfatidilinositolo, fosfatidilserina e acido fosfatidico e fosfolipidi in genere, costituiti da glicerolo, acido fosforico, colina e da residui di acidi grassi che possono essere saturi (acido palmitico o stearico) o insaturi (acido oleico, linoleico, linolico o arachidonico).
additivo alimentare
La lecitina di Girasole viene ampiamente impiegata nell’industria alimentare (in particolare per i prodotti da forno), grazie alla sua capacità di emulsionare acqua e grassi, e come agente di sospensione in quanto mantiene le polveri disgregate, prevenendone l’agglomerazione (anticaking agent): il suo uso rende gli impasti più morbidi e più facili da lavorare, garantisce una miglior distribuzione degli ingredienti, evitando che il prodotto finito sia tropo duro, e, come umettante, aiuta le sostanze in polvere a sciogliersi più velocemente in acqua.
È usata nella produzione di diversi alimenti, come la...
- ginkgoside
definizione
Principi attivi presenti nei fitoestratti del Gingko Biloba, caratterizzati dalla presenza di glicosidi caratterizzati dalla presenza di composti fenolici classificabili come flavonoli, venendo considerati dei flavoglicosidi: possono essere inseriti, sia per le caratteristiche chimiche, sia per l'azione farmacologica, fra i ginkgolidi.
- bilobalide
definizione
La bilobalide è un costituente principale dei terpenoidi presenti nelle foglie di Gingko Biloba: è responsabile di gran parte degli effetti neuroprotettivi degli estratti di Gingko Biloba, oltre a indurre gli enzimi epatici CYP3A1 e 1A2, che possono essere parzialmente responsabili delle interazioni tra Gingko Biloba e altri medicinali a base di erbe o farmaci; è stato recentemente scoperto che la bilobalide è un modulatore allosterico negativo per i recettori GABA, implicati nel funzionamento cognitivo e della memoria.
Assieme ai ginkgolidi sono i responsabili dell’azione neuroprotettrice e del miglioramento delle facoltà celebrali del Gingko Biloba.
- lattoni terpenici
definizione
Classificabili come ginkgolidi e bilobalidi, sono i responsabili dell’azione neuroprotettrice e del miglioramento delle facoltà celebrali del Gingko Biloba.
La bilobalide è un costituente principale dei terpenoidi presenti nelle foglie di Gingko Biloba: è responsabile di gran parte degli effetti neuroprotettivi degli estratti di Gingko Biloba, oltre a indurre gli enzimi epatici CYP3A1 e 1A2, che possono essere parzialmente responsabili delle interazioni tra Gingko Biloba e altri medicinali a base di erbe o farmaci; è stato recentemente scoperto che la bilobalide è un modulatore allosterico negativo per i recettori GABA, implicati nel funzionamento cognitivo e della memoria.
- Ginkgo Biloba
proprietà
Il Ginkgo Biloba può essere utilizzato per il trattamento di diversi disturbi, fra cui ricordiamo: deterioramento mentale, aterosclerosi e sue manifestazioni (prevenzione e cura), arteriopatie obliteranti degli arti inferiori, cerebro-vasculopatie, cardiopatia ischemica, malattia di Raynaud, vasculiti, insufficienza vertebro-basilare, acufeni e sindromi vertiginose in genere, microangiopatia diabetica, ipertensione arteriosa e retinopatie, è impiegato anche nella prevenzione dei danni da fumo e delle trombosi venose.
antinfiammatorio e antiossidante
Al ginkgo sono attribuite numerose proprietà, fra le quali, sicuramente, spiccano quelle antinfiammatorie e antiossidanti. Più nel dettaglio, l'azione antiflogistica attribuita a questa pianta è ascrivibile ai ginkgolidi in essa contenuti. Alcuni studi hanno dimostrato che il ginkgolide B in particolare è in grado di inibire l'attività del PAF (fattore di attivazione piastrinico) attraverso l'antagonizzazione del suo recettore. Il fattore di attivazione delle piastrine, infatti, svolge un ruolo importante nei processi infiammatori e nelle variazioni della permeabilità vascolare.
L'attività antiossidante del ginkgo, invece, è imputabile ai flavonoidi e ai derivati terpenici (ginkgolidi e lattoni sesquiterpenici) in esso contenuti. Infatti, queste molecole - oltre a prevenire la perossidazione lipidica - esplicano anche un'azione di "spazzini" dei radicali liberi (free radical scavenger).
Inoltre, da alcuni studi è emerso che il ginkgo sarebbe in grado di esercitare un'azione antiossidante anche direttamente a livello del fegato, dove - agendo sul sintema microsomiale epatico P450 - sembra essere in grado di ridurre la produzione di radicali liberi.
Le proprietà del ginkgo hanno suscitato molto interesse ed è per questo motivo che numerose ricerche sono state condotte sui principi attivi in esso contenuti.
Fra queste, spicca uno studio relativamente recente (2001) che ha messo in luce come l'estratto...
- flavonolo
definizione
Composti di origine vegetale appartenenti alla classe dei flavonoidi, aventi come base il 3-idrossiflavone: sono distribuiti molto ampiamente nel regno vegetale, generalmente in angiosperme lignificate; i flavonoli svolgono un ruolo come pigmenti nelle piante. Spesso generano una pigmentazione gialla brillante, che contribuisce al colore dei petali di certi fiori, in combinazione con altri pigmenti come carotenoidi e antocianine; questa vistosa tonalità di giallo è stata impiegata nel corso della storia umana come tintura.
Tra i flavonoli più diffusi vi sono la quercetina (non presente in natura in forma isolata ma come aglicone di vari glicosidi, tra cui rutina e quercitrina) ed il quercitolo che sono presenti nella Ruta Graveolens, nel Fagopyrum Esculentum, nel Sambucus Nigra e in moltissime altre piante; il canferolo (kaempferolo) che si trova nel Sambucus Nigraa, nella Cassia Senna, nell'Equisetum Arvense, nel Lamium Album, nel Polygonum Bistorta.
- ginkgolide
definizione
I ginkgolidi sono una classe unica di diterpenoidi (lattoni terpenici) che si ritrovano negli estratti di Ginkgo Biloba; gli effetti farmacologici dei ginkgolide sono molteplici, ma un effetto chiave è la loro attività come potenti antagonisti selettivi del fattore di attivazione delle piastrine (PAF → Platelet Activating Factor), che ha portato alla preparazione di un fitoterapico basato su una miscela standardizzata di flavonoli glicosidi, detti anche flavoglicosidi (talvolta denominati anche ginkgosidi) al 24% e 6% di diterpeni trilattoni: le proprietà terapeutiche di queste sostanze sono notevoli e riconducibili principalmente all’attività protettrice dei vasi sanguigni e regolatrice del flusso ematico, oltre a mostrare effetti sul sistema nervoso centrale come il potenziamento cognitivo e il miglioramento della memoria
Il PAF è una sostanza infiammatoria, coinvolta in vari disturbi infiammatori, cardiovascolari e respiratori: i ginkgolidi agiscono inibendo selettivamente l’aggregazione piastrinica indotta dal PAF, oltre a mostrare attività protettrice sull’endotelio vascolare, capacità antiossidanti ed antiallergiche, un'azione regolatoria del flusso ematico a livello della circolazione ematica periferica e cerebrale; numerosi studi clinici hanno dimostrato l’effetto positivo degli estratti di ginkgo nell’aumentare la vasodilatazione e il flusso del sangue periferico nei capillari e nelle arterie in vari disturbi circolatori, nel morbo di Raynaud, nell’insufficienza venosa degli arti inferiori, nello sindromi post-trombotiche, nei disturbi vascolari periferici (vertigini, ronzii auricolari, disturbi vestibolari) e centrali (deficit di memoria e attenzione), nell'asma bronchiale su base allergica.
I ginkgolidi hanno un'azione vasoprotettrice e sono dotati di proprietà antidolorifiche nei confronti dei dolori dovuti ad arteriopatia obliterante degli arti inferiori (restringimento delle arterie per accumulo di colesterolo): vengono utilizzati...
- silicati
definizione
Spesso sotto forma di silicato di magnesio o d calcio oppure come trisilicati, sono composti ad azione antiagglomerante, utilizzati come eccipienti alimentari; fungono da agenti distaccanti.
- T.C.P.
definizione
Acronimo per «tri-calcium phosphate», ovvero fosfato tricalcico, è usato come agente anti-agglomerante (anticaking agent): viene utilizzato nelle spezie in polvere come agente antiagglomerante o per evitare che il sale da cucina si incrini; ai fosfati di calcio è stato assegnato il numero di additivo alimentare europeo E341.
- Oryza Sativa (estratto di crusca)
definizione
L'estratto di crusca di Oryza Sativa (riso) è un ingrediente vegetale utilizzato come agente chelante e, soprattutto, come addensante naturale nella produzione di integratori alimentari: la crusca è lo strato esterno marrone del chicco di riso (pericarpo), un sottoprodotto della macinazione del riso, che contiene anche polisaccaridi idratanti, acidi grassi omega-3 e micronutrienti come calcio, selenio, fosforo, ferro e zinco, è dotato di attività antiossidante.
- citicolina
definizione
Chiamata anche CDP-colina o citidin-5-difosfocolina (cytidine 5-diphosphocholine), è un intermedio nella generazione di fosfatidilcolina dalla colina, essenziale per la biosintesi delle membrane cellulari; la citicolina, presente naturalmente nelle cellule umane, subisce una rapida idrolisi e de-fosforilazione dopo l'ingestione per produrre citidina e colina: i due metaboliti la barriera ematoencefalica separatamente, per poi essere utilizzati come precursori per risintetizzare la CDP-colina all'interno delle cellule del cervello ove favorisce la formazione di fosfolipidi di membrana, favorendo un incremento del metabolismo cerebrale dei neurotrasmettitori e delle funzioni cognitive e mnemoniche del sistema nervoso centrale.
proprietà
La citicolina aumenta la sintesi della fosfatidilcolina, e possiede effetti neuroprotettivi grazie alla sua capacità di favorire la conservazione della cardiolipina e della sfingomielina, del contenuto di acido arachidonico, della fosfatidilcolina e della fosfatidiletanolamina; questo fenomeno è una conseguenza del ripristino parziale dei livelli di fosfatidilcolina, della stimolazione della sintesi del glutatione e dell'attività della glutatione-reduttasi: gli effetti della citicolina possono anche essere spiegati dalla riduzione dell'attività della fosfolipasi. Inoltre stimola la sintesi di SAM, che aiuta nella stabilizzazione della membrana e riduce i livelli di acido arachidonico: ciò è particolarmente importante dopo un'ischemia.
Il cervello utilizza preferenzialmente la colina per sintetizzare l'acetilcolina: questo limita la quantità di colina disponibile per sintetizzare la fosfatidilcolina, con la conseguenza che, in caso di ridotta disponibilità di colina o di aumentato fabbisogno di acetilcolina, i fosfolipidi contenenti colina possono essere catabolizzati dalle membrane neuronali; questi fosfolipidi includono sfingomielina e fosfatidilcolina. L'integrazione con citicolina può aumentare la quantità di...
- stereoisomeria
definizione
- isomeria
definizione
Fenomeno per il quale due o più sostanze diverse (isomeri) hanno la stessa formula molecolare (stessa formula bruta), ma diverse proprietà fisiche e, talora, chimiche; dal greco dal greco ἰσομερής, (isomerès), composto di ἰσο- (iso- → uguale) e –μέρος (-méros → parte).
La reazione chimica attraverso la quale avviene la trasformazione di un composto in un suo isomero è detta isomerizzazione; le isomerasi costituiscono una classe di enzimi responsabili delle reazioni di isomerizzazione.
Gli isomeri possono essere suddivisi in:
⇒ isomeri costituzionali (o strutturali), cioè dotati di una identica formula bruta ma diversa connettività ovvero una diversa formula di struttura: ciò implica differenti proprietà fisiche e chimiche, dovute ai legami differenti degli elementi che compongono la molecola; si distinguono diversi tipi di isomeri di struttura, differenziati per le diverse relazioni di adiacenza tra gli atomi delle molecole: tali relazioni riguardano la struttura dello scheletro idrocarburico (isomeria di catena), la posizione dei sostituenti (isomeria di posizione), la struttura del gruppo funzionale (isomeria di funzione).
⇒ stereoisomeri, ovvero che hanno formula bruta identica, stessa connettività, ma una diversa orientazione spaziale degli atomi rende loro non sovrapponibili; la stereoisomeria è dovuta alla presenza di atomi chirali nella molecola, pertanto gli stereoisomeri differiscono per la posizione relativa assunta nello spazio da alcuni degli atomi dei gruppi atomici che li costituiscono.
La stereoisomeria ottica corrisponde alla enantiomeria in quanto due composti simili in tutte le proprietà fisiche e chimiche differiscono soltanto perché uno devia il piano della luce polarizzata in un senso (ad esempio destrogiro) e l’altro in senso opposto (levogiro): quando i due antipodi ottici sono presenti in quantità uguali, l’effetto del loro potere rotatorio si annulla a vicenda e si ha allora una miscela racemica.
Si parla di...- diastereoisomeria
premessa
Occorre ricordare che le proprietà spaziali delle molecole si riflettono sul comportamento chimico delle sostanze: la presenza o l'assenza di simmetria, la chiralità e la relazione tra questa e la stereogenicità (ovvero le modalità con cui le molecole si organizzano nello spazio) o le modalità di interazione tra le molecole chirali o fra differenti stereoisomeri determina il comportamento delle molecole organiche: due composti, con medesima formula bruta (isomeri) possono essere identici ma possedere una diversa connettività (isomeri costituzionali), pertanto posseggono la stessa formula molecolare ma diversa struttura, fatto che implica differenti proprietà fisiche e chimiche, dovute ai legami differenti degli elementi che compongono la molecola.
Ugualmente due molecole che hanno formula bruta identica, stessa connettività, ma la diversa orientazione spaziale degli atomi che le rende non sovrapponibili (stereoisomeri), possono essere strutture speculari non sovrapponibili l'una all'altra (enantiomeri) oppure non essere strutture speculari (diastereoisomeri): in entrambi i casi posseggono proprietà chimico-fisiche differenti le une dalle altre.
definizione
Pertanto la diastereoisomeria è una forma di isomeria geometrica di composti chimici organici di tipo etilenico, derivante dal fatto che in uno degli isomeri (cis) i sostituenti degli atomi d'idrogeno uguali sono dalla stessa parte rispetto al doppio legame etilenico, mentre sono da parti opposte nell'altro isomero (trans); le due forme isomere (diastereoisomeri) presentano proprietà fisiche e chimiche diverse, e non sono fra loro sovrapponibili né specularmente né per rotazione: pertanto si parla di diastereoisomeria in presenza di stereoisomeri non enantiomeri, ovvero che non sono tra loro immagini speculari per cui, a differenza degli enantiomeri, hanno proprietà chimiche e fisiche tra loro diverse.
Dal greco δια- (dia- → separazione, diversità), στερεο- (stereo- → solido, spaziale,...
- epimeria
definizione
Molecola (specialmente uno zucchero), ovvero composto organico, la cui formula di struttura differisce, rispetto a un altro composto, soltanto nella distribuzione spaziale dei sostituenti legati ad un atomo di carbonio, come nel caso del glucosio e del galattosio che, appunto, sono epimeri differendo per la posizione del gruppo ossidrile (-OH) sul quarto atomo di carbonio (C4) della catena carbossilica; ugualmente, mannosio e glucosio sono epimeri, variando la posizione del gruppo idrossile (-OH) in C2;dal greco ἐπί- (epí- → sopra, in, di più) e -μέρος (-méros → parte): anche se solitamente vengono presi ad esempio i glucidi, il termine è applicabile a qualunque molecola dotata di u centro di asimmetria.
Un composto epimero è un isomero otticamente attivo, con più atomi di carbonio asimmetrici, che differiscono per una diversa distribuzione spaziale dei gruppi fissati all'atomo di carbonio asimmetrico, adiacente al gruppo carbonilico, come accade negli zuccheri: la trasformazione da cui si forma un composto epimero, cioè alla metamorfosi di un epimero nella sua controparte chirale, si chiama epimerizzazione e può avvenire spontaneamente o per mezzo di enzimi specifici.
Gli epimeri non sono necessariamente enantiomeri, in quanto gli enantiomeri hanno lo stesso nome, ma differiscono per la classificazione destrogiro e levogiro, descrivendo la deviazione della luce (capacità di ruotare il piano di vibrazione della luce polarizzata), mentre due epimeri vengono classificati con nomi diversi e possono essere entrambi o levogiri o destrogiri.
Nei glucidi gli epimeri vengono anche chiamati diastereoisomeri in quanto sono composti che possiedono la stessa formula molecolare e connettività fra gli atomi ma hanno un orientamento nello spazio diverso, pur non essendo immagini speculari cioè sono due stereoisomeri che non sono enantiomeri; gli epimeri sono i diastereoisomeri che presentano una differente configurazione presso un solo stereocentro, ovvero sono...
- glucoside
definizione
Anche se spesso il termine glucoside viene utilizzato come sinonimo di glicoside, in realtà si dovrebbe utilizzare questo termine per definire esclusivamente i glicosidi in cui lo zucchero coniugato all'aglicone è il glucosio.
L'interesse dei glucosidi è legato al fatto che molti di essi hanno spiccati effetti farmacologici, in virtù dei quali possono avere importanti applicazioni terapeutiche oppure agire come pericolosi veleni: l'attività farmacologica dei glucosidi è dovuta in genere alla frazione agliconica; la parte zuccherina, pur essendo inattiva, ha tuttavia grande importanza poiché determina la rapidità di insorgenza e la durata dell'azione, la capacità di fissazione della molecola glucosidica sui substrati biologici e la tenacia del legame con le proteine tessutali.
α-glucosidi e β-glicosidi
Il glucosio è uno zucchero a sei atomi di carbonio (esoso): solitamente viene rappresentato come una struttura lineare bidimensionale, detta proiezione di Fischer, caratterizzato dalla presenza in posizione 1 (C1) di un gruppo carbonilico aldeidico (-CHO), tipico delle aldeidi, ed un gruppo alcoolico (-CH2OH) in posizione 6 (C6).
Nella realtà, ovvero come normalmente il glucosio si ritrova nell'organismo cioè in soluzione acquosa, raramente la molecola si presenta in forma lineare, ma tende ad assumere una conformazione “chiusa”, molto più stabile; il carbonio 1 si lega al carbonio 5, richiudendo la molecola su se stessa creando un anello (anello piranosico), assumendo due configurazioni in base alla posizione dell'ossidrile (-OH) legato a C1, dette α-glucosio e β-glucosio.
Il carbonio in posizione 1 è elettrofilo, cioè ha “fame di elettroni”, mentre l'ossidrile (-OH) legato al carbonio 5 è un buon donatore di elettroni: in soluzione acquosa, la catena carboniosa del glucosio tende a ripiegarsi su se stessa, in maniera univoca (per motivi di ingombro sterico e di repulsione elettronica), avvicinando C1 a C5; questo fenomeno crea il distacco di un...
- saligenina
definizione
Presente in molte piante della famiglia delle Salicaceae come salici e pioppi, detto anche alcol salicilico, è il principio attivo (aglicone) contenuto nella salicina, un β-glucoside, dotato di attività antinfiammatoria, antipiretica, antidolorifica per inibizione delle cicloossigenasi, l’enzima deputato alla trasformazione dell’acido arachidonico nelle prostaglandine responsabili dell’insorgenza di infiammazione, febbre e dolore.
Grazie all'attività antinfiammatoria e analgesica esplicata dalla salicina contenuta nel salice, il suo uso viene fatto per il trattamento dei dolori reumatici: possono essere utili anche per il trattamento di dolori di lieve entità di diversa origine e natura, quali il mal di testa, i dolori di origine infiammatoria e i dolori associati al comune raffreddore.
In ambito medico l'uso interno dell'acido salicilico è stato abbandonato a causa della sua spiccata azione irritante nei confronti della mucosa gastrica e, attualmente, si preferisce utilizzare il suo derivato acetilato: l'acido acetilsalicilico, sicuramente uno dei più noti farmaci antinfiammatori non steroidei (F.A.N.S.); in ambito fitoterapico il salice e le sue preparazioni trovano comunque impiego per il trattamento di reumatismi e dolori in generale. L’acido salicilico viene utilizzato in pomate o unguenti per il trattamento di verruche, ipercheratosi, eczemi, neurodermiti e psoriasi, grazie all’attività cheratolitica di cui è dotato.
- salicina
definizione
Presente in molte piante della famiglia delle Salicaceae come salici e pioppi, il principio attivo è un β-glucoside costituito da glucosio esterificato mediante legame β-glicosidico con saligenina (alcol salicilico): la salicina possiede un'attività antinfiammatoria, antipiretica, antidolorifica per inibizione delle cicloossigenasi dovuta alla frazione agliconica della molecola (saligenina).
Grazie all'attività antinfiammatoria e analgesica esplicata dalla salicina contenuta nel salice, il suo uso viene fatto per il trattamento dei dolori reumatici; le attività analgesiche e antinfiammatorie esercitate dalla salicina possono essere utili anche per il trattamento di dolori di lieve entità di diversa origine e natura, quali il mal di testa, i dolori di origine infiammatoria e i dolori associati al comune raffreddore.
La masticazione di pezzi di corteccia ricavati da alcune piante della famiglia delle Salicaceae (in particolare dal Salix Alba), rilascia la salicina: l'insalivazione e la masticazione provocano l'idrolizzazione del legame β-glicosidico dalla salicina, liberando glucosio e saligenina (aglicone); tale reazione avviene più rapidamente in presenza di acido cloridrico, come succede nello stomaco, oppure nell'intestino tenue ad opera dell'attività enzimatica della flora residente o grazie all'azione enzimatica dei tessuti epatici.
La salicina, pertanto, può essere considerata come una sorta di pro-farmaco; l'acido salicilico (saligenina) svolge le sue attività analgesiche, antinfiammatorie e antipiretiche tramite l'inibizione dell'enzima ciclossigenasi, ossia dell'enzima deputato alla trasformazione dell'acido arachidonico nelle prostaglandine responsabili dell'insorgenza di infiammazione, febbre e dolore.
- idrossilisina
definizione
Amminoacido raro, è presente come costituente del collageno di una proteina del sistema del complemento e della proteina dello smalto embrionale, la cui formula è HOOC−CH(NH2)−(CH2)− CH(OH)−CH2−NH2, ovvero C.6H14N2O3.
Prodotto per idrossilazione della lisina ad opera della lisina idrossilasi: questo amminoacido non è presente in natura, ma è sintetizzato per la produzione del collagene dove, assieme alla glicina e alla idrossiprolina, contribuisce a mantenere insieme i filamenti di tropocollagene (unità strutturale del collagene); in particolare, il gruppo -OH dei residui di idrossilisina è unito, con legame glicosidico, a un disaccaride formato da glucosio e galattosio: la presenza di elevate quantità di idrossilisina nel collagene è indispensabile per garantirne le caratteristiche meccaniche.
La vitamina C ha un ruolo fondamentale nella sintesi del collagene: la sua importanza risiede nel fatto che è un componente richiesto per la sintesi dell’idrossiprolina e idrossilisina, due aminoacidi indispensabili per la stabilità e la relativa maturazione del collagene; l’acido ascorbico funge da cofattore nell'idrossilazione della lisina e della prolina.
L'idrossilisina garantisce il normale funzionamento dei legamenti e dei sistemi articolari, riducendo la probabilità di sviluppare distorsioni dei tendini, favorisce la guarigione dei microtraumi del tessuto muscolare.
- cachessia
definizione
Dimagrimento patologico, causato da malattie croniche debilitanti e consuntive o dalla senilità: è uno stato morboso caratterizzato da estrema magrezza, riduzione delle masse muscolari e assottigliamento della cute; dal greco καχεξία, composto di κακὸς (→ cattivo) e ἕξις (→ costituzione, condizione), talvolta utilizzato come sinonimo di marasma. In realtà nell'uso comune il termine viene utilizzato anche in quei casi di grave deperimento organico dove un'appropriato intervento terapeutico può interrompere e talvolta parzialmente invertire il dimagramento patologico.
La cachessia è uno stato di profondo deperimento generale, caratterizzato da prostrazione, rallentamento delle capacità psichiche, obnubilamento del sensorio, perdita di appetito e riduzione delle masse adipose e muscolari (bilancio azotato negativo); può essere considerata una sindrome da deperimento, caratterizzata da perdita di peso, atrofia muscolare (la sarcopenia può essere considerato un sintomo patognomonico), stanchezza, debolezza e significativa perdita di appetito che non ha cause anoressiche.
La definizione formale della cachessia è una perdita di massa corporea che non può essere invertita con il nutrimento: anche se l'individuo che ne soffre assumesse più calorie, la massa corporea magra verrebbe comunque persa, il che sta ad indicare la presenza di una patologia primaria; la cachessia indebolisce fisicamente i pazienti ad uno stato di immobilità derivante dalla perdita di appetito, dall'astenia e dall'anemia e la risposta al trattamento standard è generalmente deludente.
Il deperimento dell'organismo si accompagna quindi a edemi causati dall'ipoproteinemia ed altre alterazioni dell'equilibrio idroelettrolitico, astenia, dispnea, anoressia, febbre, alterazioni del sensorio e agitazione psicomotoria: si tratta di una condizione grave e coloro che la sperimentano vedono aumentare drammaticamente la propria probabilità di morte per la malattia di base.
Anche se il...
- proteina
definizione
Macromolecole biologiche costituite da catene di amminoacidi legati uno all'altro da un legame peptidico, ovvero un legame tra il gruppo amminico di un amminoacido e il gruppo carbossilico dell'altro amminoacido, creato attraverso una reazione di condensazione con perdita di una molecola d'acqua: le proteine svolgono una vasta gamma di funzioni all'interno degli organismi viventi, tra cui la catalisi delle reazioni metaboliche, funzione di sintesi come replicazione del DNA, la risposta agli stimoli e il trasporto di molecole da un luogo ad un altro.
Le proteine differiscono l'una dall'altra soprattutto nella loro sequenza di amminoacidi, la quale è dettata dalla sequenza nucleotidica conservata nei geni e che di solito si traduce in un ripiegamento proteico e in una struttura tridimensionale specifica che determina la sua attività.
- protide
Sostanza organica a struttura complessa e elevato peso molecolare, di fondamentale importanza biologica, formata da una o più catene di aminoacidi, sinonimo di proteina; dal francese protide, derivato di prot(éine) (→ proteina), col suffisso -ide (→ suffisso utilizzato per formare, in biochimica, i nomi di composti organici).
- metabolismo
definizione
Il complesso delle trasformazioni chimiche, degli effetti energetici concomitanti e dei fenomeni fisici che avvengono nelle cellule e nei tessuti di un organismo vivente, e che assicurano la conservazione e il rinnovamento della materia vivente; del greco μεταβολή (→ mutazione, cambiamento).
Queste reazioni catalizzate da enzimi consentono agli organismi di crescere e riprodursi, mantenere le proprie strutture e rispondere alle sollecitazioni dell'ambiente circostante; con il termine metabolismo si può anche indicare l'insieme di reazioni chimiche che avvengono negli organismi viventi, incluse la digestione e il trasporto di sostanze all'interno delle cellule e tra cellule differenti, nel qual caso la serie di reazioni che avvengono all'interno delle cellule prende il nome di metabolismo intermedio.
Il metabolismo è generalmente diviso in due categorie: catabolismo, che disgrega la materia organica e produce l'energia attraverso la respirazione cellulare e l'anabolismo che utilizza l'energia per costruire i vari componenti delle cellule, come le proteine e gli acidi nucleici: le reazioni chimiche del metabolismo sono organizzate in vie metaboliche, in cui una sostanza chimica subisce un processo di trasformazione attraverso una serie di passi in un'altra sostanza, grazie a una serie di enzimi.
Gli enzimi sono fondamentali per il metabolismo poiché permettono agli organismi di compiere le reazioni chimiche volute, che necessitano di un quantitativo di energia che non permetterebbe che siano eseguite spontaneamente: gli enzimi agiscono come catalizzatori consentendo alle reazioni di procedere più rapidamente, permettendo anche la regolazione delle vie metaboliche in risposta ai cambiamenti nel contesto della cellula o ai segnali provenienti da altre cellule.
Le reazioni chimiche, siano esse anaboliche o cataboliche, possono avvenire spontaneamente solo se la variazione di energia libera è negativa, ovvero se l’energia libera dei prodotti (stato...
- metabolismo glucidico
definizione
L’insieme di tutti i meccanismi ormonali che intervengono nel controllare l’utilizzo degli zuccheri da parte del nostro organismo; il glucosio è lo zucchero principalmente utilizzato come combustibile, dal nostro corpo, per produrre energia ed è presente nel sangue in una concentrazione che è, solitamente, compresa fra i 65 e 110 mg/dl (glicemia): questi valori sono il risultato finale di un complesso metabolismo che prevede, da un lato la produzione di glucosio e dall’altro, il suo consumo.
La presenza di adeguati valori di glicemia è fondamentale soprattutto per il cervello in quanto quest’ultimo, per svolgere le proprie funzioni, è capace di utilizzare solo il glucosio.; gli organi che principalmente intervengono nel metabolismo glucidico sono il fegato e il pancreas: mentre il fegato è il principale organo di sintesi (gluconeogenesi) e di accumulo del glucosio (sotto forma di glicogeno), il pancreas è l’organo adibito alla produzione di alcuni importanti ormoni che regolano il metabolismo degli zuccheri, ovvero l’insulina, che fa abbassare la glicemia, e il glucagone, che la fa aumentare.
Accanto ed in equilibrio con il sistema insulina-glucagone, esiste il sistema controinsulare, (detto anche diabetogeno) che svolge un'azione antagonista a quella dell’insulina, tendendo a contrastarne gli effetti; questo sistema neuro-endocrino è rappresentato soprattutto dal lobo anteriore dell’ipofisi, dalle ghiandole surrenali, dalla tiroide: attraverso la secrezione di ormoni come GH, ACTH, cortisolo e catecolamine (adrenalina e noradrenalina), questo sistema esercita un effetto iperglicemizzante, cioè aumenta la liberazione di glucosio in circolo. Questo sistema viene utilizzato soprattutto in situazioni di stress.
- ialino
definizione
Materiale o tessuto che ha l’aspetto e la trasparenza del vetro; dal ὑάλινος, derivato di ὕαλος (→ vetro) e -ἰνός (→ fibra; solitamente suffisso con riferimento alle fibre di tessuti animali o vegetali).
La cartilagine ialina è un tipo di cartilagine a struttura particolarmente omogenea, dovuta all’elevata quantità di condromucoide (proteoglicani associati a condroitin solfato e acido ialuronico), che ingloba strettamente le fibrille collagene ed è virtualmente e privo di fibre elastiche: detto anche tessuto ialino, è il tipo di tessuto cartilagineo più diffuso nell'organismo; rappresenta la prima bozza di scheletro nei vertebrati (viene in seguito sostituito dal tessuto osseo ad eccezione che nei pesci cartilaginei)mentre negli adulti riveste le superficie delle articolazioni (da non confondere con i menischi, di cartilagine fibrosa), costituisce il tratto che unisce le coste allo sterno (cartilagine costale), parte dello scheletro del naso e della laringe, gli anelli della trachea.
- catabolismo
La fase metabolica di degradazione e disassimilazione delle sostanze organiche, contrapposta all'anabolismo, che è la fase assimilativa o di sintesi: è l'insieme dei processi analitici, disintegrativi, che si svolgono nelle cellule o per opera di esse, e che liberano l'energia chimica contenuta nelle sostanze nutritive, mettendola a disposizione delle cellule stesse; dal greco καταβάλλειν (catabállein → gettar giù, demolire), composto di κατά- (cata- → giù, in basso, sotto, per, contro).
I processi di scissione idrolitica che si compiono nel tubo digerente senza apprezzabile liberazione di energia non vengono pertanto compresi nel catabolismo; quella parte dei processi analitici e disintegrativi che si compie sulla materia costruttiva delle. cellule costituisce la disassimilazione propriamente detta: i prodotti del catabolismo, detti cataboliti, non contengono più energia chimica perché sono stati completamente ossidati oppure ne contengono in una forma che l'organismo non è capace di liberare e, pertanto, vengono eliminati con gli escreti
- anabolismo
definizione
L’insieme dei processi metabolici attraverso i quali l’organismo assimila e utilizza gli alimenti: rappresenta l'aspetto del metabolismo deputato alla sintesi delle molecole organiche (biomolecole) a partire da sostanze semplici o dalle sostanze nutritive; questi processi richiedono energia, al contrario del catabolismo; dal greco ἀναβάλλειν (anabállein → tirare su, costruire, imbarcare) composto di ἀνά- (ana- → in su, per indicare ricostruzione, ricomposizione) e -βάλλειν (bállein → gettare, tirare).
Fase costruttiva nel metabolismo rappresentata dal complesso di reazioni enzimatiche che permette all'organismo di utilizzare i principi nutritivi introdotti con gli alimenti per la sintesi dei materiali complessi (zuccheri, proteine, grassi, vitamine, ormoni ...) indispensabili per il regolare svolgimento dei processi plastici ed energetici. In seguito a una serie di reazioni enzimatiche, si formano molecole complesse che, grazie all’apporto dei nutrienti, permettono alle cellule di crescere e formarsi con strutture relativamente semplici; l’anabolismo comporta un evidente aumento della complessità cellulare.
All’interno dell’organismo umano l’anabolismo svolge alcune funzioni fondamentali come la formazione e la crescita di nuove componenti cellulari o dei tessuti, la produzione ed il rifornimento di energia: l'’anabolismo permette la continua crescita di componenti come capelli, unghie e cellule cutanee che si sviluppano continuamente dalla nascita alla morte di un individuo.
L’anabolismo è uno dei due processi del metabolismo, perfettamente complementare al catabolismo: anabolismo e catabolismo sono processi opposti, ma funzionano in maniera coordinata; infatti mentre l'anabolismo crea ex novo, il catabolismo si occupa dei processi di degradazione, liberando l’energia in eccesso sotto forma di energia chimica e termica. Nelle cellule in crescita, i processi anabolici dominano su quelli catabolici, viceversa, nelle cellule non più in fase di...
- azoto proteico
definizione
Detto anche proteina vera, è costituito dall’azoto organico presente in strutture complesse date dalla combinazione degli amminoacidi, cioè utilizzato per produrre le proteine; l'azoto non proteico è, viceversa è contenuto in composti semplici come l’urea o l’ammoniaca, cioè nelle sostanze di scarto dell’organismo, frutto del catabolismo delle sostanze proteiche.
- Eleutherococcus Senticosus
definizione
L'eleuterococco, noto anche come ginseng siberiano, è un arbusto della famiglia delle Araliaceae, originario della Siberia e della Mongolia.
proprietà officinali
I princìpi attivi responsabili delle proprietà salutistiche dell'eleuterococco sono concentrati nella radice e appartengono principalmente alla categoria dei glicosidi: tali sostanze conosciute anche come eleuterosidi, hanno natura chimica varia; sono inoltre presenti composti saponinici (triterpeni e steroli), cumarine, flavonoidi e polisaccaridi (eleuterani).
L'azione adattogena è di natura sinergica ed è attribuibile all'intero fitocomplesso; alla radice di eleuterococco vengono riconosciute proprietà toniche, adattogene ed antifatica, in grado di ottimizzare la secrezione degli ormoni: la pianta è indicata negli stati di stress e sovraffaticamento; rinforza il sistema immunitario aumentando il numero dei linfociti T e stimolando l'attività dei globuli bianchi.
Utile in casi di astenia, convalescenza, esaurimento psicofisico, stanchezza, ipotensione, attività sportiva, previene l'insorgenza delle malattie; indicata nei periodi di ridotta capacità di rendimento, di concentrazione e di attenzione, stimola il metabolismo e aiuta nelle spasmofilie, aiuta a migliorare la resistenza al freddo e allo sforzo.
- aperitivo
definizione
Le proprietà aperitive di una pianta sono quelle che determinano, per il sapore amaro della droga e dei suoi derivati, una stimolazione della secrezione salivare, gastrica ed epato-biliare, favorendo quindi il rilascio di succhi gastrici e bile: una droga aperitiva, quindi, prepara l'apparato digerente a ricevere il cibo ed a digerirlo, pertanto si definisce aperitiva qualsiasi droga, pianta, preparazione erboristica o fitocomplesso in grado di stimolare l'appetito; l'aperitivo, oltre ad esplicare l'azione stimolante, può quindi svolgere un'importante attività digestiva. Dal al latino aperitivus (→ che apre le vie per l’eliminazione), derivato di aperire (→ aprire), col significato di adatto ad agevolare le secrezioni gastriche, stomachico
Per le loro caratteristiche organolettiche sono chiamati anche “amaricanti”, in quanto in grado di conferire alla preparazione un sapore amaro, caratteristico, che stimola la secrezione dei succhi gastrici, agevolando la digestione: per questo possono essere eupeptiche, poiché facilitano i fenomeni digestivi e stimolano l'appetito.
- silimarina
definizione
Miscela costituita soprattutto da tre sostanze, cioè la silibina (detta anche silibinina), la silicristina e la silidianina: questo fitocomplesso di flavonolignani, pur essendo presente in differenti piante, è particolarmente concentrato nel Cardo Mariano (Silybum Marianum), di cui è il componente più importante dal punto di vista quantitativo e qualitativo; la silimarina non è presente nelle foglie di cardo mariano, ma si concentra nei semi e nello strato proteico della superficie esterna del frutto (achenio).
proprietà officinali
Gli effetti epatoprotettivi della silimarina sono tali da poter ridurre il danno alle cellule epatiche causato dall'esposizione a sostanze tossiche quali l'etanolo (alcol), la falloidina (veleno caratteristico dei funghi appartenenti al genere Amanita), il tetracloruro di carbonio, il paracetamolo e la tioacetammide: l'efficacia protettiva della silimarina sono riconducibili soprattutto alla sua capacità di aumentare la sintesi delle proteine epatiche e di inibire quella dei mediatori infiammatori e dei radicali liberi.
Utilizzata con successo come coadiuvante nel trattamento delle epatiti, delle cirrosi croniche, delle intossicazioni epatiche ed in caso di avvelenamento da Amanita Phalloides., può essere usata, in ambito sportivo, come detossificante da assumere per limitare gli effetti epatotossici degli steroidi anabolizzanti orali.
- Silybum Marianum
definizione
Il Cardo Mariano è una pianta erbacea biennale della famiglia Asteracee, presente in tutto il bacino del Mediterraneo; presenta capolini con fiori sostanzialmente tubulosi e si caratterizza per la superficie coriacea silicizzata: è una pianta officinale, usata per il trattamento delle affezioni a carico del fegato, con scomparsa completa dei sintomi clinici, quali astenia, inappetenza, grave meteorismo, dispepsia, sub-ittero, e con normalizzazione delle transaminasi: l'utilizzo a scopo terapeutico di questa pianta è noto fin dall'antichità ma l'isolamento e la caratterizzazione dei principi attivi sono stati completati negli anni settanta.
Il termine “Silybum” proviene dal greco σίλυβον (sílybon) o σίλλῠβον (síllybon), nome con cui Dioscoride chiamava alcuni cardi commestibili, ripreso da Plinio con sillybus, un tipo di cardo; una leggenda, basata su un'antica tradizione cristiana, vuole che il nome “Marianum” derivi dal fatto che le piccole striature bianche che conferiscono la tipica variegatura delle foglie della pianta, dovrebbero rappresentare il latte di Maria Vergine, caduto sulle foglie di Cardo Mariano, mentre fuggiva in Egitto per sottrarre Gesù alla persecuzione di Erode, perso durante l'allattamento mentre si riparava in una vegetazione di cardi, durante la fuga in Egitto con Giuseppe; di conseguenza venne quindi indicato in particolare a tutte le madri in allattamento, appunto per i suoi principi depurativi.
Già nel Cinquecento, nel suo “Erbario”, Pietro Andrea Mattioli, noto umanista e medico italiano descrisse le qualità del cardo mariano: «La radice scalda, monda, apre e assotiglia. La cui decottione dà utilmente nelle oppilationi del fegato e delle uene, per prouocar l'orina ritenuta...Prouoca la medesima i menstrui non solamente beuta, ma anchora sedendouisi dentro...».
utilizzo e proprietà officinali
Dagli acheni e dai semi del cardo mariano si estrae la silimarina, un fitocomplesso a base di flavonoidi dotati di un'attività...
- selenometionina
definizione
Assieme alla selenocisteina, è una delle due forme organiche del selenio nell'organismo umano; la selenometionina è un amminoacido presente in natura: la sua attività antiossidante deriva dalla sua capacità di esaurire le specie reattive dell'ossigeno (R.O.T.S.). Il selenio e la metionina svolgono anche ruoli separati nella formazione e nel riciclaggio del glutatione, un antiossidante endogeno chiave in molti organismi, compreso l'uomo.
La selenometionina essendo una forma organica di selenio, è più facilmente assorbibile per il corpo umano rispetto alla selenite, che è una forma inorganica di selenio.
- rizoma
definizione
Si tratta di una modificazione del fusto della pianta, o per meglio dire di una sua evoluzione, che comporta profonde trasformazioni morfologiche; tali modifiche consentono una migliore adattabilità dell’essenza vegetale a svolgere le sue funzioni, come quella riproduttiva: di fatto è un fusto perenne, prostrato e per lo più sotterraneo, proprio delle piante erbacee di climi con netta stagionalità. I rizomi sono germogli perenni, con un aspetto che ricorda quello della radice, dalla quale però si distingue perché reca foglie ed è diviso in internodi, la sua struttura anatomica è quella tipica del caule e il suo apice è privo di cuffia.
La parola “rizoma” deriva dal greco ῥίζωμα (→ radice gonfia), composta dalla radice ῥίζα (→ radice) e dal suffisso -ωμα (-ōma → rigonfiamento, tumefazione): il termine è chiaramente descrittivo della forma tipica che il rizoma assume durante il suo sviluppo, simile ad una grossa radice, anche se è una modificazione del fusto con principale funzione di riserva.
La caratteristica propria del rizoma, di sviluppare autonomamente nuove piante anche in condizioni sfavorevoli, ha spinto alcuni pensatori a farne uso in termini metaforici, per simboleggiare alcuni concetti: in particolare, Carl Gustav Jung adottò il termine rizoma con riguardo alla natura invisibile della vita, la quale si sviluppa per lo più sotto terra, mentre ciò che appare dura solo una stagione, e poi cessa, senza che per questo il flusso vitale si interrompa definitivamente.
- Curcuma Longa
definizione
La curcuma, conosciuta anche col nome «zafferano delle indie» è una pianta erbacea, perenne, rizomatosa della famiglia delle Zingiberacee (una delle molte specie del genere Curcuma), originaria dell'Asia sud-orientale e largamente impiegata come spezia soprattutto nella cucina indiana, medio-orientale, thailandese e di altre aree dell'Asia: quando si dice curcuma s'intende normalmente la Curcuma Longa; chiamata, in inglese, turmeric (da cui il nome, poco usato, di turmerico), il nome curcuma deriva dal sanscrito kunkuma attraverso l'arabo كركم, kurkum. Il nome zafferano delle Indie deriva dal colore giallo della spezia, che ricorda lo zafferano, unica somiglianza fra le due spezie.
La Curcuma Longa è un'erba perenne che raggiunge un'altezza massima di circa un metro, con foglie sono grandi, lunghe da 20 a 45 cm, con picciolo allungato; i fiori sono raccolti in una vistosa pseudo-infiorescenza ricca di grandi brattee verdi in basso e bianche o violacee in alto: le brattee verdi formano una serie di tasche, che ospitano grandi fiori gialli, con possibili sfumature arancioni. La radice è un grosso rizoma cilindrico, ramificato, di colore giallo o arancione, fortemente aromatico, che costituisce la parte di maggior interesse commerciale della pianta.
Dal rizoma giallo della Curcuma Longa, una volta bollito ed essiccato al sole, si ottiene la polvere di curcuma (polvere giallo-arancio), una spezia molto usata nella gastronomia indiana e asiatica in generale, contenente curcumina, un curcuminoide, che ha un sapore terroso, amaro, piccante ed estremamente volatile, mentre il colore si conserva nel tempo; la curcuma è anche, come lo zafferano, un colorante alimentare: tra gli additivi alimentari codificati dall’Unione europea, la curcumina, per una serie di circostanze, occupa il primo posto con il codice identificativo “E100”.
curcuma e salute
Per quanto ci siano ancora opinioni controverse, la medicina popolare ed in particolare quella ayurvedica...
- vitamina C
definizione
L'acido ascorbico, appartiene al gruppo delle vitamine cosiddette idrosolubili, quelle cioè che non possono essere accumulate nell’organismo, ma devono essere regolarmente assunte attraverso l’alimentazione.
Le funzioni principali della vitamina C gravitano attorno alla riparazione dei tessuti corporei, alla produzione di alcuni neurotrasmettitori, al funzionamento di numerosi enzimi, alla funzione immunitaria e a quella antiossidante; viene impiegata come additivo alimentare, per integratori e cosmetici.
- Cycas Revoluta
definizione
Conosciuta col nome di Sago Palm, ricorda una palma sia per il fusto, poco ramificato, sia per la disposizione delle foglie, grandi e pennate poste a spirale alla sommità del fusto, come una corona; la pianta, scoperta alla fine del Settecento, è nativa del Giappone meridionale.
Il midollo del tronco è utilizzato per la preparazione del sago, una fecola di impiego alimentare: per l'estrazione del sago si utilizzano le piante che non sono ancora giunte alla fioritura, tagliandone i tronchi in un certo numero di pezzi, e quindi spaccandoli nel senso della lunghezza, in modo da poterne separare il tessuto interno, dal quale si ottiene la fecola mediante lavaggio; nei luoghi di produzione il sago rappresenta un prodotto di notevole importanza alimentare e viene anche esportato.
Il sago estratto dalla Cycas Revoluta contiene grandi quantità di vitamina C.
- Total Systemic D-Tox
descrizione
Formulazione progettata per ottimizzare i processi di detossicazione e disintossicazione dell'organismo: i differenti nutraceutici che costituiscono questo integratore alimentare, aiutano a mobilizzare, legare (coniugare o chelare) e rimuovere le tossine prodotte dall'organismo, sostenendo l'attività del fegato e degli organi emuntori (colon, polmoni e reni), e coadiuvando il mantenimento dell'omeostasi.
In particolare, anche se il digiuno o il dimagramento, che si verifica quando l'apporto calorico è ridotto, hanno effetti positivi per l'organismo, in questo processo vengono rilasciate tossine che possono sovraccaricare i normali meccanismi di eliminazione degli scarti e dei rifiuti metabolici; se i percorsi di disintossicazione non funzionano in modo efficiente, le tossine rilasciate vengono lasciate ricircolare e si depositano nuovamente nei tessuti del corpo, causando dolore, infiammazione e malattia: la formulazione apporta agenti coniuganti, antiossidanti fitoterapici ad azione riequilibrante in sinergia con le vitamine del gruppo B (nella forma metabolicamente attiva).
ingredienti
Ogni tavoletta contiene: vitamina A (palmitato) (87% beta-carotene) 855 µg (1.600 UI), vitamina C (Cycas Revoluta) 125 mg, vitamina D3 (colecalciferolo) 1,5 µcg (70 UI), tiamina cloridrato (vitamina B1) 4 mg, riboflavina 4 mg, niacina 4 mg, acido folico (L-5-metil-tetraidrofolato) 50 µg, vitamina B12 (metilcobalamina) 10 µcg, biotina 35 µg, acido pantotenico (pantotenato di calcio) 8 mg, colina (bitartarato) 11 mg, magnesio (glicinato, citrato, aspartato) 10 mg, zinco (chelato) 650 µg, selenio (selenometionina) 25 µg, manganese (aspartato) 100 µg, cromo (chelato) 10 µg, molibdeno (citrato) 8 µg. Miscela proprietaria pari a 148 mg contenete: L-glutammina, inositolo, L-taurine, L-glicina, L-metionina, Silybum Marianum (semi), Beta Vulgaris (radice), Eleutherococcus Senticosus (radice), N-acetil-cisteina, Taraxacum Officinale (radice), piridossal-5-fosfato,...
- zeitgeber
definizione
Dal tedesco, con significato letterale «che dà il tempo, sincronizzatore», è un termine usato in etologia, per indicare un fattore esterno a un organismo (esogeno), capace di sincronizzarne l'orologio biologico interno (endogeno) con una mutata situazione ambientale; uno zeitgeber è qualsiasi stimolo esterno o ambientale che provoca un mutamento o sincronizza i ritmi biologici di un organismo, che di solito si verificano in natura, e servono adattarsi ai ritmi circadiano tipici del ciclo luce/buio nelle 24 ore (corrispondenti ai ritmi sonno/veglia) ed in quelli circannuali legati alle variazioni legate alla stagionalità nei 12 mesi.
Il termine zeitgeber fu usato per la prima volta da Jürgen Aschoff, uno dei fondatori del campo della cronobiologia: il suo lavoro ha dimostrato l'esistenza di orologi biologici endogeni che sincronizzano i ritmi biologici e che alcuni segnali esogeni influenzano ma modalità con cui viene computato il tempo di questi orologi interni.
Esempio di zeitgeber può essere la luce: molti esseri viventi, infatti, regolano le proprie attività sulla base dell'alternarsi di luce e ombra (fototropismo), ovvero, al sopraggiungere del tramonto l'orologio biologico circadiano modifica l'omeostasi corporea verso il riposo, essendo ambientalmente impedite le attività che si basano sulla vista (che in questo caso è il senso prediletto); stimoli esterni (come la necessità di cacciare o il lavoro) possono indurre una sincronizzazione circadiana diversa da quella usuale, portandoli ad adattarsi ad una maggiore attività notturna.
- fasting
definizione
Termine inglese per digiuno, che rappresenta l'astensione intenzionale dal mangiare e dal bere: in un contesto fisiologico, il digiuno può riferirsi allo stato metabolico di una persona che non ha mangiato durante la notte, o allo stato metabolico raggiunto dopo la completa digestione e assorbimento di un pasto; durante il digiuno si verificano diversi aggiustamenti metabolici.
Si presume che una persona digiuni una volta che sono trascorse 8-12 ore dall'ultimo pasto: i cambiamenti metabolici dello stato di digiuno iniziano dopo l'assorbimento di un pasto (in genere 3-5 ore dopo aver mangiato).
biologia circadiana
Gli organismi si sono evoluti per limitare la loro attività alla notte (o durante il giorno) sviluppando un orologio circadiano endogeno per garantire che i processi fisiologici vengano eseguiti nei momenti ottimali: l'ora del giorno gioca un ruolo importante nell'integrazione del metabolismo e dell'energetica, nonché degli indici fisiologici, come i modelli di secrezione ormonale, la coordinazione fisica e il sonno; nei mammiferi, l'orologio biologico principale si trova nel nucleo soprachiasmatico dell'ipotalamo ed è modulato da stimoli luminosi e oscuri anche se sono stati trovati nei tessuti periferici come il fegato, strutture in grado di temporizzare le risposte del corpo legandole a stimoli esterni come, ad esempio, l'alimentazione (che si comporta da zeitgeber).
- fortificazione
definizione
Processo attraverso il quale un nutriente e più generalmente un micronutriente, come una vitamina, un minerale o altri composti che hanno un effetto benefico sulla salute vengono aggiunti a un prodotto alimentare per migliorarne la qualità nutrizionale e per aumentarne i livelli di assunzione nella popolazione: in tali alimenti, a differenza degli alimenti arricchiti in cui è incrementata la concentrazione di sostanze nutrienti già presenti naturalmente, viene addizionato un nutriente ex-novo; ne sono un esempio il sale iodato, addizionato di iodio, i fiocchi di cereali addizionati di vitamine e minerali, i fertilizzanti al selenio.
Nei primi anni della sua applicazione tecnologica, la fortificazione degli alimenti (o arricchimento) è stato un processo utilizzato dalle aziende del settore alimentare volto principalmente a ripristinare le eventuali perdite avvenute nei processi produttivi, o nell’intento di rendere “più nutrienti” alcuni prodotti dedicati a gruppi specifici di popolazione per favorire l’apporto vitaminico e/o di sali minerali.
Gli studi degli ultimi vent’anni, che hanno sempre più fortemente evidenziato lo stretto rapporto tra alimentazione e salute, hanno in qualche modo promosso la nascita di molti alimenti arricchiti (i più famosi i cereali da prima colazione) formulati con l’aggiunta di molti minerali, vitamine e fibre: l’intento dell’industria alimentare era, ed è, quello di promuoverne la vendita e i consumi rendendoli più attraenti grazie ai loro potenziali “health benefits”.
fortificazione obbligatoria o volontaria
La “fortificazione obbligatoria” (mandatory fortification) è un processo che viene normato da una legge ad hoc dello Stato che, a seguito di consultazioni tra panel di esperti e valutazioni sui possibili rischi/benefici di questa scelta, obbliga l’arricchimento di una matrice alimentare con un determinato (o determinati) nutriente, stabilendone le dosi e le modalità: risponde a scelte di politica sanitaria...
- vitamina B1
definizione
Composto chimico, isolato e cristallizzato per la prima volta nel 1926, conosciuto anche con il nome di tiamina o aneurina: fa parte delle vitamine cosiddette idrosolubili, che non possono essere accumulate nell’organismo, ma devono essere regolarmente assunte attraverso l’alimentazione poiché la sua mancanza nella dieta porta a problemi metabolici, in particolare nel metabolismo dei carboidrati, visibile pochi giorni dopo, con un aumento plasmatico degli α-chetoacidi (acido piruvico e lattico) e un abbassamento dell'attività transchetolasica degli eritrociti.
Infatti la vitamina B1 contribuisce allo svolgimento dell’importante processo di conversione del glucosio in energia: svolge un ruolo importante nella decarbossilazione ossidativa del piruvato e dell'α-chetoglutarato nel ciclo di Krebs (importante per la formazione di energia metabolica) e nella reazione transchetolasica nel ciclo dei pentosi fosfato (importante per la produzione di NADPH e di ribosio 5-fosfato); la vitamina B1 è necessaria per la sintesi dell'emoglobina nel sangue e per la produzione di acido γ-amminobutirrico (GABA) a partire dall'acido glutammico.
La carenza cronica di tiamina provoca alterazioni del sistema nervoso e dell'apparato cardiovascolare, con evoluzione subacuta e potenzialmente fatale: l'incidenza di deficit di tiamina è stato notevolmente ridotto in seguito all'introduzione della fortificazione dei cereali, ma risulta ancora un notevole problema sanitario nelle popolazioni dell'Asia orientale facenti uso di riso brillato ed anche in soggetti suscettibili nei paesi sviluppati, come alcolisti, donne gravide, pazienti soggetti a malassorbimento, soggetti malnutriti.
Le manifestazioni cliniche del deficit di vitamina B1 possono essere l'insufficienza cardiaca con shock iperdinamico (beriberi umido) oppure la polineuropatia (beriberi secco) che può assumerne la forma di tipo sensitivo-motorio, motorio puro, oppure sensitivo puro, talora accompagnata da un quadro...
- tiamina
definizione
Chiamata anche aneurina, comunemente nota come vitamina B1, è un nutriente idrosolubile appartenente al gruppo vitaminico B: precursore della forma biologicamente attiva chiamata tiamina pirofosfato (TPP), questa ha essenzialmente il ruolo di coenzima di vari processi cellulari.
Apportata sia da alimenti vegetali che del regno animale, la tiamina è sì diffusa, ma non particolarmente abbondante nella dieta; viene assorbita nell'intestino tenue, processo ostacolato dall'alcol etilico, e traportata in tutto il corpo dal torrente circolatorio. Si concentra soprattutto negli organi.
La carenza provoca tipicamente beri-beri o sindromi affini.
- ornitina
definizione
Amminoacido, detto anche acido α-δ di-ammino-valerianico, di formula NH2(CH2)3CH(NH2)COOH, coinvolto nell’eliminazione degli ioni ammonio NH4+, attraverso il ciclo dell’urea negli animali ureotelici; è un derivato amminoacidico in quanto è uno dei prodotti dell'enzima arginasi, che crea ornitina e urea, a partire dall'arginina: è quindi un prodotto fondamentale del ciclo dell'urea, che permette l'eliminazione dell'azoto in eccesso.
ornitina ed urea
L'ornitina non è un amminoacido codificato nel DNA, e in tal senso non è direttamente coinvolta nella sintesi proteica; ha effetti simili a quelli dell'arginina, ma sembra avere un'efficacia doppia: tra le sue numerose funzioni è dimostrato che insieme all'aspartato è efficace come disintossicante dell'ammoniaca in alcune malattie con iperammoniemia, e favorisce la cicatrizzazione delle ferite.
L'ornitina rappresenta l'aminoacido iniziatore del ciclo dell'urea, grazie alla possibilità di interagire con il carbamil-fosfato (veicolatore del primo gruppo amminico) per originare citrullina, la quale, fuoriuscendo dalla matrice mitocondriale, prosegue il ciclo tra il citoplasma e la matrice mitocondriale degli epatociti, diviene particolarmente intenso in seguito a digiuni prolungati o a diete iperproteiche, quando cioè l'ossidazione degli aminoacidi diviene una fonte energetica importantissima.
ornitina e performance atletica massimale
L'assunzione di ornitina, che si deve principalmente a cibi di origine animale, dalla carne al pesce e dalle uova al latte, non è quindi essenziale per l'organismo umano, data la presenza di una via metabolica in grado di provvedere alla sua sintesi; in ogni caso, poiché il ciclo dell'urea è fondamentale nel prevenire un aumento dell'ammoniaca, che si verifica durante l'esercizio ed è collegata all'insorgere della fatica, l'assunzione di ornitina non solo migliora l'escrezione dei metaboliti dell'azoto, ma in quanto è un efficace stimolatore dell'ormone della crescita (GH)...
- istidina
definizione
Pur essendo considerata un amminoacido non essenziale per l’adulto, è considerato essenziale per la prima infanzia, per i bambini e durante lo sviluppo: in realtà attualmente c'è un atteggiamento di revisione, per cui si ritiene che la produzione endogena sia insufficiente (secondo alcuni autori assente), e pertanto deve essere considerato un amminoacido essenziale; contenuta in proporzioni relativamente elevate nell’emoglobina, il gruppo imidazolo dell’istidina costituisce il sito attivo di molti enzimi, ed è un precursore della biosintesi dell'istamina. La sua formula bruta è C6H9N3O2 ed è caratterizzata da una catena laterale è costituita dal gruppo imidazolico: l’istidina è stata isolata per la prima volta per il fisico tedesco Albercht Kossel e Sven Hedin, nel 1896; il suo nome deriva da isto-, dal greco ἱστός (→ tessuto), col suffisso -ide , con cui sono formati nomi di composti organici come i protidi.
L’istidina è contenuta sia in alimenti di origine animale come carne, pollame, uova, pesce e prodotti lattiero-caseari che di origine vegetale come riso, grano, segale e frumento.
L'istidina è necessaria per la crescita e la riparazione tissutale ed è importante per il mantenimento della guaina mielinica che protegge le cellule nervose, oltre a svolgere un ruolo nella secrezione gastrica e nelle funzioni sessuali; è metabolizzata per formare la carnosina, una molecola che previene l’invecchiamento e l’ossidazione. È il precursore dell'istamina, neurotrasmettitore e neurormone fondamentale nell’immunità e che aumenta la risposta infiammatoria dell’organismo, in particolare a livello della pelle e delle membrane mucose; senza un adeguato apporto di istidina nella dieta e nelle riserve cellulari, i livelli di istamina non possono essere mantenuti.
L'istidina è necessaria per sintetizzare le metallotioneine, una famiglia di proteine con alta affinità per i metalli pesanti, in particolare rame, zinco, cadmio e ferro: questa importante proprietà...
- glicina
definizione
Amminoacido non polare, non essenziale, caratterizzato dalla presenza di soli due atomi di idrogeno legati all'atomo di carbonio α, che lo rende il più semplice degli amminoacidi ordinari, e non permette la chiralità: si tratta dell'unico amminoacido proteinogenico achirale; la maggior parte delle proteine è costituita da piccole quantità di glicina, mentre rappresenta circa un terzo della componente amminoacidica del collagene.
La formula bruta è NH2CH2COOH ovvero C2H5NO2; la sua scoperta è attribuita al chimico francese Henri Braconnot, che nel 1820 isolò per la prima volta la glicina dalla gelatina tramite idrolisi acida: la sua struttura fu definita però nel 1857 grazie al lavoro del chimico Auguste André Thomas Cahours.
La funzione principale della glicina è quella plastica nella sintesi proteica, in particolare nell'associazione elicoidale all'idrossiprolina per formare il collagene e nella produzione dell’elastina; possiede anche una funzione antiossidante e svolge quindi un ruolo di citoprotezione nel tessuto nervoso, oltre a rappresentare un intermedio biosintetico delle porfirine e fornire la subunità centrale di tutte le purine. Tra varie fonti proteiche, la glicina è altamente presente nella gelatina, componendo circa il 30% degli amminoacidi in essa contenuti
glicina e sistema nervoso
La glicina è un neurotrasmettitore inibitorio nel sistema nervoso centrale, specialmente nel midollo spinale e nel tronco encefalico, dove è cruciale per la regolazione dei motoneuroni: interneuroni glicinergici sono stati trovati nella retina, nel sistema uditivo ed altre aree implicate nella sensorialità; come il GABA, la glicina è accoppiata alla modulazione degli ioni cloro intracellulari. Studi sperimentali hanno dimostrato che la glicina è anche un coregolatore del recettore NMDA del glutammato, un'azione che potrebbe essere importante nel dialogo tra fibre eccitatorie ed inibitorie a livello cerebrale.
- parassitosi
Malattie infettive causate o trasmesse da parassiti, esseri viventi, unicellulari o pluricellulari, che vivono a spese di un organismo che li ospita, traendo da quest'ultimo il cibo necessario alla sopravvivenza, alla crescita e alla riproduzione; tra le cause di parassitosi umane, rientrano tre tipi di parassiti: i protozoi, gli elminti e gli ectoparassiti.
Molti parassiti convivono con l'ospite senza danneggiarlo, pertanto non causano malattie; alcuni parassiti invece sono cause dirette di malattia, altri danneggiano l'ospite attraverso la produzione di tossine, altri ancora sottraggono nutrienti all'organismo ospite, causando stati di astenia e depressione: i sintomi di una parassitosi dipendono dall'agente scatenante; in genere, la maggior parte delle parassitosi è causa di sintomi gastrointestinali.
- tordo cronico
definizione
Forma cronicizzata persistente e ricorrente di moniliasi orale (mughetto permanente) o di candidosi vaginale recidivante (mughetto vaginale); il tordo vaginale può essere una conseguenza dell'uso prolungato di antibiotici, gluco-corticosteroidi o dei contraccettivi orali.
- disbiosi intestinale
definizione
Con disbiosi si intende una condizione di squilibrio dell’ecosistema microbico dell’organismo ovvero un'alterazione potenzialmente patologica del microbiota; può essere considerato in antitesi con il concetto di simbiosi, stato che normalmente dovrebbe caratterizzare il rapporto fra flora microbica ed essere umano, contraddistinto da “un rapporto di reciproco vantaggio”; dal greco δυσβίωσις composto dal prefisso peggiorativo δυσ- (dys → male, anomalia, malformazione) e βίωσις (bíōsis → tenore di vita), derivato, a sua volta, da βιόω (bióō → vivere) e -ωσις (-ōsis → suffisso indicante una condizione, uno stato o un processo).
La disbiosi intestinale è una una condizione di alterazione inerente il tratto digestivo; anche se questa è una delle manifestazioni più frequenti, la disbiosi può interessare qualsiasi distretto corporeo: il concetto di fondo è la presenza di iperproliferazione microbica, superinfezione batterica o disbatteriosi (dysbacteriosis) che dir si voglia, ovvero di uno squilibrio nei rapporti fra le popolazioni microbiche che compongono il microbiota, frequentemente conseguente ad un'alterazione dell'ecosistema presente all'interno del tubo gastro-enterico.
sintomi
Cattiva digestione e dispepsia; bloating, gonfiore, meteorismo e flatulenza; algia addominale, coliche, dolore spastico acuto, spesso caratterizzato da accessi parossistici intervallati da periodi di remissione sono alcuni dei sintomi più diffusi in caso di infiammazione acuta dell'intestino dipendente dalla disbiosi intestinale: l’irritazione causata dalla disbiosi, infatti, può portare a disturbi legati alla digestione e ad alcune intolleranze alimentari indirette, ossia a quelle non direttamente legate ad un uno specifico alimento.
L’infiammazione causata dalla disbiosi può provocare forme di malassorbimento dovute alla flogosi dei villi intestinali, che non riescono più ad assorbire le sostanze nutritive ingerite, causando, talvolta, quadri di leaky gut syndrome o...
- candidosi
definizione
Detta anche candidiasi o, talvolta, moniliasi, è un'infezione da funghi del genere Candida, di cui la Candida Albicans è il più comune: la candidosi della bocca è volgarmente chiamata mughetto; quando si parla di candidosi solitamente si intendono le infezioni che vanno dal livello superficiale, come ad esempio il mughetto orale e le vaginiti, a quelle sistemiche potenzialmente mortali (candidemia) anche se queste ultime sono solitamente limitate alle persone gravemente immunocompromesse, come i malati di cancro, i trapiantati, gli affetti da AIDS così come i pazienti non traumatici sottoposti a intervento chirurgico di emergenza.
Le infezioni superficiali della pelle e delle membrane mucose causate dalla candida sono responsabili di infiammazioni locali e di sensazioni di disagio in molte popolazioni umane: la malattia è sempre chiaramente imputabile alla presenza degli agenti patogeni opportunisti del genere Candida, ma la candidiasi descrive un numero di sindromi patologiche diverse che spesso differiscono nelle loro cause e nella prognosi; caratterizzata da lesioni mucocutanee e, a volte, infezioni focali in molteplici sedi, i sintomi dipendono dalla sede di infezione e comprendono disfagia, lesioni cutanee e mucose, cecità, sintomi vaginali (prurito, bruciore e perdite), febbre, shock, oliguria, blocco renale e coagulazione intravascolare disseminata.
- mughetto
definizione
Glossite da Candida Albicans (Oidium Albicans), frequente nel neonato e nella prima infanzia: si caratterizza per la formazione di una patina linguale costituita da questo micetale che assumono la forma di corpuscoli risplendenti e di formazioni filamentose, deposizioni biancastre pseudomembranose, facilmente staccabili, sulla mucosa della bocca, specialmente sulla lingua e sul palato dove più spesso si trova; le membrane possono estendersi anche all'esofago e alla laringe, invadendo, di rado, lo stomaco, la trachea, le cavità nasali.
La definizione di “mughetto”, comunemente utilizzata per questa glossite, deriva dal francese muguet, che discende dal latino muscus, adattamento del greco μόσχος (→ secrezione biancastra odorosa prodotta dai cervidi), in quanto il suo aspetto caratterizzato da formazioni biancastre con aspetto di “latte cagliato”, ricorda la fioritura della pianta (Convallaria Majalis).
descrizione
Il mughetto è un'affezione peculiare del lattante; negli adulti il mughetto spesso è una superinfezione che si sviluppa durante l'infiammazione della bocca (stomatite), in presenza di grave indebolimento organico o cachessia: la Candida Albicans è parte integrante della flora presente nel cavo orale di molte persone; solamente quando le difese immunitarie dell'ospite precipitano, questo microrganismo può proliferare pressoché indisturbato all'interno della bocca, provocando l'infezione nota come candidosi orale, di cui il mughetto (o candidosi acuta pseudomembranosa) è la manifestazione più caratteristica. Lo sviluppo del fungo, che avviene soltanto in ambiente acido, è favorito dalla presenza di sostanze facilmente fermentescibili, come sono i residui alimentari.
I disturbi consistono in difficoltà all'assunzione del cibo, oppure nelle conseguenze dell'ostruzione meccanica delle vie aeree nei casi di propagazione faringo-laringea; può aversi un catarro gastro-intestinale per la penetrazione dei prodotti irritanti di secrezione della...
- proteine idrolizzate
definizione
Miscela di amminoacidi e peptidi, più o meno complessi, ottenuta dall'idrolisi di una fonte proteica animale, come ad esempio proteine del siero del latte dell'uovo, o vegetale, come quelle della soia: l'idrolisi ricalca quanto avviene nello stomaco e nell'intestino umano, dove specifici enzimi (pepsina, tripsina, proteasi, peptidasi) scompongono le proteine alimentari in peptidi sempre più piccoli, fino ad ottenere i singoli amminoacidi che le compongono.
I lisati proteici possono essere considerate come proteine pre-digerite per via enzimatica: questo processo consente di produrre prodotti ben tollerati a livello gastro-intestinale, soprattutto dai soggetti maggiormente sensibili che lamentano gonfiori, flatulenza e dolori addominali; inoltre si riducono i tempi di digestione, assicurando un assorbimento più rapido dopo l'ingestione, un maggior effetto insulinotropo, ed un più rapido incremento dei livelli di amminoacidi nel sangue.
Gli integratori di proteine idrolizzate possono essere indicati nel post-workout per accelerare il recupero e sfruttare la cosiddetta finestra anabolica; aumentando il rilascio di insulina, le proteine idrolizzate assunte assieme ad un'adeguata dose di liquidi e carboidrati, aumentano la velocità di ripristino del glicogeno muscolare dopo l'esercizio.
- stearina vegetale
definizione
Chiamata anche tristearina è un trigliceride derivante dalla condensazione del glicerolo con tre molecole di acido stearico, un acido carbossilico che viene utilizzato nella preparazione delle emulsioni (sia acqua in olio che olio in acqua) e come viscosizzante, capace di donare una texture ai preparati che risulteranno più scorrevoli, rendendo il prodotto finale più soffice e setoso: è una sostanza biodegradabile non solubile in acqua; dal greco στέαρ (stéar → grasso, sego).
L'acido stearico, l'acido oleico o l'acido palmitico sono usati principalmente come fattore di consistenza per addensare i preparati, per arricchire, stabilizzare o indurire le emulsioni.
Attualmente si utilizza, commercialmente, non una tristearina pura, ma una miscela di trigliceridi ad alto punto di fusione: la più diffusa è la stearina dell'olio di palma composta tipicamente da trigliceridi POP (glicerolo esterificato con una molecola di acido oleico in posizione 2 e due di acido palmitico in posizione 1 e 3) e PPP ((glicerolo esterificato con tre molecole di acido palmitico).
- cellulosa microcristallina
definizione
Additivo alimentare, rilevabile dalla presenza, in etichetta, della sigla E460i, è impiegato per le sue proprietà addensanti, gelificanti e stabilizzanti, evitando ai prodotti di rapprendersi; migliora la scorrevolezza delle compresse ed esibisce un'ottima comprimibilità e capacità di carico: aumenta il volume delle compresse senza aumentarne significativamente il valore energetico, in quanto si tratta di una sostanza inerte che non viene degradata durante la digestione e non viene assorbita a livelli degni di nota.
La cellulosa microcristallina è una forma purificata e parzialmente depolimerizzata di cellulosa ottenuta da materiale di origine vegetale; è un un carboidrato che permette di produrre compresse stabili e resistenti, ma che si disgregano facilmente liberando i principi attivi, in quanto le compresse contenenti cellulosa microcristallina sono dure, ma riescono a sciogliersi velocemente. La cellulosa microcristallina non fornisce un contributo energetico significativo; vanta blande proprietà lassative, mentre come tutte le fibre insolubili (a differenza di quelle solubili) non produce effetti significativi sui livelli plasmatici di glucosio, trigliceridi e colesterolo.
- acido glutammico
definizione
Amminoacido polare, chirale, è un amminoacido non essenziale, glicogenetico, caratterizzato da formula bruta C5H9NO4 (il prefisso “Glut-“ indica la presenza di 5 atomi di carbonio) o dalla formula NH2CH(COOH)(CH2)2COOH (acido α-amminoglutarico).
Il nome deriva dal latino glūtĕn (→ colla, sostanza vischiosa, collante, vincolo, forza di coesione), radice etimologica non solo del termine acido glutammico, dal tedesco Glutaminsäure, composto di Glut(en) (→ glutine), Amin (→ amina) e Säure (acido), ma anche del lemma glutina: infatti le principali fonti alimentari di acido glutammico sono il glutine (25% di acido glutammico in peso) e la caseina del latte animale (20-23%), dove l'acido glutammico è legato agli altri amminoacidi o libero (a seguito di pasteurizzazione del latte, raffinazione e cottura del grano, fermentazione naturale dei formaggi); Oltre che nel glutine e nella caseina è contenuto in elevata concentrazione nella zeina, nella pepsina, nelle proteine dei muscoli e del tessuto nervoso.
Le funzioni biologiche dell'acido glutammico sono molteplici: interviene nella sintesi delle proteine, dell'acido folico, del glutatione; costituisce con la glutammina un sistema di trasporto e di inattivazione dell'ammoniaca; reagisce con la citrullina formando arginina; è uno degli amminoacidi glucogenetici, dai quali è possibile la sintesi ex novo del glucosio. A livello del tessuto nervoso l'acido glutammico prende parte a importanti processi di deamminazione, di ossidazione e di transaminazione; interviene nella sintesi dell'acetilcolina e nei meccanismi di regolazione della permeabilità di membrana nella cellula nervosa
Costituente normale delle proteine, è presente in tutti i tessuti anche come amminoacido libero: è implicato in molti processi metabolici, come fissatore e trasportatore di ammoniaca: molti amminoacidi/che costituiscono le proteine derivano il loro gruppo amminico dall’acido glutammico: queste reazioni di trasferimento, catalizzate...
- alanina
definizione
Amminoacido non polare, chirale, caratterizzato dalla formula CH3−CH (NH2)−COOH: il suo gruppo laterale è un metile; dopo la glicina, è il più piccolo degli amminoacidi. L'alanina fu sintetizzata per la prima volta nel 1850, quando Adolph Strecker combinò acetaldeide e ammoniaca con acido cianidrico; venne comunque scoperta ed isolata a partire dalle sostanze naturali solamente nel 1879: dal francese alanine, composto di al(dehyde) (→ aldeide) e del suffisso -ine (dal latino -inus), con inserzione di -an-.
Amminoacido non essenziale, è uno dei 20 amminoacidi presenti nelle proteine animali e vegetali, dotato di azione ergogenica; può venire prodotta nei muscoli a partire dall'acido glutammico per mezzo della transaminazione: nel fegato l'alanina viene trasformata in acido piruvico. L'enzima alanina-amminotransferasi (detta anche ALT, acronimo di alanina-transaminasi) catalizza la reazione nella quale il gruppo amminico dell'alanina viene trasferito all'acido α-chetoglutarico formando l'acido glutammico; è uno degli amminoacidi liberi più abbondanti nei tessuti e nei liquidi fisiologici.
L’alanina può ridurre il colesterolo nel sangue e in condizioni di ipoglicemia può servire per produrre glucosio; le alterazioni nel ciclo dell'alanina che aumentano i livelli sierici di alanina aminotransferasi (ALT) sono legate allo sviluppo del diabete di tipo II.
Durante l’attività fisica, il ruolo dell’alanina è quello di entrare a far parte di una via metabolica denominata ciclo alanina-glucosio; intensi e prolungati sforzi fisici causano una deplezione dei livelli ematici di glucosio e un aumento della concentrazione ematica di acido lattico: di conseguenza, i muscoli sono costretti, per scopi energetici, ad accrescere l’ossidazione degli acidi grassi e degli aminoacidi, in particolar modo di quelli ramificati.
A partire da questi ultimi e dal piruvato, si forma l’alanina per transaminazione, ovvero un processo per cui il gruppo amminico proprio degli...
- amminoacido essenziale
definizione
Chiamati, in inglese E.AA. «essential amino acid» o «indispensable amino acid», sono amminoacidi impossibili da sintetizzare ex-novo ad un ritmo commisurato rispetto alla domanda o fabbisogno metabolico e devono, di conseguenza, essere introdotti con la dieta.
Gli amminoacidi essenziali sono: fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano e valina, cui nell’età della crescita si aggiunge l’istidina: la carenza di anche solo uno di questi amminoacidi può provocare un forte rallentamento della sintesi proteica, causando un importante problema nutritivo per tutto il nostro organismo.
Gli amminoacidi semi-essenziali sono quegli amminoacidi che possono essere sintetizzati dall'organismo, a patto che vengano forniti altri amminoacidi essenziali in quantità superiore al fabbisogno, per far fronte alla loro produzione: gli aminoacidi che possono venir trasformati l'uno nell'altro sono: metionina e omocisteina (amminoacidi contenenti zolfo), fenilalanina e tirosina (amminoacidi aromatici), arginina, ornitina e citrullina (aminoacidi del ciclo dell'urea); in particolari condizioni di stress dell'organismo, ad esempio in seguito a intensa fatica fisica o a un intervento chirurgico significativo, la glutammina può venir consumata in quantità tali da dover essere introdotta con la dieta.
- integratore alimentare
definizione
Secondo il Ministero della Salute, gli integratori alimentari sono “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate” (definizione dalla normativa di settore Direttiva 2002/46/CE, attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 169 - fonte: Ministero della Salute - Integratori alimentari e Linee guida ministeriali).
Gli integratori alimentari sono solitamente presentati in piccole unità di consumo come capsule, compresse, bustine, flaconcini e simili, e possono contribuire al benessere ottimizzando lo stato o favorendo la normalità delle funzioni dell’organismo con l’apporto di nutrienti o altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico.
- amminoacido limitante
definizione
Detto anche amminoacido critico, è il fattore limitante ovvero l'amminoacido essenziale la cui quantità condiziona la possibilità di sintesi di nuove proteine: la disponibilità degli aminoacidi è un fattore limitante per i processi di sintesi proteica che possono essere bloccati a causa della carenza di un singolo aminoacido essenziale: rappresenta quell’amminoacido essenziale presente nella concentrazione più bassa rispetto al fabbisogno, che, di conseguenza, impedisce l'utilizzo ottimale degli altri amminoacidi per la sintesi proteica.
Gli aminoacidi limitanti possono essere definiti anche come gli amminoacidi essenziali che usualmente scarseggiano, all'interno di un alimento, rispetto alla quantità necessaria: nello specifico, in particolare, lisina, metionina e istidina sono quelli più frequentemente critici, in quanto, statisticamente, carenti nella nutrizione.
In generale la qualità proteica degli alimenti di origine animale è superiore poiché contengono tutti i vari amminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni, mentre la qualità inferiore delle proteine vegetali è invece dovuta ad una carenza di uno o più amminoacidi essenziali: i cereali sono per esempio carenti di triptofano e lisina, un amminoacido essenziale la cui carenza può portare ad un deficit di vitamina B3 (niacina); i legumi, molto ricchi di proteine di discreta qualità, sono invece carenti di aminoacidi solforati (metionina e cisteina) importanti per la crescita di peli, capelli e unghie e per la sintesi di glutatione, un potente antiossidante in grado di proteggere le nostre cellule dallo stress ossidativo (radicali liberi). Abbinando correttamente tra loro differenti proteine vegetali si può compensare la carenza dei vari aminoacidi limitanti.
- amminoacidi non essenziali
definizione
Rientrano in questa categoria tutti gli aminoacidi che il nostro corpo è in grado di sintetizzare autonomamente; vengono prodotti nelle cellule da prodotti di partenza più semplici contenenti ossigeno, carbonio, idrogeno e azoto e sono: alanina, acido aspartico, asparagina, acido glutammico, glicina, prolina, serina, tirosina, istidina e glutammina.
- acido aspartico
definizione
Amminoacido non essenziale, la cui catena laterale è polare; è una molecola chirale, che presenta una catena laterale acida carica negativamente a pH fisiologico, che può reagire con altri amminoacidi, enzimi e proteine: la forma ionizzata dell’amminoacido prende il nome di aspartato, mentre l’ammide dell’acido aspartico è l’asparagina, un altro dei 20 amminoacidi.
L’aspartato nel cervello agisce come un neurotrasmettitore eccitatorio e stimola i recettori NMDA, anche se non così fortemente come il glutammato; è coinvolto anche nel ciclo dell'urea ed è inserito fra gli amminoacidi glucogenici, in quanto l’ossalacetato, che è un precursore del glucosio, viene prodotto direttamente dalla transaminazione dell’aspartato: anche l’asparagina che viene idrolizzata in aspartato tramite la L-asparaginasi, porta alla formazione di ossalacetato.
Il farmacista francese Auguste-Arthur Plisson, nel 1827, isolò l’acido aspartico dopo aver fatto reagire l’asparagina, ottenuta dal succo di asparago, con idrossido di piombo: chiamò l'acido ottenuto "acide aspartique", dal latino aspăragus (→ asparago).
- Amino All
descrizione
Formulazione a base di lisati proteici, derivati da tessuti ialini, elastici e fibro-cartilaginei di origine bovina, per la supplementazione proteica e l’ottimizzazione del metabolismo glucidico; fonte naturale di condroitin solfato e di amminoacidi purissimi, in forma levogira, in un rapporto bilanciato: ogni compressa ha un contenuto minimo del 92/97% di proteine ed un contenuto minimo di azoto proteico attivo del 16%. In caso di deplezione proteica, cachessia, carenze amminoacidiche, per favorire l'anabolismo muscolare; l'integrazione con amminoacidi facilita il processo digestivo nell’intero tratto gastro-enterico, svolgendo un'azione antinfiammatoria, coadiuvando il trattamento delle M.I.C.I., nelle disbiosi intestinali, nella candidosi, nelle parassitosi o nelle infezioni ricorrenti del tratto intestinale o respiratorio.
ingredienti
Ogni tavoletta da 500 mg di proteine idrolizzate (amminoacidi), di origine bovina, contiene: L-alanina 40 mg, L-arginina 37,5 mg, acido L-aspartico 22,5 mg, acido L-glutammico 50 mg, L-glicina 95 mg, L-istidina 5 mg, L-idrossilisina 5 mg, L-idrossiprolina 60 mg, L-isoleucina 10 mg, L-leucina 15 mg, L-lisina 19 mg, L-metionina 3 mg, L-ornitina 1 mg, L-fenilalanina 10 mg, L-prolina 78,5 mg, L-serina 35 mg, L-treonina 10 mg, L-tirosina 3 mg, L-valina 14 mg. Altri ingredienti: stearina vegetale, cellulosa microcristallina, Oryza Sativa extract.
♥ per maggiori informazioni:
AMINO ALL (NW1415)
confezione 240 compresseNessuna affermazione riportata sulla presente pubblicazione è finalizzata alla cura di malattie diagnosticate o ignote: si consiglia sempre di riferire sintomi e disturbi al proprio medico curante e di informarlo d’eventuali integratori assunti per prevenire potenziali interazioni con farmaci. Nessuna delle affermazioni riportate, dei suggerimenti nutrizionali e delle ricerche riportate sono finalizzate alla diagnosi, alla cura o al trattamento di patologie e non dovrebbero essere considerate...
- Oryza Sativa (estratto)
definizione
L'amido estratto dal chicco di riso è un additivo addensante utilizzato nell'
alimentazione e in preparazioni cosmetiche; è ricco di acido silicico. - P.T.S.D.
definizione
Acronimo per «post-traumatic stress disorder», ovvero disturbo da stress post-traumatico.
- disturbo post-traumatico da stress
definizione
Patologia che può svilupparsi in persone che hanno subìto o hanno assistito a un evento traumatico, catastrofico o violento, oppure che sono venute a conoscenza di un’esperienza traumatica accaduta a una persona cara.
Sintomatologia del PTSD
Secondo la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5; APA, 2013), per fare diagnosi di PTSD è necessario valutare la presenza dei seguenti criteri:
Criterio A – Esposizione a un evento traumatico
Esposizione a evento traumatico come a morte o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale. Come già accennato qui sopra, l’esposizione può avvenire in diversi modi:
- Fare esperienza diretta, cioè la vittima vive il trauma in prima persona;
- Assistere a un evento traumatico accaduto ad altri;
- Venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a una persona con cui si ha una relazione intima, ad esempio un componente della propria famiglia o un amico stretto, e in particolare ai caregiver primari nel caso dei bambini. La morte o la minaccia di morte deve essere stata violenta o accidentale;
- Estrema e ripetuta esposizione a dettagli crudi dell’evento (ad esempio, nel caso dei primi soccorritori in seguito all’evento o di agenti di polizia durante le indagini), ma non tramite i media, ad eccezione che nei casi in cui anche ciò sia legato alla professione svolta.
Criterio B – Sintomi di risperimentazione
Similmente a quanto osservato nel Disturbo Acuto da Stress, la vittima si ritrova a rivivere ripetutamente il momento del trauma. Ad esempio, ciò può avvenire sotto forma di flashback, cioè percezione di star risperimentando l’evento nel presente, fino alla completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante. I flashback sono di solito accompagnati da intensa paura e reattività fisiologica (battito cardiaco accelerato, sudorazione, tensione muscolare e nausea). Alcuni particolari che ricordano il trauma possono diventare dei trigger, cioè...
- indigestione
definizione
Anche se nel linguaggio comune si usa dire «indigestione» riferendosi all'aver mangiato troppo o al fatto di sentirsi pieni, con un non meglio specificato «senso di pienezza e di pesantezza allo stomaco per aver mangiato troppo», anche se, in realtà, questo termine descrive un quadro morboso acuto costituito da mancato o incompleto svolgimento dei processi digestivi nello stomaco, dovuto a eccessiva ingestione di alimenti o a fenomeni dispeptico: si manifesta con peso epigastrico, alito fetido, lingua impaniata, eruttazioni, nausea, a volte vomito, con la possibile insorgenza di febbre e alterazioni della mucosa gastrica; dal latino indigestio, composto di in- (→ prefisso negativo, non) e digestio (→ digestione), sinonimo, in un certo senso, di dispepsia.
Indigestione, non di rado, viene utilizzato colloquialmente anche per indicare un atteggiamento quasi bulimico nei confronti di qualcosa che si apprezza, come nel caso in cui si faccia «indigestione di libri (film)» o qualsiasi altra cosa gradita, lasciando comunque trapelare che se ne è introdotti tanti da non riuscire ad apprezzarne o assimilarne completamente il contenuto; ugualmente, ciò che ci è indigesto è qualcosa che si rivela un peso, difficile da digerire o, se si preferisce, qualcosa di stressante (dis-stress) o che ci mette a disagio (dis-confort).
eziopatogenesi
L'indigestione, solitamente, si manifesta con un'epigastralgia, cioè un senso di dolore nella zona del cardias che, nei casi più significativi, può divenire anche dolore lancinante o un bruciore (heartburn) che può condizionare la qualità della vita di chi ne soffre soprattutto in forma ricorrente; talvolta si possono manifestare assieme alla pirosi, eruttazione marcata, rigurgito, inappetenza, nausea, stipsi, diarrea, bloating, flatulenza e meteorismo: le modalità con cui l'indigestione, cioè la dispepsia, si può manifestare dipende, in realtà dalla causa determinante.
Anche se molte persone associano l'idea di...
- precordialgia
definizione
Sensazione dolorosa a livello della regione precordiale, ovvero della regione anteriore del torace, con tendenza solitamente a localizzarsi maggiormente verso sinistra: spesso è accompagnata da senso di oppressione, talvolta da dispnea, potendo essere un sintomo di angina pectoris per insufficienza coronarica (o essere confuso con essa), di ernia dello iato esofageo, di patologie esofagee o mediastiniche; composto di precordio, dal latino prae- (→ pre-) cor (→ cuore), e algia, da ἄλγος (algos → dolore).
Il soggetto lamenta fitte localizzate all’altezza del capezzolo, simili a punture di un ago, oppure un lieve fastidio prolungato, non di rado si sposta verso l'epigastrio; il dolore non è dovuto a uno sforzo né provocato dai movimenti respiratori, che non coincidono con la sensazione di sofferenza: teoricamente l'area di irraggiamento del dolore è diversa da quella tipica dell’angina pectoris, ma non sempre è possibile basare una diagnosi differenziale esclusivamente sulle manifestazioni di algia.
Anche se il dolore può comparire in numerose malattie cardiache, come le cardiopatie ischemiche (angina pectoris o infarto del miocardio), cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativa, stenosi aortica, pericardite acuta, non di rado interessa strutture extra-cardiache come, ad esempio, le aortiti o gli aneurismi dell’aorta, i tumori del polmone e del mediastino, nel pneumotorace, nei diverticoli esofagei, nell’herpes zoster; una precordialgia può essere dovuta a un reumatismo, un trauma, un’eruzione cutanea: tale dolore è detto parietale, in quanto la causa è localizzata nella parete toracica; raramente la precordialgia può essere pleurica (localizzata nella pleura) o mediastinica (localizzata nel mediastino, al centro della cavità toracica): le affezioni degli organi addominali possono, con meccanismo nervoso riflesso, provocare precordialgia, come in caso di ernie diaframmatiche, affezioni della colecisti, le pancreatiti, gli infarti della...
- algia
etimologia
Termine utilizzato in medicina per indicare la presenza di dolore, indipendentemente dall'elemento causale o dalla localizzazione, sia essa regionale o viscerale; dal greco ἄλγος (álgos → dolore).
classificazione del dolore
Tutte le stimolazioni algiche che si producono sulla pelle o negli organi interni vengono instradate assieme a quelle prodotte dai recettori propriocettivi: quando le informazioni arrivano alle strutture encefaliche, solamente se gli impulsi nervosi eccitatori si rivelano essere stimoli sopraliminali (sopra la soglia minima), vengono interpretare come algiche.
Il dolore viene classificato in:
⇒ dolore somatico, superficiale, generalmente ben identificabile spazialmente: è provocato da qualsiasi stimolo di intensità adeguata, indipendentemente dal fatto che la causa sia di origine meccanica, tattile, termica o derivi da causticazione oppure irritazione chimica;
⇒ dolore viscerale, profondo, solitamente poco localizzato o diffuso, usualmente descritto come vago, sgradevole, nauseante, spesso associato a sudorazione e a variazioni della pressione arteriosa: l'indeterminatezza nell'identificare con precisione la sede del dolore profondo dipende dalla minor densità recettoriale viscerale, rispetto alla concentrazioni di terminazioni nervose presenti nel derma sottocutaneo o a livello muscolo-tendineo. Anche se tali recettori sono molto sensibili alle stimolazioni quali la distensione che, qualora sia anomala rispetto al transito fisiologico, può essere la causa di dolori di particolare intensità, come nel caso delle coliche.L'irritazione o la lesione delle fibre sensitive, indipendentemente dal fatto che la causa sia tossica, infettiva o traumatica, scatena dolori che possono essere l'espressione di un interessamento di nervi periferici (nevralgia), dei plessi nervosi (plexalgia), delle radici nervose (radicolite), o delle strutture centrali (parenchima midollare, talamo, corteccia).
considerazioni sul dolore
Il dolore acuto...
- Tanacetum Parthenium
- Salix Alba
definizione
Albero dalla chioma aperta e i rami sottili, flessibili e tenaci, possiede una corteccia giallastra o grigio-rossastra; le foglie lanceolate-acuminate, con stipole caduche e piccole, picciolate e finemente seghettate sono pelose su ambo le facce da giovani, mentre quelle adulte hanno pagina superiore poco pelosa o glabra, e quella inferiore è ricoperta da densa peluria che conferisce una colorazione argentea (da qui l'attributo alba, cioè bianco).
Noto per le sue proprietà antinfiammatoria, antinevralgica e antifebbrile, è utile contro reumatismi, mal di testa e febbre.
un po' di storia
Il termine latino salix, discende dalla radice indoeuropea (celtica) sal-lis (→ vicino all'acqua) a conferma del fatto che i salici crescono bene in luoghi freschi, dal terreno ben intriso di acqua come le rive dei laghi, dei fiumi, o in prossimità di zone paludose: nei dialetti italiani il nome della pianta è perlopiù derivato dall'accusativo latino salicem, da cui salice; il termine alba (→ bianco), allude al fatto che le foglie, di colore grigio argento con una leggera peluria setosa nella pagina inferiore, donano alla chioma un aspetto bianco-argenteo.
Le virtù terapeutiche e le proprietà febbrifughe ed analgesiche della corteccia del salice sono note fin dall’antichità in quanto le foglie e la corteccia del salice sono menzionati in antichi testi medici egizi del II millennio a.C. (papiro Ebers, papiro Edwin Smith): questa droga è citata negli scritti d'Ippocrate, di Dioscoride e Plinio; nel Medioevo l’utilizzo farmacologico si va progressivamente perdendo, data l’elevata flessibilità dei giovani rami, che vengono utilizzati per la fabbricazione di cesti e altri oggetti di vimini (il nome vimini in effetti deriva dalla specie Salix Viminalis, i cui rami sono particolarmente adatti per questo utilizzo). La Scuola Medica Salernitana (dal periodo Normanno, fino alla prima meta del XIII secolo), come già Dioscoride, attribuisce al salice proprietà...
- Harpagophytum Procumbens
Detto anche “artiglio del diavolo” è una pianta perenne rampicante che appartiene alla famiglia delle Pedaliacee; conosciuto in lingua inglese con gli eponimi di “grapple plant” (pianta rampino), “wood spider” (ragno di legno) e “devil's claw” (artiglio del diavolo), cresce in Africa Meridionale e soprattutto nelle regioni orientali e sud-orientali della Namibia, nel sud del Botswana, nella regione del Kalahari, nel Northern Cape e in Madagascar: deve il nome di artiglio del diavolo alle quattro appendici dure e nastriformi che caratterizzano i suoi frutti ovoidali.
Queste escrescenze sono dotate di robusti uncini che, penetrando nel corpo o nelle zampe degli animali, procurano serie ferite, costringendoli a compiere una danza “indiavolata”; la parte usata a scopo medicamentoso è costituita dalle escrescenze laterali della radice tuberosa (dette radici secondarie), che contengono alte percentuali di principi attivi.
L'uso etnobotanico dell'artiglio del diavolo ha avuto origine in Africa Meridionale, dove si crede possa essere utile nel trattamento di varie condizioni dolorose: nella medicina tradizionale sud-africana l'artiglio del diavolo viene utilizzato da secoli per la cura di vari problemi, come le malattie reumatiche, i dolori articolari, come antipiretico, per i problemi allo stomaco.
Ciò che è stato constatato empiricamente dalle popolazioni locali è confermato dagli studi del tedesco Schmidt, che hanno portato alla scoperta di tre glicosidi ritenuti responsabili degli effetti analgesici e antipiretici dell'arpagofito, l'arpagoside, l'arpagide e la rocumbide, che si sono rivelti utili ed attivi nelle situazioni che causano dolore e infiammazione come tendiniti, osteoartrite, artrite reumatoide. lombalgia e cervicalgia; molti di questi studi hanno paragonato l'efficacia di comuni prodotti antinfiammatori a quella dei fitoestratti di Harpagophytum Procumbens, confermando le virtù terapeutiche di questo fitoterapico.
L'artiglio del diavolo trova...
- clorofilla
definizione
Pigmento verde presente in quasi tutte le piante, nelle alghe ed in alcuni batteri; ha lo scopo di assorbire la luce necessaria alla sintesi dei carboidrati, che avviene a partire dall'acqua e dall'anidride carbonica: isolato nel 1817 da Joseph Bienaimé Caventou e Pierre-Joseph Pelletier è presente nei grani dei cloroplasti delle cellule vegetali, o negli organismi procarioti che realizzano la fotosintesi clorofilliana; la struttura della molecola è caratterizzata dalla presenza di un eterociclo porfirinico, al centro del quale è coordinato uno ione magnesio ed è dotata di proprietà antiossidanti ed antianemiche.
La clorofilla può essere considerata un vero rigeneratore per le cellule: presenta numerose proprietà quali la capacitò di attivare il metabolismo cellulare, rinforzare le difese immunitarie; è utile contro varie forme di anemia, migliora la contrazione cardiaca e si rivela utile soprattutto per gli sportivi aumentando la resistenza. Favorisce la cicatrizzazione dei tessuti perché migliora la circolazione sanguigna, è antiossidante ed in grado di “catturare” i radicali liberi, aiutando a depurare il fegato e, attraverso la detossicazione, a smaltire le tossine; fra le sue varie azione c'è anche la capacità di regolarizzare il ciclo mestruale, rivitalizzare il sistema vascolare nelle gambe avere un'azione protettiva sulle vene varicose.
- Chlorella
definizione
Detta anche Clorella, è un’alga verde microscopica d’acqua dolce della classe delle Clorophyceae, coltivata in stagni ricchi di sali minerali: ben conosciuta per la sua azione purificatrice e curativa grazie al suo alto livello di nutrienti e la sua altissima concentrazione di clorofilla, che favorisce la sua azione antiossidante.
Nella Chlorella è possibile trovare una concentrazione di clorofilla estremamente elevata, da 10 a 100 volte di più di quella che generalmente si rinviene nelle verdure a foglia verde; è composta per il 60% di proteine nobili vegetali totalmente assimilabili e contiene tutti gli aminoacidi essenziali, il CGF (Fattore della Crescita) che aiuta ad aumentare la massa muscolare: contiene vitamine e numerosi minerali come ferro, calcio, fosforo, e micronutrienti che hanno un'importante funzione nel meccanismo generale della nutrizione, favorendo un rapido recupero energetico.
La Chlorella è in grado di innalzare la resistenza fisica e le capacità di adattamento dell'organismo in situazioni ambientali di sovraccarico e sollecitazioni straordinarie, in modo da migliorare l'efficienza generale; è particolarmente ricca di zinco e altri minerali e la concentrazione di vitamina A (Betacarotene) è molto più alta di quella che possiamo trovare nelle verdure a foglia verde: è un componente estremamente significativo per conferire alla Chlorella il potere di rinforzare il sistema immunitario oltre che essere di valido aiuto a disintossicare il sangue e i tessuti da sostanze chimiche dannose.
La Chlorella si è dunque dimostrata essere una sostanza terapeutica quando sia necessario il rinforzo del sistema immunitario, per la guarigione di ferite di qualsiasi natura e di ulcere, stimola la crescita e la riparazione dei tessuti (grazie all’elevata quantità di acidi nucleici) e ritarda l’invecchiamento dei tessuti: possiede la capacità di proteggere l'organismo dalle tossine xenobiotiche e da inquinamento; normalizza la funzione digestiva...
- Eleuterococcus
L’Eleuterococco è considerato a pieno titolo una droga ad attività “adattogena”, cioè un fitocomplesso capace di intervenire sui meccanismi omeostatici che consentono all’organismo di “adattarsi” a situazioni di stress psicologico o fisico ed a condizioni ambientali sfavorevoli. Questo si traduce in un incremento delle energie fisiche e psicologiche che permettono all’organismo di affrontare meglio situazioni di stress, in genere accompagnate da ansia, indebolimento delle difese immunitarie e scompensi metabolici, tipici degli stati di carenza di pregnenolone. L’Eleuterococco sembra agire sull’asse ipotalamo ipofisi ghiandole surrenali. Studi clinici hanno dimostrato come alcuni componenti degli estratti di Eleuterococco si leghino ai recettori di molti ormoni steroidei: gli autori ipotizzano che, interferendo con il meccanismo di feedback, l’Eleuterococco possa determinare una stimolazione della funzione corticosurrenalica in condizioni di moderato ipocorticosurrenalismo. Sperimentalmente, l’estratto di Eleuterococco incrementa l’attività fisica e riduce la sensazione di fatica.
- fitoestratto
definizione
Preparato ottenuto dalla evaporazione, parziale o totale, di succhi vegetali o di soluzioni risultanti dal trattamento di una sostanza vegetale con un liquido (acqua, alcol, etere ...) capace di discioglierne, e quindi estrarne, i principi attivi: le parti utilizzate variano da pianta a pianta, cioè possono essere foglie, fiori, frutti, semi, corteccia, rizoma, radice o pianta intera, dato che i vari costituenti chimici possono essere localizzati in diverse parti della pianta o presentare differenti concentrazioni oppure cofattori diversi; è possibile suddividere i fitoestratti in base al tipo di solvente usato per l’estrazione (estratti acquosi, idroalcolici, oleosi, glicolici, eterei ...). L'estratto vegetale differisce concettualmente dalla droga, in quanto quest'ultima, secondo tradizione, è costituita dalla pianta (in toto, parte della stessa) seccata senza alcuna estrazione a mezzo solvente dei principi attivi; dal greco ϕυτόν (phytón → pianta) e estratto, participio passato del verbo latino extrahĕre, composto di ex- (→ da) e trahĕre (→ «trarre, cavare, tirare fuori, con semplice atto meccanico o mediante vari procedimenti).
In base alla consistenza, gli estratti si possono distinguere in secchi, molli o liquidi: gli estratti secchi si ottengono evaporando completamente il solvente usato nell’estrazione, così da avere un residuo polverizzabile; talora gli estratti secchi si preparano da quelli fluidi inglobandovi sostanze polverulente, medicamentose o no (lattosio, amido ...); gli estratti molli si ottengono per evaporazione parziale del solvente, in modo che il prodotto assuma la consistenza della melassa. Gli estratti liquidi o fluidi sono soluzioni con tutti i principi attivi della pianta, dotati azione terapeutica sia principale sia coadiuvante; possono essere preparati con acqua o con alcol diluito addizionato di tutte le sostanze (acide o alcaline) atte a favorire il solubilizzarsi dei principi attivi e la sicura conservabilità.
Un...
- Rumex Crispus
definizione
Romice Crespo, conosciuto con i nomi comuni Lapazio o Romice: rumex deriva dal latino lancia, mentre crispus dalla caratteristica delle foglie di avere i bordi increspati.
Il romice ha principalmente proprietà antidolorifiche ed antinfiammatorie, depurative, febbrifughe, digestive, antianemiche, astringenti, toniche, lassative e diuretiche; viene anche usato per trattare le infezioni batteriche e le malattie a trasmissione sessuale, per trattare infezioni intestinali, infezioni fungine, parassiti e artrite. Storicamente, è stato utilizzato per malattie della pelle, infiammazioni della pelle (dermatiti), eruzioni cutanee, una carenza di vitamine chiamata scorbuto, ittero ostruttivo e psoriasi con costipazione; stimola la secrezione biliare, alleviando la costipazione e, grazie alla presenza di sostanze chiamate antrachinoni, agisce come lassativo stimolante.
Il romice è utile nelle condizioni della pelle, specialmente quelle causate da tossine trasmesse dal sangue; ha un naturale contenuto di ferro che rinforza il sangue: i problemi della pelle possono essere il risultato dell'accumulo di tossine a livello sottocutaneo e, di conseguenza, essere esacerbati per un incremento di ulteriori “rifiuti” rilasciati nel sangue.
- capacità cognitive
definizione
Le funzioni cognitive sono abilità organizzate dal cervello che regolano il rapporto con l’ambiente esterno: sono capacità che si acquisiscono fin dalla nascita e che vanno costantemente rinforzate nel corso del tempo e in caso di età avanzata anche riabilitate; quando si parla di funzioni cognitive si parla di attenzione, memoria, orientamento, linguaggio, abilità visuo-spaziali, abilità prassiche e funzioni esecutive.
L’attenzione è la capacità di concentrarsi sulle informazioni più importanti tra tutte quelle disponibili e ignorare quelle meno importanti: un “filtro” che decide quali informazioni sono utili e quali invece non lo sono, focalizzandosi sulle cose che ci interessano maggiormente; vi sono diversi tipi di attenzione: selettiva, sostenuta e divisa. L’attenzione selettiva è un “faro” che illumina le informazioni rilevanti, facendoci concentrare su ciò che si dice, eliminando i rumori di sottofondo. L’attenzione divisa è un grande incrocio, dove dobbiamo coordinare più canali sensoriali, udito, vista riuscendo a percepire e selezionare stimoli diversi. L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere l’attenzione per un tempo protratto.
La memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni, cioè la funzione mentale volta all’assimilazione, alla ritenzione e al richiamo, sotto forma di ricordo, di informazioni apprese durante l‘esperienza o per via sensoriale. La memoria possiede un magazzino a breve termine e un magazzino a lungo termine, se le informazioni sono poco importanti vengono perse (oblio), se sono importanti passano al secondo magazzino (memoria a lungo termine).
Le funzioni esecutive permettono di pianificare e portare a termine comportamenti orientati a uno scopo (es. lavarsi i denti), raccogliere le informazioni e realizzare un qualcosa. Sono funzioni di controllo che lavorano su informazioni che ricevono da memoria, linguaggio e percezione. Le funzioni esecutive includono: pianificazione, organizzazione,...
- condroitin solfato
definizione
Macromolecola appartenente alla famiglia dei glicosamminoglicani: è un polisaccaride ad alto peso molecolare, composto da una catena alternata di molecole di due tipi di zuccheri, la N-acetil-galattosammina e l'acido glucuronico; è normalmente associato a proteine, per formare un proteoglicano. All'interno dei tessuti del corpo la condroitina solfato è legata al calcio, elemento verso cui ha grande affinità, oppure è combinata con proteine in complessi detti mucoidi.
La condroitina solfato, in combinazione con acido ialuronico e altri composti naturali, quali curcumina e quercetina, viene anche utilizzata per il controllo della cistite interstiziale (infezione delle vie urinarie), poiché contribuisce al ripristino dell'integrità del tessuto che compone l'uretra (urotelio) e esercita un'attività antiinfiammatoria e antidolorifica. Può svolgere un'azione riparatrice anche sul tessuto intestinale.
condroitin solfato e cartilagine
Esistono differenti tipi di condroitina classificati in base alla posizione in cui è presente il gruppo solfato: la condroitina solfato di tipo A si trova principalmente nella cartilagine, le varietà B e C sono presenti nei tendini, nelle valvole cardiache, nell'aorta e nella pelle, mentre le varietà C, D ed E sono importanti nella formazione del tessuto osseo; come la glucosammina, la condroitina solfato rientra tra i componenti strutturali che costituiscono la cartilagine delle articolazioni, dove svolge un ruolo essenziale conferendole una elevata resistenza alla compressione.
La sua funzione fisiologica è quella di mantenere l'elasticità della cartilagine stessa, prevenirne la degradazione e attenuare le infiammazioni riducendo la produzione e l'attivazione di mediatori dell'infiammazione nelle cellule che producono i componenti della cartilagine (condrociti): la sua supplementazione è indicata per la cura dei disturbi ed i sintomi causati dall'artrosi o dall'osteoartrite, da sola o in combinazione con glucosammina e/o...
- Beta Vulgaris
- Raphanus Sativus
rapanello o ravanello
proprietà diuretiche e depurative. Sin dall’antichità è nota la loro capacità di conciliare il sonno.I ravanelli vantano numerose altre proprietà terapeutiche che vengono sfruttate soprattutto in fitoterapia. Aiutano il rilassamento dei muscoli e del sistema nervoso; sotto forma di infusi e decotti possono essere utilizzati come sedativo della tosse e contro le infezioni delle vie respiratorie; i semi di ravanello sono un blando lassativo. Anticamente venivano usati come rimedio naturale contro la febbre.
- Collinsonia Canadensis
agisce riducendo le secrezioni e il gonfiore delle mucose, tutte situazioni che altrimenti potrebbero favorire il ristagno e la conseguente proliferazione di germi e batteri. Non solo, la collinsonia viene anche utilizzata per migliorare la circolazione sanguigna, risultando quindi utile in caso di mani e piedi sempre freddi, edema degli arti inferiori ma anche emorroidi. Infine è antiossidante.
- inositolo
definizione
Conosciuto anche col nome di vitamina B7, è considerato un nutriente vitamino-simile, essendo una molecola che l'organismo è in grado di produrre autonomamente e che può essere assunto con una certa facilità nella dieta: nonostante non sempre venga considerato un elemento essenziale, questa pseudo-vitamina B, la sua azione è strettamente legata a quella della biotina (vitamina B8), dell’acido folico (vitamina B9) e dell’acido pantotenico (vitamina B5); come le vitamine del gruppo B, è idrosolubile e non viene dunque immagazzinato dal nostro organismo, pertanto deve essere assorbito con costanza attraverso gli alimenti.
Può ritrovarsi sotto forma di diversi stereoisomeri e presentare un grado più o meno elevato di fosforilazione: quando si parla di inositolo, ci si riferisce comunemente alla forma mio-inositolo, che non presenta gruppi fosforici legati; è un composto di origine biologica strutturalmente simile al glucosio, coinvolto in numerosi processi biologici, tra cui quelli di “cell signalling” (processo di comunicazione che regola le attività di base delle cellule e coordina tutte le azioni cellulari), ed un elemento strutturale nella sua forma coniugata con lipidi. Il mio-inositolo costituisce la forma biologicamente più attiva dell'inositolo. Assunto attraverso la dieta, mediante il consumo di crusca, cereali integrali, lievito di birra, agrumi e alcune carni, il mio-inositolo può essere sintetizzato in minima parte anche dall'organismo umano, a partire dal glucosio.
effetti metabolici dell'inositolo
Da anni si riconosce all'inositolo un'attività lipotropica, esercitata nel metabolismo colesterolico, nel metabolismo energetico: interviene nel controllo delle dis-glicemie e delle dis-lipemie, svolgendo un'azione protettiva sulla possibile genesi delle lipidosi e delle epatolipidosi; sono state rilevate importanti azioni dell’inositolo in varie eterotossicosi ed autotossicosi oltre a svolgere attività regolatrici nella funzione cardiaca, nel...
- acido valerenico
definizione
Costituente sesquiterpenoide dell'olio essenziale della Valeriana Officinalis: anche se diversi componenti della pianta contribuiscono all'effetto sedativo ed ipnotico, si ritiene che l'acido valerenico sia almeno in parte responsabile dell'azione farmacologica di questa pianta; l'acido valerenico agisce come un modulatore allosterico positivo per il recettore GABA e come agonista parziale di un particolare tipo di recettore 5-HT per la serotonina, implicato nel controllo del ciclo sonno-veglia.
- Piper Methysticum
definizione
Pianta arbustiva della famiglia delle Piperacee originaria del Pacifico occidentale: è un arbusto dioico sterile(fiori maschili e femminili su piante separate, che si riproduce solo per via vegetativa, con un rizoma è molto sviluppato e ramificato; i fiori sono riuniti in piccole infiorescenze a forma di spiga e le foglie sono larghe e cordiformi.
L'epiteto specifico deriva dalla latinizzazione di πιπέρι (pipéri → pepe, peperoncino), e di μέθυστος (methustos → ubriaco, intossicato): comunemente è conosciuto col nome indigeno kava (→ radice amara, aspra o acre), utilizzato nella lingua (Tongan e Marquesan) dell'area di origine della pianta; nel mondo, il termine kava è utilizzato per riferirsi, sia alla pianta, sia alle radici ed ai rizomi essiccati messi in commercio come integratori, sia alla bevanda, il cui consumo è diffuso tra le popolazioni della Polinesia (comprese le isole Hawaii), della Melanesia, della Micronesia, oltre che in Australia.
La radice della pianta viene utilizzata per produrre una bevanda con proprietà sedative, anestetiche ed euforizzanti, da cui l'epiteto «ubriacante, intossicate», in quanto l'uso eccessivo provoca sintomi che ricordano l'intossicazione da vino: solitamente è consumato per i suoi effetti sedativi in tutte le culture dell'Oceano Pacifico della Polinesia, comprese le Hawaii, Vanuatu, Melanesia e alcune parti della Micronesia, come Palau. Kava è usato per scopi medicinali, religiosi, politici, culturali e sociali in tutto il Pacifico: queste culture hanno un grande rispetto per la pianta e la attribuiscono grande importanza; l'uso del kava accompagna spesso importanti funzioni sociali, politiche o religiose, che di solito comportano una presentazione rituale delle radici raggruppate come sevusevu (dono).
funzioni biologiche
II suoi principi attivi sono chiamati kavalattoni a cui sono riconosciuti effetti ansiolitici: ad oggi sono stati identificati 18 diversi kavalattoni (o kavapironi), di cui almeno 15...
- fitocomplesso
definizione
L'insieme delle molecole direttamente estratte dalla fonte; l'azione terapica esercitata dalla fonte vegetale, che è la stessa di quella del singolo principio attivo, è data dalla somma degli effetti del principio attivo con quelli del fitocomplesso: solitamente la somministrazione della fonte naturale può determinare minori controindicazioni rispetto all'uso del principio attivo isolato chimicamente; questo perché il fitocomplesso ha un'azione sinergica al principio attivo e contribuisce a modularne l'azione.
- principio attivo
definizione
La componente dei medicinali, delle droghe, dei fitoestratti o dei fitoderivati da cui dipende l'azione curativa di una sostanza che possiede una certa attività biologica, ovvero un effetto terapeutico, benefico o tossico; l'agente accertato che determina la terapia, secondo un il concetto introdotto da Paracelso, il padre della chimica farmaceutica.
I principi attivi possono essere sintetici, semisintetici, o naturali: i principi attivi delle piante possono essere estratte dal fitocomplesso attraverso particolari e numerose tecniche estrattive o assunti con la droga; costituiscono la parte farmacologicamente attiva dei medicamenti, che sono formati anche dagli eccipienti.
- fitoderivato
definizione
Prodotto farmaceutico o nutraceutico composto da ingredienti a base di estratti vegetali: rimedi naturali derivati dalle piante; dal greco ϕυτόν (phytón → pianta) e derivato, participio passato del verbo latino derivare (→ discendere, trarre principio, provenire), da de- (→ prefisso che indica allontanamento) e rivus (→ ruscello, corso d’acqua). Il termine può essere considerato un sinonimo di fitoestratto, anche se l'estratto corrisponde al succo concentrato, mentre i derivati sono rimendi vengono formulati a partire da sostanze curative presenti in natura all’interno di boccioli di piante ed arbusti o altre parti della pianta contenenti droghe o principi attivi.
Occorre ricordare che, solitamente, non è l’isolamento dei singoli principi attivi contenuti nei fiori, nei frutti, nelle radici o nella pianta in toto, che apportano benefici terapeutici, ma è la sinergia che si crea tra tutte le sostanze chimiche presenti nella pianta a esprimere il pieno potere guaritore della natura.
- ciclotimia
definizione
Stato d'animo caratterizzato da oscillazioni periodiche dell'umore, definite anche distimie circolari, contraddistinte dall'alternanza di fasi di esaltazione (mania) e di depressione (melanconia): frequentemente il quadro somato-emozionale scaturisce da un'attitudine interiore, indipendente, almeno apparentemente, da avvenimenti esterni o circostanze che potrebbero determinare legittima allegria o tristezza; dal greco κύκλος (kýklos → cerchio) e ϑυμός (thymós → animo, sentimento, passione, coraggio).
Ciò che differenza il soggetto ciclotimico dalla cosiddetta “normalità”, caratterizzata da oscillazioni del tono dell'umore, o dalle psicosi è, solamente, l'entità delle manifestazioni, non la natura delle stesse: chi ha sofferto a lungo di ciclotimia, può, in altro periodo della propria vita, presentare forme psicotiche o crisi di mania e di melanconia irregolarmente distribuite nel tempo; viceversa, nel corso di distimie periodiche possono inserirsi lunghi periodi di semplice ciclotimia o di apparente normalità
- euforia
definizione
Anche se solitamente il termine euforia viene utilizzato con un'accezione positiva, sottintendendo uno stato di benessere che si esprime con allegria, vivacità esuberante, caratterizzato da uno stato di esaltazione psichica che si verifica quando un si sperimenta uno stato di benessere fisico, eccitazione ed intensa felicità: questo stato euforico può essere presente in persone sane che tendono ad avere un carattere positivo ed ottimista; dal termine greco εὐφορία, dall'unione di εὐ- (êu- → bene, buono) e di e ϕέρω (phéro → portare), col senso compiuto di «portare abbondanza e fertilità», utilizzato per descrivere entusiasmo ed eccitazione. Disforico è il termine è utilizzato come antitesi di euforico.
Quando l'euforia si manifesta come troppo intensa e persistente può essere sintomo di un disturbo del tono dell'umore, una condizione mentale ed emozionale si può riscontrare in situazioni patologiche, quali psicosi ed altre malattie psichiatriche caratterizzate da una dissonanza emotiva, nella quale compaiono alternanze di euforia estrema (o mania) e tristezza profonda (o depressione): ad esempio il disturbo ciclotimico è caratterizzato da periodi ipomaniacali, una forma meno intensa di mania, e mini-depressivi che durano solo pochi giorni, mentre i disturbi bipolari sono caratterizzati da varie combinazioni di depressione e mania. Lo stato euforico può essere indotto anche dall'assunzione di alcuni farmaci (tra cui dopaminergici stimolanti), dall'inalazioni idrocarburi e dall'abuso di alcol o varie sostanze stupefacenti (come anfetamine, cocaina, oppiacei e cannabinoidi).
manifestazioni dell'euforia patologica
Non di rado l'euforia patologica è un sintomo primario (se non patognomonico) negli episodi maniacali e/o ipomaniacali, frequentemente associato a iperattività, estroversione, estremo senso di benessere, ed illimitata fiducia in se stessi, spesso sottolineate da intensa loquacità: in genere la durata di questo stato di umore elevato,...
- S.N.R.I.
definizione
Acronimo di «serotonin and norepinephrine reuptake inhibitors», cioè sostanze o farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina e della norepinefrina, utilizzati nel trattamento dei disturbi dell'umore; possono trovare applicazione anche per i disturbi d'ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo (D.O.C.), la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (A.D.H.D.), il dolore neuropatico cronico, la sindrome fibromialgica e per il sollievo dei sintomi della menopausa.
Gli S.N.R.I. inibiscono la ricaptazione della serotonina e noradrenalina, aumentandone quindi la loro concentrazione sinaptica: l'aumento di questi neurotrasmettitori, nel corso delle settimane migliora le risposte adattive nel funzionamento delle cellule nervose e dell’attività elettrica del cervello.
- insonnia terminale
Forma di insonnia tardiva (terminale), caratterizzata dal risveglio precoce, con l'incapacità di riprendere il sonno: ad un certo punto della notte ci si sveglia e non si è più in grado di riaddormentarsi.
- insonnia lacunare
Detta anche insonnia intermittente o insonnia centrale, è una forma di insonnia, caratterizzata da frequenti risvegli durante le ore notturne, tipica di chi per tutta la notte dorme in modo intermittente, alternando fasi di sonno a fasi di veglia, limitando la qualità del riposo.
- insonnia iniziale
definizione
Forma di insonnia caratterizzata dalla difficoltà di prendere sonno
- insonnia
definizione
Disturbo del sonno molto diffuso che corrisponde ad una diminuzione quantitativa e qualitativa delle ore di riposo notturno: è un disturbo del sonno caratterizzato dall'incapacità di dormire nonostante l'organismo ne abbia il reale bisogno fisiologico; solitamente lo scarso riposo notturno è associato a un cattivo funzionamento diurno, con sintomi quali stanchezza, irritabilità, difficoltà di apprendimento, mancato consolidamento della memoria, marcata perdita di interesse per lo svolgimento delle attività quotidiane. La sua polarità opposta è l'ipersonnia.
- apigenina
definizione
Flavone è l'aglicone di diversi glicosidi presenti in natura, in molti frutti e verdure: l'apigenina è particolarmente abbondante nelle foglie del prezzemolo (Petroselinum Crispum), del sedano(Apium Graveolens), del sedano rapa (Apium Graveolens Rapaceum) e nei fiori di camomilla (Matricaria Chamomilla), nel biancospino (Crataegus Oxyacantha),nella passiflora (Passiflora Incarnata) o nell’agnocasto (Vitex Agnus-castus). L’apigenina è presente anche nel vino rosso e nella birra.
L’apigenina è nota per essere un flavonoide bioattivo, con proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, antiangiogeniche, antiallergiche, antigenotossiche e anticancerose.
- vitexina
definizione
Principio attivo presente nel biancospino (Crataegus Oxyacantha), è un flavone glucoside (flavonoide): costituito dal glucosio (glicone) e dal suo aglicone apigenina, principio attivo che si trova soprattutto nelle foglie di camomilla (Matricaria Chamomilla), nella passiflora (Passiflora Incarnata) o nell'agnocasto (Vitex Agnus-castus), che agisce come spasmolitico, sedativo e ansiolitico naturale; quest’azione sedativa e rilassante è utile soprattutto nelle persone che soffrono di agitazione e stati di ansia, per controllare la componente emotiva che può influenzare la pressione e per trattare l'insonnia.
- ipnoinducente
definizione
Letteralmente «che favorisce la comparsa del sonno», sono sostanze ipnoinduttrici: a differenza delle sostanze ipnotiche agisce solo sull'addormentamento e non sul prolungamento del sonno; dal greco ὕπνος (húpnos → sonno), in associazione al participio presente del verbo latino inducere (→ convincere, persuadere, spingere qualcuno a fare qualcosa), composto di in- e di ducere (→ condurre).
In considerazione del fatto che l'insonnia iniziale, cioè la difficoltà ad addormentarsi ed iniziare il sonno è quasi sempre un sintomo patognomonico di uno stato ansioso, qualunque fitoestratto o fitocomplesso ansiolitico può essere di grande aiuto come ipnoinducente: la valeriana (Valeriana Officinalis), ad esempio, riduce il tempo necessario per addormentarsi e migliora la qualità del sonno essendo di aiuto nell'insonnia lacunare (o insonnia intermittente), mentre la melissa (Melissa Officinalis), essendo particolarmente efficace in presenza di un quadro d’irritabilità generale, può essere utile nell'insonnia causata da stanchezza eccessiva, nervosismo, sindrome premestruale, spasmi e tensione muscolare.
La passiflora (Passiflora Incarnata), invece, possiede un'azione sedativa e ansiolitica, facendone un rimedio estremamente efficace nel combattere l’insonnia, perché stimolano il sonno, senza risvegli notturni, senza produrre senso di intorpidimento mattutino, ed effetti narcotici o assuefazione; in caso di stress, ansia e senso di angoscia; nelle forme di nevrosi isterica, fobica, ossessiva e post traumatica; anche il biancospino (Crataegus Oxyacantha) grazie alla presenza della vitexina, principio attivo presente nelle foglie e nei fiori, agisce come rilassante spasmolitico, sedativo e ansiolitico rivelandosi molto utile in caso d’insonnia, soprattutto nei pazienti molto nervosi, nei quali riduce l'emotività, tachicardia, palpitazioni, agitazione, angoscia.
La melatonina, pur non essendo u vero e proprio ipnoinducente, grazie alla sua azione centrale sulla...
- mood enhancer
definizione
Letteralmente, dall'inglese, «miglioratore del tono dell'umore» o «potenziatore del tono dell'umore»; in questa “categoria concettuale” si potrebbero annoverare i più disparati rimedi per favorire il “buon-umore”, dal sole alla buona compagnia, passando per i confort food o le “droghe ricreative” anche se in questo contesto il termine assume una demarcazione più limitata e precisa: per «mood enhancer» si intendono quelle “droghe” (principi attivi) o quei nutraceutici in grado di migliorare il tono dell'umore, alleviare gli stati ansiosi e, soprattutto, avere un'azione antidepressiva (ovviamente non si parla di patologie di competenza psichiatrica).
disturbi dell'umore
Con questo termine si identificano solitamente quell'insieme di disturbi somato-emotivi che si manifestano come conseguenza di prolungati stati di eccessiva tristezza, gioia eccessiva (euforia) o entrambe: anche se l'ansia ed i disturbi correlati, non sono classificati come disturbi dell'umore, influiscono significativamente sullo stato emotivo delle persona; i disturbi dell'umore possono verificarsi anche nei bambini e negli adolescenti.
Anche se la tristezza e l'euforia fanno parte della vita di ogni giorno, quando divengono “eccessive” possono essere considerate come l'espressione di uno stato disforico; normalmente la tristezza è una reazione dell'uomo alle sconfitte, alle delusioni e ad altre avversità, mentre la gioia è la risposta ai successi raggiunti o ad altre situazioni incoraggianti e gratificanti: il disturbo dell'umore si manifesta quando la tristezza o l'euforia sono troppo intense e persistenti, accompagnate da altre alterazioni relative della sfera dell'umore, fino ad ostacolare seriamente le capacità funzionali della persona.
In tali casi, una tristezza profonda o uno stato di melanconia, associata ad una diminuzione della vitalità e della tendenza all'ideazione negativa è definita depressione, mentre l'euforia intensa (ipomania) caratterizzata da un'attitudine...
- secretina
definizione
Ormone peptidico (neuropeptide), prodotto dalla mucosa del duodeno e dal tratto prossimale del digiuno, sotto lo stimolo di alcune sostanze chimiche dell'intestino e dell'acido cloridrico dello stomaco, che stimola la secrezione di bile da parte del fegato, di liquidi alcalini dal pancreas e di insulina; il rilascio di secretina è stimolato dalla diminuzione del pH gastrico, cioè dall'aumento dell'acidità del suo contenuto: la sua azione si esplica prevalentemente sul pancreas, stimolandolo a secernere un succo pancreatico diluito e ricco di bicarbonato, finalizzato a tamponare l'acidità del chimo gastrico, meccanismo che permette di assicurare condizioni ottimali all'attività degli enzimi digestivi e protegge la mucosa duodenale dall'insulto dell'acidità gastrica.
La secretina riduce la velocità di svuotamento gastrico, inibendo la motilità della pompa antrale, mentre stimola la secrezione delle ghiandole intestinali e della pepsina gastrica; l'immissione in circolo di secretina è promossa dal contatto tra il chimo acido e le cellule della parete duodenale ed è direttamente proporzionale alla acidità ed alla quantità di sostanze riversate nel duodeno.
È un polipeptide basico con notevoli omologie di sequenza con il glucagone; inibisce la produzione di gastrina, ma è inibita dalla somatostatina; derivato dal latino secretus, participio passato di secernĕre, con il suffisso -ina con cui sono formati i nomi di numerosi ormoni
- colecistochinina
etimologia - definizione
Termine derivato dal greco χολή (kholḗ → bile), κύστις (kýstis → vescica, cavità) e κινέω (kinêo → muovere, stimolare), la colecistochinina (CCK), detta anche pancreozimina (PZ), è ormone octaeptidico della famiglia dei neuropeptidi intestinali, appartenente al gruppo degli enter-ormoni.
produzione - funzioni
Secreta da particolari cellule della mucosa dislocate lungo il duodeno e il digiuno, la colecistochinina stimola la contrazione della cistifellea, favorendo il deflusso della bile nel duodeno; durante il digiuno (fasting), la colecisti concentra la bile che le arriva prodotta dal fegato, assorbendone acqua e conservando e concentrando i sali biliari per rilasciarli in occasione del pasto, quando a livello del duodeno pervengono lipidi e amminoacidi di origine alimentare: la colecistochinina riduce il tono dello sfintere di Oddi, permettendo in questo modo il transito della bile colecistica e di quella prodotta estemporaneamente dal fegato, verso la papilla di Vater, per permettere il rilascio nel secondo tratto del duodeno, in associazione con gli enzimi pancreatici trasportati dal dotto di Wirsung.
La colecistochinina aumenta la secrezione enzimatica delle cellule acinose del pancreas (per cui viene chiamata anche colecistokinina o pancreozimina); stimola la motilità intestinale; inibisce la produzione di gastrina; provoca il rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore (LES); stimola la secrezione di insulina a livello delle cellule beta delle isole di Langerhans del pancreas e, tramite stimolazione vagale, determina il senso di sazietà.
colecistochinina come neurotrasmettitore
A livello del sistema nervoso centrale, la colecistochinina è spesso localizzata negli stessi neuroni che utilizzano la dopamina o il GABA (γ-aminobutyric acid) come neurotrasmettitore principale: interagisce con specifici recettori neuronali ed esplica un’azione depressiva sull'appetito, nonché una cospicua...
- orexina
definizione
Detta anche oressina o ipocretina, è un importante neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione del ritmo sonno-veglia (mantiene svegli) e dell'appetito (stimola il senso di fame, aumenta l'assunzione di cibo ed il dispendio di energia); la forma più comune di narcolessia, in cui si riduce rapidamente il tono muscolare (cataplessia), è causata dall'assenza di oressina nel cervello; oressina o orexina derivano dal greco ὄρεξις (órexis → desiderio, appetito), from ὀρέγω (orégō → raggiungo, mi allungo), nel suo significato di “appetito” o “desiderio fisico”, oppure denominata ipocretina, perché è prodotta nell'ipotalamo e caratterizzata da un'analogia con la secretina, un ormone che si trova nell'intestino.
- oressizzante
definizione
Chiamati anche oressanti, sono sostanze che stimolano l'appetito, agendo sia a livello centrale sia a livello periferico: al primo gruppo appartengono gli psicofarmaci tra cui inibitori delle MAO (isoniazide, iproniazide, nialamide, fenelzina), reserpina, il clordiazepossido della classe delle benzodiazepine e alcuni antidepressivi triciclici (amitriptilina e imipramina), utilizzati prevalentemente nelle inappetenze di origine psicogena; nel secondo gruppo sono inserite le sostanze che migliorano l'odore o il sapore del cibo, oppure farmaci come la stricnina o i neurotrasmettitori come l'orexina.
Il termine deriva dal greco ressina o orexina derivano dal greco ὄρεξις (órexis → desiderio, appetito), from ὀρέγω (orégō → raggiungo, mi allungo), nel suo significato di “appetito” o “desiderio fisico”.
- A.P.U.D.
Acronimo di «amine precursor uptake and decarboxylation» termine con cui si identifica un sistema costituito da innumerevoli cellule definite cromaffini (non appartenenti ad alcun sistema ghiandolare), localizzate in tutto l’apparato digerente e conosciute col nome di cellule enterocromaffini, i cui ormoni mediano funzioni quali l’acidità gastrica, la motilità, lo svuotamento della colecisti; altre cellule endocrine riconducibili a questo sistema si trovano nei polmoni, dove regolano le secrezioni, nella prostata e in altri organi che non sono endocrini.
Le cellule A.P.U.D., chiamate anche cellule D.N.E.S. (→ diffuse neuro-endocrine system, cioè cellule del sistema neuroendocrino diffuso), costituiscono un gruppo di cellule apparentemente non correlate, ma che condividono la funzione comune di secernere un ormoni polipeptidici a basso peso molecolare (neuropeptide) quali la secretina, la colecistochinina e molti altri; il ricercatore inglese Anthony Guy Everson Pearse, diede loro questo nome in quanto queste cellule sono in grado di provvedere al «amine precursor uptake» (assorbimento di precursori delle ammine) cioè alla capacità di captare efficacemente i precursori delle ammine come il 5-idrossitriptofano (5-HTP) o la diidrossi-fenilalanina (DOPA), e «decarboxylation» (decarbossilazione) cioè di trasformare per mezzo dell’enzima amminoacido-decarbossilasi gli amminoacidi in ammine.
Recentemente si è cominciato a parlare del sistema A.P.U.D. come di sistema neuroendocrino, intendendo la stretta relazione tra ormoni e cellule nervose, le quali infatti grazie alle terminazioni nervose sono in grado di determinare la liberazione di ormoni, come accade ad esempio nella zona midollare del surrene con la liberazione di amine biogene (dopamina, adrenalina e noradrenalina); sono state identificate oltre 40 tipi di cellule che deriverebbero embriologicamente dall’ectoblasto, programmate come cellule neuroendocrine, anche se attualmente vi sono dati che riconoscono...
- encefalina
definizione
Gruppo di neuropeptidi, della classe delle endorfine, considerati mediatori nell'ambito dei meccanismi per l’integrazione della sensibilità dolorifica per la loro attività analgesica assimilabile alla morfina; il termine deriva dall'inglese enkephalin, che a sua volta nasce dal greco ἐγκέϕαλος (enképhalos → cervello, encefalo).
azione farmacologia dell'encefalina
I recettori su cui si fissano per esplicare la loro azione sono gli stessi della morfina, da cui la denominazione oppioidi endogeni: sono localizzate nelle regioni del cervello che giocano un ruolo importante nella ricezione e nello smistamento degli stimoli dolorosi; le encefaline inibiscono inoltre l’azione della cosiddetta sostanza P, il messaggero naturale del dolore nel midollo spinale.
Sono state isolate sia a livello encefalico (ipofisi, sistema limbico, corpo striato, nucleo solitario del bulbo), sia nel midollo spinale (corno posteriore), nella midollare del surrene e nelle pareti intestinali, verosimilmente prodotti dal sistema metasimpatico intestinale.
Attualmente se ne conoscono due varietà la la met-encefalina (met-e), caratterizzata da una metionina posta al termine della catena amminoacidica, e la leu-encefalina (leu-e), con carbossi-terminale contraddistinto dalla presenza di leucina: come tutte le endorfine, le encefaline sono agonisti fisiologici dei recettori degli alcaloidi stupefacenti dell'oppio (morfina e derivati) e sono implicate nella regolazione della sensazione dolorifica e forse del sonno.
Agiscono come cotrasmettitori nei neuroni inibitori della trasmissione del dolore nel midollo spinale; come regolatori dell’ossitocina (la met-e.) e della vasopressina (la leu-e.) a livello della neuroipofisi; come ormoni a livello intestinale.
- dinorfina
definizione
Famiglia di neuropeptidi, assimilabili agli oppioidi, in grado di attenuare gli intensi stati emotivi negativi: la sua diminuzione è coinvolto nell'insorgenza di stress, ansia e depressione; gioca un ruolo cruciale nei meccanismi di ricompensa e dipendenza; deriva dall'inglese dynorphin, che a sua volta nasce dal greco δύναμις (dynamis → forza, potenza) e (mo)rfina derivato dal greco Μορϕεύς (Morpheús → Morfeo), con allusione alle proprietà narcotiche della classe delle endorfine, di cui fa parte questo neuropeptide
Anche se le dinorfine sono ampiamente distribuite nel sistema nervoso centrale, le maggiori concentrazioni sono rilevabili a livello dell’ipotalamo, del mesencefalo, del ponte di Varolio, del midollo allungato e del midollo spinale; identificate negli anni ’70, dal fisiologo americano Roger Guillemin, si deve al lavoro sugli oppioidi del farmacologo Avram Goldstein il loro nome (morfine molto potenti) e un’idea dell’azione che questi oppioidi endogeni hanno nel corpo umano.
azioni farmacologiche della dinorfina
Esistono differenti tipi di dinorfina, con differenti azioni fisiologiche, prodotte in differenti aree del sistema nervoso: può essere secreta dai neuroni che producono vasopressina nel nucleo sopraottico, o da quelle che rilasciano ossitocina, con azione di feedback negativo sul rilascio di questo neuropeptide; sono prodotte a livello del nucleo arcuato dell’ipotalamo e dai neuroni secernenti orexina dell’ipotalamo laterale, intervenendo nel controllo dell’appetito. Le principali azioni della dinorfina sono:
⇒ azione analgesica - essendo neuropeptidi modulatori della risposta dolorifica, sono in grado di ridurre la sensazione algica risultando da 6 a 10 volte più potenti della morfina, anche se, paradossalmente, la dinorfina può aumentare il dolore, attivando i recettori per la bradichinina e favorendo a livello midollare il rilascio di prostaglandine.
⇒ controllo della dipendenza da cocaina - l’uso abituale di questo...
- neuropeptide
definizione
Ogni oligopeptide elaborato e messo in circolo dalle cellule nervose in risposta a uno stimolo, con funzione di trasmettitore o modulatore di segnali nervosi, ovvero in grado di agire come neurotrasmettitore o neuromodulatore: solitamente sono peptidi che comprendono dai 3 ai 36 amminoacidi.
I neuropeptidi spesso coesistono tra loro o con altri neurotrasmettitori in un singolo neurone: secondo la loro natura chimica, i messaggeri coesistenti sono localizzati in diversi compartimenti cellulari, ovvero i neuropeptidi sono confezionati in grandi vescicole dense, mentre i neurotrasmettitori a basso peso molecolare sono immagazzinati in piccole vescicole sinaptiche.
Esempi di neuropeptidi; alcuni possono essere considerati anche incretine (ormoni prodotti a livello gastrointestinale) o secretine;
⇒ dinorfina - oppioide in grado di attenuare gli intensi stati emotivi negativi: la sua diminuzione è coinvolto nell'insorgenza di stress, ansia e depressione; gioca un ruolo cruciale nei meccanismi di ricompensa e dipendenza.
⇒ galanina - neuropeptide coinvolto nel benessere mentale la cui diminuzione aumenta il rischio di ansia, depressione e cattiva gestione dello stress: coinvolto nei processi di apprendimento, riproduzione e alimentazione, nella nocicezione e nella secrezione di ormoni e neurotrasmettitori (stimola rilascio di GH ed ha effetti inibitori sulla secrezione di insulina, acetilcolina, serotonina e noradrenalina; la sua produzione aumenta con l'attività fisica.
⇒ encefalina - neuropeptidi considerati mediatori nell'ambito dei meccanismi per l’integrazione della sensibilità dolorifica per la loro attività analgesica assimilabile alla morfina.
⇒ sostanza P - presente nel sistema nervoso centrale, dove agisce da neurotrasmettitore e nel tratto gastrointestinale dove agisce da ormone locale, è implicata nella modulazione del dolore e nel vomito, oltre ad essere un potente vasodilatatore grazie all'effetto inibitorio diretto che produce sulla...
- neurotrasmettitore
definizione
Mediatori chimici (messaggeri chimici endogeni) deputati alla trasmissione di informazioni fra i neuroni presenti a livello del sistema nervoso (neuromediatori deputati alla comunicazione inter-neuronale) oppure da un neurone ad un effettore muscolare o ghiandolare: solitamente sono molecole semplici come le monoammine, quali l'acetilcolina, l'istamina, la noradrenalina, la dopamina oppure la serotonina, la melatonina o l'istamina; altre volte sono amminoacidi singoli, come il glutammato (acido glutammico), l'aspartato (acido aspartico), l'acido γ-amminobutirrico (GABA) e la glicina, oppure essere polipeptidi (neuropeptidi) a corta catena (in genere comprendono dai 3 ai 36 amminoacidi). I differenti gruppi di neurotrasmettitori presentano anche modalità di sintesi e rilascio differenti.
meccanismo d'azione dei neurotrasmettitori
All'interno dei neuroni, i neurotrasmettitori sono contenuti nelle vescicole sinaptiche addensate alle estremità distali dell'assone, in prossimità delle aree in cui entra in rapporto sinaptico con altri neuroni; quando la cellula nervosa viene raggiunta da uno stimolo sufficiente (stimolo sopraliminare) a innescare la trasmissione delle informazioni, le vescicole sinaptiche si fondono con la membrana pre-sinaptica del neurone, riversando il proprio contenuto nello spazio sinaptico (esocitosi): i neurotrasmettitori, rilasciati nella fessura inter-sinaptica, si legano a recettori o a canali ionici localizzati sulla membrana post-sinaptica innescando una risposta eccitatoria o inibitoria nel neurone post-sinaptico.
In base al tipo di risposta prodotta, i neurotrasmettitori possono possedere un'azione eccitatoria o inibitoria (neurotrasmettitori soppressori), cioè possono rispettivamente promuovere la creazione di un impulso nervoso nel neurone ricevente o inibirne l'impulso: fra i neurotrasmettitori inibitori, i più noti sono l'acido γ-amminobutirrico (GABA) e la glicina, mentre il glutammato rappresenta il più importante...
- neurotrasmettitore monoaminico
definizione
Classe di neurotrasmettitori e neuromodulatori che contengono un gruppo amminico collegato a un anello aromatico da una catena a due atomi di carbonio (come -CH2-CH2-), come sono sono la dopamina, la norepinefrina e la serotonina: tutte le monoamine derivano da amminoacidi aromatici come la fenilalanina, la tirosina ed il triptofano per azione degli enzimi decarbossilasi degli amminoacidi aromatici; sono disattivati nel corpo dagli enzimi noti come monoammina ossidasi che staccano il gruppo amminico.
I sistemi monoaminergici, cioè le reti di neuroni che utilizzano neurotrasmettitori monoaminici, sono coinvolti nella regolazione di processi come l'emozione, l'eccitazione e alcuni tipi di memoria: questa classe di neurotrasmettitori svolge un ruolo importante nella secrezione e produzione di neurotrofina-3 da parte degli astrociti, una sostanza chimica che mantiene l'integrità dei neuroni e fornisce ai neuroni supporto trofico.
I farmaci usati per aumentare o ridurre l'effetto dei neurotrasmettitori monoaminici sono usati per trattare pazienti con disturbi psichiatrici e neurologici, tra cui depressione, ansia, schizofrenia e morbo di Parkinson.
- serotonina
definizione
Neurotrasmettitore monoaminico, sintetizzato a partire dall'amminoacido essenziale triptofano (5-HTP), prodotto dai neuroni serotoninergici del sistema nervoso centrale e nelle cellule enterocromaffini nell'apparato gastrointestinale (dove partecipa a numerose funzioni biologiche); chimicamente corrispondente alla 5-idrossi-triptamina (5-HT) e la sua formula bruta è C10H12N2O.
La serotonina è dotata di una funzione biologica complessa e sfaccettata, modula l'umore, la cognizione, la ricompensa, l'apprendimento, la memoria e numerosi processi fisiologici come il vomito e la vasocostrizione.
- mestruo
complesso di modificazioni cui vanno incontro gli organi riproduttori della donna indicativamente ogni 28 giorni circa, e la cui manifestazione più appariscente è il flusso di sangue attraverso la vagina, chiamato mestruazione ...
- ciclo mestruale
definizione
Si parla di ciclo mestruale, riferendosi al complesso di modificazioni cui vanno incontro gli organi riproduttori della donna indicativamente ogni 28 giorni circa, e la cui manifestazione più appariscente è il flusso di sangue attraverso la vagina, chiamato mestruazione.
Sinonimo di catameniale, talvolta viene utilizzato anche nella sua forma più arcaica, menstruale (mènstrüale), l'aggettivo mestruale è derivato dal latino menstrualis (→ d’ogni mese; dei mestrui): l'uso grammaticale al plurale indica una data ciclicamente ricorrente; il sostantivo mestruo discende dall'avverbio di tempo menstrŭum (→ una volta al mese), che a sua volta origina dalla radice greca μην (mēn → mese).
ritmi circamensili nella donna
Durante il ciclo mestruale avvengono modificazioni ormonali e funzionali dell’organismo, dipendenti dall'interazione fra gli estrogeni ed il progesterone: nella prima parte del ciclo, l’ormone FSH induce crescita dell’endometrio e del follicolo ovarico mentre nella seconda parte l’LH prepara la cavità uterina ad accogliere l’eventuale ovocita fecondato.
Se non vi è fecondazione la parte dell’endometrio preposta all'attecchimento (decidua), cade, provocando il flusso mestruale cioè la mestruazione: l’espulsione della parte decidua dell’endometrio tramite la mestruazione è accompagnata da contrazioni uterine, che possono essere dolorose (dismenorrea).
Alterazioni del ciclo e del flusso mestruale dipendono da molteplici cause: neuro-endocrine, psichiche, ovariche, uterine, organiche.
- anemia perniciosa
definizione
Chiamata anche malattia di Biermer, l'anemia perniciosa è una grave patologia ematica, contraddistinta da un ridotto numero di emazie, caratterizzate da grande volume (megaloblasti); è dovuta da una carenza di Vitamina B12, conseguente al malassorbimento della stessa, per carenza di fattore intrinseco: si parla di anemia, dal greco ἀναιμία (anaimía), composto dalla particella privativa ἀν- (→ senza) e da αἷμα (haîma → sangue) in presenza di una morbosa diminuzione del numero di globuli rossi o della concentrazione dell'emoglobina nel sangue.
Il termine pernicioso sottolinea che tale riduzione provoca danni molto gravi, effetti nocivi tali da potersi rivelare addirittura funesti o esiziali; pernicioso deriva dal latino perniciosus, derivato da pernicies (pernicie → termine ormai poco usato in italiano dal significato di tragico, disastroso, responsabile di rovina), dove il prefisso per- rappresenta un rafforzativo di nex ( → morte, uccisione, rovina, sciagura): questa particolare forma di anemia si è conquistata l'aggettivo perniciosa per la capacità di avere importanti effetti nocivi e di provocare danni potenzialmente mortali, in quanto, un tempo, era abbastanza diffusa e difficile da trattare, vista la scarsa disponibilità, nella popolazione, di alimenti con sufficienti concentrazioni di cobalamina.
anemia perniciosa e vitamina B12
Prima della scoperta della vitamina B12 ed il suo utilizzo per via parenterale, unica terapia possibile, si sottoponevano i pazienti a diete ricche di fegato crudo, sulla base degli studi che permisero a George Hoyt Whipple, George Richards Minot e William Parry Murphy di ottenere il Premio Nobel per la medicina nel 1934.
La causa più frequente dell'anemia perniciosa è un deficit di assorbimento della Vitamina B12, causato dall'assenza del fattore intrinseco, una glicoproteina fondamentale per un corretto assorbimento delle cobalamine, secreta dalle cellule parietali dello stomaco (cellule ossintiche): nella quasi...
- glossite
definizione
Processo infiammatorio o degenerativo della lingua o solamente della sua mucosa, che può manifestarsi in forma acuta o cronica: caratterizzata da una variazione del colore della lingua stessa (in genere risulta arrossata, ma può presentarsi anche bianca e patinosa o di colore scuro), che si manifesta solitamente in associazione a bruciore (glossopirosi), gonfiore, dolore (glossodinia), desquamazione ed ispessimento o atrofia; dal greco γλῶσσα (glossa- → lingua) in associazione al suffisso -ite ( -ítes → infiammazione). Più che una malattia a sé stante, la glossite costituisce un sintomo comune a numerosi disturbi o stati dis-funzionali: dovrebbe essere considerato un sintomo di mal-essere o squilibrio, e non una patologia.
Si parla di glossite acuta quando i sintomi caratteristici compaiono improvvisamente e senza una ragione apparente, mentre quando il gonfiore alla lingua si protrae per lunghi periodi, con ogni probabilità si tratta di una glossite cronica: una forma particolare di glossite cronica è la glossite atrofica di Hunter, caratterizzata da lingua liscia, lucida, rossa e senza papille, che può essere considerato un sintomo patognomonico dell'anemia perniciosa (carenza di vitamina B12); le glossiti croniche, possono anche indicare una carenza nutrizionale, specialmente di acido folico, niacina, ferro o zinco.
Un'altra tipica forma cronico è la glossite esfoliativa marginata, detta anche lingua a carta geografica, un'alterazione di natura incerta, rappresentata da chiazze arrossate, indolenti, sul dorso della lingua, di configurazione continuamente variabile, circondate da un orletto biancastro. Talvolta, l'irritazione della lingua è la conseguenza della presenza di una xerostomia, associata o meno alla sindrome di Sjögren o alla sclerodermia.
La glossite, inoltre, può manifestarsi nel contesto di malattie cutanee generalizzate, lichen planus orale, reflusso gastroesofageo e sindromi da malassorbimento, come il morbo celiaco; altri...
- trofismo
definizione
Termine che indica lo stato di nutrizione (o le caratteristiche dell'apporto di energia) di un organismo o di una sua parte; derivato dal greco τροϕή (trofí → nutrire).
Termine utilizzato per indicare il complesso dei fenomeni che si riferiscono al processo della nutrizione; il normale stato di trofismo viene definito eutrofia mentre le sue alterazioni, sia in termini qualitativi che quantitativi, rientrano nei concetti di distrofia (alterazione del trofismo), atrofia (difetto o assenza di trofismo.), ipertrofia (aumento del trofismo).
- atrofia
definizione
Riduzione di volume dei tessuti e/o degli organi del corpo, dovuta alla diminuzione di volume delle singole cellule e della sostanza intercellulare, per cause fisiologiche o patologiche, spesso accompagnata da diminuzione numerica degli elementi cellulari (ipoplasia o aplasia) e da metamorfosi degenerativa o metaplasia dei tessuti; termine derivato dal greco ἀτροϕία (atrofía), composto di ἀ- (a- privativo) e τρέϕω (tréfo → nutrire).
Frequentemente è legata a disturbi nei processi nutritivi degli organi o dei tessuti e, spesso, è accompagnata da alterazioni di carattere degenerativo dei singoli elementi cellulari (atrofia degenerativa).
atrofie fisiologiche
Il processo di atrofia ha luogo anche in condizioni prettamente fisiologiche, come, per esempio, nell'atrofia del timo durante l'accrescimento, nell'atrofia dell'utero dopo il parto o delle mammelle, una volta terminato l'allattamento.
Altro fenomeno fisiologico è il processo atrofico degli organi genitali femminili interni nel periodo della menopausa o dei testicoli nel maschio nell'età avanzata: nel processo di invecchiamento la maggior parte degli organi e dei tessuti va incontro a fenomeni atrofici, come conseguenza della riduzione della attività fisica, delle modifiche alimentari e dei fenomeni sclerotici periferici conseguenti alle alterazioni vascolari periferiche, tipiche della senilità.
atrofie patologiche
Atrofie che hanno il significato d'un vero stato patologico sono quelle causate da insufficiente alimentazione o da scarsa utilizzazione degli alimenti; possono verificarsi forme dovute a compressioni prolungate sugli organi, in quanto viene ostacolata la circolazione del sangue e dei liquidi interstiziali o da alterato trofismo nervoso, conseguenti ad alterazioni dei nervi motori o dei centri nervosi (atrofia neurotica): sono presenti forme dipendenti da ipofunzionalità di un organo (atrofia funzionale) o dovute a sostanze chimiche (ioduro di potassio) e a tossine batteriche.
definizione
Termine inglese utilizzato per descrivere le proteine vettrici transmembrana, ovvero quelle componenti strutturali delle membrane cellulari deputate a facilitare il passaggio o a trasportare sostanze organiche incapaci di muoversi liberamente fra le barriere del citoplasma: vista l’eccessiva polarità (carica elettrica) o la dimensione, che ne limita il transito attraverso il doppio strato fosfolipidico, queste molecole non sempre riescono a transitare passivamente fra un ambiente e l’altro, per cui devono essere agevolate; la dimensione, la forma, la carica elettrica possono essere elementi in grado di impedire ad una elemento di “oltrepassare” la membrana che isola la cellula dal mondo esterno, cioè di ostacolare l’entrata o l’uscita dalla cellula, oppure di transitare liberamente attraverso i “confini” che delimitano l’ambiente cellulare.
Per permettere il movimento di questi composti chimici, si rende necessario, pertanto, un vettore, un “canale di transito”, un “trasportatore” che ne faciliti il passaggio condizionato: la presenza di tunnel o di trasportatori di membrana è indispensabile, in quanto solamente alcuni composti sono in grado di diffondere liberamente da una parte all'altra della membrana plasmatica, mentre tutti gli altri hanno bisogno di metodi alternativi per entrare nel citoplasma; il passaggio può richiedere o meno dispendio energetico, dando vita rispettivamente ad un trasporto attivo o ad un trasporto passivo. In senso stretto un “carrier” svolge un’azione attiva anche se, in senso lato, il termine può essere esteso alle proteine transmembrana che rendono possibile il transito senza svolgere un “lavoro” di trasporto.
Un elemento si definisce transmembrana quando si affaccia sia sul versante esterno della cellula, sia dalla parte citoplasmatica, “perforando” integralmente la membrana plasmatica e presentando dei siti di legame in grado di legare gli ioni o le molecole che devono essere trasportate; grazie alla modificazione...
- dismenorrea
definizione
Mestruazione dolorosa, caratterizzata da sofferenze sia locali, alla regione pelvica, sia generali quali mastodinia, crisi cefalgiche o emicrania, astenia, nausea, lombalgia: i sintomi possono mostrarsi anche all'infuori dei periodi mestruali; dal greco δυς- (dys- → male), μηνός (menós → mese) e -ρροια (-rroia → produzione che scorre, fuoriuscita di umore), dal tema di ῥέω (réo → scorrere).
Può dipendere sia da alterazioni locali dell'apparato genitale o dell'area pelvica, sia da uno squilibrio funzionale delle ghiandole endocrine che sovrintendono la funzionalità genitale e sessuale; la sintomatologia della dismenorrea è straordinariamente eterogenea, sia per la sua insorgenza in relazione con il periodo mestruale, sia per il modo d'estrinsecazione e diffusione dei dolori: questi possono accompagnarsi talora con pollachiuria, stipsi, coliche intestinali, dispepsia, vomito, emicrania, nevralgie.
- dispareunia
definizione
Lemma utilizzato per descrivere un rapporto sessuale doloroso per la donna: algia a livello della vagina o delle pelvi, durante il rapporto sessuale, che non deve essere assimilata alla vulvodinia, un disturbo che si manifesta anche in assenza di contatti sessuali di coppia; dal greco παρευνία (dysparevnía → che ha infelice connubio), composto da δυσ- (dys- → alterazione, anomalia) e πάρευνία (pareunia → che giace accanto).
«sexual pain disorders»
La dispareunia fa parte dei cosiddetti «sexual pain disorders», ossia quei disturbi dolorosi che compaiono durante l'attività sessuale, potendo essere utilizzato per descrivere amplessi dolorosi o difficili a realizzarsi, da parte della donna, derivanti da cause organiche, come malformazioni o processi infiammatori, funzionali (come nel vaginismo) o esclusivamente psicologiche; può indurre un deciso peggioramento delle possibilità di relazione o delle dinamiche sociali, con significative ripercussioni sulla qualità della vita individuale e di coppia.
Le componenti psicologiche possono dipendere, talvolta, da problemi di coppia, come i conflitti fra partner, ma anche da una cattiva relazione sessuale causata da preliminari frettolosi, scarsa compatibilità anatomica, sesso anale compulsivo: un esempio di alterata adattabilità è la presenza di un pene che, essendo più lungo della vagina, può colpire la cervice uterina.
A seconda della sede del dolore, si parla di dispareunia superficiale, quando i disturbi sono localizzati all'introitus o nel primo tratto della vagina o, addirittura, e compaiono anche ai primi tentativi di penetrazione, oppure di dispareunia profonda quando il dolore si verifica a penetrazione completa. Fra le possibili cause, troviamo:
⇒ malformazioni anatomiche quali l'agenesia vaginale, l'imene cribroso, la sindrome di Rokitansky, oppure esiti cicatriziali di infibulazione o da traumi vaginali, esiti di interventi chirurgici o di radioterapia nella zona pelvica;
⇒ infezioni o...
- neuropatia
definizione
Ogni affezione, soprattutto degenerativa, che colpisce il sistema nervoso; è un termine alquanto generico con il quale si fa riferimento a un gruppo particolarmente complesso di affezioni che interessano i nervi periferici: dal greco νεῦρον- (nevron- → nervo) e -πάϑεια (-pátheia → sofferenza).
classificazione delle neuropatie
Possono essere considerate patologie del sistema nervoso periferico che possono esprimere clinicamente manifestazioni focali (mononeuropatia) o diffuse (multineuropatie - polineuropatie - radicolopatie): dalla diversa combinazione degli eventi patologici e delle fibre principalmente interessate dalla malattia scaturisce la variabilità del quadro clinico.
Acute o croniche, determinano alterazioni della forza, della sensibilità, e delle funzioni autonomiche, molto spesso in associazione a manifestazioni algiche, causando parestesie o anestesia, disturbi vasomotori, deficit motori, atrofie muscolari, scomparsa dei riflessi fino alla paralisi totale o parziale.
La maggioranza delle neuropatie interessa indifferentemente le diverse tipologie di nervi, ma il processo patologico può anche essere relativo a solo una o a due di esse; per tali ragioni le neuropatie possono essere miste oppure prevalentemente di tipo motorio, sensitivo e autonomico (vegetative).
Possono essere classificate, in base alla tipologia dei nervi coinvolti, in:
⇒ neuropatie motorie;
⇒ neuropatie sensitive;
⇒ neuropatie autonomiche (anche neuropatie vegetative);
⇒ neuropatie miste.
Oppure, in base al processo patologico, in:
⇒ neuropatie demielinizzanti;
⇒ neuropatie assonali;
⇒ neuropatie miste.
Nelle mononeuropatie l'alterazione riguarda un unico ramo nervoso, mentre nelle polineuropatie sono coinvolti più nervi, in modo contemporaneo; nelle radicolopatie invece l’interessamento è relativo alle radici dei nervi spinali. Quando si parla di multineuropatie si osserva l'implicazione di più tronchi nervosi, ma il processo patologico è distinto e non...
- antagonista
etimologia – definizione
Il termine antagonista nasce dalla radice greca ἀνταγωνιστής (antagōnistḗs → che si oppone, che esercita un’azione contrastante) composta di ἀντί- (anti- → contro) e ἀγωνιστής (agōnistḗs → che lotta, che contrasta): che esercita un’azione o una reazione di senso fisiologico opposto a quella di un altro soggetto agente; contrasto fra due attori che esprimono forze opposte.
sostanza antagonista
In ambito biochimico, una molecola si definisce antagonista quando, pur legandosi selettivamente ad un recettore, non lo attiva, cioè blocca la trasduzione del segnale: i farmaci e le sostanze ad azione sono dotati di affinità per il recettore, ma sono privi di efficacia intrinseca, cioè non sono in grado di provocare la reazione fisiologica normalmente espressa dal ligando endogeno. (il ligando è una molecola in grado di unirsi selettivamente e reversibilmente ad una proteina, sia essa un recettore o un carrier transmembrana caratterizzate dalla presenza di un sito di riconoscimento, in grado di reagire esclusivamente ad una determinata sostanza: potrebbe essere paragonato ad una chiave che può entrare solo e solamente nella toppa dotata di una mappatura specifica.)
Se una molecola antagonista viene aggiunto ad un sistema in cui sia presente l'agonista corrispondente, si otterrà una competizione per potersi legare al recettore specifico, con una conseguente una diminuzione della risposta biologica rispetto ad una situazione analoga in cui ci sia solo il ligando endogeno.
muscolo antagonista
Se ci si riferisce alla contrazione muscolare, e un muscolo (o ad un gruppo muscolare), contraendosi, provoca un movimento, che “lotta contro” all'azione del muscolo agonista, contrastando lo spostamento, è chiamato muscolo antagonista; l’antagonista attua una risposta volta a inibire o ad osteggiare il gesto attivato dal “primo motore”, cioè dell’effettore che genera l’azione, quello che causa il movimento.
- sovraccarico funzionale
definizione
Ipersollecitazione dell'organismo o di parti di esso, dovuta alla ripetizione di gesti e movimenti specifici, prolungata nel tempo e con frequenza eccessiva o con una elevata intensità, tali da determinare l'insorgenza di micro-traumi reiterati sulle strutture anatomiche interessate: la conseguenza dell'eccessivo lavoro può essere l'insorgenza di lesioni o patologie a livello muscolare, delle cartilagini articolari o dell'osso, oppure tendiniti, soprattutto a livello dell'entesi (entesite), in quanto la funzione dei tendini è quella di collegare il muscolo all'osso e di trasmettere allo scheletro, grazie ad una deformazione elastica, le forze prodotte dalle contrazioni muscolari ammortizzandone gli effetti (isteresi).
La cartilagine articolare, che ricopre le superfici ossee delle articolazioni, ha la funzione di distribuire omogeneamente i carichi sulle superfici articolari evitando che sollecitazioni meccaniche mal distribuite possano ledere la cartilagine stessa o l’osso subcondrale; carichi incongrui o sollecitazioni funzionali eccessive innescano processi di tipo degenerativo: le strutture cartilaginee sopportano stress di tipo compressivo ma subiscono l'effetto delle trazioni o le forze di taglio; a livello degli arti inferiori le sollecitazioni funzionali possono favorire l’instaurarsi di quadri di artrosi, andando dall’erosione superficiale della cartilagine fino alla esposizione dell’osso sub-condrale, vista la scarsa capacità autorigenerativa della cartilagine danneggiata.
L’osso, contrariamente alla cartilagine articolare, è in grado di rispondere alle sollecitazioni esterne con processi di adattamento e riparazione anche se può essere soggetto all’instaurarsi di “fratture da stress”, ovvero “lesioni da fatica” o "lesioni da usura", conseguenti ad una sproporzione tra richieste funzionali e capacità dell’osso di fronteggiare l’affaticamento, o “lesioni da insufficienza”, che compaiono su un osso deficitario della componente minerale o...
- performance
definizione
La genesi della nozione di performance è interessante e merita attenzione, perchè, al di là dell’etimologia e del significato attuale, il concetto assume una certa rilevanza nelle dinamiche dello stress: sia che si faccia derivare l’uso nella lingua italiana dall'inglese o dal francese, l’origine deve essere fatta risalire al latino performare (→ dare forma, modellare), anche se l’utilizzo attuale suggerisce l’idea di “fornire una buona prestazione” o “ottenere risultati soddisfacenti”, in genere sottintendendo una sfumatura positiva; il termine prestazione, con cui si potrebbe semplicisticamente tradurre, appare decisamente riduttivo, rispetto ai significati assunti nell'ambito sportivo o in quello commerciale, nel settore tecnico o nella sfera artistica.
La radice etimologica latina ci aiuta, in questo senso, perchè formare (→ soddisfare, compiere, eseguire, completare, portare a termine) soddisfa pienamente, se non addirittura amplia il ventaglio dei significati, dove il prefisso per- può comunicare l’idea di “passaggio attraverso” o, allo stesso tempo, esprimere un valore intensivo del performare “attuale”. L’aggettivo performante prende su di sé il concetto prestazionale, tanto da essere usato per descrive qualcosa in grado di garantire “una buona resa” o “facilità a conseguire risultati”, mostrando nel contempo, il fatto di “essere a proprio agio”.
l'“obbligo” alla performance: una coazione autoinflitta?
Se immaginiamo come la presenza di standard, traguardi, obiettivi, limiti, norme di riferimento, ma anche aspettative, pretese, obblighi sottintenda la necessità di essere performanti, ci rendiamo conto di come il concetto di “portare a termine” e “soddisfare”, insito nell'etimologia richieda, in realtà, un grande sforzo. Sa a questo aggiungiamo che il perseguire i risultati debba essere ottenuto con “eleganza e nonchalance“, ci possiamo rendere conto che, qualora le risorse somato-emozionali a disposizione dell’organismo risultino...
- surmenage
definizione
Stato di affaticamento eccessivo, che comporta un esaurimento fisico e mentale: sforzo, eccesso di applicazione, soprattutto intellettuale, con conseguente affaticamento; dal francese surmener (→ sovraffaticare), composto da sur (→ oltre, al di sopra) e mener (→ condurre, trascinare).
Interessante notare che il termine, in origine, veniva utilizzato per descrivere un carico sproporzionato o un lavoro eccessivo applicato alle bestie da soma; sinonimo di iperaffaticamento, sovraffaticamento, stress, superlavoro, che può provocare stati di debilitazione e di esaurimento, e quindi diminuzione di rendimento.
- dischezia
definizione
Forma di stitichezza, associata a defecazione difficoltosa e dolorosa, dovuta a stasi o ristagno delle feci nell'ampolla rettale, per atonia del retto e del sigma: incapacità a effettuare l’atto della defecazione, che risulta dolorosa, spesso associato alla percezione di un corpo estraneo nel retto; dal greco, composto dal prefisso peggiorativo δυσ– (dys- → male, anomalia, malformazione) e χέζω (chézo → defecare).
In assenza di alterazioni anatomiche o sottostanti malattie, una delle possibili cause, che si manifesta con una certa frequenza, è costituita dall'abitudine a rimandare l’atto della defecazione inibendo così gli stimoli allo svuotamento del retto, stimoli che originano dallo stato di distensione della sua parete.
La dischezia può dipendere anche da affezioni dolorose dell'ano (ragadi, anismo), che portano il paziente a rimandare la defecazione a causa del dolore da essa evocato. L'inibizione volontaria della defecazione, causata dal dolore, alimenta un circolo vizioso, in cui il paziente può perdere la naturale abilità di contrarre alcuni muscoli e rilasciarne altri (dissinergia del pavimento pelvico) durante l'atto defecatorio.
Tra i muscoli la cui debolezza o mancata coordinazione può causare dischezia si ricorda il muscolo pubo-rettale, coinvolto nella cosiddetta sindrome del pubo-rettale: in presenza di disergia di questo muscolo, si osserva un'acutizzazione dell'angolo retto-anale che può innescare la sindrome da defecazione ostruita. L'abuso cronico di lassativi può favorire l'atonia dei muscoli coinvolti nella defecazione.
La dischezia è uno dei principali sintomi, spesso caratterizzata dalla presenza di dolore dolore, della endometriosi ed è frequentemente un sintomo che accompagna la dismenorrea, la dispareunia e la presenza di mestruazioni problematiche.
- legame carboamidico
definizione
Detto anche legame peptidico o giunto peptidico, è il legame di tipo covalente responsabile dell'unione degli amminoacidi e della conseguente formazione di peptidi e proteine: una sequenza amminoacidica è una una lunga catena di monomeri (aminoacidi) uniti fra loro da un legame che si instaura, per condensazione, fra il gruppo carbossilico (-COOH) del C-terminus di un amminoacido, con il gruppo amminico (-NH2) del N-terminus dell'amminoacido successivo, con cui si lega.
La formazione del legame peptidico richiede energia, che negli esseri umani è derivata dall'ATP, ed avviene grazie all'intervento di catalizzatori specifici, cioè degli enzimi: la sequenza degli aminoacidi nella catena polipeptidica rappresenta la struttura primaria, specifica per ogni proteina; la struttura primaria, cioè tipo e sequenza degli aminoacidi, condiziona la configurazione spaziale e la forma globale della molecola, dalle quali dipendono le proprietà biologiche. La sostituzione anche di un solo aminoacido, in certi punti della molecola, porta alla completa inattivazione funzionale della stessa: le funzioni di una proteina non dipendono soltanto dalla natura chimica dei suoi costituenti ma anche dalla loro localizzazione in punti specifici della catena amminoacidica.
L'idrolisi enzimatica è la reazione più semplice per rompere un legame covalente peptidico: consiste nella reazione inversa alla condensazione, ovvero alla separazione di due amminoacidi, per mezzo di una reazione enzimatica, con aggiunta di acqua; questa reazione è sfruttata nell'apparato digerente in cui esistono, a più livelli, numerosi enzimi proteolitici (pepsina, chimotripsina, tripsina ...) per tramutare le proteine ingerite con l'alimentazione negli amminoacidi che vengono quindi assorbiti dalle cellule epiteliali intestinali prima di essere trasferiti nel circolo sanguigno per le necessità dell'organismo.
- ipericina
definizione
Principio attivo contenuto nell'Hypericum Perforatum, utile per regolare il tono dell’umore, il ciclo sonno-veglia, la peristalsi intestinale e altre attività metaboliche.
L’ipericina è un naftodiandrone estratto dalle foglie e dalle sommità fiorite della pianta; per molto tempo è stato considerato il principio attivo responsabile degli effetti antidepressivi dell'Iperico, prima che venisse riconosciuta l'importanza dell’iperforina: le concentrazione di queste due molecole, entrambe presenti nell’iperico, variano ovviamente durante l’anno e nelle diverse parti della pianta.
L’ipericina inibisce il re-uptake delle amine cerebrali quali la serotonina, la noradrenalina, legandosi ai recettori GABAergici; ha un'azione inibitoria sulle mono-ammino-ossidasi (MAO): limitando la ricaptazione e l’inattivazione della serotonina a livello del sistema nervoso centrale, l’ipericina favorisce una maggior presenza in circolo del neurotrasmettitore, garantendo una migliore regolazione del tono dell’umore, del ciclo sonno-veglia, della peristalsi intestinale e di altre attività metaboliche.
È stata dimostrata anche una attività epatoprotettrice della molecole, oltre che antivirale.
- cluster
definizione
Gruppo di unità simili o vicine tra loro, dal punto di vista della posizione o della composizione; letteralmente «grappolo» o «raggruppamento», di diretta derivazione dalla lingua inglese, viene utilizzato prevalentemente in ambito scientifico e tecnico per definire un insieme di oggetti collegati tra loro.
Solitamente indicato per indicare gruppi di sindromi o diagnosi facenti parte di un'area comune; in epidemiologia, rappresenta un gruppo di due o più casi di una stessa patologia ( o di altre condizioni inerenti la salute) verificatasi in un determinato luogo e periodo temporale, raggruppabili omogeneamente in un insieme.
- bias attentivo
definizione
Forma di bias, che può essere definita come una deviazione attenzionale dall'oggettività, esprime sostanzialmente la soggettività interpretativa della realtà: termine utilizzato per descrivere il fatto che la percezione del mondo reale di una persona è influenzata da fattori selettivi che condizionano la sua attenzione.
La presenza di questi pregiudizi attenzionali, soprattutto in condizioni di stress, determina il modo in cui noi "vediamo" ciò che accade: questo può spiegare l'incapacità di un individuo a considerare possibilità alternative ai costrutti logici che "costruisce" sulla propria personale e soggettiva interpretazione della realtà oggettiva; una weltanschauung in grado di determinare una linea di pensiero che, per il semplice fatto di esistere, tende a prendere il sopravvento sulle possibili differenti opzioni determinando "scelte condizionate".
Il bias attenzionale potrebbe essere definito come un «pregiudizio attentivo» che implica la tendenza a prestare attenzione ad alcune cose ignorandone contemporaneamente altre.
In pratica, gli stimoli che appaiono come salienti sono in grado di attirare più facilmente l’attenzione, determinando una distorsione nell'elaborazione delle informazioni; ugualmente si può osservare una disattenzione selettiva ovvero il fenomeno per cui l’attenzione viene distolta da stimoli essenziali per orientarsi verso stimoli irrilevanti.
Quando si prendono decisioni, i pregiudizi dell'attenzione possono assumere un ruolo rilevante, nel condizionare le scelte; chi è affetto da ansia, dolore permanente o stress cronico tende a dare la priorità ai segnali di minaccia e di pericolo, per quanto percepite e non necessariamente reali, rispetto alle manifestazioni di ricompensa o approvazione: questa tendenza a mettere in atto forme di pregiudizio, porta ad un effetto a spirale negativa, poiché si creerà la tendenza a percepire in prevalenza messaggi negativi, che inducono un incremento dell'ansia, che esacerba...
- B.C.A.A.
definizione
Acronimo di «branched-chain amino acid», ovvero amminoacidi ramificati, conosciuti anche come amminoacidi a catena ramificata, sono un gruppo di amminoacidi essenziali rappresentati da leucina, isoleucina e valina.
B.C.A.A. e sensibilità insulinica
Gli amminoacidi ramificati (B.C.A.A.), cioè leucina, isoleucina e valina, sono caratterizzati da una peculiarità importante per l'anabolismo muscolare: a differenza della gran parte degli altri aminoacidi, non vengono metabolizzati a livello epatico, ma vengono captati direttamente dal tessuto muscolare che li utilizza come donatori di azoto per la sintesi di altri importanti aminoacidi, come la glutammina e l'alanina, esercitando un'azione anti-catabolica.
Una delle principali vie mediante il quale i BCAA prevengono l'invecchiamento e favoriscono il miglioramento della composizione corporea, è la loro azione sul miglioramento della sensibilità all'insulina e della tolleranza al glucosio: alti livelli di insulina accelerano l'invecchiamento danneggiando nervi e cellule, rendendo indispensabile il controllo di questo ormone.
La secrezione di insulina tuttavia è facile da controllare, ed è possibile sfruttare il supporto dei BCAA per questo scopo: l'utilizzo degli amminoacidi ramificati si è dimostrata utile nel trattamento del diabete, permettendo un miglioramento della compliance nel mantenimento della glicemia e riducendo la perdita di peso dovuta alla glicosuria, ma anche, paradossalmente nel favorire la la perdita di peso nei soggetti obesi, verosimilmente riducendo la resistenza periferica all'insulina, ovvero esiste una relazione diretta fra sensibilità all'insulina ed i livelli di BCAA. Ugualmente la presenza di amminoacidi ramificati si è dimostrata utile nel migliorare la tolleranza al glucosio, ovvero, in caso in cui ci sia una elevata assunzione di glucosio, pur osservando un incremento della glicemia, l'organismo è in grado di elaborare il glucosio per produrre energia in modo efficace,...
- re-uptake
definizione
Termine inglese, traducibile letteralmente con «riassunzione» o «riassorbimento», che indica la funzione di ricaptazione dei neurotrasmettitori da parte dei neuroni: l'inibizione dei sistemi di re-uptake aumenta la disponibilità dei neurotrasmettitori a livello recettoriale; una gran parte dei farmaci ad azione antidepressiva, come ad esempio gli S.S.R.I., agisce a questo livello.
La ricaptazione è quel processo mediante il quale il neurotrasmettitore che si trova nello spazio intersinaptico viene riassorbito a livello della membrana pre-sinaptica: una volta riassorbito dalla cellula può essere inglobato nelle vescicole per un nuovo utilizzo, come accade per la noradrenalina che viene riassorbita per l'80%, mentre il 20% del neurotrasmettitore viene disattivato da un enzima dello spazio sinaptico (dall'enzima COMT, cioè catecol-O-metiltrasferasi) e immesso nel circolo sanguigno; una piccola quantità della noradrenalina ricaptata dalla membrana pre-sinaptica non viene inglobata nelle vescicole ma disattivata dall'enzima MAO (monoaminossidasi) e immessa nel circolo sanguigno.
- uptake
definizione
Termine inglese, traducibile letteralmente con «assunzione» o «assorbimento», che viene solitamente utilizzato per definire la captazione quantitativa o qualitativa di una sostanza o all'accumulazione della stessa a livello cellulare o in un cluster di cellule.
Poiché i metodi di imaging e le terapie della medicina nucleare si basano sull'inclusione di sostanze con etichettatura radioattiva, il termine viene spesso utilizzato per descrivere l'assorbimento di sostanze attraverso la barriera emato-encefalica o a livello delle ghiandole: un esempio è la scintigrafia della ghiandola tiroide, dove viene valutato l'uptake (assorbimento) del liquido di contrasto o, qualora si utilizzi radio-iodio, viene misurata la registrazione di iodio radioattivo.
L'assunzione di una soluzione di zucchero marcato radioattivamente è il meccanismo di base per la ricerca di tumori che utilizzano la tomografia a emissione di positroni (PET): solitamente l'indice di assorbimento viene specificato come “standardized uptake value” (SU.V.)
- amminoacido insulinogenico
definizione
Detti anche amminoacidi insulinogeni, amminoacidi insulinotropici o definiti con l'acronimo I.A.A. (dall'inglese «insulinogenic ammino acids») sono una famiglia di di amminoacidi in grado di stimolare, in maniera più o meno marcata, la produzione di insulina: fra le proprietà di questo ormone, l'azione ipoglicemizzante risulta quella più nota e significativa, vista la sua capacità di favorire la riduzione della concentrazione degli zuccheri (glucosio) a livello ematico, stimolandone il trasporto verso determinati tessuti che fungono da siti di stoccaggio o di riserva, ovvero il tessuto muscolare scheletrico, il cuore, il tessuto adiposo (tessuti insulino-dipendenti), o verso altri apparati su cui esercita un'azione indiretta.
L'intervento dell'insulina, in realtà, non si manifesta esclusivamente sulla componente glucidica ma, grazie all'introduzione di altri nutrienti quali le proteine (o aminoacidi e peptidi) o i lipidi nella dieta, è finalizzato precipuamente a favorire il trofismo dei tessuti: la presenza dell'insulina è indispensabile per l'utilizzazione degli amminoacidi a scopo anabolico anche in assenza di glucidi, svolgendo un'importante azione sinergica nella sintesi proteica (proteosintesi), potenziando la produzione di altri ormoni come il GH, che incrementa a sua volta la produzione dell'ormone anabolico IGF1, e il testosterone.
Così come l'insulina gioca un ruolo fondamentale nella proteosintesi, parimenti alcuni amminoacidi posseggono un effetto insulinogenico in quanto gli amminoacidi, come i carboidrati, risultano i nutrienti che stimolano maggiormente la secrezione di insulina: tra i dieci aminoacidi essenziali, leucina, lisina, valina, e soprattutto arginina sono maggiormente dotati della proprietà insulinotropica; non solo i particolari amminoacidi insulinogenici, singoli o combinati tra loro, si comportano da insulinogeni, ma anche l'introduzione di amminoacidi misti, o di cibi ad alto...
- amminoacido
definizione
Molecola organica contraddistinta dalla presenza sia di un gruppo amminico (-NH2), denominato N-terminus, sia da un gruppo carbossilico (-COOH) denominato C-terminus: questa dualità conferisce agli amminoacidi la proprietà di essere, allo stesso tempo, molecole acide, grazie al gruppo carbossilico acido (-COOH), e molecole basiche, per la presenza di un gruppo amminico basico (-NH2), rendendole molecole anfotere (zwitterioni); in funzione del valore del pH dell'ambiente in cui si trova la molecola, i due gruppi terminali sono neutri o ionizzati.
Da un punto di vista biochimico, con il termine amminoacidi ci si riferisce più spesso agli L-α-amminoacidi, di formula generica NH2-CHR-COOH, cioè dove al carbonio α, in configurazione L (enantiomero levogiro), sono legati sia il gruppo amminico, sia il gruppo carbossilico, sia un radicale che può essere rappresentato da catene eterogenee.
Gli amminoacidi possono essere le unità costitutive delle proteine ed in questo caso vengono definiti proteinogenici; i differenti amminoacidi sono connessi fra loro, per formare le catene polipeptidiche, per mezzo di un legame covalente (detto legame peptidico o giunto peptidico) che unisce il N-terminus di un amminoacido col C-terminus dell'aminoacido che segue nella catena amminoacidica: le semplici catene di polipeptidi costituiscono la struttura primaria delle proteine. In natura, conosciamo classicamente 20 amminoacidi proteinogenici, anche se recentemente sono stati inseriti nel novero dei costituenti delle proteine anche la selenocisteina e la pirrolisina: alcuni autori considerano anche la N-formil-metionina, un derivato della metionina, fra gli amminoacidi proteinogenici; l'essere umano è in grado di sintetizzare una aprte degli amminoacidi necessari per costruire le proteine, ma alcuno devono essere introdotti per via alimentare e pertanto sono definiti “amminoacidi essenziali”.
- leucotriene
definizione
Molecole lipidica in grado di promuovere i processi infiammatori e/o stimolare le risposte immunitarie, in particolare nell'asma e nella bronchite: chimicamente appartengono alla classe degli eicosanoidi, essendo derivati dell'acido arachidonico per azione dell'enzima 5-lipoossigenasi; la loro produzione è solitamente accompagnata dalla liberazione dell'istamina, anch'essa grandemente implicata nei casi di infiammazione e di asma.I leucotrieni sono mediatori lipidici aventi azione autocrina (quindi di segnalazione alla stessa cellula che li ha prodotti) e paracrina (di segnalazione a un numero esiguo di cellule adiacenti); la loro distribuzione nell'organismo è pressoché ubiquitaria.
Il nome leucotriene deriva dall'unione di leuco-, dal greco λευκός (leukós → bianco), termine utilizzato per indicare una molecola o una cellula appartenente al sistema immunitario, e da -triene, (tre doppi legami coniugati tra gli atomi di carbonio); fu introdotto, nel 1979, dal biochimico svedese Bengt Samuelsson. Le prime molecole di questa famiglia a essere descritte tra il 1938 e il 1940 dagli studiosi furono isolate da tessuto polmonare in seguito a una prolungata esposizione a istamina e ad un veleno di serpente.
I leucotrieni sono liberati dai leucociti e da altre cellule durante le reazioni allergiche ed infiammatorie: l'azione più evidente e conosciuta, propria di un sottogruppo di leucotrieni (LTC4, LTD4, LTE4) chiamati cisteinileucotrieni o leucotrieni cisteinici per la presenza dell'aminoacido cisteina nella loro struttura, è quella di determinare la costrizione dei bronchioli situati all'interno del tessuto polmonare, in maniera decisamente più intensa di quella provocata dall'istamina; oltre a tale azione, i cisteinileucotrieni aumentano la produzione di muco (catarro), aumentano la permeabilità vasale (edema) ed hanno azione eosinofilotattica (richiamano gli eosinofili).
Gli allergeni, sostanze capaci di scatenare una reazione allergica od una...
- melatonina
definizione
Scoperta nel 1958 da Aaron Lerner, un dermatologo che isolò questo ormone nella ghiandola pineale delle mucche, la melatonina è un ormone secreto prevalentemente dalla ghiandola pineale (epifisi), in grado di regolare il ritmo circadiano dell'organismo; la sua secrezione viene regolata dalla luce, in quanto, come conseguenza della stimolazione dei fotorecettori retinici da parte della luce diurna, viene trasmesso un segnale all'epifisi ad azione inibitoria della sua secrezione mentre il buio, al contrario, ne stimola il rilascio: per questo motivo la melatonina ha un picco nelle ore notturne e valori molto più bassi (il nadir) durante il giorno.
Dato che la melatonina ha un effetto sedativo, il cervello la utilizza come una sorta di segnale per informare l'organismo che è buio e che è pertanto giunto il momento di dormire e riposarsi.
La melatonina è molto bassa durante i primi tre mesi di vita e senza notevoli differenze tra livelli notturni e diurni; dal 4-6 mese i livelli di melatonina aumentano gradualmente con un picco a 3 anni. La produzione di melatonina si mantiene elevata nell'età giovanile per poi diminuire con l'età, in particolare nell'anziano a causa della calcificazione dell'epifisi.
melatonina e disturbi del sonno
I disturbi del sonno si possono suddividere in due principali categorie: da una parte troviamo tutte quelle persone che fanno molta fatica a prendere sonno ma che quando si addormentano portano a termine il loro riposo; dall'altra vi sono invece soggetti che si addormentano facilmente ma che si svegliano nel cuore della notte o nelle prime ore della mattina senza poi riuscire a riaddormentarsi. La melatonina si è dimostrata efficace soprattutto nel primo caso dove agisce andando a ripristinare i naturali ritmi biologici dell'organismo.
Alcuni disturbi del sonno dipendono infatti soprattutto dallo sfasamento del ciclo di secrezione della melatonina mentre un deficit quantitativo è abbastanza raro. L'efficacia della...
- nadir
definizione
Intersezione della perpendicolare all'orizzonte passante per l'osservatore con l'emisfero celeste invisibile, ovvero l'intersezione della verticale passante per il punto di osservazione orientata verso il centro della Terra con la sfera celeste: il punto diametralmente opposto allo zenit, cioè il suo antipode; la parola deriva dall'espressione araba «nazìr al-samt» che significa “corrispondente dello zenit”, ovvero naẓīr, cioè controparte.
Zenit e nadir sono i poli dell'orizzonte; per estensione il punto inferiore, l'estremo inferiore, il valore minimo: utilizzato per indicare i livelli minimi di un parametro biologico in un determinato periodo di tempo.
- teanina
definizione
Amminoacido naturale presente soprattutto all'interno delle foglie del tè, in particolare nel tè verde (incluso il ben noto tè matcha), ma anche in quello nero: è in grado di favorire il rilassamento e controllare lo stress; non ha direttamente un'azione ipnoinducente, ma può essere utile quando le difficoltà a dormire vedono fra le cause stress e stati ansiosi.
La teanina possiede una struttura molto simile a quella dall'amminoacido glutammina, ma presenta anche analogie con le strutture dell'acido γ-amminobutirrico (GABA) e dell'acido glutammico, due importantissimi neurotrasmettitori del nostro sistema nervoso; è un amminoacido non proteinogenico, ciò significa che diversamente da glutammina e acido glutammico essa non viene incorporata all'interno di catene polipeptidiche.
Favorisce il rilassamento, senza interferire con la capacità di attenzione e la concentrazione, la qualità del sonno; solitamente negli integratori alimentari è presente solo l'enantiomero L-teanina.
La teanina potrebbe incrementare l'effetto antitumorale di farmaci chemioterapici come la doxorubicina e l'idarubicina e potrebbe potenziare l'effetto sedativo dell'alcol e di altri farmaci ipnotici; si ne sconsiglia l'uso durante la gravidanza e nel successivo periodo di allattamento al seno.
teanina e GABA
Alla teanina vengono attribuite numerose proprietà antistress, rilassanti, sedative e ansiolitiche;
tali proprietà sembrano imputabili alla capacità di questa sostanza di fungere da substrato indiretto per la sintesi del GABA (il precursore endogeno del GABA è, infatti, l'acido glutammico), un neurotrasmettitore ad azione inibitoria che promuove la sensazione di rilassamento: assorbita rapidamente a livello intestinale e distribuita nei tessuti, la teanina oltrepassa senza ostacoli la barriera ematoencefalica, incrementando i livelli di GABA a livello cerebrale. Meno chiaro sembra il suo effetto inibitorio o stimolatorio sul rilascio di serotonina, che verrebbe...- warfarin
definizione
Il warfarin è un farmaco anticoagulante cumarinico, spesso conosciuto con il suo nome commerciale COUMADIN®: viene utilizzato per prevenire o trattare la formazioni di coaguli di sangue come la trombosi venosa profonda e l'embolia polmonare oppure per prevenire l'insorgenza di ictus nelle persone che hanno fibrillazione atriale, malattie cardiache valvolari o nei soggetti che hanno sostituito la valvola con una valvola meccanica.
Venne scoperto casualmente come prodotto della fermentazione di una specie di trifoglio: il trifoglio, fermentando, produce dicumarolo, responsabile del suo effetto anticoagulante; in seguito venne scoperto che una sostanza, denominata vitamina K (da Koagulation), era utilizzabile come antidoto per annullare l'effetto fluidificante del sangue.
Il meccanismo d'azione del warfarin è dovuto alla sua capacità di antagonizzare le funzioni della vitamina: è in grado di inibire la sintesi delle forme biologicamente attive dei fattori di coagulazione II, VII, IX e X dipendenti da calcio e vitamina K, nonché dei fattori di regolazione proteica C, proteina S e proteina Z. Vari fattori della coagulazione (la protrombina e i fattori VII, IX e X) per poter divenire attivi devono subire delle modificazioni post-traduzionali che consistono nella carbossilazione di alcuni residui di acido glutammico, al fine di generare l'acido γ-carbossiglutammico; la vitamina K, durante la reazione di carbossilazione, fissa e poi cede la molecola di CO2, viene trasformata in vitamina K epossido che viene poi riconvertita dall'enzima vitamina K epossido reduttasi nella forma precedente: questo enzima è il bersaglio dell'azione del warfarin, il quale ne determina l'inibizione. Il warfarin agisce più lentamente dell'eparina.
- Valeriana Officinalis
descrizione
La valeriana è uno fra gli ansiolitici naturali maggiormente conosciuti: può essere impiegata per il trattamento delle manifestazioni ansiose, nelle crisi di angoscia, negli attacchi di panico o in caso di tensione nervosa: la sua azione sembra imputabile ai valepotriati (in particolare valtrato e baldrinale, dotati di effetto sedativo), all'acido valerenico, all'acido isovaleranico, agli acidi valerenici e al valerenale, oltre ad alcuni alcaloidi (valeranina, attinidina e valtrossale).
La valeriana è una pianta utilizzata principalmente per la sua attività tranquillante: è usata nella cura dell'insonnia e dei disturbi del sonno, ma anche nella terapia complementare di alcune manifestazioni di tipo ansioso come attacchi di panico, crisi di angoscia, tremori, crampi addominali, irritabilità, tensione nervosa, vertigini psicogene, colon irritabile, palpitazioni, cefalea.
L'aminoacido valina prende il nome dalla Valeriana Officinalis.: infatti l'eponimo di questo amminoacido ramificato è acido α-ammino-isovalerianico, in quanto è un derivato aminico dell’acido valerianico.
azioni farmacologiche
Le attività sedative e ansiolitiche sembrano essere esercitate dai valepotriati e da alcuni costituenti dell'olio essenziale di valeriana, quali l'acido valerenico e il valerenale, mentre le attività spasmolitiche sembrano essere imputabili al solo acido valerenico; il meccanismo con cui le suddette molecole sono in grado di ridurre la componente ansiosa ha a che fare con il metabolismo del GABA (acido γ-amminobutirrico), il principale neurotrasmettitore inibitorio del SNC: nel dettaglio, sembra che questi composti contenuti all'interno della valeriana siano capaci di interferire con la degradazione del GABA, in quanto in seguito all'assunzione di valeriana, si assiste a un incremento dei livelli di GABA nello spazio sinaptico, ottenuto tramite l'inibizione del reuptake e l'aumento della secrezione dello stesso neurotrasmettitore.
Le proprietà sedative e...
- GABA-transaminasi
definizione
Chiamata, in enzimologia, 4-aminobutirrato-transaminasi o 4-aminobutirrato aminotransferasi oppure con l'acronimo GABA-T, è un enzima che catalizza la trasformazione del GABA, in presenza di acido glutarico (prodotto naturalmente nel corpo durante il metabolismo di alcuni amminoacidi, tra cui la lisina e il triptofano) in glutammato
GABA + acido glutarico ↔ glutammato + un metabolita del GABA (semialdeide succinica)
La semialdeide succinica ottenuta dalla reazione entra nel metabolismo energetico, mentre l'acido glutammico può essere riconvertito in GABA o agire come un neurotrasmettitore ad azione eccitatoria.
Questo enzima appartiene alla famiglia delle transferasi, in particolare le transaminasi, che trasferiscono gruppi azotati: partecipa a 5 differenti vie metaboliche, in quanto interviene nel metabolismo dell'alanina e dell'aspartato, nel metabolismo del glutammato, nel metabolismo della β-alanina, nel metabolismo dall'acido propionico e in quello dell'acido butirrico, utilizzando come cofattore il piridossal-5-fosfato.
- Passiflora Incarnata
descrizione
La passiflora è un rinomato ansiolitico naturale, utilizzato perlopiù per contrastare le sindromi ansiose caratterizzate da insonnia e irrequietezza: le proprietà sedative e ansiolitiche della passiflora sono riconducibili al suo contenuto di flavonoidi ed alcaloidi indolici.
Il nome significa “fiore della passione”, dal latino passio (→ passione) e flos (→fiore); l'eponimo gli fu attribuito dai missionari Gesuiti nel 1610, per la somiglianza di alcune parti della pianta con i simboli religiosi della passione di Gesù: i viticci alla frusta con cui venne flagellato, i tre stili ai chiodi, gli stami al martello, la raggiera corollina alla corona di spine.
Nell'antichità già gli Aztechi utilizzavano la passiflora come rilassante: l'infuso, lo sciroppo e l'estratto fluido hanno proprietà sedative del sistema nervoso, tranquillanti, ansiolitiche, antispastiche, curative dell'insonnia, della tachicardia e dell'isterismo; inducono un sonno fisiologico e un'attività diurna priva di ottundimento. Già ai tempi della prima guerra mondiale, la passiflora fu utilizzata nella cura delle “angosce di guerra”; l'infuso è stato inoltre utilizzato per la psicoastenia.
Le caratteristiche farmacologiche della droghe contenute nella Passiflora Incarnata la rendono utile per facilitare lo svezzamento dagli psicofarmaci in quanto, a differenza di questi ultimi, normalizza le funzioni biologiche e non da assuefazione.
La passiflora e i suoi derivati potrebbero interferire con l'azione di farmaci sedativo-ipnotici e gli anticoagulanti cumarinici: in seguito all'assunzione della passiflora potrebbero manifestarsi eccessiva sedazione e sonnolenza; l'uso della passiflora è sconsigliato in età pediatrica e durante la gravidanza.
- Melissa Officinalis
descrizione
La melissa è una pianta dotata di comprovate attività sedative e, per questo, viene spesso utilizzata per contrastare stati di agitazione e insonnia: è in grado di contrastare l'ansia che si accompagna a somatizzazioni viscerali; l'azione sedativa e l'attività ansiolitica sembrano essere esercitate attraverso l'inibizione della GABA-transaminasi.
L'azione antispasmodica negli spasmi gastrici di origine nervosa e la blanda azione sedativa sono da attribuirsi a due aldeidi, il citrale ed il citronellale, linalolo ed il geraniolo che sono utili anche per il trattamento dei problemi digestivi (dispepsia, gonfiori, flatulenza, vomito, coliche),
La melissa e i suoi derivati potrebbero interferire con l'attività dei barbiturici; l'associazione della melissa con altri ansiolitici naturali, quali iperico e passiflora, può causare effetti sedativi non desiderati.
- Hypericum Perforatum
descrizione
Conosciuta anche col nome di “Erba di San Giovanni”, è una pianta il cui estratto secco, assunto per via orale, presenta attività antidepressiva e ansiolitica: l'iperico trova oggi indicazione nel trattamento delle sindromi depressive di lieve e media entità, depressione stagionale e depressione da sindrome climaterica, ma è anche utilizzabile nei soggetti affetti da attacchi di panico; l'attività ansiolitica viene esercitata attraverso l'attivazione del recettore per le benzodiazepine e grazie al suo contenuto di serotina, attiva a livello nervoso.
un nome una storia
In realtà il nome “Erba di San Giovanni” può riferirsi a qualsiasi specie del genere Hypericum, pertanto Hypericum Perforatum è talvolta chiamato “Erba di San Giovanni comune”; l'epiteto latino perforatum si riferisce all'aspetto delle foglie della pianta: ovali e di piccole dimensioni, sono picchiettate di minuscole ghiandole trasparenti che in controluce assomigliano a forellini e gli conferiscono un aspetto “perforato”.
Per Ippocrate e Dioscoride, il suo nome significherebbe «al di sopra del mondo degli Inferi»; il nome del genere Hypericum è probabilmente deriva dal greco ὑπέρ (hypér → sopra) e εἰκών (eikṓn → immagine), probabilmente in riferimento alla tradizione di appendere piante sopra le icone religiose nella casa, per allontanare gli spiriti maligni e per proteggersi da danni e malattie all'uomo e al bestiame, durante il giorno di San Giovanni: infatti comunemente fiorisce, sboccia e viene raccolta al momento del solstizio d'estate a fine giugno, intorno alla festa di San Giovanni il 24 giugno.
magia dell'Iperico
Simbolo di vittoria sul male, magia buona e protezione dalle arti malefiche, l’“Erba di San Giovanni” viene considerata da una tradizione millenaria la panacea di tutti i mali, con forti poteri magici: durante le Crociate, i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme lo utilizzavano per curare le ferite dei combattenti: i cavalieri, durante i combattimenti, ne...
- Eschscholtzia Californica
descrizione
Pianta in grado di esercitare un'azione sedativa e ansiolitica sul sistema nervoso centrale, indurre il sonno ed è dotata di proprietà spasmolitiche: tali attività sono imputabili soprattutto agli alcaloidi contenuti nella pianta e, in particolare, alla californidina; l'Eschscholtzia Californica e i suoi estratti vengono spesso impiegati in associazione ad altri ansiolitici naturali, come, ad esempio, il biancospino.
Le proprietà sedative dell'Escolzia sono ben note anche alla medicina popolare, che la utilizza per il trattamento dell'insonnia e dell'agitazione, l'ansia e la depressione, oltre che per l'enuresi notturna nei bambini ed i disturbi della vescica.
L'Eschscholtzia Californica e i suoi derivati potrebbero interferire con l'attività di farmaci inibitori delle mono-ammino ossidasi (antidepressivi I-MAO), aumentandone l'efficacia, dei barbiturici o di altri sedativi del SNC, potenziando l'effetto ipnotico; il suo è sconsigliato durante la gravidanza e l'allattamento.
- pareidolia
definizione
Detta anche illusione pareidolitica è l'illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale; dal greco παρά (parà → vicino, simile) e εἴδωλον (èidōlon → immagine)
Può essere definita come la tendenza istintiva e automatica a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini disordinate: l'associazione si manifesta in special modo verso le figure e i volti umani; classici esempi sono la visione di animali o volti umani nelle nuvole, la visione di un volto umano nella luna (il «sembiante della luna») oppure l'associazione di immagini alle costellazioni.
Talora, anche la forma di alcune nuvole può rendere l'illusione che esse abbiano la forma di un oggetto, di un animale o di una persona; sempre alla pareidolia si può ricondurre la facilità con la quale riconosciamo volti che esprimono emozioni in segni estremamente stilizzati quali le emoticon.
Si ritiene che questa tendenza, che è un caso particolare di apofenia, sia stata favorita dall'evoluzione, poiché consente di individuare situazioni di pericolo anche in presenza di pochi indizi, ad esempio riuscendo a scorgere un predatore mimetizzato: la pareidolia consente spesso di dare una spiegazione razionale a fenomeni apparentemente paranormali, quali le apparizioni di immagini su muri o la comparsa di “fantasmi” in fotografie.
Un fenomeno analogo alla pareidolia (una sorta di pareidolia acustica) si verifica anche per le percezioni uditive, quando si crede di sentire suoni, parole o frasi significative in rumori casuali, come quelli ottenibili da registrazioni eseguite al contrario.
- apofeni
definizione
Il riconoscimento di schemi o connessioni in dati casuali o senza alcun senso: il termine è stato coniato nel 1958 da Klaus Conrad, che la definì come una «immotivata visione di connessioni» accompagnata da una «anormale significatività»; dal greco ἀποφαίνω (→ apparire, mettere in luce, far diventare)
- ierofania
definizione
Il senso della presenza o della manifestazione di qualcosa di «sacro», non necessariamente di un dio, che l’uomo avverte o può avvertire, a qualsiasi tipo di religione appartenga: composto di iero- dal greco ἱερός (hierós → sacro) e ϕαίνομαι (phainein → apparire).
- coping
Anglismo che può essere tradotto con con la locuzione "strategia di adattamento" o "abilità nel fronteggiare": indica l'insieme degli strumenti adattativi messi in atto individualmente per affrontare e gestire disagi emotivi e o dinamiche interpersonali in grado di causare stress; l'obiettivo del coping è ridurre e neutralizzare l'effetto del dis-confort e del dis-stress oppure di sviluppare strategie per gestire o risolvere i conflitti.
- metaprogramma
definizione
La spiegazione più comune del termine «metaprogramma» è «mappa delle mappe» o «metastrategia»: possono essere considerati automatismi attraverso cui una persona decide quale strategia adottare per gestire i propri rapporti con l’ambiente e le persone; occorre ricordare che il prefisso greco μετα– (meta → con, oltre, dopo, dietro …), nel linguaggio moderno assume una componente trascendente e viene utilizzato per indicare un concetto che rappresenta un’astrazione implicita o nascosta dietro un altro concetto oppure per completare ed aggiungere un significato ulteriore a quest’ultimo, indicando una sorta di mutamento, trasformazione o trasposizione: pertanto i «metaprogrammi», riferendosi alle funzioni corporee, devono essere considerati programmi che stanno oltre i programmi di base, che portano il controllo e la gestione su piani più elevati del semplice essere in attività e reagire automaticamente.
Quando parliamo di “meta” programmi, prendiamo in considerazione i filtri che utilizziamo per discriminare su quali aspetti della realtà porre la nostra attenzione, anche se non sempre ciò avviene in modo conscio e consapevole; ci avventuriamo nel mondo dei significati presenti oltre la realtà apparente ovvero, cominciamo ad esplorare le modalità con cui eliminiamo delle parti “oggettive” della realtà, creando una nostra personalissima e soggettiva «mappa mentale» per rappresentare ciò che ci accade, in grado di condizionare il nostro modo di vedere e interpretare la realtà: i «metaprogrammi» sono schemi di comportamento che generalmente abbiamo costruito nel tempo, in base alle nostre esperienze, «metastrategie» che mettiamo in atto per confrontarci e gestire i nostri rapporti con il “mondo”.
Anche se siamo in grado di modificarli o è possibile che subiscano trasformazioni nel tempo oppure che risentano dei nostri stati d’animo o delle pressioni che subiamo, rappresentano lo stile di pensiero ed i modelli di apprendimento che utilizziamo; determinano...
- bias
definizione
Termine che indica la presenza di un errore sistematico: la traduzione letterale dall'inglese potrebbe essere «inclinazione», sottolineando la predisposizione al preconcetto o al pregiudizio.
Il verbo biasier (→ inclinarsi, rendere obliquo, tergiversare) ci aiuta a comprendere l'origine del termine potendo far risalire l'etimologia al francese «biais» (→ linea obliqua o diagonale), termine utilizzato per descrivere «un'inclinazione, una pendenza, qualcosa obliquo, laterale, di traverso», probabilmente derivata dal latino (e)bigassius, dal greco ἐπικάρσιος (epikarsios → di traverso); è interessante notare che nel gioco delle bocce, era un termine tecnico usato in riferimento a palline realizzate con un peso maggiore su un lato, che le faceva curvare verso un lato: da qui l'uso figurativo del termine bias per descrivere «una tendenza unilaterale della mente» e dapprima, specialmente nel diritto, una «indebita propensione o pregiudizio».
Herbert Spencer, filosofo britannico di impostazione liberale, teorico del darwinismo sociale, nel suo libro «The Study of Sociology» del 1873, utilizza il termine bias come sinonimo di pregiudizio, scrivendo:
«Il pregiudizio dell'istruzione, il pregiudizio delle relazioni di classe, il pregiudizio della nazionalità, il pregiudizio politico, il pregiudizio teologico: questi, aggiunti alle simpatie e antipatie costituzionali, hanno molta più influenza nel determinare le convinzioni sulle questioni sociali di quanto ne abbia la piccola quantità di prove raccolte.»
Già nel 1620, Francis Bacon, filoso inglese, nel suo libro «Novum Organum», scriveva:
«The human understanding is no dry light, but receives an infusion from the will and affections; whence proceed sciences which may be called "sciences as one would."
For what a man had rather were true he more readily believes.
Therefore he rejects difficult things from impatience of research; sober things, because they narrow...
- pattern
definizione
Termine inglese che, letteralmente significa «disposizione», è derivato dal francese «patron», ma affonda le proprie radici nel latino patronus (→ patrono, inteso come modello di riferimento, anche nella sua funzione protettiva di difensore), ed assume il significato specifico di «modello», «schema», «configurazione»: è adoperato anche per definire un sistema consolidato di convinzioni, comportamenti, valori oppure per identificare il modo particolare e specifico in cui qualcosa è fatto, è organizzato o accade; è utilizzato quando si vuole indicare un modello di riferimento, uno schema ricorrente, una struttura ripetitiva o il disegno di fondo (trama) riferendosi a comportamenti, azioni, fenomeni o situazioni ricorrenti.
- atout
definizione
Lemma derivato dal francese «à tout» (→ a tutto) utilizzato nel gioco del bridge per definire la “briscola”, ovvero il “seme” che ha vinto nella licitazione iniziale, determinando quello che domina sugli altri, potenzialmente vincente: il termine può essere utilizzato come sinonimo di “avere una buona mano” o, meglio ancora, “avere le carte vincenti” o, se si preferisce, “avere buone probabilità di successo”; in pratica possedere buone probabilità di riuscita, ottime chance, occasioni, opportunità e/o possibilità.
- terapia di supporto
definizione
Con questa locuzione si vuole descrivere quell'insieme di mezzi che possono concretamente sostenere il percorso verso la guarigione, ove possibile, o la minimizzazione dei possibili effetti secondari dipendenti dalla cura o dalla patologia: il termine supporto deriva dal latino supportare (→ sopportare), evidenziando che la cosiddetta “terapia di supporto” è finalizzata più a sostenere il malato che a curare la malattia; in realtà in un'ottica olistica, potrebbe essere vista come una terapia della persona, che sposta l'attenzione dalla malattia al soggetto nella sua totalità e che mira ad una assistenza globale, in particolare orientata a considerare prioritariamente gli aspetti clinici del mal-essere.
La vulnerabilità soggettiva a qualunque agente patogeno, qualunque esso sia, dipende dal terreno, cioè dal nostro stato, dal nostro modo di vivere ovvero da quanto stress ci accompagna: è possibile migliorare la reattività del corpo, ovvero attingere a quella “vis medicatrix naturæ” che può liberare le risorse innate dell'organismo aiutandoci a stare meglio ed ad affrontare con maggior energia il dis-confort ed il dis-stress.
- iperarousal
definizione
Può essere definito come uno “stato di iper-vigilanza” o di eretismo, che generalmente si manifesta con tachicardia, sudorazione eccessiva, respiro accelerato, agitazione fisica e motoria, tensione muscolare, tendenza all’azione, aumento delle capacità attentive, di memoria e decisionali, che insorge come risposta allo stress, espressione di un fight-or-escape response: in specifici contesti può essere associato al concetto di P.T.S.D., ovvero il disturbo post-traumatico da stress.
Corrisponde alla fase di allarme dello stress, ovvero all’aumento dell’attività neurovegetativa che permette di perseguire i propri bisogni o di fronteggiare situazioni di emergenza: in genere è una risposta para-fisiologica coinvolta nelle scelte legate alla sopravvivenza quali soddisfazione dei bisogni primari (fame, sete, sonno, attività sessuale ..) o alle risposte a stimoli percepiti come pericolosi (fuga, attacco, svenimento, blocco dell’azione); può divenire patologica qualora perduri nella fase di vigilanza dello stress o si cronicizzi.
- bias cognitivo
definizione
Giudizio (o pre-giudizio), non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppato sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque ad un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio: è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio.
Può essere definito come la tendenza a creare la propria realtà soggettiva, a “deragliare” rispetto all'oggettività in un paradigma totalmente soggettivo: un bias cognitivo è uno schema di deviazione del giudizio che si verifica in presenza di certi presupposti che spesso rappresentano forme di adattamento, in quanto portano ad azioni più efficaci in determinati contesti, o permettono di prendere decisioni più velocemente quando maggiormente necessario; in termini di patterns comportamentali possono essere definiti metaprogrammi adattivi e predittivi. In alcuni casi derivano dalla mancanza di meccanismi mentali adeguati, o dalla errata applicazione di un meccanismo altrimenti positivo in altre circostanze.
bias cognitivi e sopravvivenza
Il termine bias deriva dall'inglese, col significato di inclinazione, ma può essere fatto ascendere all'antico provenzale «biais» (→ obliquo, inclinato), indicando, pertanto l'inclinazione o la predisposizione: l'origine del termine «bias cognitivo» può essere fatto risalire alle ricerche degli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman, pubblicate nel 1974 con il titolo “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”, finalizzate a studiare in quale modo gli esseri umani prendono le loro decisioni in contesti dominati dall'incertezza e con limitate risorse individuali (tempo, informazioni, capacità cognitive ...); il risultato del loro lavoro ha evidenziato che gli individui prendono le loro decisioni utilizzando un numero limitato di scorciatoie mentali (valutazioni euristiche), piuttosto che sofisticati processi razionali.
Oggi noi...
- better safe than sorry
definizione
Letteralmente «prevenire è meglio che curare» o «meglio prevenire che curare», spesso sintetizzato, in inglese, con l'acronimo B.S.T.S.: il concetto che sottintende questo modo di dire, piuttosto popolare, è quello di stare attenti nel presente, in modo da evitare che si possano verificare problemi in seguito: anche se apparentemente sembra una massima ispirata al buon senso, il confine fra un ottica orientata alla prevenzione e l'ansia potrebbe rivelarsi molto labile.
“Meglio allarmarsi che non allarmarsi affatto”, altro proverbio sovrapponibile nel significato profondo, esprime un tipo di ragionamento automatico che predispone chi lo afferma a focalizzare in maniera privilegiata la propria attenzione sulla valutazione degli eventi futuri come potenzialmente minacciosi o pericolosi e quindi porta ad attuare attitudini o comportamenti “predittivi” o “preventivi”, basati cioè sull'ideazione negativa, allo scopo di “evitare errori” o di sottovalutare il rischio o le possibili minacce: “meglio salvi che dispiaciuti” ... o se si preferisce “la prudenza non è mai troppa”; il rischio potenziale è quello di creare profezie auto-avverantesi o di subire, almeno non consapevolmente, l'influsso dell'attitudine ansiosa, utilizzando meccanismi di evitamento, elusione o fuga.
ragionamento prudenziale
Il “Better Safe than Sorry” può essere considerato, quindi, uno strumento prudenziale finalizzato alla prevenzione di un potenziale danno, evidente, anche se spesso sotto traccia, in tutti quei disturbi somato-emozionali caratterizzati dalla percezione di una minaccia, reale o presunta: questo tipo di ragionamento entra in gioco a seguito della valutazione soggettiva che viene applicata ad un evento percepito come rischioso. A questo fenomeno consegue un atteggiamento di ansia o di paura, che attiva la disposizione a sottrarsi al pericolo o, per lo meno, a prevenirlo; tale predisposizione si realizza anche allo scopo di evitare errori di sottovalutazione dei segni...
- parasonnia
definizione
Disturbi episodici del sonno, che consistono in una serie di comportamenti insoliti che si manifestano appena prima di addormentarsi, durante il sonno o al risveglio: le parasonnie sono caratterizzate da comportamenti anomali o da eventi fisiologici indesiderati che avvengono durante specifici stadi del riposo o nei passaggi sonno-veglia; le manifestazioni tipiche possono includere movimenti, sogni, emozioni o percezioni correlate al sonno
I movimenti delle parasonnie possono apparire complessi e propositivi per gli altri, cioè sembrano finalizzati al raggiungimento di un obiettivo ma, in realtà, chi ne soffre rimane addormentato e, spesso, non ricorda che l'episodio si sia verificato; in alcuni casi, le parasonnie possono causare traumi e disturbare il sonno del paziente o di chi gli sta vicino.
Nella fase dell’addormentamento, quasi tutti manifestano contrazioni involontarie di breve durata degli arti superiori o di tutto il corpo o, talvolta, contrazioni alle gambe; alcune persone presentano paralisi del sonno (tentano di muoversi senza riuscirci) o brevi allucinazioni prima dell’addormentamento o al risveglio, mentre altre stringono o digrignano i denti oppure hanno incubi notturni.
classificazione
Le parasonnie rappresentano un gruppo eterogeneo di disturbi del sonno e sono caratterizzate da comportamenti anomali o eventi fisiologici inusuali che si verificano mentre si dorme; in particolare, le parasonnie possono verificarsi durante l'addormentamento, mentre si dorme oppure in prossimità del risveglio: avvengono senza particolari alterazioni dei meccanismi o dei cicli temporali quotidiani del sonno stesso. Le parasonnie comprendono un'ampia varietà di condizioni, completamente differenti tra loro, che possono essere distinte in:
→ parasonnie primarie: disordini del sonno a sé stanti.
→ parasonnie secondarie: fenomeni indicativi della presenza di disturbi a carico di altri sistemi dell'organismo che si manifestano durante il sonno.
definizione
Locuzione latina, corrispondente all'italiano “terrore notturno” o “terrore nel sonno” che mira a descrivere ad un parziale risveglio dal sonno profondo, associato ad uno stato di intensa agitazione: è una forma di parasonnia, non connessa a traumi o problemi emotivi o relazionali evidenti; essendo una perturbazione non patologica del sonno, come il sonnambulismo e le allucinazioni ipnagogiche, è un disturbo che si verifica durante il sonno profondo non-REM, durante il quale manca la consapevolezza, a differenza degli incubi che si manifestano, invece, nella fase REM.
Il pavor nocturnus appartiene al gruppo delle parasonnie che sono perturbazioni non patologiche del sonno di cui fanno parte anche il sonnambulismo, il bruxismo (digrignare i denti durante il sonno) ed alcune forme di enuresi (bagnare il letto durante la notte); può essere definito come un microrisveglio caratterizzato da uno stato di agitazione intensa durante il sonno profondo.
descrizione
Durante un episodio di pavor nocturnus, il bambino (o l'adulto) si può sollevare dal letto, piangendo e urlando in maniera eccessiva: non di rado lo sguardo è fisso, con gli occhi sbarrati, ma in realtà sembra non vedere ed in genere non risponde né al richiamo, né alla voce dei genitori, con manifestazioni di spavento a prima vista inconsolabili; all'apparenza, il pavor nocturnus è un evento impressionante in quanto il bambino non è contattabile perchè non è consapevole di quanto sta accadendo. Nonostante il soggetto sembri in preda al terrore e possa presentare sintomi quali sudorazione eccessiva, rigidità muscolare, tachicardia e tachipnea, in realtà sta dormendo nel sonno profondo non-REM; le manifestazioni di accompagnamento ricordano, in tutto e per tutto, un attacco di panica o le manifestazioni di angoscia di una crisi d'ansia e sono dovute ad un’attivazione dell’area limbica del sistema nervoso centrale: non hanno nessuna relazione con esperienze vissute consapevolmente.
Non è un...
- agripnia
definizione
Insonnia ostinata, diurna e notturna; stato di continua vigilanza o mancanza intenzionale di sonno; dal greco ἀγρυπνία (agrypnia → veglia, vigilia).
Il termine originariamente in greco era utilizzato del definire la veglia, ovvero la mancanza intenzionale di sonno, solitamente attuata prima di certe feste religiose, prima di una sfida o una battaglia: un periodo di insonnia volontario, una occasione devozionale, una osservanza liturgica o tradizionale, alla morte di una persona; la parola italiana vigilia, derivata da veglia, è divenuta generalista con questi significati e consiste nell'attesa dell'evento che segue il giorno dopo.
Durante il Medioevo, uno scudiero, la notte prima della sua cerimonia di cavalierato era previsto fare un bagno di pulizia, un digiuno, fare la confessione, e quindi tenere una veglia notturna (agripnia) di preghiera (agripnia) nella cappella, preparandosi in questo modo per la vita da cavaliere.
- eretismo
definizione
Condizione di ipereccitabilità, assimilabile allo stato di arousal che l'organismo attiva in risposta allo stress: il termine indica uno stato generale, spesso temporaneo, di attivazione e reattività del sistema nervoso che può essere sistemico o localizzato a determinati distretti corporei; dal greco ἐρεϑισμός (erethismós → ), derivato di ἐρεϑίζω (erethízo → eccitare, irritare, infastidire), indica uno stato di aumentata eccitabilità del sistema nervoso (generalizzato o circoscritto), eccessiva irritabilità, elevata reattività e intensa labilità emozionale, con risposte eccessive o abnormi, anche di fronte a stimoli di lieve entità. Talvolta si usa il termine eretismo psichico come sinonimo di nevrosi o di caratterialità.
Anche se oggi è un termine desueto e perciò poco usato nell'ambito medico, il lemma eretismo veniva spesso usato dagli psichiatri, all'inizio del XXI° secolo, per descrivere la descrizione di quadri di ipereccitabilità e agitazione sistemica con possibili localizzazioni distrettuale, che davano luogo a malattie psicogene: si parlava pertanto di eretismo mercuriale (uno stato di eccitamento e irritabilità emozionale, associati a timidezza e tendenza alla depressione, dovuta all’intossicazione cronica da mercurio, detta anche idrargiromania), eretismo cardiaco (facilità a manifestare turbe di origine adrenergica come la tachicardia, le aritmie, l'ipertensione o semplicemente palpitazioni e dolori precordiali), eretismo psichico (un insieme di irritabilità, nervosismo e iperattività) o eretismo alcolico (agitazione psicomotoria tipica dell’alcolismo).
Con eretismo tiroideo si era usi indicare l'insieme di sintomi psicosomatici associati alla presenza di un gozzo tiroideo: ipereccitabilità, cardiopalmo ed un senso di costrizione al collo non giustificato dalle dimensioni della ghiandola tiroidea che invece quando supera certi limiti può causare costrizione vera e quindi dispnea; con eretismo sessuale si soleva indicare una reazione...
- dopamina
definizione - caratteristiche chimiche
Importante neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle catecolamine, derivati dall'amminoacido tirosina, contraddistinta dalla presenza di pirocatecolo [C6H4(OH)2], a cui si lega un gruppo etilamminico (CH2-CH2-NH2); la dopamina è un precursore della noradrenalina e dell’adrenalina: il suo nome chimico è 4-(2-amminoetil)benzene-1,2-diolo e la sua formula chimica C6H3(OH)2-(CH2)2-NH2.
produzione -metabolismo
La dopamina è prodotta nella midollare del surrene e, soprattutto, in diverse aree del cervello, dai cosiddetti neuroni dell'area dopaminergica, tra cui la pars compacta della substantia nigra e l'area tegmentale ventrale (ATV) del mesencefalo: grandi quantità si trovano nei gangli della base, soprattutto nel telencefalo, nell'accumbens, nel tubercolo olfattorio, nel nucleo centrale dell’amigdala, nell'eminenza mediana e in alcune zone della corteccia frontale; è anche un neuro ormone rilasciato dall'ipotalamo, con funzione inibitoria sul rilascio della prolattina da parte del lobo anteriore dell’ipofisi.
Curiosamente, la dopamina è stata prima sintetizzata in laboratorio e poi ritrovata nei tessuti encefalici umani: nel 1910, George Barger e James Ewens, identificarono la molecola per conto della Wellcome di Londra; solo nel 1957, la ricercatrice inglese Kathleen Montagu, del Runwell Hospital di Londra, evidenziò la presenza di dopamina all'interno dell'encefalo; occorre però attendere il 1958 perché gli scienziati Arvid Carlsson e Nils-Ake Hillarp, dipendenti dei Laboratori di Farmacologia Chimica dell'Istituto Nazionale Cuore di Svezia, individuassero e descrissero per la prima volta il ruolo di neurotrasmettitore ricoperto dalla dopamina. Per questo suo importante ritrovamento e per aver stabilito che la dopamina non è soltanto un precursore di norepinefrina ed epinefrina, Arvid Carlsson ricevette anche il premio Nobel in Fisiologia o Medicina.
All'interno del cervello questa feniletilammina funziona da...
- catecolo
definizione
Conosciuto come pirocatecolo, pirocatechina, o semplicemente catecolo è una molecola polifunzionale, presente in numerose biomolecole: presenta un anello fenolico caratterizzato da due gruppi ossidrilici (OH) direttamente legati all'anello benzenico; per questo il suo nome sistematico è 1,2-diidrossi-benzene e la e formula molecolare è C6H4(OH)2. Le catecolamine sono neurotrasmettitori, derivati dalla tirosina, caratterizzati dalla presenza di un anello pirocatechinico.
- catecolamine
definizione
Famiglia di neurotrasmettitori ad azione ormonale, derivati dall'amminoacido tirosina, contraddistinta da un gruppo amminico (NH2) e dalla presenza di pirocatecolo [C6H4(OH)2]
Nell'uomo sono prodotte soprattutto nella parte midollare del surrene (dove prevale l’adrenalina), nelle terminazioni periferiche del sistema nervoso simpatico (dove prevale la noradrenalina) e nel sistema nervoso centrale (dove prevalgono la dopamina e la noradrenalina) in situazioni di stress, sia esso fisico o psicologico, nei cali glicemici, in caso di ansia, paura o nelle situazioni a forte impatto emotivo: alti livelli ematici di catecolamine sono associati allo stress, che può essere provocato da reazioni psicologiche o da elementi ambientali; causano cambiamenti fisiologici generali che preparano il corpo per una risposta somato-emozionale alle situazioni percepite soggettivamente come pericolose per l'individuo (distress) in grado di indurre una fight-or-escape response.
Fu il fisiologo Walter B. Cannon, nel 1921, il primo a scoprire la presenza di un neurotrasmettitore catecolaminico (la nor-adrenalina) nel sistema nervoso periferico, che chiamò simpatina, in risposta alla stimolazione dei nervi simpatici, durante i suoi studi sugli effetti dello stress sull'organismo e della reazione di tipo “fight&flight” nei confronti degli stressor.
Le catecolammine principali sono:
⇒ dopamina;
⇒ adrenalina (o epinefrina);
⇒ nor-adrenalina (nor-epinefrina).Le catecolamine sono ormoni che derivano dalla tirosina, attraverso una serie di step metabolici che portano alla produzione di fenilalanina, che viene successivamente trasformata in dopamina, in noradrenalina ed infine adrenalina: la dopamina, di fatto, può essere considerata un precursore delle altre catecolamine; l'adrenalina è l'ormone prodotto in grande quantità, come risposta agli stress, da parte del sistema cromaffine della midollare del surrene.
La nor-adrenalina e la dopamina più che ormoni possono essere...
- monodeismo
definizione
Concentrazione morbosa della mente su un'unica idea dominante; atteggiamento mentale che determina il fatto che un’idea si impone sulle altre, restringendo il campo della coscienza, divenendo quasi una forma di ossessione; si ritrova in certe forme di suggestione, di isterismo, di depressione psichica, quando domina una sola idea, o ricordo, o immagine.
- kava kava
definizione
Con kava kava si suole designare le radici ed i rizomi del Piper Methysticum, un arbusto coltivato nelle regioni di Polinesia ed Oceania, nella lingua delle isole Tonga; i polinesiani assumono la droga frammentandola e lasciandola macerare in acqua per beneficiare delle proprietà ansiolitiche e sedative: nelle regioni native, il kava kava vanta una lunga tradizione di impiego per risolvere litigi tra persone, commemorare i defunti facilitando la comunicazione con l'aldilà, e rilassare e promuovere le capacità di socializzazione in vista di eventi particolari, come un matrimonio.
Infatti l'uso dei derivati estratti da radici e rizomi è dovuto alle sue proprietà ansiolitiche, sedative, ipnotiche, antispasmodiche e anticonvulsivanti, miorilassanti e possono agire da anestetici ad azione locale; il meccanismo d'azione grazie al quale la Kava Kava è entrata a far parte del gruppo degli ansiolitici naturali non è ancora del tutto chiaro, ma indubbiamente vi è il coinvolgimento dei lattoni e dei flavonoidi in essa contenuti, in particolare ai kavalattoni (detti anche kavapironi), quali la kavaina, la diidrokavaina, la metisticina e la diidrometisticina.
Le proprietà sedative del Kava Kava solitamente non hanno effetti collaterali a livello centrale, in quanto non sembrano dare assuefazione, dipendenza fisica e psichica, né tanto meno causare una riduzione della memoria o del tempo di reazione, anche se esibiscono un'efficacia terapeutica paragonabile alle benzodiazepine, rendendo gli estratti del Piper Methysticum, indicata nel trattamento dell'ansietà nervosa, degli stati di tensione eccessiva e dell'insonnia; possono essere considerati nutraceutici adattogeni, in grado di aiutare a combattere lo stress e riequilibrare la sfera affettiva e dell'umore in presenza di nervosismo e conflittualità: il meccanismo d'azione, a livello biochimico, è riconducibile alla stimolazione dell'attività di un neurotrasmettitore cerebrale, l’acido...
- flow
definizione
il termine inglese «flow» può essere tradotto letteralmente con "flusso" oppure "corrente", indicando il fluire, lo scorrere, l'andare a tempo: il termine è utilizzato in differenti ambiti, per descrivere quella che potrebbe essere definita come una «esperienza ottimale», da cui ci facciamo assorbire e trasportare, essendo completamente presi; nell'attività sportiva, il termine utilizzato per esprimere un concetto assimilabile è «trance agonistica».
Lo psicologo Mihály Csíkszentmihályi utilizzò per primo il termine flow, nel 1975, per definire uno stato mentale descritto da molte persone da lui intervistate come una corrente d'acqua che li trascinava; nei libri «Optimal Experience: Psychological Studies of Flow in Consciousness» e «Flow: The Psychology of Optimal Experience» parlò dell'esperienza che si prova durante il «flow» come un'"esperienza ottimale", in cui la prestazione è al culmine e lo stato d'animo è positivo: le persone sono più felici quando sono assorbite dal "flow", cioè sono uno stato di concentrazione o completo assorbimento dall'attività in cui sono coinvolte, ovvero quando le sfide richiedono il coinvolgimento integrale delle proprie capacità, al punto che nient'altro sembra avere importanza. Focalizzazione sull'obiettivo, motivazione intrinseca, positività e gratificazione nello svolgimento di un particolare compito sono elementi che sostengono il coinvolgimento nello stato di flow.
descrizione
L'idea di «flow» è riconducibile alla sensazione di essere «in the zone» o «in the groove»: uno stato di benessere ottimale, in cui si è completamente immersi in ciò che si sta facendo, caratterizzato da una sensazione di grande assorbimento, impegno, appagamento e abilità, e durante la quale le preoccupazioni temporali (tempo, cibo ...) vengono generalmente ignorate, perchè la motivazione interiore prende il sopravvento; in un'intervista, Mihály Csíkszentmihályi lo descrisse come
«Essere completamente coinvolti in un'attività fine a...
- joie de vivre
definizione
Letteralmente, dal francese, «gioia di vivere», utilizzato per esprimere una attitudine positiva verso la vita, basata sul concetto di godimento della quotidianità ed esultanza di spirito: l'idea di fondo può essere descritta come una filosofia esistenziale, una weltanschauung fondata sulla gioia nei confronti di qualunque aspetto dell'esperienza; il Dictionnaires Le Robert definisce il termine «joie» come «sentiment exaltant ressenti par toute la conscience» (una sensazione edificante, avvertita dall'intera coscienza), assimilando il concetto di «joie de vivre» a quello di «flow».
Utilizzata già a partire dal XVII secolo, utilizzato da Jules Michelet (1857) per descrivere il contrasto fra la gioia di vivere degli animali e la passività del mondo vegetale, la frase giunse alla ribalta letteraria come titolo del romanzo autobiografico di Émile Zola pubblicato a puntate fra il 1883 ed il 1884: l'idea di gioia e vitalità è rintracciabile nel quadro «Le bonheur de vivre» (la felicità di vivere), un dipinto di Henri Matisse del 1906, in uno stile che rappresentò una vera rivoluzione pittorica, caratterizzato da colori scintillanti; il cromatismo acceso e violento rappresentava la forza dirompente della vita, nella sua aggressività e per questo lo stile fu definito da un giornalista «fauve» (belva).
Da allora, «joie de vivre» ha assunto una connotazione sempre più decisa nel descrivere uno stile di vita, evolvendosi nel tempo in una sorta di "religione" della gioia, ampiamente saccheggiato dalla "cultura hippy" degli anni '60; si deve allo psicologo francese Jacques Marie Émile Lacan (1994) l'ulteriore notorietà dell'idea, evidenziata ed enfatizzata dal concetto di «jouissance au-delà du principe de plaisir» (godimento oltre il principio di piacere), ripresa negli anni '90 dalla "new age". Oggi con Abraham Maslow o Carl Rogers si osserva la riscoperta di ciò che quest'ultimo chiamava «la tranquilla gioia di essere se stessi ... un divertimento rilassato...
- iperalgesia
definizione
Percezione di un marcato dolore, anche in presenza di stimoli algici di lieve entità; dal greco ὑπέρ- (hypèr- → sopra)e ἄλγος ( álgos → dolore): indica uno stato di aumentata sensibilità ad avvertire uno stimolo dolorifico.
Si manifesta come conseguenza di una lesione dei nocicettori presenti nei tessuti, per interessamento traumatico o nevritico delle vie nervose sensitive periferiche oppure come conseguenza di alterazioni a livello del sistema nervoso centrale; talvolta sono presenti fenomeni di sensibilizzazione centrale, caratterizzati da un'aumentata risposta dei neuroni sensitivi presenti nelle corna dorsali del midollo spinale: su questi neuroni, che ricevono segnali afferenti dai nocicettori, possono convergere segnali provenienti da altre aree, anche distanti, o si possono attivare fenomeni di facilitazione segmentale con conseguente amplificazione della percezione algica.
L'alterazione della sensibilità dolorifica può essere conseguenza di un disturbo nella conduzione o nella elaborazione del dolore a livello del talamo, come nel caso delle «sindromi talamiche» o in caso di nevriti: come già anticipato, anche la presenza di facilitazione segmentale può essere un elemento favorente l'iperalgesia; è possibile che si inneschino "cortocircuiti" sensoriali, caratterizzati dalla sovrapposizione di stimoli sensitivi eterogenei, che giungono allo stesso segmento del midollo spinale (mielomero), come nel caso delle afferenze che pervengono dalle vie simpatiche degli organi profondi (viscerotoma). Il fenomeno crea la possibilità che processi morbosi a carico di questi organi inducano l'attivazione di riflessi sensitivi viscero-cutanei, con la creazione di «zone iperalgesiche», di tipo dermalgico o metamerico, territori cutanei su cui si riflette, in forma dolorosa, lo squilibrio funzionale dell'organo associato.
Un temporaneo aumento della sensibilità dolorosa può essere notato anche nella cosiddetta «sickness behavior syndrome»; l'importanza...
- egosintonia
definizione
Termine utilizzato per descrivere uno stato emotivo o un comportamento che rivela compatibilità di idee e impulsi con l’“IO” (o una sua parte), inteso come la propria persona in quanto espressione di autocoscienza, oppure coerente con l'immagine e la percezione di sé che ha il soggetto: dal greco εγώ (egò → “io”) e συντονία, composto da σύν (sýn → con, insieme) e -τονία, derivato da τόνος (tónos → tensione): l'opposto del termine è egodistonia.
I sintomi dei disturbi di personalità, i comportamenti o i disagi psicologici possono essere egosintonici oppure non esserlo: lo sono quando la persona si sente in sintonia con i propri pensieri, con le proprie convinzioni e idee o caratteristiche psicologiche, per quanto devianti o “anormali”. Il soggetto non prova disagio per essi, perché spesso li percepisce o li ritiene come “coerenti” col resto della personalità, li sente come parte di sé, conseguenze naturali del suo modo di essere.
Pertanto, sia i sintomi di un disturbo, sia le caratteristiche individuali che ne hanno facilitato l'insorgenza possono essere egosintonici (o, all'opposto, egodistonici): il soggetto egodistonico giustifica i propri comportamenti o atteggiamenti, con affermazioni quali: «... sono fatto così, non posso farci niente».
- stimolo algogeno
definizione
Qualunque stimolo, fattore, agente in grado di provocare una sensazione di dolore: composto di ἄλγος (álgos → dolore) e -γενής (genḗs → con significato attivo, che genera), dal tema γεν- (gen- → generare): indipendentemente dal tipo di stressor, ogni agente causale può essere causa efficiente, causa favorente o causa predisponente della percezione dolorosa; il termine algogeno può essere considerato un sinonimo di dolorifico o nocicettivo.
Molto spesso, l'insorgenza del dolore non deriva da un unico evento in grado di lesionare l'organismo, anche se, ovviamente, questo evento rientra nella casistica, ma, invece, è il risultato della sommatoria di cofattori eziologici e spine irritative che fungono da substrato innalzando la soglia della percezione sensoriale e recettoriale: la presenza di uno stato di "ipersensibilità" o iperestesia favorisce la reattività del sistema nervoso che, in presenza di uno o più fattori scatenanti, trasduce le sollecitazioni in sensazione dolorosa, al punto di indurre, talvolta, reazioni di iperalgesia o allodinia.
Per questo è necessario sottolineare il concetto di multidimensionalità del dolore, riconoscendo che gli input in grado di produrre un’esperienza dolorifica possono essere di tre dimensioni: fenomeni collegati all'aspetto sensoriale-discriminativo (trasduzione e trasmissione nocicettiva); fenomeni riguardanti l’aspetto affettivo-emozionale (sistema limbico, circuito neuro-ormonale e sistema immunitario); aspetti cognitivi (cultura, educazione, stato dell’umore, pregresse esperienze di dolore).
Gli stimoli algogeni sono percepiti come tali a livello della corteccia cerebrale, dopo essere stati elaborati: come tutte le percezioni sensoriali, anche gli stimoli dolorifici passano prima il midollo spinale o l'equivalente nucleo discendente del V paio di nervi cranici per il capo, quindi il talamo, dove vengono integrati e smistati: per comprendere le modalità di trasmissione del dolore dalla periferia a livello...
- sentimento
definizione
Derivato dal latino sentire (→ percepire con i sensi) deve essere considerato uno stato d'animo ovvero una condizione cognitivo-affettiva: si utilizza il termine genericamente per indicare ogni forma di affetto, sia quella soggettiva, cioè riguardante l'interiorità della propria individuale affettività, sia quella rivolta al mondo esterno; la coscienza e la consapevolezza dei propri atti, che informa il modo, di sentire, di riconoscere, di accettare e apprezzare determinati valori.
- percezione
etimologia - significato
Dal latino perceptio, derivato a sua volta da percipĕre (→ percepire), verbo composto da pĕr (→ attraverso, per mezzo) e capĕre (→ prendere); la percezione può essere definita come il processo di acquisizione delle informazioni, per mezzo di strutture nervose specializzate dette recettori: attraverso il sistema sensoriale è possibile ottenere un’esperienza conoscitiva dell’ecosistema in cui viviamo.
È inevitabile rimarcare il fatto che, attraverso il sistema nervoso, l’ambiente che siamo in grado di percepire non è esclusivamente quello che l’individuo esperisce fuori da sé, ma anche il sé, ciò che accade all'interno del corpo; nell'accezione comune, il termine viene utilizzato, quasi esclusivamente, per indicare l'esterocezione e la successione di eventi che ne conseguono, fino alla consapevolezza, intesa come sintesi dei dati sensoriali dotati di significato.
È importante distinguere fra ciò che si percepisce e gli effetti che ne derivano, cioè le sensazioni che si producono in noi per ciò che abbiamo percepito; l’etimologia, in questo senso ci viene in aiuto: “prendere” per “mezzo di”, rappresenta la capacità di far entrare, di “com(cum)-prendere”. La percezione è ciò che il nostro sistema nervoso coglie, cioè le variazioni ambientali, significative per noi; viceversa, l’effetto del percepito può essere definito, più opportunamente, sensazione: l’integrazione delle informazioni sensoriali e recettoriali, è frutto di un processo elaborativo del sistema nervoso.
L’emersione delle emozioni deve essere considerato un ulteriore step interpretativo, nella relazione con l’ambiente: dalle sensazioni nascono le emozioni, capaci, letteralmente, di smuovere, di scuotere ed agitare i nostri equilibri, fino a provocare una vibrazione dell’animo, una reazione complessa che provoca variazioni fisiologiche dell’omeostasi; allorquando la percezione genera sensazioni, queste possono scatenare reazioni somatiche o comportamentali o far riemergere...
- emozione
un po' di storia
Il termine emozione comincia ad essere utilizzato nella lingua italiana nei primi anni del Settecento, come adattamento del francese émotion: il lemma veniva utilizzato per descrivere il movimento (fisico) e più in particolare l’agitazione, fino a descrivere la sommossa popolare; a sua volta la parola francese ha la sua radice in émouvoir (→ eccitare, provocare), derivato dal latino emovere, cioè e- (variante di ex- → da, fuori da) e movēre (→ mettere in moto, dare inizio), col significato di smuovere o commuovere, ma anche scuotere o agitare.
Emozione, dal settecento ad oggi, si è trasformato sempre più in “movimento dell'animo”, perdendo via via il significato di agitazione: in realtà la parola è stata negletta fin verso gli anni venti del secolo scorso, in quanto, ad esempio, un famoso vocabolario raccomandava, a chi voleva parlare e scrivere “italianamente”, di evitare parole come emozione, e definiva orribile, ma non frequente il derivato emozionare, anch'esso di origine francese.
emozione: un moto dall'interno
Possiamo pensare all'emozione, come una semplice agitazione, uno scuotimento, una vibrazione dell'animo, un'energia che nasce dentro e vorrebbe fuoriuscire: quando un insieme di stimoli viene percepito, l'integrazione induce in noi sensazioni che causano una reazione affettiva e modificano non solo il nostro stato di coscienza, ma hanno effetti anche sul piano fisico, frequentemente difficili da controllare.
Potrebbe essere visto come un nesso fra il mondo puramente interiore e l'universo che ci circonda, essendo la manifestazione diretta dell'agitazione che, montando dentro di noi, diviene il “primo motore” del nostro agire, anche se spesso le convenzioni, le regole tribali, i nostri sistemi di credenza ci portano a dissimulare, occultare, negare, minimizzare o cercare di non comprendere ciò che proviamo.
A differenza di altri moti dell’animo, come le passioni o i sentimenti, l’emozione è qualcosa di intenso ma breve, un fatto...
- egodistonia
definizione
Difficoltà a far coesistere le disarmonie fra l“IO” o una sua parte (in pratica, chi siamo veramente) ed i comportamenti impulsivi/istintivi o l'estrinsecazione delle idee che non sono realmente in sintonia con i nostri bisogni: concettualmente l'egodistonia mira a descrivere le difficoltà che si crea come conseguenza del conflitto fra “chi siamo” e “chi dobbiamo essere”; dal greco εγώ (egò →“io”) e δυστονία, dal greco δυσ- (dys- → alterazione, funzionamento anomalo, difficile ...) e -τονία, derivato da τόνος (tónos → tensione).
sintonia con il “se medesimo”
La coscienza di sé prevede che i valori e gli ideali personali siano in armonia con la condotta che si assume nella vita, mentre l'identità (cioè la concezione che abbiamo di noi stessi) implica la coerenza (costanza nel pensiero e nelle azioni, che comporta la conformità con chi siamo veramente): in assenza della seconda, la prima subirebbe gravi distonie, cioè andrebbe incontro ad una contrapposizione fra la nostra essenza concettuale più profonda e la nostra realtà sociale; quando esiste una “compatibilità” fra questi aspetti, parliamo, viceversa, di egosintonia.
Il confine fra le due facce della stessa medaglia, cioè egosintonia e egodistonia, è l'uniformità e la consecutio che si crea fra la weltanschauung personale ed il modus vivendi: indipendentemente dal fatto che pensieri o azioni possono essere considerati socialmente “devianti” o “anormali” oppure funzionali al benessere secondo il punto di vista dagli “altri”, l'individuo egosintonico vive in armonia con ciò che sente e pensa.
La negazione attitudinale del proprio modo di essere può essere definita un comportamento egodistonico poiché deriva dalla mancata sintonia con le proprie convinzioni o caratteristiche: spesso, queste non sono accettate dalle tribù di appartenenza o dai contesti di riferimento (famiglia, amici, dottore ...) che non li ritengono “giusti”, “sani”, “adatti”; la distonia nasce, pertanto, dal non vivere...
- comportamento teleologico
definizione
Attività rivolta al conseguimento di un obiettivo, cioè indirizzata alla realizzazione di uno scopo, indipendentemente dal fatto che sia un atto volontario o un'azione inconsapevole: potrebbe essere definito un "atteggiamento finalizzato", cioè orientato ed intenzionale; dal greco τέλος (télos → fine) e λόγος (lógos → discorso), il comportamento teleologico può essere considerato come un atto finalistico e finalizzato, che mira a realizzare un traguardo.
considerazioni sulle risposte allo stress
Frequentemente, le modalità individuali di azione possono essere ascritte fra le condotte indirizzate, in quanto, anche se non ce ne rendiamo conto, le azioni ed i comportamenti che mettiamo in atto sono motivati e finalizzati al raggiungimento di obiettivi personali: in particolare, nelle situazioni che sottopongono l'organismo ad un sovraccarico, le reazioni agli stressor sono orientate a dinamiche di sopravvivenza, cioè di superamento della fase di disagio.
Basate su criteri adattativi e logiche predittive, in osservanza del principio dell'allostasi, le risposte generalizzate di adattamento possono essere considerate condotte teleologiche rivolte al superamento dello stress: grazie alla cibernetica, cioè alla presenza di fenomeni di retroazione, l'organismo è in grado di mettere in atto comportamenti (behavior) diretti a perseguire obiettivi (purpose); i meccanismi di feedback possono essere finalizzati al mantenimento di uno "status quo", cioè alla conservazione dell'omeostasi, tramite retro-inibizione e per questo vengono definiti retroattivi (feedback negativo). Viceversa esistono meccanismi predittivi, in grado di tenere conto dell'evoluzione temporale (capacità allostatica), capaci di amplificare ed esacerbare le ripercussioni di piccole variazioni, definiti a feedback positivo: una perturbazione su un sistema induce un aumento dell'entità della perturbazione, grazie ad un nesso causale che agisce secondo l'effetto domino, cioè A produce più di B...
- neonato
definizione
Il bambino nelle prime settimane di vita: neologismo ibrido, formato dal greco νέος (néos → nuovo) e dal latino natus (→ nato) derivato da gnasci che deriva etimologicamente dalla radice indoeuropea gen (→ dare alla luce, generare).
Indica il passaggio dalla vita fetale alla vita extrauterina, periodo in cui viene messa a prova la capacità di adattamento dell'individuo alle mutate condizioni di vita, che gli offre l'ambiente esterno. Avendo abbandonato l'ambiente a temperatura costante, optimum rappresentato dall'utero materno, non ricevendo più dal sangue materno le sostanze necessarie alla respirazione e alla nutrizione dei suoi tessuti, il modus vivendi
definizione
Locuzione latina che significa, letteralmente, «modo di vivere» o «stile di vita»; viene utilizzato anche per alludere ad un accordo, spesso provvisorio e non formalizzato, che permette di convivere in situazioni di tensione o contrasti: se ci fermiamo a riflettere, spesso, lo stile di vita è il frutto di un compromesso fra i desiderata e le risorse a nostra disposizione, ovvero fra la forza vitale e la stamina, che determinano la nostra capienza esistenziale, da un lato e gli stressor che la vita pone sul nostro personalissimo cammino, dall'altro.
«modus vivendi» - «stile di pensiero»
Nel linguaggio comune, oggi si tende a sostituire «modus vivendi» con l'americanismo «way of life», volendo identificare, con queste locuzione, le modalità con cui mettiamo in atto nella quotidianità la nostra weltanschauung, cioè la visione della vita, il profilo di pensiero e di azione, i valori, le opinioni ed i comportamenti che ci contraddistinguono («stile di pensiero»).
Qualche volta, a causa di una errata idea di appartenenza ad un gruppo sociale, ad una “tribù", le persone possono adottare un «modus vivendi» che dipende più dai propri sistemi di credenza che da vere istanze individuali: vengono adottati «schemi di vita» che non mirano alla espressione delle proprie possibilità o alla soddisfazione dei reali bisogni, ma possono nascondere disagi che esprimono inferiorità, inadeguatezza o mancanza di stima per sé stessi.
Talvolta il «modo di vivere» è incongruente rispetto alle esigenze dell'organismo o segue correnti di pensiero orientate a definire quello che viene definito “corretto”, “sano”, “giusto”, secondo filosofie svincolate dall'individualità; la discrepanza fra le esigenze personali ed i comportamenti finalizzati dall'urgenza di essere accettati in un gruppo, possono essere considerati un elemento di grande stress: imponendo standard rappresentati da «modus vivendi» “socialmente accettabili” o riferibili a «credenze tribali», si favorisce...
- sindrome delle gambe senza riposo
definizione
La «restless legs syndrome» (RLS - termine coniato intorno al 1940 dal un neurologo svedese Ekbom, che per primo descrisse accuratamente le evidenze cliniche della malattia), conosciuta anche come «sindrome di Wittmaack-Ekbom», è un disturbo che provoca un forte bisogno di muovere le gambe: spesso viene descritta come una sensazione spiacevole alle gambe, che in genere sono doloranti ma che migliorano leggermente muovendole, con la presenza di formicolii ed il bisogno di strisciare le gambe fra di loro; occasionalmente, possono essere colpite anche le braccia, il tronco e persino un arto fantasma ed il movimento della parte del corpo coinvolta provoca un sollievo temporaneo.
La RLS può iniziare a qualsiasi età, compresa l'infanzia, ed è una malattia progressiva per alcuni, mentre i sintomi possono regredire in altri; viene considerata una malattia fantasma («spectrum disease»), cioè un disturbo mentale, con sintomi e tratti singolari con alcune persone che sperimentano solo un lieve fastidio mentre altre hanno gravi disturbi del sonno e menomazioni nella qualità della vita: è una malattia dall'esordio subdolo, responsabile però di sofferenze e disagi che gravano drammaticamente sulla qualità di vita di chi ne è affetto.
I sintomi caratteristici associati alla sindrome delle gambe senza riposo sono piuttosto difficili da definire: la maggior parte dei pazienti colpiti, infatti, fatica nella descrizione precisa del disturbo; è possibile riportare tre caratteri generali che si riscontrano costantemente nella malattia:
⇒ disestesie e disturbi della sensibilità agli arti inferiori;
⇒ movimenti involontari delle gambe, talvolta anche delle braccia, associata (o meno) a parestesie;
⇒ impellente necessità di muovere le gambe: il movimento, come il camminare o lo scuotere gli arti, conferisce sollievo immediato, anche se temporaneo, mentre si osserva un peggioramento con il riposo;
⇒ peggioramento nelle ore serali o...
- rasoio di Occam
definizione
Il «novacula Occami» (rasoio di Occam), chiamato anche principio di economia o di parsimonia, è un principio metodologico che, tra più ipotesi per la risoluzione di un problema, indica di scegliere, a parità di risultati, quella più semplice, ovvero
«frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora»
(è futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno)espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano Guglielmo di Occam e ritenuto alla base del pensiero scientifico moderno; secondo il frate francescano seicentesco John Punch, teologo e filosofo, può essere formulato come una legge fondamentale della scolastica (axioma vulgare), nella forma
«non sunt multiplicanda entia sine necessitate»
(gli enti non si devono moltiplicare più del necessario)La metafora del rasoio concretizza l'idea che sia opportuno, dal punto di vista metodologico, eliminare nettamente e mediante approssimazioni successive le ipotesi più complicate; in questo senso il principio può essere formulato come segue «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire», seguendo alcuni cardini del ragionamento deduttivo:
⇒ «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem», ovvero non moltiplicare gli elementi più del necessario.
⇒ «pluralitas non est ponenda sine necessitate», ovvero non considerare la pluralità se non è necessario.
⇒ «frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora», ovvero è inutile fare con più ciò che si può fare con meno.
considerazioni
Non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice, cioè all'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità: in altri termini ciò significa che, tra le varie spiegazioni possibili di un evento, è opportuno (in genere) scegliere quella più semplice, intesa non nel senso di quella più ingenua od ovvia oppure quella che affiora spontaneamente alla mente, ma come quella che appare ragionevolmente vera senza ricercare un'inutile...
- significance detector
definizione
La traduzione, dall’inglese, di questa locuzione può essere non solo «indicatore di significato», ma anche «rilevatore di importanza»: in generale, quando si parla di “detection”, ci si riferisce all’estrazione di una particolare “messaggio” dal flusso di dati che giungono, senza che ci sia cooperazione o chiavi di lettura inviate dal “mandante” per poter interpretare e selezionare quel particolare segmento di informazione.
Concettualmente, possiamo definire “significance detector” qualunque elemento che evidenzi all’operatore professionale, una variazione significativa di stato, in risposta ad uno stressor, cioè qualsiasi modificazione che sia rivelatrice delle priorità di riequilibrazione del sistema somato-emozionale.
- diagnosi differenziale
definizione
Il processo decisionale che porta a diagnosticare una particolare malattia o condizione, selezionandola fra quelle che presentano caratteristiche cliniche simili e che quindi, potrebbero essere responsabili dei sintomi: in pratica, il procedimento che tende a escludere, fra varie manifestazioni simili, le patologie che non comprendono l'insieme di sintomi e segni mostrati dalla persona sofferente, fino a comprendere quale sia il problema da cui è affetto.
Per effettuarla è necessario confronta segni, sintomi ed il risultato di test o manovre finalizzate ad effettuare una corretta valutazione della persona, utilizzando da un lato la conoscenza acquisita, la competenza professionale e l'esperienza maturata, dall'altro l'analisi probabilistica, la logica bayesiana ed il buon senso: il fine ultimo della diagnosi differenziale è una corretta diagnosi che permetta di comprendere l'eziopatogenesi, escludendo patologie simili o che possono dare sintomi e segni simili, cercando di evitare i possibili errori di valutazione; in tal senso sono importanti una corretta anamnesi, la semeiotica ed una valutazione multidimensionale che non escluda i possibili agenti causali meno ovvi.
Può essere considerata un metodo diagnostico sistematico, utilizzato per identificare la presenza di un agente causale fra le possibili possibili più alternative: è possibile ricorrere a processi di eliminazione, coadiuvati dall'ottenimento di informazioni che riducano le probabilità di errore e facciano emergere il possibile candidato; può essere considerata come l'implementazione del metodo ipotetico-deduttivo, in quanto, una volta identificate delle potenziali cause, queste possono essere considerate come ipotesi che devono essere convalidate o ritenute false.
Concettualmente occorre seguire l'equivalente di un diagramma di flusso, che risulterà tanto più ramificato quanto più la diagnosi differenziale sarà complessa: in genere si tende a...
- fibromialgia
definizione
Detta anche sindrome fibromialgica o sindrome di Atlante, è un quadro disfunzionale caratterizzato da dolore cronico a livello muscolare e dei tessuti fibrosi (tendini e legamenti): l'algia si manifesta come diffusa, fluttuante e migrante, associata a rigidità, ed astenia (calo di forza con affaticabilità); i disturbi cognitivi, l'insonnia ed i disturbi del sonno, le alterazioni della sensibilità agli stimoli (disestesia) sono una costante, frequentemente accompagnati da disturbi d'ansia e tendenze depressive.
sintomatologia
Il dolore muscolo-scheletrico è causato da un aumento generalizzato della tensione, specie durante l'attività muscolare, accompagnato da affaticamento (astenia): l'iperalgesia coinvolge buona parte della muscolatura, localizzandosi spesso a livello delle articolazioni, associandosi ad altri disturbi come rigidità, depressione, stanchezza, allergia, emicrania.
Poiché i sintomi della fibromialgia sono comuni anche ad altre malattie, è necessaria una diagnosi differenziale con altre malattie con le quali potrebbe essere confusa; il termine significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini): il sintomo principale è il dolore, spesso associato a quadri sintomatologici estremamente poliedrici.
Oltre ai sintomi tipicamente muscolari (astenia, rigidità, impaccio nei movimenti mattutini, crampi muscolari notturni, fascicolazioni) sono frequenti i disturbi del sonno (insonnia o sonno non riposante), cefalea, dolori al torace o a livello lombare; parestesie, intorpidimenti e formicolii periferici, alterazioni dell’equilibrio. Subentrano spesso anche sintomi più generici quali senso di confusione o stordimento, difficoltà di concentrazione o scarsa memoria, visione sfuocata, alterazione della percezione di caldo e freddo, ipersensibilità al tatto – olfatto – udito – vista, intolleranza al caldo-umido o al freddo,...
- acatisia
definizione
Il termine ceco «akatisie» da cui deriva questo lemma, è una parola utilizzata per la prima volta nel 1901 del neuropsichiatra cecoslovacco Ladislav Haškovec per descrivere uno stato di irrequietezza motoria, caratterizzato dall'incapacità del paziente a rimanere nella medesima posizione anche per brevissimo tempo; il neologismo origina dal greco bizantino κάϑισις (káthisis →il sedersi) con il prefisso α- privativo: nel linguaggio medico, con acatisia si intende l’impossibilità di mantenere la posizione seduta, e a rimanere fermo, provando l'impellenza di muovere il corpo.
sintomatologia
I sintomi dell'acatisia sono spesso descritti in termini vaghi come sentirsi nervosi, a disagio, tesi, nervosi, irrequieti e incapace di rilassarsi: includono anche insonnia, disconfort, irrequietezza motoria, ansia marcata e panico; talvolta possono ricordare il dolore neuropatico, ed essere simili a quelli della fibromialgia e della sindrome delle gambe senza riposo.
L'acatisia è un disturbo del movimento caratterizzato da una sensazione soggettiva di irrequietezza interiore accompagnata da disagio mentale, iperattività ed incapacità di stare fermo; di solito, le gambe sono maggiormente colpite: chi è affetto da questo disturbo, quando è seduto, ha bisogno di spostare le gambe, continuamente, che spesso devono essere accavallate e disaccavallate o fatte dondolare, mentre nella stazione eretta segna il passo, corre sul posto, va avanti e indietro in brevi spazi. La condizione rimane soggettiva, diventando solo una sensazione, anche se le persone colpite possono agitarsi, provare disagio riguardo il proprio corpo, sviluppare attacchi di ansia, irritabilità, fino a sfociare, nei casi più gravi, in forme di paranoia, violenza e aggressività, istinti suicidi.
Pur presentando similitudini, esiste una sostanziale differenza fra la acatisia e la sindrome delle gambe senza riposo: quest'ultima si caratterizza, infatti, per movimenti incontrollati, che tendono ad...
- disforia
definizione
Alterazione dell’umore, assimilabile a uno stato di depressione o di irritazione, nel quale ha una particolare importanza l’orientamento verso tonalità spiacevoli: spesso è associata ad ansia ed angoscia; dal greco δυσϕορία (dysforía → angoscia, pena), derivato da δύσϕορος (dýsforos → difficile da portare o sopportare), composto da δυσ (dys → male) e ϕέρω (féro → portare»). Il termine è utilizzato, spesso, come antitesi di euforia.
La disforia può essere considerata una manifestazione somato-emozionale caratterizzata da sentimenti spiacevoli, quali tristezza, inquietudine, sensazioni di frustrazione e pessimismo, tensione e irritabilità, non di rado associata alla tendenza a reagire esageratamente a vari stimoli, con scarsa capacità di autocontrollo e comportamento impulsivo, che può tradursi in aggressività e collera: può essere un sintomo che si manifesta in caso di depressione o nei disturbi d'ansia, soprattutto quando si manifestano manie, tristezza estrema, prostrazione e ciclotimia.
Condizioni che possono includere lo stato disforico come sintomo includono il disturbo da stress post-traumatico, la schizofrenia, l'epilessia del lobo temporale, l'ipoglicemia, il dolore cronico, l'acatisia, le disfunzioni sessuali e l'insonnia; è presente anche nel quadro del disturbo disforico premestruale, sindrome che comprende sbalzi dell'umore e sintomi comportamentali associati a malessere fisico.
- primum movens
definizione
La locuzione latina può essere considerata nella sua accezione di «causa prima» assumendo anche il significo di “motivazione”: il concetto deriva dal “primo motore” della filosofia aristotelica, dove il “πρῶτον κινοῦν ἀκίνητον” (→ primo motore immobile) esprime la “divinità dell’atto” come causa prima del divenire poiché ogni trasformazione ha un gesto all’origine della catena di cause ed effetti: la fonte primitiva del moto, dell'agire, espressioni della causa primitiva e primigenia, che potrebbe essere considerata la motivazione alla base dell'espressione dell'essere; il “motore immobile” è, per definizione, l’ente che esercita la manifestazione concettuale, il determinante, mentre il “primo motore” rappresenta la sua manifestazione.
- angoscia
definizione
Condizione di chi è profondamente afflitto e preoccupato, espressione di uno stato di ansia e di sofferenza intensa che tormenta l’animo per una situazione reale o immaginaria, accompagnato spesso da disturbi fisici, somato-emozionali e psichici di varia natura: la differenza sostanziale rispetto all'ansia è che l'angoscia deve esserne considerata l'evoluzione somatica, ovvero la somatizzazione del disagio, del dis-confort e del dis-stress che nasce dall'ansia; il termine angoscia viene fatto risalire al latino angustia (→ passaggio stretto, difficoltà) che, a sua volta, deriva dal verbo angere (→ stringere, soffocare, o in altri termini angosciare).
Questo stato deve essere considerato come più spinto e più grave dell’ansia e può esprimere non solo il mal-essere fisico, ma anche, talvolta la manifestazione di morbosità, quasi che fosse un morbo del “anima”, uno stato di turbamento che può derivare anche da una riflessione sulla propria esistenza; non di rado la disforia si accompagna a sofferenza morale e ad un senso di prostrazione e di inquietudine fisica sovrastati da un senso di minaccia incombente privo di cause riconoscibili e di possibilità di rimedio.
Occorre sottolineare che l'angoscia va distinta dalla paura, perchè questa è giustificata dalla consapevolezza di un pericolo determinato e oggettivo, e dall’ansia, che invece è legata al disagio che nasce dal timore indefinito o dalle fantasie ossessive.
angoscia come risposta al trauma
Leonardo Ancona sostiene che:
«L’angoscia si appropria a un processo psichico sostanzialmente diverso da quello dell’ansia. Infatti l’angoscia corrisponde alla situazione di trauma, cioè a un afflusso di eccitazioni non controllabili perché troppo grandi nell’unità di tempo. ... L’ansia corrisponde invece a un processo di adattamento di fronte alla minaccia di un pericolo realistico; questo processo è una funzione dell’Io che se ne serve come di un segnale, dopo averla prodotta, per evitare di venire...- ansiolitico
definizione
Farmaci o sostanze, aventi struttura chimica diversa, che esercitano un comune effetto sedativo e di riduzione dell'ansia; in realtà l'utilizzo o meno di sostanze o farmaci dovrebbe essere commisurato all'entità della manifestazione ansiosa: le forme che si manifestano come tensione, sia essa fisica o psicologica, non devono sempre essere considerate patologiche, in quanto possono rappresentare uno stato di arousal che può rivelarsi positivo per l'individuo.
Diverso è il discorso quando diviene patologica, ovvero del tutto inappropriata rispetto alla situazione in cui ci si trova od è eccessiva o sproporzionata rispetto a ciò che sarebbe adeguato al contesto, in quanto è in grado di compromettere le normali risposte individuali agli eventi
biochimica dell'ansia
Nella genesi dell'ansia sono coinvolti differenti neurotrasmettitori, neuromodulatori e neuropeptidi, fra cui assumono un ruolo significativo l'acido γ-amminobutirrico (GABA), la noradrenalina (NA) e la serotonina (o 5-HTP): le alterazioni dei sistemi GABAergici, sistema serotoninergico e del sistema noradrenergico sono stati messi in relazione con l'insorgenza di questo disturbo; non a caso molti dei farmaci ansiolitici oggi disponibili agiscono in quest'ambito.
Presentano azione ansiolitica alcuni medicamenti come il meprobamato (Miltown®, Equanil®), il clordiazepossido (Librium®, Reliberan®), le benzodiazepine (Valium®); queste sostanze, chiamate anche tranquillanti, vengono utilmente impiegate nella terapia delle nevrosi, stati ansiosi, depressioni, disturbi del sonno: il loro impiego presenta pericoli di abuso e farmacodipendenza che impongono cautela.
benzodiazepine
Attualmente sono i farmaci probabilmente più impiegati nel trattamento dell'ansia; il loro meccanismo d'azione consiste nell'aumentare la trasmissione GABAergica, quindi la trasmissione dell'acido γ-amminobutirrico: questo neurotrasmettitore svolge un'azione inibitoria a livello...
- ansia
definizione
Manifestazione somato-emozionale caratterizzata dalla sensazione di essere minacciati da qualcosa di ignoto sostenuta da preoccupazione generalizzata e aspecifica; la percezione di pericolo può dipendere da eventi o sorgenti esterne oppure da emozioni che nascono da pulsioni interne che inducono timore, incertezza, stato di agitazione e di forte apprensione accompagnati da risposte fisiche come di tensione muscolare, eretismo, disturbi vasomotori (aumento della pressione sanguigna) e segni evidenti di dis-confort o dis-stress che possono essere equiparati alla tipica reazione di allarme, arousal e risposte ormonali dipendenti dall'asse ipotalamo-ipofisi surrenalico.
Il termine ansia trova un suo diretto corrispondente nel latino anxia, che deriva dal verbo angere (→ stringere, soffocare, o in altri termini angosciare, chiudere la gola) avendo una radice comune con angoscia; quest'ultima deve essere vista come la condizione di chi è profondamente afflitto e preoccupato, espressione di uno stato di ansia e di sofferenza intensa che affligge l’animo per una situazione reale o immaginaria, accompagnato spesso da disturbi fisici, somato-emozionali e psichici di varia natura e, pertanto come un'evoluzione somatica, ovvero la somatizzazione del disagio che nasce dell'ansia.
considerazioni
Oggi, non di rado ansia, paura e depressione (con il suo sentimento di base, la tristezza e) sono arrivati ad acquisire un utilizzo molto più ampio del proprio reale significato, a volte creando ambiguità di definizione e di impiego: queste emozioni possono essere considerate appartenenti alla “vita psichica” normale di ogni persona, non avendo necessariamente una valenza negativa e soprattutto non dovendo essere considerati obbligatoriamente forme patologiche; infatti, solo quando divengono una conseguenza della progressione del dis-agio e del dis-confort, solo quando sono l'espressione di un profondo dis-stress e mal-essere, dispiegano le proprie potenzialità dannose...
- acido grasso omega-3
definizione
Chiamati anche acidi grassi ω-3, sono una famiglia di acidi grassi polinsaturi (P.U.F.A.), a cui appartengono acido α-linolenico (ALA), l'acido eicosapentaenoico (EPA) e l'acido docosaesaenoico (DHA); mentre l'ALA può essere estratto dalle noci o è presente negli oli vegetali come l'olio di lino, l'olio di semi di canapa, l'oliodi ribes nero, l'olio di sacha inchi e l'olio di soia, EPA e DHA sono quasi esclusivamente di origine animale: sono caratterizzati dalla presenza, sulla catena carboniosa, del primo doppio legame C=C sul terzo atomo di carbonio a partire dal fondo dell'acido grasso, ovvero dal gruppo metilico (-CH3) terminale, definito carbonio ω (omega), ultima lettera dell'alfabeto greco.
L'acido acido α-linolenico (C18:3 ω-3), definito acido grasso essenziale in quanto non può essere sintetizzato dall'organismo, è, fra gli acidi grassi ω-3, quello caratterizzato dalla catena alifatica più breve: tutti gli altri acidi grassi possono essere sintetizzati partendo proprio da questo acido grasso, dando origine, attraverso differenti processi enzimatici, a metaboliti attivi come gli endocannabinoidi, le lipossine o gli eicosanoidi.
Gli acidi grassi ω-6 e gli acidi grassi ω-3 seguono vie metaboliche differenti e distinte e non non possono essere trasformati l’uno nell’altro: l'uomo manca dell'enzima omega-3 desaturasi e, di conseguenza, non è in grado di convertire gli ω-6 in ω-3.
rapporto ω-3:ω-6
Gli acidi grassi ω-6 sono presenti nell’organismo in concentrazioni maggiori rispetto gli acidi grassi ω-3: gli acidi grassi ω-6 stimolano la risposta infiammatoria dell’organismo, mentre gli acidi grassi ω-3 hanno una funzione antinfiammatoria, anche se le ricerche attuali tendono a sottolineare che non esiste un confine così netto nei ruoli e nelle azioni di questi acidi grassi; in ogni caso, occorre ricordare che una risposta infiammatoria è necessaria in presenza di agenti patogeni, tuttavia un’eccessiva infiammazione è deleteria potendo causare...
- acido linoleico
- acido arachidonico
- metilasi
definizione
Enzima appartenente alla classe delle transferasi, capace di introdurre gruppi metilici in posizioni precise di molecole come DNA, RNA o proteine: intervengono nei processi di metilazione modificando le catene polinucleotidiche.
- metilazione
definizione
Reazione chimica (detta anche transmetilazione) mediante la quale si introducono in un composto uno o più gruppi metilici (−CH3): il processo biochimico è catalizzato da enzimi. e comporta l'addizione, su vari substrati, di un gruppo metile o il suo utilizzo per la sostituzione di un idrogeno.
Una sostanza che fornisce a un’altra sostanza un gruppo metilico è detta metil-donatore; i principali sono la S-adenosil-metionina ed i derivati dell’acido tetraidrofolico, noto anche come THF, derivato dell'acido folico.
modificazione post-trascrizionale delle proteine
Alcune protein raggiungono la loro conformazione biologicamente attiva solo dopo aver subito una o più modificazioni, dopo che questa si distacca dal ribosoma che l'ha prodotta; la metilazione rappresenta uno dei principali meccanismi del processo di attivazione che si effettua sulla proteina matura dopo il distacco dal ribosoma; il processo è catalizzato da enzimi specifici, detti metilasi, e interviene su particolari residui amminoacidici della proteina da metilare.
Lo stesso processo di metilazione non riguardano soltanto le proteine ma anche innumerevoli composti del metabolismo cellulare che devono subire una modificazione prima di poter essere utilizzati o per subire una modificazione dell’attività biologica, come avviene, per esempio, per l'adrenalina, la cui funzione ormonale viene inibita proprio per azione della metilazione; anche il DNA subisce processi di metilazione che hanno la funzione di interviene nella regolazione dell’espressione dei geni e nel corretto sviluppo embrionale.
- gruppo metilico
definizione
Gruppo chimico o molecola che contiene il metile, gruppo funzionale costituito da un atomo di carbonio legato a tre atomi di idrogeno (-CH3); i gruppi metilici, in una generica reazione, possono essere addizionati o sottratti, cioè rimossi, da proteine, acidi nucleici o altre molecole, le cui azioni risultano modificate: l'addizione di un gruppo metilico prende il nome di metilazione e le molecole addizionate di uno o più gruppi metilici prendono il nome di molecole metilate. Una molecola a cui è legato tale gruppo assume il prefisso metil-, preceduto dal numero dell'atomo di carbonio cui è legato.; Il gruppo metilico è, infatti, un radicale chimico labile, suscettibile di essere trasferito da una molecola all’altra, con conseguenze importanti dal punto di vista biologico e biochimico: la presenza di gruppi metilici in una molecola può condizionare la sua capacità di attraversare la barriera emato-encefalica.
Il termine “metile” fu introdotto intorno al 1840 dai chimici francesi Eugene Peligot e Jean-Baptiste Dumas dalla formazione posteriore di metilene che, a sua volta, deriva dalle parole greche μέθη (méthi → vino) e ὕλη (hýli o hyle → legno o macchia di alberi), che si traduce approssimativamente con “alcool ricavato da una sostanza legnosa”.
I gruppi metilici rappresentano dei radicali deputati alla trasmissione di alcuni tra i segnali intracellulari più delicati; la S-adenosil-metionina (SAM), un metabolita intermedio derivato dalla metionina e dall'ATP, tramite enzimi specifici può cedere il suo gruppo metilico sia a proteine che ad acidi nucleici, soprattutto il DNA: la metilazione, in biologia è un evento chiave del metabolismo del DNA. Nel contesto della duplicazione del DNA ha un ruolo fondamentale nella regolazione e nella protezione dell'acido nucleico, specialmente da parte delle nucleasi: la metilazione, avviene grazie a una serie di reazioni favorite dall'azione di specifici enzimi che usano l'aminoacido metionina. La metilazione...
- tricobezoario
- fitobezoario
definizione
Ammasso talora di notevoli dimensioni, che si forma, nell'uomo nella cavità gastrica, in seguito a ingestione continuata di di fibre vegetali, semi e/o noccioli agglomerati fra loro; è un ammasso denso e compatto di materiale parzialmente digerito o non digerito, che si verifica in genere nello stomaco; il termine bezoario deriva dal persiano pad (protezione) e zahr (veleno), divenuto in arabo bazhar e in latino medievale bezoar, preceduto dal prefisso fito-, dal greco ϕυτόν (phytón → pianta), che ne indica l'origine vegetale.
Il fitobezoario è quindi un insieme di fibre vegetali, costituito da polpa, semi e bucce, che per il loro alto contenuto in cellulosa rimangono indigerite nello stomaco e da qui, migrando nell’intestino, possono guadagnare, occludendole, le porzioni anatomicamente più ristrette o venire espulse: talvolta è un conglomerato di polpa e semi di arancio con proteine del latte, assumendo la forma di fitolactobezoario, perchè l’acido citrico di cui sono ricchi gli agrumi, favorisce la coagulazione delle proteine del latte che si riuniscono a grumi, su cui possono formarsi deposizioni di citrato di calcio (sale poco solubile), per la precipitazione del calcio in soluzione ad opera dell'acido citrico; se costituito da semi e fibre indigerite di verdure, esso prende il nome d’iniobezoario, da frutta carpobezoario, se da entrambi carpoiniobezoario.
Fra i fitobezoari, si riconoscono quindi:
⇒ iniobezoario, dal greco ἰνός (inós → fibra), costituiti da semi e fibre vegetali indigerite;
⇒ carpobezoario, dal gr. καρπός (karpós → frutto);
⇒ diospirobezoari, un sottoinsieme di fitobezoari, causati da eccessiva assunzione di cachi, in genere non sbucciati: dal greco διόσπυρος (diospyros → diospiro), letteralmente grano (πυρός ) di Giove (Διός), eponimo che designa un genere di piante ebenacee, di cui fa parte il cachi;Fattore eziopatogenetico più frequente è l’ingestione abbondante di alimenti ricchi di cellulosa o di pectina specialmente...
- bezoario
definizione
Indica un corpo estraneo, qualche volta commisto a cibo, presente nelle vie digerenti di alcuni ruminanti ma anche dell'uomo: è un agglomerato compatto di materiale parzialmente digerito o non digerito, che si verifica in genere nello stomaco; il termine deriva dal persiano pad (protezione) e zahr (veleno), divenuto in arabo bazhar e in latino medievale bezoar.
I bezoari sono masse di materiale indigeribile, perché inattaccabile dai succhi gastroenterici, di varia natura, che si formano generalmente nello stomaco ma che possono progredire lungo l'apparato gastro-intestinale, spinti dalla peristalsi: molti sono asintomatici, ma alcuni possono causare l'insorgenza di una sintomatologia variegata anche importante, viste le dimensioni che possono assumere o per la posizione che possono raggiungere, che può manifestare anche i caratteri dell’occlusione intestinale.
I bezoari gastrici possono verificarsi in tutte le fasce di età: spesso si manifestano in soggetti psichiatrici con disturbi del comportamento, svuotamento gastrico anormale o alterazione dell'anatomia gastrointestinale, oppure nei pazienti di chirurgia bariatrica ed i più frequenti sono quelli d’origine vegetale (fitobezoario); se costituiti da semi e fibre indigerite di verdure, prendono il nome d’iniobezoario, se da frutta carpobezoario, se da entrambi carpoiniobezoario, mentre con diospirobezoari si definiscono i bezoari che derivano da eccessiva assunzione di cachi, in genere non sbucciati.
Alcuni bezoari possono essere sciolti chimicamente, altri richiedono la rimozione endoscopica e alcuni altri richiedono anche l'intervento chirurgico.
I bezoari si trovano in varie forme:
⇒ fitobezoario, formato da sostanze di origine vegetale, in genere;
⇒ iniobezoario, dal greco ἰνός (inós → fibra), costituiti da semi e fibre vegetali indigerite;
⇒ carpobezoario, dal gr. καρπός (karpós → frutto);
⇒ diospirobezoari, un sottoinsieme di fitobezoari, causati da eccessiva assunzione di cachi, in...- ileo meccanico
definizione
Quando si parla di ileo ci si riferisce ad una sindrome, cioè ad un insieme di sintomi causati dall’arresto della progressione del contenuto intestinale (peristalsi), per cause funzionali, quali possono essere uno spasmo muscolare o la paralisi della tonaca muscolare dell’intestino: si intende una grave condizione patologica, conosciuta altrimenti come occlusione intestinale, legata all'arresto della progressione (peristalsi) del contenuto intestinale, sia esso liquido, solido o gassoso; dal greco εἰλεός (eileos → colica, volvolo), derivato da dal gr. εἰλέω (→ contorco, avvolgo, stringo insieme), la cui radice è ειλειν (eilein → o torcere, serrare, arrotolare su se stesso).
Con la locuzione «ileo meccanico» si intende un blocco meccanico del transito, dovuta ad un'ostruzione, un ostacolo meccanico insuperabile o ad uno strozzamento, che comporta un'occlusione vera e propria; si parla di subocclusione intestinale quando l'ileo meccanico provoca un'ostruzione parziale, spesso con manifestazioni subacute, spesso ricorrenti: anche se l'occlusione può essere incompleta, caratterizzata da episodi sub-occlusivi, sfumati, che regrediscono e si ripetono nel tempo fino alla fase di occlusione completa.
Il lume intestinale può essere ostruito per una causa intraluminale (ostacolo presente all'interno del canale), per una causa intramurale, ovvero da un'alterazione parietale che ne riduce il lume, oppure una causa extra-intestinale che causa una compressione esterna: in ogni caso l'ostruzione coinvolge sempre un segmento circoscritto dell'intestino, cioè un segmento breve e ben definito, spesso con la radice mesenterica e neuro-vascolare, mentre il resto del viscere viene coinvolto solo in un secondo momento.
quadro anatomo-patologico
Si possono osservare diversi quadri, legati alla evoluzione della malattia: anche se, inizialmente, i tessuti a monte dell'ostruzione appaiono normali dal punto di vista macroscopico e funzionale, con il passare delle ore...
- alvo stitico
definizione
Con il termine alvo si intende il canale intestinale nel suo complesso o, per affinità, qualunque cavità o parte interna, con una similitudine al termine alveo del fiume (parte di terreno occupata da un corso o da uno specchio d'acqua; sinonimo di letto) ed è anche utilizzato per definire la funzione della defecazione; dal latino ălvus ( → pancia, ventre, cavità).
L'alvo stitico è caratterizzato dal rallentamento del transito intestinale, con emissione difficile o infrequente di feci o diminuzione della quantità di quest'ultime: si manifesta con una frequenza di evacuazione inferiore alle tre volte alla settimana, con emissione di feci dure, asciutte, difficili da espellere, o quando le proprie abitudini cambiano nel tempo; il disturbo può associarsi a sintomi quali gonfiore addominale, pesantezza e sensazione di evacuazione insufficiente.
descrizione
L'evacuazione ogni 2-3 giorni può essere considerata normale, purché non vi sia dolore al basso ventre o malessere generale; la stitichezza può manifestarsi a causa dello stress, quando si è in viaggio oppure se si segue una dieta carente di fibre: altri potenziali fattori di rischio sono i ritmi sonno-veglia irregolari, l'abitudine di bere poco e la tendenza a rimandare o reprimere lo stimolo ad evacuare; se compare all'improvviso, una defecazione dai tempi più lunghi deve sempre far pensare ad una causa organica, come un restringimento del lume intestinale di origine infiammatoria o, più raramente, una patologia tumorale benigna (polipi di grosse dimensioni) o maligna (cancro al colon).
Le forme croniche di alvo stitico sono causate, invece, prevalentemente da fattori funzionali, come la difficoltà di espulsione rettale o la riduzione della peristalsi intestinale; certi farmaci (tra cui i calcio-antagonisti per il controllo della pressione arteriosa o gli anti-depressivi possono essere responsabile dell’alvo stitico. Se cronicizza, l'alvo stitico può favorire la comparsa di emorroidi, prolasso...
- alvo diarroico
definizione
Con il termine alvo si intende il canale intestinale nel suo complesso o, per affinità, qualunque cavità o parte interna, con una similitudine al termine alveo del fiume (parte di terreno occupata da un corso o da uno specchio d'acqua; sinonimo di letto) ed è anche utilizzato per definire la funzione della defecazione; dal latino ălvus ( → pancia, ventre, cavità).
L’alvo diarroico è contraddistinto da evacuazione caratterizzata da feci liquide o poltacee, ripetuta più volte, nel corso della giornata: quest’alterazione può essere dovuta a numerosissime forme morbose, non necessariamente a carico dell'apparato digerente.
descrizione
Può manifestarsi in forma transitoria, tendendo a scomparire entro pochi giorni, ed essere un episodio passeggero, attribuibile a un eccesso alimentare, ad una infezione come la gastroenterite virale o a un'indigestione priva di gravi conseguenze.
In questi casi, il disturbo può associarsi ad altre manifestazioni, come gonfiore, bloating, flatulenza, meteorismo, dolore addominale, nausea, vomito e febbre; episodi ripetuti di diarrea commista a muco e sangue con dolori addominali, soprattutto in giovane età, possono invece rappresentare il primo sintomo di una malattia infiammatoria cronica dell'intestino, come il morbo di Crohn o la Rettocolite Ulcerosa.
La diarrea protratta nel tempo può dare luogo a delle complicanze, quali perdita di liquidi con conseguente disidratazione e deplezione di elettroliti (come sodio, potassio e magnesio); nei pazienti molto debilitati, l'alvo diarroico grave può favorire un collasso cardiocircolatorio.
- alvo chiuso
definizione
Con il termine alvo si intende il canale intestinale nel suo complesso o, per affinità, qualunque cavità o parte interna, con una similitudine al termine alveo del fiume (parte di terreno occupata da un corso o da uno specchio d'acqua; sinonimo di letto) ed è anche utilizzato per definire la funzione della defecazione; dal latino ălvus ( → pancia, ventre, cavità).
La locuzione “alvo chiuso” descrive l'alterato transito intestinale o il blocco della defecazione: la definizione può essere utilizzata nel caso in cui verifichi la presenza di un'ostruzione (ileo meccanico) secondaria a volvolo, ernie, aderenze oppure a masse che occupano il lume del tratto enterico, come fecalomi, tumori o ascessi: in questo caso si parla di alvo chiuso alle feci, rendendo possibile soltanto l'espulsione dei gas intestinali; l'alvo può chiudersi sia alle feci sia ai gas (ileo paralitico) anche come risposta a certe patologie infiammatorie addominali, come peritonite, diverticolite e malattia infiammatoria pelvica.
Entrambi i casi debbono essere considerati un’emergenza chirurgica.
- tenesmo
definizione
Spasmo dello sfintere anale o di quello vescicale, accompagnato da stimolo alla evacuazione, talvolta senza emissione di materiale, anche nel caso in cui i visceri siano già statti svuotati; dal greco τεινεσμός (teinesmós → tensione), derivato da τείνω (téino → tendo, distendo).
descrizione
Il tenesmo è la contrazione spasmodica, violenta, dolorosa e ripetuta dei muscoli vescicali (tenesmo vescicale) o dei muscoli perineali e del retto (tenesmo rettale); il primo (vescicale), spesso, è causato da varie affezioni della vescica o della prostata e spesso si accompagna alla disuria e stranguria: in pratica chi ne è affetto sente un bisogno continuo di mingere, seppure con scarsi risultati e dolore.
Il secondo (rettale) è provocato da infiammazioni o disturbi funzionali dell'ano e del retto, con conseguenti stimolazioni interne e continuate; anche varie affezioni degli organi vicini possono essere responsabili del tenesmo, per la presenza di rapporti d'innervazione reciproca e facilitazione segmentale: la sensazione è uno stato di tensione o di costrizione alla regione dell'ano, accompagnato dal bisogno continuo di defecare, senza reale capacità di evacuazione.
- coprolita
definizione
Termine utilizzato per la prima volta da William Buckland nel 1829, per descrivere escrementi fossili, viene utilizzato per descrivere fecalomi particolarmente duri, che per l'eccessiva disidratazione e l'apposizione di sali di calcio, si trasformano in concrezioni dure e radiopache: dal greco κόπρος (kópros → sterco, letame) e λίθος (lìthos → pietra); il termine fecalita è un sinonimo.
Presenti all'interno del lume intestinale, dove è maggiore la stasi fecale: i coproliti sono di frequente riscontro nell'appendice o nei diverticoli intestinali, ove possono essere causa di infiammazione; di solito vengono emessi con le feci tuttavia possono arrivare, per le loro dimensioni, a provocare un'occlusione intestinale.
- scibala
definizione
Massa fecale contenuta nel retto, ultima porzione del colon, che in caso di coprostasi può avere una consistenza notevole, divenendo dura, potendo trasformarsi in coprolita: ammasso di materiale fecale indurito, essiccato all'interno dell’intestino, frequentemente a livello dell'ampolla rettale, abitualmente associata a stipsi evacuativa o stitichezza; dal greco σκύβαλον (skývalon o skubalon → escremento).
- fecaloma
definizione
Massa fecale, di elevata consistenza e densità derivante dalla progressiva disidratazione, conseguente al ristagno all'interno dell'intestino crasso, che si manifesta in soggetti affetti da stitichezza cronica, come avviene in caso di scibala: formato dalla radice latina faex [faecis] (→ feccia) ed il suffisso derivato dal greco -ωμα (-oma) che indica affezioni infiammatorie o formazione di masse, tumefazione.
In presenza di condizioni predisponenti, un ammasso di feci disidratate può impregnarsi di sali di calcio e assumere l’aspetto di un sasso (fecalita o coprolita); la presenza di un fecaloma può provocare dolore e talvolta può addirittura indurre un’occlusione intestinale, in quanto possono essere difficilmente evacuati dal retto.
- ponzamento
definizione
L'atto di esercitare uno sforzo muscolare, di impegnarsi contraendo i muscoli, in particolare riferendosi all'atto dello spremere l'addome, come avviene nell'andare di corpo, ovvero nell'atto della defecazione: l'atto del ponzare, dal latino punctiare, esprime sia il concetto di “far forza puntando i piedi” (punctum inteso come “punto fermo, punto d'appoggio”), sia il “pungere”, nel senso di fare forza, spingere verso un dato punto.
descrizione
La deiezione delle feci avviene grazie alla la contrazione della muscolatura del retto e della muscolatura del pavimento pelvico, coadiuvati dall'azione del torchio addominale; quest'ultimo è costituito dall'azione combinata fra i muscoli adduttori ed i muscoli glutei, che agiscono come muscoli agonisti ed i muscoli antagonisti, cioè il muscolo diaframma respiratorio ed i muscoli addominali: dalla combinazione delle loro contrazioni si crea, nella parte finale dell'intestino, una sorta di camera di pressione (da cui, torchio addominale) che fa affacciare la massa fecale fuori dall'ano, al quale è trattenuto solidale dagli attriti, sinché la forza di gravità non lo distacchi per il completamento dell'escrezione degli escrementi.
Il ponzamento è in grado di modificare sia la respirazione sia la pressione sanguigna, che vengono alterate durante la spinta estrusiva: la respirazione risente del coinvolgimento del muscolo diaframma respiratorio, con la possibile insorgenza di dispnea o apnea momentanea; la pressione può incrementarsi repentinamente, risentendo dei flussi sanguigni richiamati dalle zone muscolari attivate o per la compressione dell'area sub-occipitale, conseguente alla contrazione della muscolatura del collo, durante lo sforzo defecatorio.
- defecazione
definizione
L'atto fisiologico di espulsione delle feci , cioè della “feccia", all'esterno del corpo, cioè l'eliminazione delle sostanze non assimilabili, ovvero degli escrementi, per via anale; dal latino defaecatio, derivato da defaecare (→ purificare), la cui radice etimologica è de- (→ da) e faex [faecis] (→ feccia).
descrizione
L'azione, detta anche ponzamento, è solo parzialmente volontaria, in quanto si compie periodicamente mediante un complesso meccanismo, in parte riflesso e in parte intenzionale: lo sfintere anale, attraverso la costrizione tonica, svolge una funzione di impedire, per periodi più o meno prolungati, il rilascio casuale del materiale fecale, ritenendolo all'interno del tratto finale dell'intestino; contemporaneamente previene l'ingresso di materiale esterno, all'interno dell'organismo.
La volontarietà è limitata dalla continenza (compliance rettale), in quanto l'individuo non può bloccare lo stimolo, ma può, entro certi limiti, ritardarne gli effetti: dopo il completamento dell'assorbimento di quanto utile all'organismo, il chilo intestinale viene disidratato e compattato dal colon, fino a formare le feci che, grazie ai movimenti peristaltici (contrazione vermicolare) del colon sigmoideo, giungono al retto, superando la valvola di Huston; questo segmento, dove gli escrementi si accumulano, si distende opportunamente a formare l'ampolla rettale (ampulla recti) grazie alla capacità di accomodazione della tonaca muscolare ed alla conformabilità della parete.
Quando l'antro anale è vuoto non c'è il desiderio di evacuare, ma una volta raggiunta la massa critica ed esaurita la compliance rettale fisiologica, la distensione della muscolatura del retto provoca la stimolazione delle terminazioni sensoriali che, attraverso il nervo pudendo, scatena la necessità di evacuazione e l'esigenza della deiezione, attivando il riflesso retto-anale (riflesso intrinseco o riflesso defecatorio): la decisione di volontaria di evacuare, o l'urgenza...
- alvo
definizione
Il canale intestinale nel suo complesso o, per affinità, qualunque cavità o parte interna, con una similitudine al termine alveo del fiume (parte di terreno occupata da un corso o da uno specchio d'acqua; sinonimo di letto.): dal latino ălvus ( → pancia, ventre, cavità); utilizzato anche per definire la funzione della defecazione.
caratteristiche dell'alvo
Si parla di alvo regolare (o normalmente canalizzato, cioè aperto alle feci, ai liquidi e ai gas) quando non sono presenti squilibri della funzione intestinale e le modalità di eliminazione delle feci non risultano alterate. Le alterazioni che interessano l'alvo, si manifestano con irregolarità e modifiche nella frequenza o nella qualità dell'evacuazione: spesso, questi squilibri sono dovuti a cambiamenti delle abitudini alimentari, sedentarietà e situazioni di stress, ma possono rappresentare anche i primi sintomi di patologie più importanti, come accade, per esempio, nelle malattie infiammatorie croniche dell'intestino; le alterazioni dell'alvo che si prolungano nel tempo, possono causare seri problemi.
Le irregolarità dell'alvo possono manifestarsi con aumento e/o frequenza delle evacuazioni (diarrea → più di tre scariche il giorno) o diminuzione (stipsi → meno di tre a settimana); si può osservare una modifica del colore e della consistenza delle feci, impellente stimolo ad evacuare (incontinenza) o defecazione difficoltosa associata a forti dolori (tenesmo); dolori addominali intermittenti, in forma di crampi, con intensità e localizzazione variabile. Altri sintomi possono essere flatulenza, meteorismo bloating e sensazione di gonfiore; sintomi sistemici di accompagnamento mal di testa; dolori pelvici, mal di schiena e, nelle donne, dolori mestruali; stanchezza, scarso rendimento, talvolta obnubilamento del sensorio; disturbi del sonno; depressione e ansia, associati a senso di malessere generalizzato.
La presenza di dolore addominale acuto; nausea e vomito; stitichezza ad esordio...
- GABA
definizione
Acronimo di acido γ-amminobutirrico, il GABA è considerato, a tutti gli effetti, uno dei più potenti e principali neurotrasmettitori inibitori del nostro sistema nervoso centrale, riscontrabile in elevate concentrazioni a livello dell'ipotalamo, dei nuclei della base, della sostanza grigia periacqueduttale e dell'ippocampo: è un γ-amminoacido, con formula bruta C4H9NO2, responsabile nella regolazione dell’eccitabilità neuronale; negli esseri umani è anche direttamente responsabile della regolazione del tono muscolare.
Il GABA è una molecola endogena che viene prodotta dal nostro stesso organismo a partire dall'acido glutammico, il quale viene decarbossilato dell'enzima glutammico decarbossilasi: una volta prodotto e rilasciato, il GABA espleta le sue attività andando ad interagire con i suoi recettori specifici (recettori GABAergici) distinguibili in due sottotipi principali: i recettori GABAᴀ (recettore canale permeabile agli ioni Cl⁻ che agisce per via diretta, con azione inibitoria), ed i recettori GABAᴃ (recettore accoppiato a proteine G che agisce per via indiretta attraverso i secondi messaggeri diacilglicerolo e inositolo trifosfato (IP₃), con azione inibitoria); dopo aver agito sui suoi recettori, il GABA viene rimosso dallo spazio sinaptico e degradato ad opera dell'enzima GABA-transaminasi.
Vista l'azione inibitoria esercitata dal GABA per mezzo dei suoi recettori specifici, questi vengono utilizzati, in farmacologia, come bersagli di molecole specifiche dotate di azione anticonvulsivante, ipnotica e sedativa: fra i farmaci che hanno come bersaglio il recettore GABAᴀ troviamo le benzodiazepine, i barbiturici e le Z drugs (così chiamati per via dell'iniziale del nome dei loro principi attivi [zolpidem, zopiclone e zaleplon] chiamati anche nonbenzodiazepine, in quanto chimicamente differenti dalle benzodiazepine, ma con effetti sovrapponibili); fra i farmaci che hanno come bersaglio il recettore GABAᴃ troviamo alcuni tipi di miorilassanti...
- acido γ-amminobutirrico
definizione
Meglio conosciuto con l’acronimo GABA, è un γ-amminoacido, con formula bruta C4H9NO2, che agisce come un neurotrasmettitore ad azione inibitoria del sistema nervoso centrale, responsabile nella regolazione dell’eccitabilità neuronale; negli esseri umani è anche direttamente responsabile della regolazione del tono muscolare: rilasciato dai neuroni GABAergici a livello cerebrale, agisce a livello locale attraverso le arborizzazioni assoniche a breve distanza, formando sinapsi asso-assoniche sui neuroni di proiezione (eccitatori), con effetti inibitori.
Il sistema GABAergico non è definibile in termini di circuiti neuronali perché esercita un’azione di sedazione sull’attività elettrica neuronale in tutto il sistema nervoso, essendo il GABA un messaggero ubiquitario: l’attivazione (o l’agonismo) dei suoi recettori da parte di qualunque sostanza è il meccanismo d’azione di un gran numero di farmaci sedativi, miorilassanti e ipnotici, in quanto è il principale neurotrasmettitore inibitorio e assicura, con la sua azione, il mantenimento di un basso stato di attivazione spontanea dei neuroni, compresi quelli monoaminergici, regolando la stabilità di funzionamento dell’intero sistema nervoso; il legame del GABA ai recettori GABAergici produce una diminuzione degli stati ansiosi.
Le sostanze mimetiche o che posseggono l’azione neurotrasmettitoriale del GABA sono detti ansiolitici, mentre le droghe che, al contrario, inibiscono l’azione del GABA sono convulsivanti; le benzodiazepine, comprendenti il diazepam (Valium®), costituiscono una classe di farmaci ipnotici e ansiolitici, in quanto sono in grado di agire come farmaci GABAergici, così come i barbiturici, i quali hanno però una elevata tossicità, agendo tra l’altro sul ritmo cardiaco, sull’ampiezza della respirazione e sulla pressione arteriosa.
il GABA nell'integrazione alimentare
Nella pratica comune, gli integratori alimentari a base di GABA svolgono un'azione rilassante sul sistema nervoso,...
- GABAergico
definizione
Letteralmente “che riguarda o che coinvolge il neurotrasmettitore GABA”: una sinapsi è GABAergica se utilizza il GABA come neurotrasmettitore o un neurone si dice GABAergico se produce GABA; una sostanza, anche non endogena, è GABAergica se produce qualche effetto grazie a delle interazione con il sistema GABAergico, stimolando o inibendo la trasmissione del neurotrasmettitore GABA.
i recettori per il GABA
Il GABA (acido γ-amminobutirrico) è una molecola endogena che viene prodotta dal nostro stesso organismo a partire dall’acido glutammico, il quale viene decarbossilato dell’enzima glutammico decarbossilasi: una volta prodotto e rilasciato, il GABA espleta le sue attività andando ad interagire con i suoi recettori specifici (recettori GABAergici) distinguibili in due sottotipi principali: i recettori GABAᴀ (recettore canale permeabile agli ioni Cl⁻ che agisce per via diretta, con azione inibitoria), ed i recettori GABAᴃ (recettore accoppiato a proteine G che agisce per via indiretta attraverso i secondi messaggeri diacilglicerolo e inositolo trifosfato (IP₃), con azione inibitoria); dopo aver agito sui suoi recettori, il GABA viene rimosso dallo spazio sinaptico e degradato ad opera dell’enzima GABA-transaminasi.
Vista l’azione inibitoria esercitata dal GABA per mezzo dei suoi recettori specifici, questi vengono utilizzati, in farmacologia, come bersagli di molecole specifiche dotate di azione anticonvulsivante, ipnotica e sedativa: fra i farmaci neuroattivi che hanno come bersaglio il recettore GABAᴀ troviamo le benzodiazepine, i barbiturici e le Z drugs (così chiamati per via dell’iniziale del nome dei loro principi attivi [zolpidem, zopiclone e zaleplon] chiamati anche nonbenzodiazepine, in quanto chimicamente differenti dalle benzodiazepine, ma con effetti sovrapponibili, la picrotossina e il muscimolo; fra i farmaci che hanno come bersaglio il recettore GABAᴃ troviamo alcuni tipi di miorilassanti, utilizzati per il trattamento della...
- base di Schiff
definizione
Appartenenti al gruppo delle immine, composti organici caratterizzati dalla presenza di un gruppo funzionale -C=N-, sono intermedi enzimatici comuni derivati dalla reazione reversibile di un'ammina con un'aldeide o un chetone di un cofattore o di un substrato: il piridossal-5-fosfato è un cofattore enzimatico nelle reazioni mediate dalle transferasi; il cofattore retinico forma una base di Schiff nelle rodopsine, fondamentale nel meccanismo di fotorecezione.
- transferasi
definizione
Chiamate anche aminotransferasi (o amminotransferasi), in biochimica, termine generico con cui si denominano una classe di enzimi che catalizzano il trasferimento di gruppi funzionali caratteristici (acile, acetile, amminico, fosfato, glicosidico, metilico ...) da un substrato donatore a uno accettore: prodotti della reazione sono costituiti da due substrati modificati; a seconda del gruppo funzionale trasferito, le transferasi sono suddivise in transacilasi, transacetilasi, transaminasi oppure glicosiltransferasi, metiltransferasi, amminotransferasi, mentre gli enzimi deputati al trasferimento dei gruppi fosfato sono denominate chinasi.
Una tipica reazione catalizzata da una transferasi potrebbe essere la seguente:
A–X + B → A + B–X
ove il substrato donatore (specie donatrice) è A e B è l'accettore; la specie donatrice è, molto spesso, un coenzima.
Le transferasi sono una classe di enzimi largamente rappresentata in tutti gli organismi viventi, la cui attività è legata alle più importanti vie metaboliche indispensabili per la sopravvivenza cellulare; il nome deriva dal latino transferre (→ trasporre, «portare al di là»), col suffisso -asi, usato in chimica biologica per formare le denominazioni degli enzimi
- piridossal-5-fosfato
definizione
Detto anche, semplicemente, piridossalfosfato o piridossal-fosfato, forma attiva della vitamina B6 che funge da coenzima delle transferasi (come le transaminasi), è una molecola composta da un anello piridinico con 4 sostituenti: un gruppo aldeidico (carbonio 4), un metile (carbonio 2), un idrossi-metil-fosfato (carbonio 5), un ossidrile (carbonio 3); quest'ultimo ha delle particolarità ed insieme all'azoto e al gruppo aldeidico sono responsabili dell'attività catalitica del cofattore. Il gruppo fosfato, nella maggior parte dei casi, lega la proteina che va soggetta alla trasformazione enzimatica, tranne che nel caso della glicogeno-fosforilasi in cui è proprio il fosfato ad esplicare funzione catalitica: la formula bruta è C8H10NO6P.
In natura la vitamina B6 è presente come piridossina (piridossolo), piridossale o piridossamina: nel corpo umano, per poter essere attiva, viene convertita in piridossina e poi fosforilata a piridossina 5-fosfato ed infine ossidata a piridossal 5-fosfato, il cui gruppo aldeidico presenta la capacità di reagire con i gruppi aminici primari degli aminoacidi (trasformandoli in basi di Schiff), rendendoli suscettibili di numerose reazioni di trasformazione: infatti la funzione primaria della vitamina B6 è quella di fungere da coenzima a supporto di vari enzimi coinvolti principalmente nel metabolismo degli amminoacidi.
Il piridossal-5-fosfato interviene nelle reazioni di:
→ transaminazione degli α-aminoacidi;
→ decarbossilazione degli α-aminoacidi;
→ deaminazione ossidativa delle amine, deidratazione della serina;
→ distacco dello zolfo dalla cisteina;
→ racemizzazione enzimatica, nella interconversione L- e D-aminoacidi;
→ metabolismo del triptofano (chinurenina);
→ trasformazione dell'acido linoleico in arachidonico;
→ tormazione degli sfingolipidi della guaina mielinica;
→ sintesi di molti neurotrasmettitori quali serotonina, taurina, dopamina, norepinefrina, istamina e acido γ-aminobutirrico...- elettuario
definizione
Detto anche elettovario, elettovaro o lattovaro, con questo termine si indica un antico medicamento farmaceutico, solitamente sotto forma di preparato galenico, composto da una densa miscela di principi attivi, polveri, parti ed estratti vegetali impastati con dolcificanti come miele o sciroppi per mascherarne il sapore sgradevole: il composto, solitamente dall'aspetto molle e semidenso, veniva assunto sotto forma di decotto, di infuso o di bolo (pillole prive di componenti minerali) come sostanza medicinale; anticamente si credeva di poter combattere un gran numero di malattie e di creare la panacea.
Il termine probabilmente proviene dal latino electuarium o electarium,: ci sono due interpretazioni sull'origine etimologica: alcuni ritengono derivi da electus (→ scelto, eccellente), altri pensano che la radice sia, dal greco, ἐκλεικτόν (ekleikton → elettuario), da ἐκλείχειν (ekleikhein → leccare).
- droga
definizione
Sostanza per preparazioni farmaceutiche o dotata di proprietà medicamentose, metaboliche o biologicamente attive: l'origine etimologica è controversa in quanto alcuni fanno risalire l'origine del termine all’olandese droog, termine utilizzato per indicare qualcosa secco o arido; la definizione mira a descrivere lo stato fisico delle piante essiccate, utilizzate in cucina come spezie o destinate a usi farmaceutici, che venivano portate dalle Indie in Europa dalle navi olandesi.
Un'altra scuola di pensiero fa discendere la parola droga da drogges, usata per indicare un pellegrino, “dottore in medicina”, pronto a spedire farmaci, drugge (preparazioni medicali) ed elettuari (preparati galenici) ai malati (“The Canterbury Tales” di Geoffrey Chaucer): il termine vien quindi esteso dal medico al medicamento, arrivando a definire quindi ogni sostanza vegetale, animale o minerale usata nelle preparazioni farmaceutiche, per estensione, come ingrediente culinario, spezia o, addirittura, come sostanza per la colorazione dei tessuti o la lavorazione di materiali; in questa accezione la ritroviamo diffusa in italiano sin dagli inizi del 1500, da cui deriva l'uso rimasto nella lingua moderna e contemporanea, in termini quali drogheria o droghiere.
La branca della farmacologia che si occupa dello studio delle droghe prende il nome di farmacognosia.
descrizione
In farmacologia il termine viene utilizzato per designare ogni prodotto naturale, vegetale o animale, contenente uno o più principi attivi (alcaloidi, glicosidi, saponine, oli essenziali, sostanze amare, purgative, aromatiche ...) e che pertanto, opportunamente preparato e conservato, trova indicazioni terapeutiche o sperimentali.
Delle numerose piante medicinali sono di regola utilizzate solo le parti più ricche di sostanze attive: le radici, i tuberi, i rizomi, oppure le foglie, i fiori, il succo, la corteccia, per lo più usate sotto forma di preparazioni galeniche (infusi, decotti, estratti, tinture o...
- melius abundare quam deficere
definizione
La sentenza latina, nella forma corretta è «melius est abundare quam deficere» in quanto «melius», senza l'aggiunta del verbo «est», significa «più» e non «meglio»: la traduzione letterale è «meglio abbondare che scarseggiare».
L'espressione è di uso comune nel linguaggio quotidiano, spesso anche nella forma ellittica «melius abundare», quando si vuol esprimere il concetto secondo cui, piuttosto che rischiare di non raggiungere la giusta misura, è preferibile eccedere e superarla; nel linguaggio corrente spesso assume differenti sfumature di significato che variano secondo le circostanze, volendo comunque sottolineare che si ritiene più conveniente peccare per eccesso che per difetto.
In realtà, per quello che riguarda l'utilizzo di sostanze ad azione metabolica, il rischio è il possibile abuso o l'eventualità che l'eccesso possa portare effetti indesiderati.
- reazione avversa
definizione
Chiamata, in inglese, «adverse reaction» o «adverse drug reaction» (A.D.R.), sottintendendo, nel secondo caso, un necessario nesso causale con la somministrazione di una “droga” è una qualsiasi reazione nociva, non intenzionale, che si verifica a dosi normalmente usate in terapia o che si può verificare a seguito di particolari modifiche fisiologiche come la gravidanza, l’allattamento, la senescenza o alcune patologie che determinano una modificazione della fisiologia dell’organismo e le sue modalità di metabolizzazione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la reazione avversa come «una risposta ad un farmaco, nociva e non intenzionale, che avvenga alle dosi normalmente usate nell'uomo»: in questa definizione l'elemento cardine, è la presenza di fattori individuali; occorre evidenziare anche la presenza di una possibile «reazione avversa inaspettata», cioè «una reazione avversa, la cui natura o severità non è in accordo con quanto riportato sul foglietto illustrativo e con l'autorizzazione rilasciata per la sua commercializzazione, o inaspettata in base alle caratteristiche del farmaco». dove il punto cardine è il fatto che l'evento è ignoto.
considerazioni
La reazione avversa coinvolge meccanismi sia di tipo farmacologico (inerenti il farmaco), sia immunologico (perché il farmaco si comporta da antigene), sia metabolico (perché i farmaci possono interferire col metabolismo), che possono causare una nuova patologia definita iatrogena (cioè mediata da farmaci) che potrebbe anche determinare la morte del paziente stesso.
Le reazioni avverse da farmaci, sostanzialmente, sono legate a:
⇒ dosaggio - la dose alla quale si manifesta una reazione avversa è diversa a seconda del soggetto.
⇒ allergia - manifestazioni che si verificano in seguito a una reazione anomala ed eccessiva del sistema immunitario dopo l'assunzione di un medicinale: si tratta di risposte metaboliche verso il farmaco stesso, che portano alla produzione di...
- timeline
definizione
Talvolta scritta graficamente come «time line» è una parola inglese che corrispondente all'italiano «linea temporale» o, meglio ancora, «sequenza temporale»: le locuzioni mirano a sottolineare il concetto di “consecutio temporale” ovvero una rappresentazione (grafica) di una sequenza cronologica di eventi, una sorta di “snapshot” (→ fotografie) delle attività e delle attività cardine in sequenza, volte a cristallizzare la relazione spazio-temporale; potrebbe essere considerata un sinonimo di cronologia.
In un certo senso nel concetto di timeline si tende a sottolineare l'esistenza di relazioni, anche se non necessariamente causali o di tipo markoviano: infatti, con questo termine, si indicano una serie di azioni che accadono nel tempo secondo una concatenazione logica; in pratica ogni volta che noi raccontiamo qualcosa ricorriamo alla successione temporale per dare un ordine allo svolgimento delle azioni secondo un susseguirsi di eventi correlati.Una rappresentazione di una sequenza cronologica di eventi, basata sulla consecutività non necessariamente logica, ma sicuramente cronologica: se agli avvenimenti non diamo una giusta sequenza nel tempo, è di difficile comprensione anche la logica sottesa ed il senso degli avvenimenti o si possono creare, facilmente, fraintendimenti; la sequenza temporale prevede una concatenazione, ovvero una stretta relazione, in questo caso temporale ma non necessariamente logica, ovvero una serie di collegamenti, connessioni, legami, rapporti e relazioni temporali non inevitabilmente una consecutio logica.
- noesi
definizione
Il concetto di noesi muta notevolmente nel tempo, passando dalla concezione di “conoscenza intuitiva” e “pre-discorsiva”, espresse da Platone ed Aristotele, alla interpretazione di Edmund Husserl, dove assume il significato di “qualsiasi atto con cui il soggetto percepisce, conosce l’oggetto dell’esperienza”; dal greco νόησις (nóisis → conoscenza intuitiva), derivato da νοέω (noéo → capire, conoscere, pensare, concepire ma anche prendere dentro).
Per alcune discipline olistiche esprime l'atto della “intuizione”: quando è possibile integrare fra l'esperienza percettiva e le conoscenze acquisite, a cui accedere quando la nostra mente non viene condizionata dal pensiero logico, si è in grado di esprimere pienamente le proprie capacità analogiche e associative. La vera “intuizione noetica” è l'espressione dell'interiorizzazione di quanto appreso e compreso, creando quel “sapere” che può divenire fruibile al di là dell'atto cosciente e consapevole, ma che si esprime come atto intuitivo, cioè basato su una conoscenza immediata che non si avvale del ragionamento predittivo o statistico.
In parole semplici il processo noetico può essere definito come la successione di intuizioni, aventi tra loro un nesso più o meno profondo, che nascono dalla conoscenza integrata dalla competenza e verificata dall'esperienza: la mente, libera da preconcetti, sviluppa l'abilità di comprendere le connessioni profonde alla base delle manifestazioni, permettendo al professionista del ben-essere di comprendere le radici del dis-stress e delle dis-funzionalità.
- diacronia
significato
Un fenomeno nella sua evoluzione cronologica: una visione diacronica implica l'osservazione degli oggetti in viaggio attraverso il tempo: possiamo considerare il divenire degli elementi o delle manifestazioni come una dinamica diacronica. La rappresentazione di un evento attraverso il tempo, paragonabile, in un certo senso, ad un film che ci racconta la storia e ci permette di fare un confronto con ciò che precede e quello che seguirà, in quanto è collegato ai percorsi temporali con cui gli eventi giungono alla nostra attenzione.
definizione
Termine introdotto nella linguistica dal glottologo svizzero Ferdinand de Saussure, in contrapposizione a sincronia, per indicare il fattore tempo che nell'esistenza di una lingua permette a questa di variare continuamente e di farsi attuale in una serie indefinita di espressioni linguistiche; per estensione un fenomeno nella sua evoluzione cronologica, dal greco δια– (diá → attraverso) e χρόνος (chrónos → tempo).
- processo markoviano
definizione
Processo aleatorio in cui la probabilità di transizione che determina il passaggio a uno stato dipende solo dallo stato immediatamente precedente (“proprietà di Markov”) e non da come si è giunti a questo stato; viceversa si definisce “processo non markoviano” un processo aleatorio per cui non vale la proprietà di Markov.
Prende il nome dal matematico russo Andrej Andreevič Markov che per primo ne sviluppò la teoria: una sequenza continua di stati di un processo o di un problema, in cui la probabilità di passare da uno stato all'altro, in un tempo unitario, dipende probabilisticamente soltanto dallo stato immediatamente precedente e non dalla complessiva “storia” del sistema stesso; in altri termini, il passato e il futuro del processo sono tra loro indipendenti per ogni presente noto e fissato.
discipline olistiche e processi markoviani
Nello studio dello stress, o di qualunque altro squilibrio somato-emozionale, è necessario prendere in considerazione il fatto che non necessariamente tutte le risposte mirate all'allostasi siano effetto del concetto «post hoc, propter hoc» ma ipotizzano la possibilità che si verifichino sia reazioni adattative in base all'esperienza personale/tribale, sia basate su processi stocastici dipendenti dalla proprietà di Markov, che riconduce gli esiti del processo aleatorio alla dipendenza esclusiva dallo stato presente della variabile casuale dei futuri stati e non dagli stati passati (la storia o il percorso del processo in essere), facendo dipendere le scelte in base soltanto all'ultima osservazione.
In pratica è come se, in una situazione di distress, le possibili risposte non fossero obbligatoriamente l'espressione di stereotipi educativi o esperienziali, ma fossero equiparabili al lancio di un dado (in latino “alea”) creando una variabile (appunto casuale, aleatoria) dove le scelte sono variabili, ma limitate e dipendono dal lancio del dado stesso e non da eventi pregressi.
- logica bayesiana
premessa
Il “teorema della probabilità delle cause” (formula di Bayes), detto “teorema di Bayes” perchè dimostrato dal matematico britannico Thomas Bayes in un suo scritto pubblicato postumo nel 1763, viene impiegato per calcolare la probabilità che una possibile causa abbia scatenato un fatto che si è già verificato: se vi è una stima preliminare della probabilità che accada un evento e se si hanno informazioni supplementari al riguardo, si può ottenere l'esatta probabilità (a posteriori) della genesi del fenomeno; applicando ripetutamente la formula di Bayes, ogni volta che si hanno nuove informazioni, si possono correggere le possibilità meno affidabili in modo che si arrivi ad un valore di probabilità significativamente affidabile.
Il teorema di Bayes costituisce uno degli elementi fondamentali dell'approccio soggettivista alle probabilità e all'inferenza statistica: dato un insieme di cause e note le probabilità iniziali delle diverse cause, è possibile assegnare un valore alla probabilità che le cause causino un determinato effetto; la formula di Bayes considera sia le probabilità che possono essere interpretate come le conoscenze a priori, sia quelle acquisibili a posteriori, suggerendo un meccanismo di apprendimento dall'esperienza.
logica bayesiana
Nella logica l'inferenza, dal latino inferre (→ portare dentro), è il processo, induttivo o deduttivo, attraverso cui da una proposizione assunta come vera si passa a una seconda proposizione la cui verità è derivata dal contenuto della prima secondo opportune regole: inferire può essere definito come l'atto di trarre una conclusione; un'inferenza, pertanto, è la conclusione tratta da un insieme di fatti o circostanze. Esiste una sottile differenza tra implicare e inferire: il primo sottende in maniera tacita una conseguenza, il secondo vi perviene esplicitamente.
L'inferenza bayesiana valuta le probabilità non come frequenze o proporzioni (campionamento statistico), ma piuttosto possibilità che si...
- processo non markoviano
definizione
Processo aleatorio per cui non vale la proprietà di Markov, pertanto possono essere definiti come processi stocastici che modellano situazioni in cui la transizione tra stati avviene in senso deterministico, in quanto sono caratterizzati dal fatto che la probabilità di transire in uno stato successivo dipende dalla complessiva “storia” del sistema; in altri termini, il passato e il futuro del processo sono tra loro dipendenti.
Viceversa si definisce “processo markoviano” un processo aleatorio in cui la probabilità di passare da uno stato all'altro, in un tempo unitario, dipende probabilisticamente soltanto dallo stato immediatamente precedente e non dalla “storia” del sistema.
- processo stocastico
definizione
Il termine stocastico può essere considerato un sinonimo di casuale o aleatorio, pertanto un processo stocastico è una sequenza di eventi cioè che varia in base ad avvenimenti non prevedibili, perciò non-deterministico: l'aggettivo implica un margine imprevedibile di casualità e racchiude in sé il concetto di variabilità, potendo modificarsi in base a leggi probabilistiche (e non deterministiche), in quanto in è presente una componente casuale o accidentale; il lemma stocastico proviene dal greco στοχαστικός (stokhastikós → che mira bene, abile nel congetturare), derivato di στοχάζομαι (→ mirare, congetturare) che a sua volta discenda da στόχος (stókhos → bersaglio, mira, congettura).
processi stocastici - sistemi stocastici
Il processo stocastico (o processo aleatorio) può essere considerato la versione probabilistica del concetto di "sistema dinamico", ovvero la rappresentazione di una grandezza che varia nel tempo in modo casuale, con certe caratteristiche; può essere distinto in processo markoviano o processo non markoviano, a seconda che la legge di probabilità che determina il passaggio da uno stato all'altro (probabilità di transizione) dipenda unicamente dallo stato di partenza (processo markoviano) o anche dagli stati ad esso precedenti (processo non markoviano).
Un sistema può essere definito come un ente (fisico o astratto), un'unità fisica e funzionale, costituita da più parti o sottosistemi (tessuti, organi o elementi ecc.) interagenti (o in relazione funzionale) tra loro (e con altri sistemi), che formano un tutt'uno; ogni parte dà il proprio contributo per una finalità comune (o un obiettivo identificativo): un sistema dinamico è un sistema che cambia nel tempo. L'andamento dei processi che inferiscono sul sistema, possono essere compresi studiando l’evoluzione nel tempo di opportune variabili chiamate variabili di stato, in genere in base a legge deterministiche.
Un sistema stocastico è un sistema dove sono presenti dinamiche...
- post hoc propter hoc
definizione
La locuzione latina, frequentemente usata anche nella sua forma estesa «post hoc, ergo propter hoc» (→ «dopo questo e, quindi, a causa di questo»), è utilizzata per descrivere l’esistenza di fenomeni causali tra due (o più) avvenimenti, partendo dall'argomentazione: se A è vero e precede B, allora B ne è la conseguenza. La “consecutio logica” esprime l’esistenza di una relazione diretta fra due eventi, secondo il principio di causa-effetto, indica un nesso di causalità spazio-temporale, per il solo fatto che l’uno è posteriore all'altro; esprime una forma di coazione, in quanto mette in evidenza il manifestarsi di un certo esito, come risultato coerente di un evento precedente.
In realtà questo sillogismo potrebbe essere definito improprio, in quanto si tratta di un sofisma additivo, basato, cioè, sulla sovrapposizione di informazioni apparentemente coese; dal punto di vista della semiologia, esiste sempre la possibilità che l’evento descritto dalla locuzione, si riferisca a fenomeni acausali (sincronicità) o ad eventi contemporanei e casuali (sincronismo) anche se la consequenzialità appare evidente: la sentenza «dopo questo, causa di questo» mostra un'adduzione particolarmente attraente che sembra inferire al rapporto causale, vista anche la conformità della sequenza temporale.
Questa prospettiva evoca, nel caso della sincronicità, l’eventualità che esistano eventi relazionati secondo criteri acausali, che non si manifestano necessariamente in modo simultaneo, mentre il sincronismo ci ricorda la possibile presenza di cofattori eziologici che possono agire contemporaneamente ed in parallelo ad un fattore scatenante, che innesca l’evento stesso.
nessi causali - nessi casuali - nessi acausali
Anche se la razionalità può portarci a dubitare che prendere per causa quello che è un antecedente temporale non sia invariabilmente vero, la dinamica diacronica ci porta a pensare che, nella maggioranza dei casi, se un...
- fenomeno avverso
definizione
Un farmaco, o una sostanza dotata di un’azione farmacologica o biologica, oltre a provocare l’effetto fondamentale (o desiderato) per cui è stato somministrato, può causare anche eventi avversi (adverse event), cioè un evento connesso da una concatenazione temporale, ma non necessariamente da una relazione causale del tipo post hoc propter hoc: secondo la definizione ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si definisce fenomeno avverso «qualsiasi fenomeno clinico spiacevole che si presenta durante un trattamento con un farmaco, ma che non abbia necessariamente un rapporto di causalità (o di relazione) con il trattamento stesso (il punto fondamentale è la coincidenza nel tempo senza alcun sospetto di una relazione causale)»; in pratica un qualunque fenomeno clinico spiacevole, che si presenta immediatamente dopo l'assunzione di un farmaco o durante il trattamento con lo stesso non ha necessariamente un rapporto di causalità (o di relazione) con la sostanza medicamentosa, (o con il nutraceutico), potendo essere, viceversa, espressione di un nesso casuale o un nesso acausale.
Il punto cardine, alla base di questa manifestazione, è la semplice coincidenza temporale, senza che vi sia il sospetto di una relazione diretta o direttamente derivante dall'evento: pertanto il verificarsi di qualsiasi fenomeno negativo non è necessariamente causato dagli eventi precedenti (nello specifico l'assunzioni di una sostanza); paradossalmente, si potrebbe ipotizzare la guarigione come conseguenza dell'assunzione di un farmaco sia semplicemente “fenomeno favorevole” o “un evento propizio”, cioè un evento casuale, salvo che non esista una prova provata del rapporto causa-effetto ovvero che tale atto terapeutico possa essere il fattore scatenante o la causa coadiuvante, un fattore predisponente o la reale causa determinante, ma sia, piuttosto, un fatto aleatorio.
- up-regulation
definizione
Un segnale di tipo chimico, per poter essere ricevuto da una cellula, necessita dell’esistenza di un recettore presente sulla membrana della cellula destinataria del segnale: tale recettore è costituito da una proteina espressa dal genoma della cellula, e la quantità di molecole di questa proteina esposta verso l’ambiente extracellulare influenza la sensibilità della cellula al segnale.
Nel contesto biologico della produzione di prodotti genici da parte degli organismi, il sistema up-down regulation regola l'espressione genica dei recettori: la up-regulation, chiamata anche sovraregolazione, è il processo mediante il quale una cellula incrementa la quantità di un componente cellulare, come l'RNA o una proteina, in risposta a uno stimolo esterno mentre la down-regulation riduce tali proteine.
up-regulation recettoriale
Tutte le cellule viventi hanno la capacità di ricevere ed elaborare segnali che provengono dall'esterno delle loro membrane, per mezzo di proteine chiamate recettori, situate sulla superficie della cellula ed incorporate nella membrana plasmatica: quando tali segnali interagiscono con un recettore, indirizzano efficacemente la cellula a fare qualcosa, come dividersi, morire o consentire la creazione di sostanze, o permettere a sostanze specifiche di entrare o uscire dalla cellula stessa; la capacità di una cellula di rispondere a un messaggio chimico dipende dalla presenza di recettori sintonizzati su quel messaggio e dal numero di recettori presenti sintonizzati su quello specifico messaggio.
I recettori vengono creati, o espressi, dalle istruzioni nel DNA della cellula e possono essere aumentati o sovraregolati (up-regolation) quando il segnale è debole, oppure diminuiti o sottoregolati (down-regulation) quando è forte.
La up-regulation implica un aumento di questi recettori sulla superficie cellulare: il meccanismo di regolazione è basato, soprattutto, sullo squilibrio del ricambio e della produzione delle proteine che...
- up-down regulation
definizione
Processo di regolazione dell’espressione genica: un segnale di tipo chimico, per poter essere ricevuto da una cellula, necessita dell’esistenza di un recettore presente sulla membrana della cellula destinataria del segnale; tale recettore è costituito da una proteina espressa dal genoma della cellula, e la quantità di molecole di questa proteina esposta verso l’ambiente extracellulare influenza la sensibilità delle cellule al segnale.
La up-regulation si ha quando si innesca un progressivo incremento dei recettori di membrana, mentre la down-regulation ne implica una diminuzione, come risposta alla presenza della sostanza biochimicamente attiva, in grado di interagire con tali recettori: il meccanismo di regolazione è basato, soprattutto, sullo squilibrio del ricambio e della produzione delle proteine che costituiscono i recettori cellulari.
Nel caso della down-regulation, se le molecole del segnale (un ormone o un neurotrasmettitore) aumentano la loro concentrazione nello spazio extracellulare, i recettori di membrana esauriranno la loro funzione in tempi relativamente brevi per l’elevato numero di molecole che la cellula internalizzerà grazie alla loro presenza: spesso ciò risulta in una diminuzione del numero di recettori di membrana per quel determinato agente, poiché il ricambio dei recettori è più lento del loro consumo.
La up-regulation ha luogo, invece, quando il numero di recettori aumenta, aumentando di conseguenza la sensibilità della cellula.
Entrambi i processi sono solitamente reversibili: se viene ristabilita l’omeostasi dell’ambiente extracellulare, il numero di recettori, e di conseguenza la sensibilità della cellula a un determinato segnale, tornerà a stabilizzarsi intorno a una funzionalità fisiologica.
La sottoregolazione o la sovraregolazione di un RNA o di una proteina può anche derivare da un’alterazione epigenetica: un’alterazione epigenetica può essere permanente o semipermanente ovvero può far sì che l’espressione...
- tolleranza
definizione
L'attitudine e la predisposizione a sopportare o subire qualche cosa che in sé sia o potrebbe essere spiacevole, dannosa, o difficile da subire senza ricevere danni significativi: in pratica la capacità di sopportazione, che possiamo indicare come il limite massimo della capienza e della resilienza; dal latino tolerantia, derivato di tolerare (→ sopportare, sostenere, subire), affine a tollĕre (→ levare).
immunotolleranza
Si parla di tolleranza immunitaria (o immunologica) quando ci si riferisce a quella particolare condizione biologica che si può osservare in natura, caratterizzata dall’assenza di reazioni immunitarie a contatto con i propri antigeni: la perdita dell'immunotolleranza verso gli antigeni presenti sui propri tessuti organici porta alla genesi delle malattie autoimmuni.
tolleranza farmacologica
Chiamata anche farmaco-tolleranza, rappresenta la diminuita responsività dell'organismo all’azione di un farmaco, con la conseguente necessità di aumentarne progressivamente la dose per ottenere l’effetto abituale: l’acquisizione di una condizione di una tolleranza farmacologica si verifica tipicamente nell’uso ripetuto di narcotici e rappresenta un fattore essenziale, o comunque favorente, per lo sviluppo della tossicodipendenza: il processo solitamente è dovuto da un'adattamento corporeo volto ad accelerare il metabolismo della sostanza stessa, per eliminarla più velocemente o inattivarne gli effetti, come avviene ad esempio per i barbiturici o l'alcool. Il fenomeno non deve essere confuso con la resistenza farmacologica.
- sensibilizzazione
definizione
Processo di apprendimento non-associativo, in cui la somministrazione ripetuta di uno stimolo provoca il progressivo aumento della risposta; spesso è caratterizzata da un incremento della risposta a tutta una classe di stimoli in aggiunta a quello che si ripete: ad esempio, la ripetizione di uno stimolo doloroso può rendere un individuo più reattivo a un forte rumore.
Letteralmente potrebbe essere definito come il rendere più sensibile: etimologicamente il lemma discende, attraverso sensibilizzare, dal latino sensibilis (sensibile) a sua volta derivazione di sĕntire (sentire) cioè percepire; si potrebbe dire che sensibilizzazione possa essere "tradotto" con reso particolarmente percettivo, incrementare la percezione.
Il processo di sensibilizzazione può riferirsi all'acquisizione di comportamenti o concernere la reazione dell'organismo a stressor. In alcuni casi il fenomeno comporta un’abnorme reattività nei confronti di sostanze estranee con cui esso venga a contatto: è il caso dell'instaurarsi di reazioni immunitarie umorali o cellulari, che vengono attivate ad ogni successivo rapporto con la sostanza in gioco; la risposta con cui si manifesta l’avvenuta sensibilizzazione dell’organismo, dette reazioni da ipersensibilità, possono assumere caratteri molto variabili, per esempio eczemi, orticaria, accessi asmatici, reazioni anafilattiche.
Storicamente è stato Eric Kandel uno dei primi a studiare le basi neurali della sensibilizzazione comportamentale, conducendo esperimenti negli anni 1960 e 1970 sui riflessi dei molluschi: dopo aver sensibilizzavano gli animali indebolendo la reazione che avrebbero avuto, toccandoli ripetutamente, applicavano uno stimolo elettrico fastidioso sulla coda, provocando una reazione; dopo questa sensibilizzazione, anche un tocco leggero produceva una forte risposta, che durava per diversi giorni. Nel 2000, a Eric Kandel fu assegnato il Premio Nobel per la medicina per le sue ricerche nei processi di apprendimento...
- down-regulation
definizione
Un segnale di tipo chimico, per poter essere ricevuto da una cellula, necessita dell’esistenza di un recettore presente sulla membrana della cellula destinataria del segnale: tale recettore è costituito da una proteina espressa dal genoma della cellula, e la quantità di molecole di questa proteina esposta verso l’ambiente extracellulare influenza la sensibilità della cellula al segnale.
Nel contesto biologico della produzione di prodotti genici da parte degli organismi, il sistema up-down regulation regola l'espressione genica dei recettori: la down-regulation, chiamata anche sottoregolazione, è il processo mediante il quale una cellula diminuisce la quantità di un componente cellulare, come l'RNA o una proteina, in risposta a uno stimolo esterno mentre la up-regulation incrementa tali proteine.
down-regulation recettoriale
Tutte le cellule viventi hanno la capacità di ricevere ed elaborare segnali che provengono dall'esterno delle loro membrane, per mezzo di proteine chiamate recettori, situate sulla superficie della cellula ed incorporate nella membrana plasmatica: quando tali segnali interagiscono con un recettore, indirizzano efficacemente la cellula a fare qualcosa, come dividersi, morire o consentire la creazione di sostanze, o permettere a sostanze specifiche di entrare o uscire dalla cellula stessa; la capacità di una cellula di rispondere a un messaggio chimico dipende dalla presenza di recettori sintonizzati su quel messaggio e dal numero di recettori presenti sintonizzati su quello specifico messaggio.
I recettori vengono creati, o espressi, dalle istruzioni nel DNA della cellula e possono essere aumentati o sovraregolati (up-regolation) quando il segnale è debole, oppure diminuiti o sottoregolati (down-regulation) quando è forte.
La down-regulation implica una diminuzione di questi recettori sulla superficie cellulare: il meccanismo di regolazione è basato, soprattutto, sullo squilibrio del ricambio e della produzione delle...
- tachifilassi
definizione
Forma di farmaco-tolleranza, chiamata anche tolleranza acuta o tolleranza a breve termine, che si sviluppa nei confronti di farmaci o altri tipi di sostanze: è una forma di tolleranza farmacologica che si instaura poco tempo dopo l'assunzione di un determinato farmaco, causando la diminuzione e/o la scomparsa dell'effetto farmacologico, solitamente come conseguenza della somministrazione di un'unica dose massiccia, oppure dopo somministrazione di dosi uguali e ripetute, molto ravvicinate l'una all'altra; dal greco ταχυ- (takhy-), elemento compositivo tratto da ταχύς (takhýs → veloce) e ϕύλαξις (phýlaxis → difesa).
Solitamente, la tachifilassi può risolversi altrettanto rapidamente interrompendo l'assunzione del farmaco: anche se, al fine di ottenere nuovamente l'effetto terapeutico, potrebbe sembrare ovvio aumentare il dosaggio di farmaco somministrato, non solo non sempre è possibile ma, al contrario, frequentemente è controindicata in quanto si potrebbe raggiungere la dose tossica; l'assunzione di dosi eccessive può produrre effetti tossici anche molto gravi e talvolta addirittura fatali.
meccanismi causali
La tachifilassi può manifestarsi come conseguenza di differenti diversi meccanismi che dipendono da svariati fattori, quali il tipo di farmaco utilizzato, la dose somministrata, la via e la frequenza di somministrazione e il "bersaglio" biologico del farmaco: in ogni caso un fattore causale è l'esposizione continua o ripetuta a concentrazioni uguali del medesimo farmaco; i principali meccanismi capaci di originare questo fenomeno sono:
⇒ mancato accesso al recettore (solitamente temporaneo) - il farmaco non riesce a legarsi al suo bersaglio e, pertanto, non può esercitare la sua azione.
⇒ alterazione del recettore bersaglio - talvolta si verifica un cambiamento conformazionale che ostacola il legame con il farmaco.
⇒ desensibilizzazione del recettore - in seguito all'interazione con il farmaco e all'attivazione di una risposta iniziale,...
- recettore
definizione
Dal latino receptor (→ ricettatore), derivato dal participio passato di recipĕre (→ accogliere, ricevere), letteralmente “che riceve”: qualsiasi struttura capace di reagire a sollecitazioni specifiche, sviluppando una reazione caratteristica; il termine è utilizzato per descrivere sia siti recettivi della membrana cellulare o delle strutture subcellulari in grado di reagire specificamente mediatori chimici (neurotrasmettitori, ormoni), sia strutture nervose, morfologicamente ben definite, capaci di ricevere stimoli provenienti dall'ecosistema (l’ambiente esterno o interno all'organismo) e di trasdurli in impulsi nervosi da inviare ai centri superiori.
- frequenza
definizione
Il numero di volte che un fatto si ripete o che un fenomeno avviene in una estensione di tempo più o meno determinata, talora espresso con una precisa entità numerica, altre volte con aggettivi o altre espressioni che indicano genericamente la maggiore o minore distanza che separa tra loro le successive manifestazioni, la loro costanza o regolarità; dal latino frequentia (→ il ripetersi spesso): ripetizione, ripetitività, reiterazione, ma anche ritmo, cadenza, ciclicità, sequenza.
- farmaco-tolleranza
definizione
La diminuita responsività all’azione di un farmaco con conseguente necessità di aumentarne progressivamente la dose per ottenere l’effetto abituale; riduzione dell’intensità dell’effetto, solitamente come conseguenza di somministrazioni ripetute o di un uso continuativo, che si costituisce proporzionalmente ai dosaggi, alla frequenza di assunzione ed alla brevità dell’intervallo intercorso tra gli eventi: la tolleranza farmacologica, in realtà è dose-dipendente e non farmaco-dipendente (farmaco-specifica), per cui l'incremento della quantità assunta per singola somministrazione è solitamente in grado di superare la farmaco-tolleranza, per ristabilire l’azione farmacologica compromessa o perduta.
classificazione della tolleranza farmacologica
La farmaco-tolleranza fa parte del fenomeno della assuefazione e deve essere distinta dalla farmaco-resistenza che, viceversa, è farmaco-specifica e non dose-dipendente; la farmaco-tolleranza può essere congenita o acquisita:
⇒ tolleranza congenita (innata) - dovuta al corredo genetico individuale, determina un minore effetto di un farmaco sull'organismo, manifestandosi fin dalla prima volta che il farmaco viene assunto: polimorfismi dei geni codificanti per enzimi coinvolti nelle varie fasi farmacocinetiche o le variazioni nelle risposte recettoriali sono le principali cause predisponenti.
⇒ tolleranza comportamentale - si presenta quando si acquisiscono strategie atte a conservare una certa funzione nonostante lo stato tossico, come avviene, ad esempio, negli alcolisti che possono imparare a camminare in linea retta, neutralizzando apparentemente gli effetti di quanto assunto; in presenza di maggiori livelli di intossicazione, la tolleranza comportamentale viene a mancare e le carenze si manifestano.
⇒ tolleranza condizionata - è una forma di tolleranza specifica per una determinata situazione, ovvero un meccanismo di apprendimento che si sviluppa quando riferimenti o...
- sulforafano
definizione
Composto solforato, appartenente al gruppo degli isotiocianati, presente in diverse specie vegetali, quali broccoli, cavoli e cavolini di Bruxelles ed altri membri della famiglia delle Cruciferæ: in natura lo si ritrova come sulforafanina, un glucosinolato, da cui viene liberato quando entra entra in contatto con l'enzima mirosinasi, sotto forma di glucorafanina, ovvero nelle sua forma glicosilata (cioè legata ad una molecola di uno zucchero) che rappresenta una forma di stoccaggio biologico di sulforafano, oppure come sulforafano libero.
importanza nutrizionale del sulforafano
La sua azione sembra esplicarsi su differenti sistemi organici: innanzitutto previene e combatte le malattie cardiovascolari, riducendo i livelli pressori (anti-ipertensivo), l’indurimento delle arterie (aterosclerosi) e l’ossidazione delle cellule causata dall’ischemia cerebrale o i danni subiti dal cuore a seguito di attacco cardiaco; sembra dotato di proprietà antitrombotiche ed inibisce l’aggregazione piastrinica riducendo la formazione di coaguli di sangue
Il sulforafano è in grado di controllare il metabolismo del glucosio: la sua assunzione induce una diminuzione dei livelli di glucosio nel sangue: in particolare negli obesi si rivela molto efficace in tal senso, riducendo sia la glicemia, sia la concentrazione di emoglobina glicata; parte della sua azione è riconducibile alla capacità di inibire il rilascio di glucosio dalle cellule epatiche e ridurre la gluconeogenesi. Essendo in grado di incrementare e di ridurre l'accumulo di trigliceridi nelle cellule adipose, stimolando la perdita di grasso, può essere considerato un valido coadiuvante per il trattamento delle non solo delle dis-glicemie e delle dislipemie, ma come potenziale supporto anti-obesità. Con la sua somministrazione sono stati notati numerosi effetti come: riduzione del peso, diminuzione dei livelli di leptina e insulina, miglioramenti nell’insulino-resistenza e della tolleranza al glucosio; ha...
- acido grasso omega-6
definizione
Chiamati anche acidi grassi ω-6, sono una famiglia di acidi grassi polinsaturi (P.U.F.A.), a cui appartengono l'acido linoleico (LA), l'acido γ-linolenico (GLA), l'acido diomo-γ-linolenico (DGLA) e l'acido arachidonico (AA); solitamente di origine vegetale, sono caratterizzati dalla presenza, sulla catena carboniosa, del primo doppio legame C=C sul sesto atomo di carbonio a partire dal fondo dell'acido grasso, ovvero dal gruppo metilico (-CH3) terminale, definito carbonio ω (omega), ultima lettera dell'alfabeto greco.
L'acido linoleico (C18:2 ω-6), definito acido grasso essenziale in quanto non può essere sintetizzato dall'organismo, è, fra gli acidi grassi ω-6, quello caratterizzato dalla catena alifatica più breve: tutti gli altri acidi grassi possono essere sintetizzati partendo proprio da questo acido grasso, dando origine, attraverso differenti processi enzimatici, a metaboliti attivi come gli endocannabinoidi, le lipossine o gli eicosanoidi.
Gli acidi grassi ω-6 e gli acidi grassi ω-3 seguono vie metaboliche differenti e distinte e non non possono essere trasformati l’uno nell’altro: l'uomo manca dell'enzima omega-3 desaturasi e, di conseguenza, non è in grado di convertire gli ω-6 in ω-3.
azioni biologiche degli acidi grassi ω-6
Gli omega 6 sono molto importanti perché, rientrando fra i componenti delle membrane cellulari, necessari per la corretta funzionalità di tutti i tessuti; l’acido linoleico è essenziale per il mantenimento della barriera idrolipidica della pelle ed è coadiuvato dall’acido γ-linolenico, capace di mantenere l’idratazione e ritardare l’invecchiamento cutaneo. Quest'ultimo interviene nella modulazione della struttura di membrana, controllandone la permeabilità, soprattutto a livello della pelle, del tratto gastrointestinale e contribuendo al funzionamento della barriera ematoencefalica); svolge anche un importante ruolo nella regolazione del trasporto e della sintesi del colesterolo, intervenendo nel controllo delle...
- gluconeogenesi
definizione
Dal greco γλυκύς (glykýs → dolce), νέος (néos → nuovo) e -γενής (genḗs → nato da) e con il significato attivo «che genera» dal tema γεν- (→ generare), detta anche neoglucogenesi, è un processo metabolico mediante il quale, in caso di necessità dovuta ad una carenza di glucosio nel flusso ematico (ipoglicemia), a situazioni di stress o ad un aumento del fabbisogno energetico per ottenere una performance, un composto non glucidico viene convertito in glucosio, seguendo sostanzialmente le tappe inverse delle glicolisi: in pratica può essere definita come la sintesi biologica del glucosio a partire da sostanze diverse dai carboidrati, il cui scopo è quello di contribuire a mantenere pressoché costante la concentrazione ematica di glucosio; i principali precursori non carboidrati sono l’acido lattico, gli amminoacidi e il glicerolo, derivati rispettivamente dal catabolismo del glucosio, delle proteine e dei fosfolipidi.
Il cervello, in condizioni normali, utilizza esclusivamente glucosio, mentre nel digiuno interprandiale (tra un pasto e l'altro), dopo aver esaurito le riserve glucidiche presenti nel glicogeno, utilizza il glucosio derivante dagli amminoacidi ottenuti dall'idrolisi delle proteine strutturali: le proteasi degradano le proteine ad amminoacidi che poi, per azione di enzimi transaminasi, vengono trasformati in α-chetoacidi, a loro volta utilizzati per sostituire il glucosio; in caso di digiuno prolungato (2-3 giorni) sfrutta sempre più le proprietà energetiche dei corpi chetonici.
In caso di ipoglicemia, il glucagone, secreto dalle cellule α del pancreas, interagisce con i recettori bersaglio presenti sugli epatociti, dove si attiva la gluconeogenesi: contemporaneamente l'ormone agisce sugli adipociti stimolando la lipasi ormone-sensibile a scindere i trigliceridi in glicerolo e molecole di acidi grassi questi ultimi verranno convertiti in acetil-CoA e inviati nei processi catabolici per la produzione di energia sotto forma di...
- acido grasso saturo
definizione
Chiamati anche con l'acronimo S.F.A., dall'inglese «saturated fatty acids», sono acidi grassi costituiti da una catena carboniosa formata unicamente da legami singoli (C–C) e per questo definita “satura” a differenza di quelli “insaturi”, che presentano uno o più doppi legami (C=C): questi nutrienti sono formati da una lunga catena carboniosa, che inizia con un gruppo carbossilico (-COOH), termina con un gruppo metilico (-CH3) e presenta nella parte centrale una serie di atomi di carbonio ciascuno dei quali è accoppiato a due atomi di idrogeno (–CH2–CH2–), ovvero nessun doppio legame (C=C).
Possono essere di origine naturale o derivati per idrogenazione di acidi grassi insaturi; in natura esistono numerose forme di acidi grassi saturi che differiscono tra loro per il numero di atomi di carbonio della molecola, i quali partendo dai tre atomi dell'acido propionico giungono fino all'acido esatriacontanoico che possiede una catena di 36 atomi di carbonio.
Anche se la cosa è piuttosto frequente, non è corretto utilizzare come sinonimi i termini “acido grasso” e “grasso”, in quanto questi ultimi, sono formati da una molecola di glicerolo esterificata con tre acidi grassi e prendono il nome di trigliceridi: si definisce saturo un trigliceride in cui tutti e tre gli acidi grassi sono saturi; i grassi saturi sono presenti in natura, in forma prevalentemente di trigliceridi, sia nel mondo animale, nel quale rappresentano la quasi totalità della componente grassa, sia nel mondo vegetale, anche se molti olii vegetali sono di norma costituiti principalmente da acidi grassi insaturi.
I trigliceridi sono fondamentali per il nostro organismo, in quanto una volta assunti vengono scissi grazie agli enzimi gastro-intestinali (lipasi) in acidi grassi e glicerolo: una volta assorbiti, gli acidi grassi sono veicolati ai mitocondri per produrre energia mentre il glicerolo viene recuperato dal fegato per la neoglucogenesi; i trigliceridi vengono accumulati entro gli...
- ponte disolfuro
definizione
Gruppo funzionale, costituito da due atomi di zolfo legati (-S-S-), che riveste una notevole importanza nella stabilizzazione della struttura terziaria di molte proteine: nei polipeptidi e nelle proteine naturali, la formazione dei ponti disolfuro avviene per ossidazione dei gruppi tiolici (-SH) dell'amminoacido cisteina; etimologicamente disolfuro è composto da di- (dal greco δίς- → due volte), solfo- (dal latino sŭlphur → zolfo) col suffisso -uro (che indica un composto binario fra un metallo e un non metallo), letteralmente un composto fra due molecole di zolfo. Si parla di legame disolfuro o di ponte disolfuro quando entrambi gli atomi di zolfo di un disolfuro sono legati covalentemente ad un radicale rappresentato dall'atomo di carbonio di un composto organico. Oltre al legame peptidico gli amminoacidi possono essere legati tra loro tramite ponti disolfuro; l’interconversione tiolo-disolfuro è una reazione di ossidoriduzione in cui il tiolo (-SH) costituisce la stato ridotto e il disolfuro (-S-S-) lo stato ossidato.
ponti disolfuro e glutatione
L’agente che media la formazione e la degradazione di ponti disolfuro, nella maggior parte delle proteine, è il tripeptide glutatione o GSH, un coenzima versatile costituito da cisteina, glicina e glutammato: due molecole di glutatione possono dimerizzare per dare il GSSG in cui è presente un ponte disolfuro.
Il glutatione rappresenta all’interno delle cellule il più abbondante composto (circa il 95% del totale) contenente gruppi solfidrilici ridotti (-SH) e ha la funzione di mantenere allo stato ridotto i gruppi -SH di molti enzimi e proteine: l’importanza di questa funzione è legata al fatto che l’ossidazione dei gruppi -SH, con la formazione di ponti disolfuro (-S-S-) intramolecolari o intermolecolari (cioè all'interno della stessa molecola o fra differenti molecole), provoca, nella maggior parte dei casi, l’inattivazione dell’enzima o la perdita della funzione biologica della proteina.
I...
- atomo ossidato
definizione
In una reazione di ossidoriduzione (reazioni redox) si generano flussi di elettroni fra differenti atomi o molecole, in quanto un elettrone lascia un reagente non può rimanere libero nell'ambiente, ma deve muoversi verso un altro reagente: l'atomo che cede questi elettroni, diventando più elettropositivo rispetto all'inizio della reazione, si definisce atomo in uno “stato ossidato”, ovvero “atomo ossidato”; per questo suo stato viene anche definito “agente riducente” essendo dotato del potenziale elettrico di acquisire gli elettroni ceduti dalla specie ossidante.
Una reazione redox si traduce in un cambiamento dello stato di ossidazione degli atomi o degli ioni a causa del trasferimento effettivo o formale di elettroni: una specie chimica si riduce quando guadagna elettroni e viene ossidata quando perde elettroni; un equivalente ossidante funge da recettore di elettroni e si riduce, acquisendo elettroni, quando riceve un elettrone da un accettore di elettroni (equivalente riducente).
Un atomo ossidante che si comporta da agente riducente in una reazione, sarebbe un agente ossidante se la reazione fosse invertita; se un atomo agisce come un agente ossidante od un agente riducente dipende dalla direzione in cui la reazione è spontanea. Le reazioni si verificano spontaneamente se i loro prodotti sono relativamente più stabili dei loro reagenti.
- atomo ridotto
definizione
In una reazione di ossidoriduzione (reazioni redox) si generano flussi di elettroni fra differenti atomi o molecole, in quanto un elettrone lascia un reagente non può rimanere libero nell'ambiente, ma deve muoversi verso un altro reagente: l'atomo che acquisisce questi elettroni, diventando più elettronegativo rispetto all'inizio della reazione, si definisce atomo in uno “stato ridotto”, ovvero “atomo ridotto”; per questo suo stato viene anche definito “agente ossidante” essendo dotato del potenziale elettrico di cedere gli elettroni acquisiti.
Una reazione redox si traduce in un cambiamento dello stato di ossidazione degli atomi o degli ioni a causa del trasferimento effettivo o formale di elettroni: una specie chimica si riduce quando guadagna elettroni e viene ossidata quando perde elettroni; un equivalente riducente funge da donatore di elettroni e si ossida, perdendo elettroni, quando dona un elettrone a un accettore di elettroni (equivalente ossidante).
Un atomo ridotto che si comporta da agente ossidante in una reazione, sarebbe un agente riducente se la reazione fosse invertita; se un atomo agisce come un agente ossidante od un agente riducente dipende dalla direzione in cui la reazione è spontanea. Le reazioni si verificano spontaneamente se i loro prodotti sono relativamente più stabili dei loro reagenti.
- COX
definizione
Acronimo per «Cyclo OXygenase», ovvero cicloossigenasi, un enzima ossigeno-dipendente, appartenente alla classe delle ossidoreduttasi e simile alla lipossigenasi, che interviene nella biosintesi delle prostaglandine e di differenti prostanoidi: la reazione catalizzata è la seguente
acido arachidonico + 2 GSH + 2 O2 ⇄ prostaglandina H2 + GS-SG + H2O
dove GSH e GS-SG rappresentano il cofattore della reazione ovvero, rispettivamente il glutatione in fase ridotta (GSH) ed in fase ossidata (GS-): le due molecole di glutatione, nella reazione, passano dallo stato ridotto allo stato ossidato, attraverso la la formazione di un ponte disolfuro S-S e la condensazione delle due molecole nella forma ossidata.
I prostanoidi sono mediatori lipidici che regolano la risposta infiammatoria: sono generati ampiamente in risposta a diversi stimoli e, agendo in modo paracrino o autocrino, svolgono un ruolo importante nella normale fisiologia e malattia; le principali fonti di prostanoidi nell'infiammazione acuta sono i fagociti, le cellule endoteliali e le piastrine.
classificazione delle cicloossigenasi
Chiamato anche prostaglandina-endoperossido sintasi (PGH sintasi o PTGS), in realtà, più che di enzima, sarebbe corretto parlare di famiglia di isoenzimi, in quanto si conoscono, al momento, tre differenti isoenzimi distinti ma correlati:
⇒ COX-1 (o PGH sintasi-1) − si tratta di un enzima costitutivo, sempre attivo nell'organismo, responsabile della sintesi delle prostaglandine, in particolare della conversione dell'acido arachidonico a prostaglandina H2: è espressa da molti tessuti, principalmente dalle cellule endoteliali, nelle quali si localizza sul reticolo endoplasmatico e sulla membrana nucleare ed in particolare è presente nel cervello, nello stomaco, negli endoteli, nei dotti renali e nelle piastrine, svolge una azione protettiva, attivando la produzione di prostanoidi; la sua presenza può aumentare significativamente in seguito a stimolazioni umorali. Le...
- prostanoide
definizione
Sottoclasse degli eicosanoidi, utilizzato per indicare, genericamente e nel loro insieme, molecole quali le prostaglandine (mediatori delle reazioni infiammatorie e anafilattiche), trombossani (mediatori della vasocostrizione), prostacicline (attive nella fase di risoluzione dell'infiammazione), leucotrieni ed altri composti prostaglandino-simili.
sintesi dei prostanoidi
La biosintesi dei prostanoidi avviene per azione della fosfolipasi A2 sui lipidi di membrana: l'enzima consente il rilascio di acido arachidonico che, per azione della cicloossigenasi che, mediante un processo in due fasi, avvia il processo a catena che porta alla formazione dei prostanoidi; nella prima fase, due molecole di O2 vengono aggiunte per perossidazione, inducendo la ciclizzazione, al centro della molecola lineare dell'acido arachidonico, con la formazione di un anello a 5 atomi di carbonio: questo forma la prostaglandina G (PGG), un metabolita intermedio a breve emivita che, causa il rilascio di una molecola di un singolo ossigeno, si trasforma in una prostaglandina H (PGH) da cui possono originare tutti gli altri prostanoidi.
I prostanoidi sono mediatori lipidici che regolano la risposta infiammatoria: sono generati ampiamente in risposta a diversi stimoli e, agendo in modo paracrino o autocrino, svolgono un ruolo importante nella normale fisiologia e malattia; le principali fonti di prostanoidi nell'infiammazione acuta sono i fagociti, le cellule endoteliali e le piastrine.
azione dei prostanoidi
La produzione di prostanoide dipende dall'attività del due isoforme degli enzimi cicloossigenasi all'interno delle cellule: COX-1, che è presente nella maggior parte delle cellule e la cui espressione è generalmente costitutiva, e COX-2, la cui espressione è bassa o non rilevabile nella maggior parte delle cellule ma aumenta notevolmente con la stimolazione, in particolare nelle cellule del sistema immunitario: l'aumentata espressione di COX-2 da parte di stimoli...
- cicloossigenasi
definizione
Indicato spesso con l'acronimo COX («CycloOXygenase»), è un enzima ossigeno-dipendente, appartenente alla classe delle ossidoreduttasi e simile alla lipossigenasi, che interviene nella biosintesi delle prostaglandine: la reazione catalizzata è la seguente
acido arachidonico + 2 GSH + 2 O2 ⇄ prostaglandina H2 + GS-SG + H2O
dove GSH e GS-SG rappresentano il cofattore della reazione ovvero, rispettivamente il glutatione in fase ridotta (GSH) ed in fase ossidata (GS-): le due molecole di glutatione, nella reazione, passano dallo stato ridotto allo stato ossidato, attraverso la la formazione di un ponte disolfuro S-S e la condensazione delle due molecole nella forma ossidata.
classificazione delle cicloossigenasi
Chiamato anche prostaglandina-endoperossido sintasi (PGH sintasi o PTGS), in realtà, più che di enzima, sarebbe corretto parlare di famiglia di isoenzimi, in quanto si conoscono, al momento, tre differenti isoenzimi distinti ma correlati:
⇒ COX-1 (o PGH sintasi-1) − si tratta di un enzima costitutivo, sempre attivo nell'organismo, responsabile della sintesi delle prostaglandine, in particolare della conversione dell'acido arachidonico a prostaglandina H2: è espressa da molti tessuti, principalmente dalle cellule endoteliali, nelle quali si localizza sul reticolo endoplasmatico e sulla membrana nucleare ed in particolare è presente nel cervello, nello stomaco, negli endoteli, nei dotti renali e nelle piastrine, svolge una azione protettiva, attivando la produzione di prostanoidi; la sua presenza può aumentare significativamente in seguito a stimolazioni umorali. Le cicloossigenasi sono direttamente interessate nei processi infiammatori e nella coagulazione del sangue, nonché nel corretto funzionamento di organi quali stomaco e reni.
⇒ COX-2 (o PGH sintasi-2) − presente nel cervello, nel testicolo, nella prostata, nel rene e nell’endotelio ma in tutti gli altri tipi cellulari è inducibile: la sua espressione nelle cellule immunitarie e...
- effetto collaterale
definizione
Un farmaco, o una sostanza dotata di un'azione farmacologica o biologica, oltre a provocare l’effetto fondamentale (o desiderato) per cui è stato somministrato, può causare anche uno o più effetti secondari che, a seconda degli esiti o delle modalità di manifestazione o espressione, possono essere definiti effetti collaterali (side effect), fenomeni avversi o reazioni avverse (adverse reaction); lo stesso può verificarsi come conseguenza di trattamenti o di terapie corporee, psicologiche o somato-emotive.
Secondo la definizione ufficiale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità si definisce effetto collaterale «qualsiasi effetto non intenzionale di un farmaco che insorga alle dosi normalmente impiegate nell'uomo e che sia connesso alle proprietà del farmaco»; gli elementi essenziali in questa definizione sono la natura farmacologica degli effetti, che il fenomeno non è intenzionale e che non vi sia palese sovradosaggio, anche se il concetto può essere esteso alle altre forme di terapie non necessariamente farmacologiche.
Effetti collaterali ed effetti indesiderati possono essere considerati sinonimi, intendendo descrivere uno o più effetti non intenzionali, non previsti o non desiderati, anche se non necessariamente nocivi, che insorgono alle dosi normalmente impiegate, connesse alle proprietà del farmaco e legati all’azione farmacologica della sostanza terapeutica utilizzata. Alcuni effetti collaterali sono lievi o considerabili “banali”, altri possono essere decisamente più gravi e pericolosi: solitamente, per quello che riguarda i farmaci, quelli conosciuti sono elencati nel cosiddetto “bugiardino”, il foglietto illustrativo allegato al prodotto.
effetti collaterali: conseguenze non volute
Il concetto intrinseco nell'idea di collaterale è qualcosa che avviene parallelamente, a latere, dall'evento principale: derivato dal latino collateralis, composto di cum- (→ unione, partecipazione, collegamento) e latus (→ fianco), indica ciò che «sta a...
- a latere
definizione
Locuzione latina che significa letteralmente «collateralmente», «accanto», «a fianco» o «di lato»: ha il significato di "associato a" o "in margine a", come quando si parla di un evento secondario che avviene in concomitanza di uno principale o di un aspetto secondario.
- iatrogenesi
definizione
Letteralmente «origine medica di una patologia», ovvero ciò che è causato dal medico o dalla medicina, derivante dall'azione medica o terapeutica: il termine è utilizzato per indicare patologie, effetti collaterali o complicanze dovute a farmaci o a trattamenti medici errati; il fenomeno può dipendere da aspetti individuali o caratteristiche legate al farmaco, che interagiscono fra loro, con aspetti talora imprevedibili; dal greco ἰατρός (iatròs → medico) e γένεσις (-génesis→ origine), dalla radice γεν- di γίγνομαι (gígnomai → nascere, generare).
medicina e iatrogenicità
Nel linguaggio medico, si utilizza il lemma «iatrogeno», per indicare una malattia, una lesione o un danno funzionale attribuibile, in via diretta o indiretta, ad un intervento terapeutico o diagnostico effettuato nell'ambito di un processo terapeutico: manifestazioni allergiche, tossiche o irritative da farmaci o vaccini; i danni da radiazioni ionizzanti, da indagini endoscopiche, bioptiche; le lesioni traumatiche causate da un fisioterapista od un osteopata; il peggioramento di patologie o sintomi conseguenti all'imperizia di naturopati o erboristi possono essere tutte considerate patologie iatrogene.
La iatrogenesi si riferisce il più delle volte alle conseguenze negative delle azioni dei medici, ma può essere riferita anche a errori attribuibili a psicologi, terapeuti, farmacisti, infermieri, dentisti ed altre categorie di terapeuti o personale sanitario.
Infatti il processo iatrogenetico è da considerarsi la conseguenza nociva dell'azione medica o terapeutica, descrivendo sia gli effetti secondari, sia l'insorgenza di un processo patologico, derivanti dalla cura o comunque conseguente a un intervento terapeutico.
Una manifestazione iatrogena deve essere considerata una malattia, una lesione o un danno funzionale attribuibile, in via diretta o indiretta, a intervento diagnostico o terapeutico, potendo riferirsi sia all'azione di un terapeuta nell'ambito della medicina...
- I.B.S.
definizione
Acronimo di «irritable bowel syndrome», ovvero sindrome dell'intestino irritabile, è un quadro sintomatologico caratterizzato da disfunzionalità cronica dell'apparato gastro-intestinale, contraddistinto da sintomi eterogenei e aspecifici quali crampi allo stomaco, flatulenza e meteorismo, bloating, dolore addominale (crampi), associati ad alterazioni dell'alvo, alternanza di stipsi e costipazione o diarrea e alterata defecazione; può essere considerata una forma di M.I.C.I. o di infiammazione cronica a bassa intensità.
- sindrome dell’intestino irritabile
definizione
Detta anche I.B.S. (dall'inglese «Irritable Bowel Syndrome») è un disturbo che interessa l'ultimo tratto dell'intestino, il colon, pur associandosi spesso a fenomeni irritativi del tenue, soprattutto nella sua parte ileale.
Anche se spesso patogenesi e sintomatologia possono sovrapporsi e confondersi, assimilandola alle cosiddette M.I.C.I., non dovrebbe essere assolutamente confusa con la Retto-Colite Ulcerosa, il Morbo di Crohn o altre patologie intestinali che hanno una propria patogenesi specifica; comunemente viene anche chiamata, impropriamente, Colite Spastica o Sindrome del Colon Irritabile: il termine generico sta a indicare la prevalenza dei sintomi colici, sottintendendo un’infiammazione del colon, anche se in realtà si verifica un coinvolgimento del intestino tenue.
descrizione
Il termine “colite” è, in realtà, improprio, perché starebbe a significare la presenza di una infezione o di una infiammazione del colon, che non necessariamente è presente, mentre esistono evidenze di uno “stato irritativo” dei rivestimenti neuro-mio-enterici dell’intestino tenue e di quello crasso; il confine fra coliti propriamente dette e le forme di pseudo-colite (come appunto la sindrome dell'intestino irritabile) è molto sfumato in quanto si può supporre che siano presenti quadri diffusi o localizzati di infiammazione cronica a bassa intensità sostenute da forme di “allergie non-allergiche” e alterazioni citochimiche con l'attivazione delle reazioni del tessuto linfatico che coinvolgono il G.A.L.T. ed sistema linfatico .
Può essere considerato il disordine disfunzionale gastro-intestinale più diffuso, fra quelli senza evidenti cause organiche, ed è in fortissimo aumento; si calcola, infatti, che i malati siano più del doppio rispetto ad alcuni decenni anni fa: caratterizzato dalla presenza di dolore addominale (crampi), accompagnato da stipsi o da diarrea oppure da un'alternanza...
- primum non nocere
definizione
La locuzione latina, talvolta utilizzata nella forma «primum nihil nocere» o «primum nil nocere», significa per prima cosa, non nuocere: per quanto, spesso, il brocardo sia stato attribuito a Ippocrate, richiamando, sinteticamente, l'essenza concettuale del famoso “giuramento Ippocratico”, che contiene un riferimento esplicito all'astenersi dal produrre danni «ἐπὶ δηλήσει δὲ καὶ ἀδικίῃ εἴρξειν» (→ mi asterrò dal recar danno e offesa).
un po' di storia
L'idea di non indurre danno nel malato è presente anche in altri scritti ippocratici, come nel “Hippocratic Corpus”, dove si afferma che il medico dovrebbe avere «ἀσκέειν, περὶ τὰ νουσήματα, δύο, ὠφελέειν, ἢ μὴ βλάπτειν» (→ due obiettivi particolari, riguardo alla malattia: fare del bene o non fare del male).
Alcuni studi fanno risalire l'origine dell'assioma a Auguste François Chomel, patologo francese, che lo utilizzava come idea fondante dei propri insegnamenti, all'università di Parigi, mentre altri la attribuiscono a Thomas Sydenham, uno dei padri della medicina inglese, nel '600.
Secondo alcuni autori di lingua tedesca, il motto originale recita «primum non nocere, secundum cavere, tertium sanare» (→ in primo luogo non fare del male, come seconda cosa agisci in sicurezza e con attenzione, ed infine favorisci la guarigione) e viene attribuito, almeno concettualmente, al medico Scribonius Largus della corte dell'imperatore Tiberio Claudio.
la filosofia del ben-essere nella cura
Secondo la tradizione ippocratica, infatti, il principio «ἀσκέειν, περὶ τὰ νουσήματα, δύο, ὠφελέειν, ἢ μὴ βλάπτειν» (→ cura il male o almeno non creare nocumento) si pone al centro dell'essenza dell'intervento medico, assumendo il ruolo di presupposto moralmente necessario; pertanto non solo il medico, in primis, non deve nuocere, ma “in secondo luogo, deve essere cauto” e solo alla fine, quando possibile (in terzo luogo) “curare”, ponendo come obiettivo prioritario il fare attenzione a non danneggiare la persona...
- acido grasso
definizione
Componenti fondamentali dei lipidi, sono molecole costituite da una catena di atomi di carbonio, denominata catena alifatica, con un solo gruppo carbossilico (-COOH) ad una estremità: possono essere anche definiti acidi monocarbossilici alifatici derivati o contenuti in forma esterificata in un grasso vegetale o animale, in un olio o od in una cera; generalmente gli acidi grassi possiedono un numero pari di atomi di carbonio, con una catena da 4 a 30 atomi di carbonio, anche se in alcuni alimenti, come gli oli vegetali, ne ritroviamo minime percentuali con numero dispari.
La catena alifatica che li costituisce è tendenzialmente lineare e solo in rari casi si presenta in forma ramificata o ciclica; la lunghezza di questa catena è estremamente importante, in quanto influenza le caratteristiche fisico-chimiche dell'acido grasso: mano a mano che si allunga, la solubilità in acqua diminuisce ed aumenta, di riflesso, il punto di fusione; dal momento che ogni acido grasso è formato da una catena carboniosa alifatica (idrofoba) che termina con un gruppo carbossilico (idrofilo), sono considerati delle molecole anfipatiche o anfifiliche: grazie a questa loro caratteristica chimica, quando vengono posti in acqua tendono a formare delle micelle, strutture sferiche con un guscio idrofilo, costituito dalle teste carbossiliche, e con un cuore lipofilo, costituito dalle catene alifatiche, condizionando pesantemente l'intero processo digestivo dei lipidi.
In base alla presenza o meno di uno o più doppi legami nella catena alifatica, gli acidi grassi vengono definiti saturi quando la loro struttura chimica non contiene doppi legami, insaturi quando sono presenti uno o più doppi legami: in base alla posizione degli atomi di idrogeno associati ai carboni impegnati nel doppio legame, un acido grasso può esistere in natura sotto due forme, una cis, se i due atomi di idrogeno legati ai carboni impegnati nel doppio legame sono disposti sullo stesso piano, e una trans, se...
- acido grasso essenziale
definizione
Famiglia di acidi grassi denominati con l'acronimo E.F.A. (« Essential Fatty Acids»,) o A.G.E. (in italiano, acidi grassi essenziali), chiamati in passato «vitamina F», che, essendo indispensabili per il metabolismo corporeo, devono essere assunti tramite l'apporto dietetico, non potendo essere sintetizzati dal corpo stesso; nello specifico i principali acidi grassi che debbono essere essenziali sono l'acido linoleico (C18:2 ω-6), capostipite degli acidi grassi della serie omega 6, e l'acido α-linolenico (C18:3 ω-3), capostipite della serie omega 3: una volta introdotti tramite la dieta, gli acidi grassi essenziali vengono metabolizzati e trasformati in altri acidi grassi appartenenti alla medesima serie, grazie all'intervento di enzimi chiamati elongasi e desaturasi. Questi acidi grassi derivati sono dotati di proprietà specifiche, sia dal punto di vista funzionale che strutturale.
Dall'acido linoleico (C18:2 ω-6) derivano l'acido γ-linolenico (GLA; C18:3 ω-6), l'acido diomogamma linolenico (DGLA; C20:3 ω-6) e acido arachidonico (AA; C20:4 ω-6); dall'acido α-linolenico (C18:3 ω-3) derivano l'eicosapentaenoico (EPA; C20:5 ω-3) e l'acido docosaesaenoico (DHA; C22:6 ω-3).
L'acido arachidonico, pur non essendo realmente essenziale, lo può diventare con una carenza di acido linoleico o per l'incapacità di convertirlo a livello metabolico; nonostante il corpo sia in grado di produrli, è consigliabile assumere anche EPA e DHA, in virtù dalla grande importanza che rivestono per la salute dell'uomo, per evitare fenomeni carenziali. Mentre l'acido alfa linoleico è presente in abbondanza nei vegetali, l'acido eicosapentaenoico e l'acido docosaesaenoico sono contenuti soprattutto negli alimenti di origine animale; per quanto riguarda gli acidi grassi omega 6, la loro presenza è diffusa e più abbondante negli alimenti vegetali rispetto a quelli animali che contengono principalmente acido arachidonico.
importanza degli acidi grassi essenziali
definizione
Processo di ossidazione, mediato da enzimi detti ossigenasi (ossidoriduttasi), in grado di ossidare un substrato trasferendo su di esso un ossigeno: la reazione chimica che ne deriva è la combinazione di una sostanza o di un elemento con l’ossigeno; dal momento che ogni ossidazione avviene contemporaneamente a una riduzione, cioè all’acquisto di elettroni da parte dell’ossidante, sarebbe più corretto parlare di ossidoriduzione.
Le lipossigenasie e le ciclossigenasi sono enzimi che provvedono all'ossidazione dei lipidi.
- acido diomo-γ-linolenico
definizione
Detto anche diomo-γ-linolenico o, in sigla, DGLA, è un acido grasso polinsaturo (P.U.F.A.) con 20 atomi di carbonio e 3 doppi legami cis, appartenente alla classe degli omega-6 (C20:3 ω-6), presente in piccole quantità negli oli di semi di diverse piante.
Normalmente prodotto a partire dall'acido γ-linolenico, per mezzo di una reazione catalizzata dall'enzima elongasi, che provoca l'allungamento della catena carboniosa: per mezzo di una serie di diverse reazioni enzimatiche, può contribuire alla sintesi degli eicosanoidi, con rilevanti effetti biologici e clinici; catalizzato dall'enzima Δ5-desaturasi, può formare acido arachidonico. Catalizzato dagli enzimi ciclo-ossigenasi 1(COX1) può formare prostaglandine del tipo 1 (PGE1); catalizzato dalle lipossigenasi 15 (15LOX) può formare acido 15 idrossi-eicosatrienoico (15HETrE).
- citocromo CYP1A2
definizione
Indicato anche con la sigla CYP1A2, questo citocromo fa parte di un sottogruppo della superfamiglia degli enzimi del citocromo P450, rappresenta degli enzimi appartenenti alla mono-ossigenasi in grado di catalizzare molte reazioni coinvolte nel metabolismo dei farmaci e nella sintesi del colesterolo, degli steroidi e di altri lipid.
descrizione
Localizzato nel reticolo endoplasmatico della cellula epatica è responsabile del metabolismo di non meno del 5-10%& delle sostanze ad azione farmacologica, tra cui i più importanti sono caffeina, aflatossina B1 (micotossina prodotte dall'Aspergillus), paracetamolo (analgesico e antipiretico), clozapina (antipsicotico), imipramina (antidepressivo triciclici), fluvoxamina (antidepressivo SSRI), fenacetina (antipiretico e antinfiammatorio), teofillina (alcaloide per il trattamento della B.P.C.O. e l'asma bronchiale) o tacrina (inibitore reversibile dell'acetilcolinesterasi attivo a livello del sistema nervoso centrale e impiegato nel trattamento della malattia di Alzheimer). Il CYP1A2 metabolizza anche gli acidi grassi polinsaturi in molecole di segnalazione che hanno attività fisiologiche e patologiche: metabolizza l'acido arachidonico, l'acido docosaesaenoico e l'acido eicosapentaenoico, con possibili effetti sulla pressione sanguigna, sulle risposte infiammatorie e la percezione del dolore.
Il citocromo CYP1A2 può avere differenti gradi di espressività dovuta a fattori genetici e/o ambientali: può essere indotto oppure inibito dalle sostanze nutritive, da molti farmaci o dall'interazioni fra farmaci e cibo: questa interdipendenza fra i differenti substrati metabolici può influenzare significativamente gli effetti delle singole sostanza, potendo determinare un aumento o una diminuzione degli effetti farmacologici; inoltre, il suo è responsabile delle differenti risposte individuali all'azione dei farmaci, potendo dar luogo sia ad un sovradosaggio, sia ad un’incapacità di mantenere l'efficacia terapeutica...
- glutatione S-transferasi
definizione
Famiglia di isoenzimi metabolici di fase II, noti per la loro capacità di catalizzare la coniugazione, ai fini della detossicazione, della forma ridotta del glutatione a substrati xenobiotici o tossine endogene: per questa caratteristica, le glutatione S-transferasi vengono chiamate ligandine per la loro capacità legarsi alle tossine e funzionare come proteine di trasporto; questi enzimi possono essere citosoliche, mitocondriali o microsomiali.
La glutatione S-transferasi catalizza la coniugazione del glutatione, tramite un gruppo sulfidrilico (-SH), ai centri elettrofili di un'ampia varietà di substrati, per rendere i metaboliti potenzialmente tossici ed i radicali liberi, più solubili in acqua: questa attività permette di detossicare l'organismo dii composti endogeni come i lipidi perossidati e consente la scomposizione degli xenobiotici.
funzione enzimatica
L'attività della glutatione S-transferasi dipende da una costante produzione di glutatione dagli enzimi γ-glutamil-cisteina sintetasi e glutatione sintetasi, nonché dall'azione di trasportatori specifici per rimuovere i coniugati di GSH dalla cellula: il ruolo principale della GST è quello di disintossicare gli xenobiotici catalizzando l'attacco nucleofilo del GSH su atomi elettrofili di carbonio, zolfo o azoto di detti substrati xenobiotici non polari, prevenendo così la loro interazione con proteine cellulari cruciali e acidi nucleici.
In particolare, la funzione dei GST in questo ruolo è duplice: legare sia il substrato sia il GSH ai sito idrofobici dell'enzima e, successivamente, per attivare il gruppo tiolico di GSH, consentendo l'attacco nucleofilo al substrato; i metaboliti su cui agisce l'enzima comprendono una vasta gamma di tossine ambientali o esogene, inclusi agenti chemioterapici e altri farmaci, pesticidi, erbicidi, agenti cancerogeni ed epossidi di derivazione variabile: le reazioni di disintossicazione comprendono la sintesi dell'acido mercapturico, con la...
- lomento
definizione
In botanica, frutto secco indeiscente che, a maturità, si frantuma in acheni, ovvero si separa trasversalmente in vari frammenti, ognuno contenente un seme: può essere costituito da un legume o da una siliqua; dal latino lomentum (→ farina di fave), che nell’antica Roma era usata come detersivo, derivato del tema lo- (lau-) di lavĕre (→ lavare).
- achenio
In botanica, frutto secco indeiscente a un solo seme, con un pericarpo più o meno indurito (talvolta anche legnoso) e con parete coriacea non aderente al seme: il frutto è detto indeiscente in quanto il seme, una volta maturato, non ne fuoriesce; dal latino achaenium, derivato dal greco, dal tema χαίνω (kháskō → schiudersi), preceduto dall'α- privativo, ovvero «che non si schiude».
Esempi di acheni sono i semi del tarassaco (Taraxacum Officinale) o del girasole (Helianthus Annuus).
- siliqua
definizione
In botanica, frutto secco, caratteristico delle crucifere (Brassicaceæ), che si apre in due valve e contiene più semi attaccati a un setto mediano che sta fra le valve stesse; dal latino silĭqua (→ baccello, carruba): è un frutto secco deiscente che a maturità libera i semi aprendosi spontaneamente.
- Cruciferæ
definizione
Dette anche Brassicaceæ, le Cruciferæ, note in italiano come crucifere o crocifere sono una famiglia di piante erbacee contraddistinte da “fiori con petali a croce”: di questa famiglia fanno parte il cavolo (Brassica Oleracea), il crescione (Nasturtium Officinale), il rafano (Armoracia Rusticana), il ravanello (Raphanus Sativus), la rapa (Brassica Campestris), la rucola (Eruca Sativa), sono verdure note perché comuni in tavola sotto forma di foglie, radici o gruppi di fiori immaturi; anche la senape è una crocifera, utilizzata per i suoi semi con cui si fa una salsa piccante, mentre la colza (Brassica Napus), la senape bianca (Sinapis Alba), il ravizzone (Brassica Napus) e la camelina (Camelina Sativa) servono come foraggio e per ricavare olio dai loro semi.
Alcune come la coclearia e la senape nera (Brassica Nigra), posseggono proprietà medicinali mentre altre sono coltivate per la bellezza dei fiori, come la violacciocca (Matthiola Incana), o dei frutti, come la lunaria (Lunaria Rediviva) chiamata anche “moneta del papa”; appartiene alle crucifere anche la Anastatica Hierochuntica, detta “rosa di Gerico”.
Il nome Brassicaceæ deriva dal celtico bresic (→ cavolo), mentre Cruciferæ, discende dal latino crucĭfer (→ portatore di croce), per i quattro petali che contraddistinguono queste piante, disposti a forma di croce: piante readali, con foglie sparse e fiori attinomorfi in racemi; il frutto è tipicamente una siliqua, talora un achenio o un lomento.
Il cavolo (Brassica Oleracea) presenta differenti varietà coltivate, circa 150, si possono riunire, per le caratteristiche in differenti gruppi, chiamati cultivar:
⇒ acephala - dal greco ἀκέφαλος (aképhalos → senza testa), di cui fa parte il cavolo (Brassica Oleracea) propriamente detto, dotate di fusto alto, di cui si mangiano le foglie tenere e le spuntature apicali;
⇒ gemmifera - come il cavoletto di Bruxelles (Brassica Oleracea var. Gemmifera), caratterizzate da fusto alto, lungo il quale si...
- glucuronil-transferasi
definizione
Gruppo di enzimi appartenetti alla famiglia della transferasi, più specificamente definiti UDP-glucuronil-transferasi, che, utilizzando l'UDP-glucuronato come substrato, catalizzano la reazione:
UDP-glucuronato + accettore ⇄ UDP + accettore β-D-glucuronoside
Le glucuronosil-transferasi sono responsabili del processo di glucuronidazione, una parte importante del metabolismo epatico di fase II delle tossine endogene o xenobiotiche: questa famiglia di enzimi detossificanti, espressa principalmente nel tessuto epatico, ha la capacità di attaccare un gran numero di substrati, tra i quali figurano i fenoli, gli acidi grassi, gli alcoli, le ammine.
Viene utilizzato l’ da una famiglia di enzimi detossificanti, delle sostanze che sono in grado di agire nei confronti di non pochi farmaci di carattere idrofobico, nello specifico il processo di coniugazione di farmaci, tossine ambientali, agenti cancerogeni con il glucuronato determina la formazione di sostanze derivate più solubili in acqua e per questa ragione risultano più facilmente eliminabili dal sangue tramite il canale della filtrazione glomerulare.
- glucuronoconiugazione
definizione
Detta anche glucuronicoconiugazione, è il processo, che avviene durante la fase II della detossicazione epatica, per cui l’acido glucuronico si combina, mediante il suo gruppo aldeidico, con alcune sostanze tossiche difficilmente ossidabili per renderle idrosolubili e, pertanto, eliminabili dagli organi emuntori.
Le reazioni di glucuronicoconiugazione permettono la corretta detossificazione dai veleni metabolici o xenobiotici: mediate da uno specifico enzima, la glucuronil-transferasi che si concentra maggiormente all’interno degli epatociti, la glucuronazione le sostanze tossiche, siano esse endogene o esogene, così come alcuni farmaci come l’acido salicilico, la morfina, il cloramfenicolo, vengono inibiti per mezzo della coniugazione con l’acido glucuronico formando prodotti inattivi che possono essere eliminati dalle urine attraverso i reni oppure attraverso la bile a livello epatico.
- proteine del latte
definizione
Ogni specie animale produce un latte specifico, chimicamente diverso da quello degli altri animali: per gli esseri umani il latte materno rappresenta un alimento unico, in grado di fornire da solo tutti i nutrienti necessari per soddisfare le esigenze nutrizionali del neonato; dopo lo svezzamento, il latte vaccino può sostituire parzialmente quello materno, divenendo un alimento la cui importanza nutrizionale deriva dal contenuto in proteine, aminoacidi essenziali, calcio, fosforo e vitamina B1, vitamina B2 e vitamina A (contenuta soprattutto nel latte intero), ma anche dalla presenza di lattosio, un disaccaride ad azione ergogenica.
Le proteine del latte possono essere differenziate in caseine, sintetizzate dalla ghiandola mammaria, e quelle del siero, in parte prodotte dalla mammella e in parte formate dalla filtrazione del sangue passando nella secrezione lattea; fra le proteine del siero si ritrovano Β-lattoglobulina e l' α-lattoalbumina, entrambe di origine mammaria, sieroalbumina, lattoferrina, immunoglobuline, enzimi proteolitici, oligopeptidi, permeate dal sangue.
Per quanto il latte umano ed il latte vaccino siano simili, differiscono profondamente nel latte di mucca prevale la Β-lattoglobulina, mentre in quello umano prevale l'alfa-lattoalbumina, che ha proprietà antinfettive e un ruolo protettivo nei confronti dei microrganismi; anche il contenuto in caseina differisce profondamente, in quanto questa proteina, che nel latte vaccino costituisce l'80% della frazione proteica, è quasi 10 volte superiore a quella del latte umano.
Le proteine presenti nel latte vaccino sono responsabili di alcune delle più comuni allergie alimentari: le tipiche manifestazioni allergiche sono causate soprattutto dalle beta-lattoglobuline ed in misura minore dalle caseine: solitamente l'allergia al latte non è una reazione al latte in toto, sé ma soltanto ad una o più proteine in esso contenute; è importante non confondere l'allergia al latte con...
- galattosio
definizione
Zucchero semplice, appartenente alla famiglia dei monosaccaridi, che presenta lo stesso numero di atomi del glucosio, sebbene questi siano orientati a formare una diversa struttura, avendo formula bruta C6H12O6: infatti viene definito un epimero di tipo aldoso destrogiro de glucosio, uguale nella composizione e nella struttura, ma che presenta nel quarto carbonio della catena alifatica (C4) una differente posizione del gruppo idrossile (-OH).
In natura difficilmente il galattosio è presente sotto forma di elemento singolo, dal momento che è generalmente legato al glucosio per formare il lattosio: nel corpo umano è prodotto in piccole quantità a partire dal glucosio e può essere ricavato dalla scissione del lattosio per mezzo di un enzima (idrolasi) denominato lattasi, fondamentale per scindere in glucosio e galattosio i legami del lattosio; nell'organismo, la maggior parte del galattosio ha un'origine alimentare e viene utilizzato per la sintesi di polimeri complessi, oltre che nella lattazione.
Tra gli alimenti ricchi di galattosio compaiono diversi prodotti caseari come formaggi e yogurt, ma anche alcuni legumi, noci, cereali e verdure: quando la quantità di galattosio introdotta con gli alimenti supera i bisogni dell'organismo, viene utilizzato per produrre energia, dopo essere stato convertito in glucosio.
L'assorbimento del galattosio avviene a livello intestinale attraverso meccanismi comuni a quelli del glucosio; una volta assorbito passa nel fegato dove può andare incontro a due diversi destini metabolici: all'interno del fegato, il galattosio viene convertito in glucosio grazie all'intervento di diversi enzimi quali l'epimerasi, e la galatto-chinasi ed utilizzato per la glicolisi come altri zuccheri quali il fruttosio e il destrosio.
Il galattosio risulta un importante componente delle membrane cellulari dove va a legarsi alle proteine per costituire le glicoproteine, o ai lipidi per dar luogo a gangliosidi e galattocerebrosidi,...
- enzima repressibile
definizione
Enzima la cui produzione diminuisce in risposta alla comparsa di determinati metaboliti, detti co-repressori, oppure in risposta a particolari stimoli di natura ormonale o metabolica: tipico esempio è la diminuita produzione dell'istidina, conseguente alla riduzione della presenza di enzimi che contribuiscono alla sintesi di questo aminoacido, quando si somministra istidina alle cellule.
- enzima inducibile
definizione
Enzima sintetizzato dalla cellula solo in caso di presenza del suo substrato o di un altro composto strutturalmente correlato, che agisce da induttore, oppure in risposta a particolari stimoli di natura ormonale o metabolica; l’esempio più classico di enzima inducibile è la β-galattosidasi (lattasi) che nei batteri come l'Escherichia Coli, viene prodotto solo in presenza di lattosio nell'ambiente: anche nell'uomo se viene assunto lattosio o un alimento che lo contiene, l'organismo sembra essere in grado di riattivare la produzione di questi enzimi, qualora ne fosse stata ridotta o soppressa la produzione.
- enzima esocellulare
definizione
Vengono definiti esocellulari quegli enzimi che vengono secreti della cellula che li ha prodotti ed agiscono all'esterno della stessa: a questo gruppo appartengono gli enzimi digestivi, gli enzimi delle lacrime.
- lattosio-galattoidrolasi
definizione
Detta anche lattosio-galatto-idrolasi, è una β-galattosidasi in grado di catalizzare l'idrolisi del disaccaride lattosio nei suoi due monosaccaridi costituenti, il glucosio ed il galattosio: è la principale lattasi dell'uomo, la cui carenza provoca la cosiddetta intolleranza al lattosio.
- moniliasi
definizione
Sinonimo di candidosi: viene utilizzato per descrivere la patologia provocata da Candida Albicans, funghi microscopici del genere Monilia; il lemma descrive al fase ifica (filamentosa), caratterizzata dalla disposizione in catenella dei conidi, spore agamiche, di forma globosa od ovale, che si formano per un processo di gemmazione, all'apice di alcune ife.
L'infezione si localizza a livello delle mucose dando origine al mughetto, nel neonato, o a diverse forme di candidosi come quella polmonare, intestinale, o genitale: di particolare interesse è la candidosi vaginale nella donne; in presenza di un sistema immunitario indebolito o non sviluppato, oppure qualora siano presenti malattie metaboliche come il diabete mellito, la moniliasi può proliferare a dismisura. La candida può avere carattere locale (vaginiti, balaniti, enteriti) o sistemico (moniliasi polmonare, endocardite cronica); le zone più soggette all’infezione sono quelle caratterizzate da un ambiente umido e caldo, in primis: bocca e zone intime.
Dal latino "monile" (→ monile, catena) con il suffisso -iasi che indica la presenza di una malattia parassitaria, dal greco ἴ-ασις (-íasis → suffisso che esprime il concetto di malattia o condizione morbosa); il termine descrive l'aspetto delle culture di Candida Albicans, che assomigliano a collane o monili composte da colonie che appaiono tondeggianti e di colore bianco o crema; il nome Albicans con cui viene denominata, che in latino significa biancastro, deriva da questa caratteristica.
- sindrome della Madeleine
definizione
Chiamata anche “sindrome della Madeleine” o semplicemente “Madeleine de Proust” è quella condizione per cui una parte della vita quotidiana, un oggetto, un gesto, un colore, un particolare gusto o un profumo, possono evocare ricordi del passato, generare flashback, attivando una sorta di effetto trigger positivo; sapori e odori che fanno tornare alla memoria i ricordi del passato.
déjà vu ed emozioni
In genere queste manifestazioni di “emotional recall” o “sense memory”, che evocano «sensazioni che circondano eventi emotivi» (memoria emotiva), inducono un senso di benessere anche se chi ne trae beneficio non sa bene il perché; altre volte si può osservare una vera e propria “sindrome della Madeleine de Proust”, per la [glossary_eclude]valenza nostalgica e sentimentale che assumono, come accade a Swann, il protagonista de «À la recherche du temps perdu - Du côté de chez Swann» di Marcel Proust, dove un sapore, attraverso un flashback, un déjà vu, fa riemergere ricordi positivi dal passato, come descrive nella traduzione dal francese Maria Teresa Nessi Somainia per Mondadori Editore:
«Al mio ritorno a casa, mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di bere, contrariamente alla mia abitudine, una tazza di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, cambiai idea. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti che chiamano Petites Madeleines e che sembrano modellati dentro la valva scanalata di una “cappasanta”.»
«E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine.»
«Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi...
- N.C.G.S.
definizione
Acronimo di «non-celiac gluten sensitivity» ovvero la sensibilità al glutine non celiaca è «un’entità clinica indotta dall'ingestione di glutine che porta a sintomi intestinali e/o extra-intestinali che migliorano una volta che l'alimento contenente glutine è stato rimosso dalla dieta, e la celiachia e l'allergia al grano sono state escluse».
La patogenesi della N.C.G.S. non è ancora ben compresa, ma sono implicati l'attivazione del sistema immunitario innato, gli effetti citotossici diretti del glutine e probabilmente altri componenti del grano: ci sono prove che non solo la gliadina, il principale antigene citotossico del glutine, ma anche altre proteine chiamate A.T.Is (wheat amylase-trypsin inhibitors), che sono presenti nei cereali contenenti glutine come il grano, la segale, l'orzo ed i loro derivati, possono avere un ruolo nello sviluppo dei sintomi.
Gli A.T.Is sono potenti attivatori del sistema immunitario innato; in particolare, inseriti fra i cosiddetti F.O.D.M.Ps («fermentable oligosaccharides, disaccharides, monosaccharides and polyols» ovvero oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli [detti anche polialcoli]) un termine utilizzato per indicare tutti quegli zuccheri presenti in alcuni alimenti che possono causare l’insorgenza di infiammazioni croniche di basso grado, i fruttani, presenti in piccole quantità nei cereali contenenti glutine, possono causare alcuni sintomi gastrointestinali sovrapponibili a quelli manifestati dai soggetti affetti da N.C.G.S.; nonostante questa apparente sovrapposizione, si ritiene che i due quadri siano differenti in quanto, anche se i F.O.D.M.Ps possono spiegare alcuni sintomi gastrointestinali, come il gonfiore, non sono associati ai i sintomi extra-digestivi che possono sviluppare le persone affette da N.C.G.S., come disturbi neurologici, fibromialgia, disturbi psicologici disturbi e dermatiti.
- sindrome da sensibilità al glutine non-celiaca
definizione
Chiamata anche con l'acronimo N.C.G.S. (non-celiac gluten sensitivity), è una sindrome caratterizzata da un insieme di manifestazioni intestinali ed extra-intestinali, associati all'ingestione di alimenti contenenti glutine, che si manifesta in soggetti non affetti da morbo celiaco o allergia al grano: i sintomi sono piuttosto eterogenei ed aspecifici e di intensità decisamente meno importanti, rispetto alle conseguenze del contatto col glutine nei pazienti celiaci.
Frequentemente si osserva flatulenza, meteorismo o bloating, dolore addominale e alterata peristalsi, non di rado accompagnati dall'insorgenza di una sindrome dell'Intestino Irritabile.
Oggettivamente attualmente è di difficile identificazione, in quanto non si hanno ancora degli strumenti diagnostici per riconoscerla: in genere, la diagnosi avviene per esclusione della celiachia, basandosi su sintomi come mente annebbiata, obnubilamento del sensorio, nausea, problemi intestinali, dolori muscolari e stanchezza.
Vengono associati alla "sensibilità al glutine non-celiaca", come spesso accade alle “patologie” dai contorni non ben definite, responsabilità nella genesi di disordini delle sfera psichica o in ambito neurologico, assegnandole la responsabilità di alcuni tipi di neuropatie periferiche, depressione, atassia, schizofrenia, autismo, allucinazioni, stati paranoidi ...
Alcuni autori associano questo quadro eziopatologico alla “sindrome dell'intestino permeabile”, relazionando i disturbi neurologici allo stato infiammatorio ed al conseguente passaggio di proteine derivate dai cereali nel sangue, permettendo loro di giungere a livello cerebrale.
La cura, anche in questo caso, come nella celiachia, è l’eliminazione del glutine, mentre possono essere tollerati gli alimenti con tracce di glutine o piccole quantità di questa proteina, anche se in realtà non è certo che la proteina scatenante le manifestazioni sia effettivamente il glutine o altre...
- iperidrosi
definizione
Eccesso di secrezione sudorale, rispetto alla norma o alla esigenza di dissipare il calore corporeo: può essere circoscritta o generalizzata, ovvero può interessare aree cutanee limitate od estendersi ad ampie superfici corporee, creando situazioni di disagio somato-emozionale, soprattutto in contesti sociali, e alterare, talvolta, i meccanismi termo-dispersivi; dal greco ὑπέρ– (hyper- → oltre) e ἱδρώς (hidrṓs → sudore).
Deve essere considerato più un sintomo, che una patologia, dall'eziologia è piuttosto difforme; si parla di iperidrosi essenziale, senza apparenti cause specifiche, per descrivere un quadro di sudorazione profusa, che inizia in età giovanile, e si manifesta più frequentemente nella zona palmare e in quella ascellare: questo disturbo spesso presenta caratteristiche di familiarità e può essere di grado così importante e severo da risultare talora invalidante, determinando difficoltà e disagio nei rapporti interpersonali. Rispetto alla sudorazione, chi soffre di iperidrosi grondano intensamente in condizioni o situazioni che non scatenano la produzione di sudore nella maggior parte delle persone: gli indumenti possono addirittura inzupparsi, mentre la cute del palmo delle mani e della pianta dei piedi può apparire pallida e presentare macerazioni o fissurazioni.
Anche se essendo idiopatica non si riconosce un'eziopatologia specifica, risulta chiaro l'interessamento del sistema ortosimpatico, particolarmente evidente nelle situazioni emozionali o di intenso stress; la sudorazione patologica delle mani è generalmente la condizione più fastidiosa tra tutte le forme di iperidrosi, essendo queste più esposte di ogni parte del corpo e svolgono un ruolo importante nelle attività professionali, nei rapporti interpersonali e nella vita sociale. Il grado del disturbo della sudorazione può variare da una semplice umidità del palmo della mano fino ad un vero e proprio gocciolare; mentre l'eccessiva sudorazione alle estremità è spesso associata,...
- astenia
definizione
Mancanza o perdita di forza dell’intero organismo o dei suoi singoli apparati e organi, in genere frutto di una sensazione soggettiva, più che da un reperto oggettivabile, dal greco ἀσϑένεια (asthéneia → debolezza) composto di ἀ- privativo σϑένος (sthénos → forza): riconducibile ad una riduzione dell'energia corporea che compare come una forma di fatica persistente e fuori luogo; può essere considerato un sintomo associato a numerose condizioni morbose, sia fisiche (quali anemie, epatiti virali, disturbi metabolici ...) sia psicologiche (come nella depressione); a differenza della stanchezza fisiologica, che compare in seguito a un certo carico di lavoro, l'astenia è presente anche in condizioni di riposo, pur potendo essere aggravata dallo sforzo, spesso associata a iporeflessia (insufficiente reazione agli stimoli).
Tradizionalmente si distinguono due tipi di astenia:
⇒ astenia muscolare o miastenia, oggi frequentemente rientrante nella categoria dell'ipostenia, che riconosce più frequentemente cause organiche (ad esempio diabete mellito, anemia grave, ipotiroidismo o ipertiroidismo, iperaldosteronismo, malattia di Addison, malattia di Lyme, paralisi periodica familiare, ipovitaminosi, malnutrizione, sindromi da malassorbimento) o emodinamiche (ipotensione arteriosa, anche indotta da farmaci, o ipotensione ortostatica).
⇒ astenia nervosa o nevrastenia, caratterizzata da sensazione generale di debolezza associata spesso ad ansia o depressione, può essere più facilmente costituzionale o legata a carenza di potassio e magnesio; può anche far parte di malattie della psiche come il disturbo bipolare dell'umore o del sistema nervoso centrale come la paralisi progressiva.
L'astenia si riscontra anche nella fibromialgia, condizione in cui la stanchezza è marcata ed associata ad affaticamento anche dopo sforzi fisici di lieve entità e a dolori muscolari diffusi; può essere una conseguenza di del dis-confort e del dis-stress cronico, accompagnandosi...
- tremore
definizione
Successione di movimenti ritmici oscillatori più o meno rapidi, involontari e spontanei, provocati da un alternarsi di contrazioni e di rilasciamenti muscolari oppure da contrazioni alternative di gruppi muscolari antagonisti; di frequenza relativamente costante ed ampiezza variabile, può interessare un singolo segmento corporeo o estendersi a tutto il corpo e rappresenta una fra le discinesie più comuni.
In realtà ogni movimento corporeo è accompagnato da microscopici tremori fisiologici, anche se talvolta può manifestarsi in forma esagerata, come segno di alterata capacità di controllo del movimento, pur non essendo in presenza di un significato patologico; ugualmente possono esistere forme di tremore a riposo, ritmiche ed a bassa frequenza, che cessano con il movimento volontario o il mantenimento della postura, tipico della malattia di Parkinson o in patologie del sistema extrapiramidale.
Esiste un tremore d'azione, di tipo cinetico, che compare durante il movimento volontario ed è tipico delle lesioni cerebellari, frequentemente in associazione con adiadococinesia, dismetria, disartria; si può osservare anche un tremore posturale, caratterizzato da frequenze oscillatorie più elevate di quello a riposo, che colpisce prevalentemente i settori distali degli arti, pur potendo manifestarsi a livello di quelli prossimali, del capo e del tronco.
- sensorio torpido
definizione
Locuzione che indica uno stato neurologico caratterizzato dalla perdita di precisione nella sensibilità esterocettiva, propriocettiva o cinestesica: definizione che può essere applicata a chi ha temporaneamente perduto la prontezza dei riflessi e dei movimenti, sia in riferimento al corpo (o a parti di esso), sia a livello mentale o intellettuale, intendendo con questo la capacità di analisi e ragionamento.
Per "sensorio", lemma derivato dal latino sensorium che proviene da sensus (→ senso), si intende l'insieme delle percezioni sensoriali, che riguarda, cioè, gli organi e l’attività dei sensi: può essere considerato come il complesso coordinato delle capacità sensoriali dell’organismo, l’insieme delle attività psichiche coscienti, lo stato mentale di un individuo.
Il termine torpido deriva dal latino torpĭdus, derivato da torpēre (→ essere intirizzito) ed indica una sorta di pigrizia, lentezza, come se il corpo fosse intirizzito, congelato: può essere utilizzato per evidenziare una ottusità che denota un rallentamento delle capacità cognitive, o per definire forme parestesiche che descrivono l'intorpidimento di un arto; può indicare uno stato di sonnolenza dovuto ad alterazione delle funzioni cerebrali, con manifestazioni soporose o stuporose, tipico di declino delle facoltà intellettuali o sintomo di malattie come il diabete (in stato precomatoso), l'alcolismo, l'uso di droghe ...
- disorientamento
definizione
Letteralmente, mancanza di orientamento nel tempo e nello spazio causata da una errata percezione della realtà, da cui deriva l'uso frequente della locuzione «disorientamento spaziale» o «disorientamento spazio-temporale»; la non consapevolezza dei rapporti fra la propria persona e l'ambiente, che comporta l'idea che la persona soffra di confusione, sbandamento, sfasamento, smarrimento, o del sentirsi spaesato o turbato: il prefisso «dis», primo elemento di parole composte nelle quali indica negazione o contrapposizione, sottolinea la privazione della «giusta direzione», cioè il corretto orientamento. Con la parola «orientamento», infatti, i Greci ed i Romani solevano sottolineare la direzione "corretta" (oriente) verso cui erigere la facciata o il lato principale dei templi da costruire, cioè verso il sorgere del sole; ugualmente, nella geometria euclidea, orientare una retta od una qualunque linea continua, significa stabilire un verso di percorrenza sopra la linea: pertanto il disorientamento deve essere visto come una perdita dei punti di riferimento, un piano cartesiano, sia esso reale o immaginario, in quanto non solo per orientarci nello spazio è necessario avere punti di repere, ma anche il tempo viene interpretato dal sistema nevoso come una sequenza di eventi, un susseguirsi di momenti, consequenziali, lungo una retta.
Non a caso, nella valutazione di un soggetto sottoposto ad esame medico, per indicare uno stato di benessere, si utilizza la locuzione «vigile e orientato»: il disorientamento trae origine da un sovvertimento di quelle percezioni mentali che, in condizioni normali, permettono al soggetto di trovare punti di riferimento in una data situazione; il disorientamento nello spazio e nel tempo (spazio-temporale) è uno dei sintomi principali della confusione mentale, quello temporale è peculiare delle forme di amnesia nelle quali il soggetto non è più in grado...
- obnubilamento percettivo
definizione
L’obnubilamento percettivo indica, pertanto, una alterazione dell’insieme delle attività psichiche coscienti, ed è usato soprattutto per descrivere lo stato mentale di annebbiamento delle facoltà sensoriali o intellettuali: uno stato confusionale, di appannamento della coscienza, di sensorio torpido.
Descrive un momentaneo stato di offuscamento dei sensi, della coscienza o della ragione, per cui si può affermare che l’obnubilamento del sensorio sia parte integrante dello stato confusionale; può essere un sintomo del primo grado del coma o nel disorientamento.
considerazioni etimologiche
Il termine obnubilamento deriva dal latino obnubilare, formato dalla preposizione ob- (in questo caso con il significato di «a causa di») e da nubilare (→ essere nuvoloso); percettivo, viene utilizzato come sinonimo di sensorio, lemma derivato dal latino sensorium che proviene da sensus (→ senso), intendendo l'insieme delle percezioni sensoriali, che riguarda, cioè, gli organi e l’attività dei sensi: nell'antichità il sensorio era considerato il centro comune delle sensazioni, la parte del cervello che sente e che si distingue da quella che pensa e da quella deputata alla motricità
Sensorio veniva utilizzato nella locuzione aristotelica κοινὸν αἰσϑητήριον che potrebbe essere assimilabile alla propiocettività ed alla cenestesi: serviva cioè a designare l’organo che determina la «sensazione comune» (κοινὴ αἴσϑησις), ovvero una forma rudimentale di coscienza che corrisponderebbe alla confluenza delle varie attività sensitive e sensoriali, in una concezione fisiologica e gnoseologica, ponendo l’enfasi sulla consapevolezza delle esperienze sensibili.
Attualmente si tende a considerare il sensorio come il complesso coordinato delle capacità sensoriali dell’organismo, anche se la semeiotica moderna tende a utilizzare il termine per descrivere l’insieme delle attività psichiche coscienti, lo stato mentale di un individuo.
- facilitazione segmentale
definizione
Concetto enunciato dall'osteopata John Stedman Denslow, all'inizio degli anni '40 del secolo scorso, ed approfondito dall'osteopata Irwin Korr, per descrivere il fenomeno di iperattivazione neurologica del midollo spinale associate a ipertono simpatico, in risposta a stimoli afferenti, anche minimali, allo stesso neuromero, provenienti da traumi o irritazioni somato-viscerali periferiche.
fisiopatologia
Irwin Korr postulò che un trauma, anche non particolarmente significativo a carico di un miotomo (muscolatura innervata segmentalmente dalla stesso sezione midollare) potesse indurre modificazioni nella risposta neurologica a livello delle corna dorsali del midollo, come conseguenza di un accrescimento nell'afflusso di input provenienti dai fusi neuromuscolari, con conseguente decremento della soglia di eccitabilità neuronale ed incremento dell'attività e della reattività dei neuroni internuciali.
Poiché questo tipo di neuroni costituisce l'ossatura della rete neurale deputata all’interconnessione ed associazione dei segnali nervosi, tutta l'attività del neuromero bersaglio, subisce un aumento della sua attività basale, come conseguenza di uno stato di ipersensibilità ed eccitazione, divenendo appunto un “segmento facilitato” (neuromero iperattivato): il risultato di questo stato comporta un'accentuazione dell'attività muscolare segmentale, come effetto della stimolazione afferente del miotomo corrispondente, una intensificazione delle reazioni ortosimpatiche e, spesso l'amplificazione dei segnali afferenti dai nocicettori, con manifestazioni algiche che possono portare all'iperalgesia o all'allodinia. In pratica, la “disfunzione somato-viscerale” segmentale, indipendentemente dal fatto che sia causata da un trauma o da una alterazione funzionale o strutturale del tessuto, provoca un'alterazione dell'elaborazione delle informazioni sensoriali a livello delle reti neurali midollari: il risultato è un incremento dell'attività motoria (in prevalenza...
- S.I.B.O.
definizione
Acronimo per «small intestinal bacterial overgrowth», letteralmente traducibile “sindrome da iperproliferazione batterica intestinale” o “sindrome da contaminazione batterica del tenue”, può essere descritta come un quadro di disbiosi e disfunzionalità dell'intestino tenue, caratterizzata da:
⇒ bloating, meteorismo, flatulenza con aumento del passaggio di gas.
⇒ diarrea, costipazione o alternanza delle due manifestazioni.
⇒ dolore addominale.
⇒ nausea.
⇒ sensazioni di stanchezza cronica.
- sindrome da iperproliferazione batterica intestinale
definizione
Altro nome della cosiddetta S.I.B.O. (small intestinal bacterial overgrowth), una manifestazione caratterizzata da grave disbiosi e alterazione qualitativa e, soprattutto, quantitativa del microbiota intestinale.
In genere l'intestino tenue è caratterizzato da continui movimenti, che prendono il nome di peristalsi: tale motilità può essere descritta come un "moto ondoso" (autonomo ed involontario) che determina il rimescolamento e la progressione delle sostanze contenute all'interno dell'intestino stesso in senso ortodromico, contribuendo a mantenere una limitata carica batterica, grazie anche all'azione meccanica esercitata dal movimento stesso.
Qualunque condizione che interferisca con il movimento e l'equilibrio dell'ambiente luminale del tenue può favorire l'insorgere di una sindrome da iperproliferazione batterica intestinale: malattie neurologiche o muscolari, diverticolite, aderenze, morbo di Crohn (ileite segmentaria), sindrome di Ogilvie sono solo alcune fra le patologie predisponenti. Anche una riduzione dell'acidità gastrica, in particolare in caso di utilizzo di inibitori della pompa protonica, può favorire una sovracrescita batterica nel tenue.
La presenza di una elevata quantità di batteri nel piccolo intestino è associata, frequentemente, ad una sindrome da malassorbimento sia per la modificazione degli acidi biliari da parte della proliferazione batterica, che incidono sull'assorbimento lipidico, sia per i danni diretti sulle cellule della mucosa intestinale.
I sintomi sono, in un certo senso, aspecifici, potendo essere categorizzati in “addominali” (gonfiore, bloating, meteorismo, borborigmi, flatulenza, dolore addominale, diarrea, dispepsia) ed extra-intestinali (malassorbimento, calo ponderale, anemia e/o neuropatia da carenza di vitamina B12, osteoporosi, tetania per ipocalcemia da carenza di vitamina D). Il quadro clinico, frequentemente è sovrapponibile, se si esclude il quadro di malassorbimento, alla “sindrome...
- weltanschauung
definizione
Dal tedesco welt (→ mondo) e anschauung (→ visione, intuizione ), è un lemma difficilmente traducibile alla lettera, in italiano, poiché non esiste una parola equivalente nella nostra lingua, che ne renda appieno il senso: il termine esprime un concetto di pura astrazione e può essere reso, in modo restrittivo, come "visione del mondo" o "concezione della vita", sia che venga riferito ad una persona singola, ad un gruppo sociale o ad un indirizzo filosofico.
Potremmo definire la weltanschauung come il "modo in cui viene considerata l'esistenza"; gli scopi e le finalità che guidano ed ispirano (purpose), causando i comportamenti teleologici e le scelte; i punti di vista, gli atteggiamenti, le attitudini che si assumono in relazione con la vita.
una visione olistica della vita
La Kinesiopatia® e le discipline ad essa collegate, cioè il Cranio-Sacral Repatterning® e Kinesiologia Transazionale® non devono essere viste semplicemente come un insieme di tecniche per "curare", ma possiedono in sé una filosofia della salute ed una visione della vita, una weltanschauung, appunto, che non sono scisse dagli aspetti più pragmatici della "disciplina terapeutica".
Il cambiamento richiesto a chi desidera raggiungere un vero ben-essere, duraturo persistente, non può esimersi dal prendere in considerazione le "dinamiche energetiche" che stanno alla base delle transazioni fra l'individuo, il suo contesto sociale e l'ecosistema in cui vive; per quanto l'organismo, in un'ottica di sopravvivenza, sia orientato verso il «meglio» determinando l'espressione delle capacità allostatiche ed il mantenimento dell'omeostasi corporea, non può e non deve essere sottovalutata l'importanza di una "filosofia del ben-essere".
Un "percorso di risanamento", che porti ad una rigenerazione, profonda e stabile, prevede l'affrancarsi dai "patterns" che riproducono schemi difensivi, reiterativi e consolidati, che impediscono reali cambiamenti: le trasformazioni necessitano di un...
- professionista del ben-essere
definizione
Il “ben-essere” è l'abilità e la capacità presente in ogni individuo di «essere bene» … cioè “esistere bene” … non limitandosi al più scontato concetto di “stare bene”, ma prendendo in considerazione una weltanschauung che esprima l'essere in armonia con la propria salute, manifestando la propria vitalità, attingendo pienamente alle proprie energie somato-emozionali (o, se si preferisce, psico-fisiche) e spirituali, in una forma di euritmia con il proprio ecosistema di riferimento.
Pertanto il “professionista del ben-essere” è un operatore in grado di “prendersi cura” delle esigenze di chi vive la disarmonia ed il mal-essere, senza volersi sostituire o sovrapporre ai cosiddetti “operatori sanitari” tradizionali: un esperto conoscitore di tecniche in grado di rispondere all’esigenza di chi “soffre” per aiutarlo a ritrovare un maggior equilibrio fra le varie componenti somato-emotive ed energetiche; uno specialista in grado di facilitare il percorso di “armonizzazione”, con competenza e perizia.
Il “professionista del ben-essere” possiede conoscenze, competenze e la necessaria esperienza per utilizzare, con l'indispensabile preparazione e la necessaria padronanza, in modo appropriato e consapevole il proprio sapere e le tecniche acquisite nel proprio percorso di formazione per favorire il miglioramento complessivo del ben-essere della persona, per attivare o accelerare processi di guarigione, là dove le patologie disfunzionali hanno invertito tale percorso, innescando i meccanismi di superamento del processo patologico.
Accedendo a quella «vis medicatrix naturæ», presente in ognuno di noi, i “professionisti del ben-essere” aiutano l'individuo nel proprio percorso di crescita personale volto alla piena utilizzazione delle proprie risorse individuali, permettendo, quindi, il miglioramento della qualità di vita, attraverso la riarmonizzazione e la riequilibrazione della capacità vitale dell’individuo, il ripristino delle capacità adattative e la...
- ben-essere
definizione
Per quanto si possano definire benessere e ben-essere equipollenti, la scelta grafica «ben-essere» mira a sottolineare l'origine etimologica ed il fonema, intrinseco nel morfema e nel lessema: forma e suono rafforzano ed esplicitano il significato ovvero «essere bene» … cioè “esistere bene” … non limitandosi al più scontato concetto di “stare bene”, ma prendendo in considerazione una weltanschauung che esprima l'essere in armonia con la propria salute, manifestando la propria vitalità, attingendo pienamente alle proprie energie somato-emozionali (o, se si preferisce, psico-fisiche) e spirituali, in una forma di euritmia con il proprio ecosistema di riferimento.
Uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell'essere umano, e caratterizza la qualità della vita di ogni singola persona all’interno de proprio contesto sociale o della propria comunità (biota): una condizione dinamica ed in continuo divenire, finalizzata al raggiungimento del miglior equilibrio possibile, in ogni momento della propria esistenza, tra il piano biologico, il piano psichico ed il piano sociale dell'individuo, cioè uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano; un concetto piuttosto difficile da sintetizzare, rendendo questa semplice parola, forse la più inesplicabile, se si volessero sviscerare tutte le possibili sfumature, assonanze o implicazioni, anche alla luce del fatto che per migliaia di anni la filosofia ha cercato di definire cosa è l’Essere, senza propriamente riuscirvi.
Il concetto di ben-essere deve essere vista come una nozione in costante evoluzione ed in continua ridefinizione: quando parliamo di ben-essere, non possiamo che avere una visione decisamente più ampia di quella del passato, intendendo non solo uno stato complessivo di buona salute fisica, mentale e psichica, ma anche uno stato di armonia verso sé ed il mondo che ci circonda; più che di una condizione, si dovrebbe parlare di una evoluzione in divenire, un processo di adattamento a...
- bariatria
definizione
Branca della medicina che studia le cause, la prevenzione e il trattamento dell’obesità, in particolare delle forme morbose: il più delle volte, il termine viene utilizzato in modo limitativo per riferirsi alla chirurgia bariatrica ovvero a quella branca della chirurgia specializzata nel trattamento chirurgico dei pazienti affetti da obesità; derivato dal greco βαρύς (baros- → pesante) e da ἰατρεία (iatréia → cura medica).
cenni storici
Ufficialmente, il primo intervento di “chirurgia dell'obesità” fu eseguito nel 1952 dal dottor Kremen e dal dottor Linner, mettendo in atto un bypass ileo-colico, ovvero una procedura che prevedeva che la parte superiore e quella inferiore dell'intestino tenue venissero collegate insieme per “bypassare” (evitare) il segmento centrale, il digiuno, dove avviene la maggior parte dell'assorbimento di cibo, così da ridurre l'apporto calorico immagazzinato; l'intervento, pur essendo efficace nella riduzione del peso, fu abbandonato per l'inaccettabile incidenza di complicanze e mortalità, introducendo altre tecniche quali il bypass digiuno-ileale secondo Payne-De Wind, nel 1963, in grado si ridurre la morbilità e la mortalità dei pazienti operati, nonostante l'insorgenza di complicanze metaboliche dopo l'intervento come gli squilibri elettrolitici, la diarrea persistente, l'insufficienza epatica grave, la sindrome dell'intestino corto.
Nel 1966 dal dott. Mason utilizzò, per la prima volta, il bypass gastrico, una tecnica che prevedeva la creazione di una piccola "sacca" (chiamata tasca gastrica) nella parte superiore dello stomaco (gastroplastica verticale), riducendo in questo modo il volume dello stomaco e, di conseguenza, il cibo che poteva essere assunto, poiché la ridotta capienza dello stomaco provocava precocemente un senso di sazietà e pienezza; in seguito la cucitura della parete gastrica venne sostituita dall'utilizzo di fasce elastiche, che permettevano una ulteriore riduzione del volume della sacca...
- sindrome da “dumping”
definizione
Disturbo funzionale che si sviluppa come conseguenza di interventi di gastro-resezione, gastrectomia o come effetto della chirurgia bariatrica (by-pass gastrico): la riduzione della capacità contenitiva dello stomaco provoca un passaggio troppo repentino del cibo nel duodeno, dovuto al fatto che viene praticamente “scaricato” per ridurre la pressione gastrica, innescando un'ampia varietà di sintomi; letteralmente "sindrome da svuotamento", dal verbo inglese to dump (→ scaricare).
descrizione - classificazione
Esistono due tipologie di questo quadro clinico gastro-intestinale, ovvero una forma ad insorgenza precoce o una manifestazione comparsa tardiva.
Nel quadro clinico a insorgenza precoce, la sindrome si manifesta poche decine di minuti dopo il pasto, attraverso sintomi che possono essere considerati l'espressione di una distonia neuro-vegetativa, dipendente dal rapido arrivo del cibo indigesto nel tenue: a causa della sua osmolarità, richiama rapidamente acqua nel lume intestinale, per permetterne la diluizione, con conseguente massiccia inondazione del digiuno e distensione dell'anse intestinali; ne conseguono una serie di riflessi locali quali nausea e vomito, tensione epigastrica e bloating, crampi e coliche dolorose, diarrea osmotica associati a sintomi sistemici come l'ipovolemia con presenza di ipotensione, accompagnati da sintomi sistemici quali iperidrosi, vertigine e tendenza alla lipotimia, cardiopalmo e tachicardia, astenia, sensazione di calore o, all'opposto, freddo e tremori.
Nella forma a insorgenza tardiva, le manifestazioni compaiono due o tre ore dopo i pasti, con sintomi tipici dell'ipoglicemia, provocati dall'aumento dell'insulina, secreta come conseguenza del rapido passaggio nell'intestino di cibi ricchi di zucchero: spesso i sintomi ipoglicemici sono accompagnati da confusione e obnubilamento del sensorio, tendenza alla sincope, associati alle manifestazioni tipiche della fase ad...
- lattasi
definizione
Enzima deputato alla digestione del lattosio, lo zucchero caratteristico del latte; è una idrolasi responsabile dell'idrolisi enzimatica del lattosio in glucosio e galattosio attraverso la reazione:
lattosio + lattasi + H2O = galattosio + glucosio
Col nome di lattasi, in realtà, si identificano una serie di enzimi capaci di promuovere l'idrolisi: questi enzimi appartengono al gruppo delle β-galattosidasi, una famiglia di enzimi idrolitici che in presenza di acqua catalizzano la scissione dei β-galattosidi nei monomeri che li costituiscono (si definisce β-galattoside un composto costituito da zuccherina costituita dal galattosio, legata ad un'altra molecola attraverso un legame glicosidico): il più noto fra questi enzimi umani è la lattosio-galatto-idrolasi o lattosio-galattoidrolasi.
L'enzima è naturalmente prodotto, almeno nelle fasi iniziali della vita extrauterina, dai mammiferi, anche se è secreto anche da Lactobacillus, Escherichia, Bacillus, Saccharomyces, Candida, Aspergillus, Penicillium, Mucor, cioè da differenti componenti del microbiota, che lo rilasciano sotto forma di enzima esocellulare.
Nei mammiferi l'enzima è localizzato, principalmente, nelle pareti intestinali a livello dei villi intestinali (orletto a spazzola); la diminuzione della produzione di questo enzima è associata all'intolleranza al lattosio, cioè ad una ridotta capacità di assorbimento e digestione del lattosio da parte dell'intestino tenue: l'enzima lattasi costituisce infatti un fattore limitante per la scissione del disaccaride lattosio e la sua produzione presenta una caratteristica evoluzione nei vari periodi della vita di mammiferi.
lattasi & intolleranza al lattosio
L'intolleranza al lattosio è la mancanza o l'insufficienza dell'enzima lattasi che genera, come conseguenza, reazioni avverse di natura tipicamente gastrointestinale, anche se non mancano sintomi atipici correlati: si tratta di una condizione patologica se presente nel lattante, visto il ruolo...
- lattosio
definizione
Disaccaride formato da due monosaccaridi, il D-glucosio ed il D-galattosio, unite da un legame β-glicosidico 1−4: il lattosio è uno zucchero riducente destrogiro ed è tipico del latte, costituendo circa il 5% del latte dei mammiferi ed il 98% degli zuccheri in esso contenuti; nel latte umano è considerato particolarmente prezioso; vista la semplicità della sua struttura molecolare e l'alta solubilità in acqua che lo caratterizzano, il lattosio viene spesso definito un “carboidrato semplice”, assieme al fruttosio ed ai monosaccaridi che lo compongono (glucosio e galattosio), anche se in realtà è più simile al saccarosio ed al maltosio, disaccaridi.
Il lattosio è un macronutriente con funzione principalmente energetica: il glucosio che lo compone, è utilizzato pressoché esclusivamente a scopo energetico, mentre il galattosio partecipa alla formazione di costanze complesse quali alcune famiglie di glicolipidi; è un importante componente delle membrane cellulari dove va a legarsi alle proteine per costituire le glicoproteine, o ai lipidi per dar luogo a gangliosidi e galatto-cerebrosidi, presenti a livello del sistema nervoso, essendo un componente essenziale per la formazione della guaina mielina, il rivestimento che avvolge le fibre nervose fondamentale per la conduzione dell'impulso nervoso.
La sintesi avviene per condensazione enzimatica mentre viene digerito (scisso) grazie all’enzima lattasi, una idrolasi digestiva in grado di scindere il lattosio nelle sue due componenti: in caso di deficit di questo enzima si parla di intolleranza al lattosio, ovvero una patologia caratterizzata dalla mancata digestione del lattosio, che subisce un processo di fermentazione a opera della flora batterica intestinale all’interno del colon; questo processo libera dei gas, come l’idrogeno e il metano, che causano i disturbi intestinali tipici di questa intolleranza, quali senso di gonfiore e dolore addominale, nausea, vomito e diarrea. Non si tratta di...
- disaccaridasi
definizione
Enzimi chiamati anche disaccarasi, deputati alla trasformazione dei disaccaridi in monosaccaridi; è il nome generico degli enzimi appartenenti alle idrolasi che scindono i disaccaridi nei due monosî di cui sono costituiti: tra i più noti la maltasi, la lattasi, la saccarasi.
- lattulosio
definizione
Chiamato anche lactulosio, è un disaccaride indigeribile, formato da due monosaccaridi, il D-fruttosio ed il D-galattosio, potendo essere agguagliato ad un isomero del lattosio: pur non esistendo in natura, il lattulosio si può generare, seppur in modeste quantità, durante il riscaldamento del latte, anche se, in genere, è prodotto sinteticamente in quanto utilizzato come prebiotico o come lassativo osmotico per risolvere problemi di stitichezza; trova applicazione nel trattamento dell'encefalopatia epatica, come coadiuvante della metabolizzazione dell'ammoniaca, una complicanza di malattie in stadio avanzato che colpiscono il fegato, come la cirrosi.
La presenza di elevate quantità di lattulosio nel latte è un importante indice analitico sul trattamento termico a cui è stato sottoposto, in quanto l'isomerizzazione del lattosio è favorita dalle alte temperature e non è raro trovare significative concentrazioni di lattulosio in latti UHT o sterilizzati, indicatori di un trattamento termico ad alta temperatura.
effetti lassativi e prebiotici del lactulosio
Come lassativo, il meccanismo di funzionamento consiste nella sua capacità di arrivare inalterato fino al colon: sfuggito all'azione digestiva del succo gastrico e delle disaccarasi presenti a livello dell'intestino tenue, una volta arrivato al colon, svolge la sua azione osmotica, richiamando nel lume intestinale una quantità di acqua sufficiente per l'ammorbidimento delle feci e l'aumento della peristalsi; l'azione lassativa è delicata, tanto che il lattulosio può essere consigliato anche a bambini ed anziani in caso di stipsi.
A livello del colon, il lattulosio viene catabolizzato da batteri intestinali (in particolare modo Lactobacillus) con produzione di acidi organici come l'acido lattico, l'acido acetico e l'acido formico, conferendogli potenzialità prebiotiche: i metaboliti da questo disaccaride inibiscono lo sviluppo della flora intestinale putrefattiva, ostacola la crescita dei batteri...
- diarrea osmotica
definizione
Forma di diarrea causata dall'assunzione di sostanze non assorbibili ed osmoticamente attive: in condizioni fisiologiche l’osmolarità endoluminale viene mantenuta uguale a quella plasmatica, attraverso meccanismi di secrezione ed assorbimento di acqua e soluti; la diarrea osmotica compare quando sono presenti nel lume intestinale soluti non assorbibili che, a causa della loro osmolarità, richiamano liquidi, determinando un aumento della massa fecale ed una diminuzione della sua consistenza.
Può essere causata da lassativi osmotici, quali il lattulosio, la mannite, i sali di magnesio, il sorbitolo o il tamarindo o di alimenti dietetici, contenenti polialcoli o grossi quantitativi di fruttosio; la diarrea osmotica può essere causata anche da dispepsie o malassorbimenti, intolleranze alimentari e “allergie non allergiche” come la cosiddetta “allergia al lattosio”, intolleranza al glutine o intolleranza alle proteine della soia ... anche alcuni farmaci presentano, come effetto collaterale, manifestazioni di evacuazione osmotica: in questi casi, spesso, si osserva un’abbondante diarrea acquosa che, tipicamente, si arresta durante il digiuno o come conseguenza dell'assunzione delle sostanze incriminate.
L’insufficienza digestiva biliare, l’insufficienza digestiva pancreatica o l’insufficienza digestiva intestinale, come si verifica, ad esempio, nel deficit di enzimi come le disaccaridasi cioè la mancanza di enzimi per la digestione e l’assorbimento del fruttosio o del lattosio è una delle cause più frequenti delle forme diarroiche croniche; anche l’ingestione di sostanze ad effetto lassativo osmotico come alcuni antiacidi contenenti magnesio oppure l’eccesso di assunzione di fibre, come accade in certi soggetti ortoressici sono fra le possibili cause responsabili di diarrea osmotica.
La sovraccrescita batterica nel tenue (S.I.B.O.) e certe forme infiammatorie, come le M.I.C.I., possono provocare malassorbimento che si traduce in una diarrea...
- solutivo
definizione
Purgante, lassativo, “sostanza che serve a sciogliere l'intestino”, medicina che “ha la virtù di rilasciare”; derivato del latino solutus, participio passato di solvĕre (→ sciogliere): «che solve, ed è per lo più aggiunto di Medicamento, che placidamente purghi il ventre». Nel linguaggio medico arcaico si parla di «disoppilante solutivo» riferendosi ad ogni “sostanza che serve a sciogliere l'intestino”, cioè atta a togliere un’oppilazione ovvero a deostruire.
- evacuazione osmotica
definizione
Con questa locuzione ci si riferisce allo svuotamento, allo sgombero (evacuazione, dal latino evacuatio) cioè all'atto di “fare il vuoto”, derivando l'evacuare dalla parola vacŭus (→ vuoto), che descrive “l'atto e l'effetto del vuotare”, associato all'azione esercitata dall'osmosi generata da sostanze in grado di trattenere o richiamare liquidi nell’intestino, accelerando il transito del contenuto attraverso l’intestino tenue: in questo modo nel colon arriva un volume molto elevato di feci morbide che ne causa la distensione e porta a un rapido effetto purgante.
In condizioni fisiologiche l’osmolarità endoluminale viene mantenuta uguale a quella plasmatica, attraverso meccanismi di secrezione ed assorbimento di acqua e soluti: la diarrea osmotica compare quando sono presenti nel lume intestinale soluti non assorbibili che, a causa della loro osmolarità, richiamano liquidi, determinando un aumento della massa fecale ed una diminuzione della sua consistenza.
Oltre alla manifestazioni di diarrea osmotica, causata solitamente da stati infiammatori dell'intestino, può essere provocata deliberatamente per mezzo di sostanze lassative quali il lattulosio, la mannite, i sali di magnesio, il sorbitolo o il tamarindo; non di rado, alte dosi di questi solutivi non solo causano l’effetto lassativo ma, spesso, provocano crampi addominali, e possono essere responsabili dell'insorgenza di nausea e/o vomito.
I lassativi osmotici, se assunti in eccesso, o le diarree osmotiche possono dare disidratazione, problemi renali e squilibri elettrolitici, per effetto delle variazioni della concentrazione e distribuzione dei fluidi e dei soluti, nell'organismo: in particolare i problemi renali possono dipendere dall'eccessiva assunzione di magnesio e dagli squilibri elettrolitici, per questo motivo i lassativi osmotici sono controindicati nei soggetti affetti da patologie renali e possono essere sconsigliati per gli anziani o i bambini.
- N-acetil-cisteina
definizione
Classicamente definita NAC, è il derivato N-acetile del più comune aminoacido L-cisteina; presenta una potente attività antiossidante e proprietà mucolitiche; viene considerato un antidoto salvavita in caso di eccessiva assunzione di paracetamolo (avvelenamento ) e svolge un'azione epatoprotettrice e nefroprotettrice.
La N-Acetilcisteina è un importante agente riducente, dotato perciò di le spiccate proprietà antiossidanti; oltre alla capacità di rigenerare il glutatione, uno dei più importanti antiossidanti a disposizione dell'organismo umano, la N-Acetilcisteina si è dimostrata efficace anche come agente antiapoptotico, essendo in grado di preservare le cellule beta del pancreas (salvaguardandone numero e funzionalità), o preservando la vitalità delle cellule nervose.
La capacità di ridurre (o scindere) i ponti disolfuro presenti nelle mucoproteine, conseguente alla presenza nella molecola di un gruppo tiolico libero (-SH), conferisce alla N-acetil-cisteina un'attività mucolitica: l'effetto dipende dalla riduzione dell'aggregazione delle proteine, fenomeno che consente una diminuzione della viscosità del muco e di conseguenza la fluidificazione dello stesso.
La N-acetil-cisteina potenzia il sistema antiossidante rappresentato glutatione (GSH), promuovendone la sintesi cellulare ed è in grado di inattivare composti istolesivi; agisce quale donatore di elettroni antagonizzando i radicali liberi dell'ossigeno (R.O.T.S.), principali responsabili del fenomeno infiammatorio, agendo da radical-scavenger.
- Evidence Based Medicine
definizione
Letteralmente «medicina fondata sulle prove»; secondo la definizione di David Lawrence Sackett, medico americano-canadese e un pioniere della medicina basata sull'evidenza, considerato, con Archibald Cochrane, fra i “padri” della E.B.M., è «l’integrazione fra i migliori risultati ottenuti in termine di efficacia clinica con la esperienza e l’abilità del medico ed i valori del paziente»: può essere definita anche «l’uso cosciente, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze (cioè prove di efficacia) biomediche al momento disponibili, al fine di prendere le decisioni per l’assistenza del singolo paziente». Fornisce una metodologia per integrare nelle decisioni professionali le evidenze scientifiche con l’esperienza clinica e con i valori e le preferenze dei pazienti
- acido glucuronico
definizione
Composto organico naturale che si forma per ossidazione a gruppo carbossilico, del gruppo ossi-metilenico terminale del glucosio: la trasformazione del glucosio in acido glucuronico rappresenta una via secondaria del metabolismo ossidativo dei carboidrati; negli animali (ma non nell'uomo) costituisce anche il precursore metabolico dell'acido ascorbico (vitamina C), ragione per cui ne è necessaria l'assunzione con gli alimenti.
Biochimicamente appartenente alla categoria degli acidi alduronici, derivando dall'ossidazione del gruppo idrossilico (-OH) legato a sesto carbonio (C6) del D-glucosio a gruppo carbossilico: l'acido glucuronico presenta perciò tre gruppi funzionali differenti: -OH, -CHO, -COOH, essendo un aldossiacido; il nome deriva dal greco γλυκύς (glykýs → dolce) e οὖρον (oúron → urina).
acido glucuronico e metabolismo
Nell'uomo l'importanza dell'acido glucuronico è dovuta soprattutto al suo intervento nei processi di detossicazione: tale composto, infatti, in presenza dell'enzima UDP-glucuronil-transferasi, ha la tendenza a combinarsi con numerose sostanze tossiche endogene o xenobiotiche (glucuronicoconiugazione o glucuronoconiugazione), trasformandole in glucuronidi fortemente idrosolubili, che vengono rapidamente eliminati per via renale; subiscono la coniugazione glucuronica vari ormoni steroidei insolubili in acqua (estrogeni, androgeni, progesterone), alcune sostanze azotate che si formano nel corso dei processi putrefattivi intestinali (indolo, scatolo), farmaci quali la canfora, il cloramfenicolo, il mentolo, la morfina, i sulfamidici.
Anche il fenolo, tossico per l'uomo, viene eliminato come glucuronide per via della maggiore solubilità in acqua di quest'ultimo; la bilirubina viene escreta nella bile solo dopo coniugazione con acido glucuronico a livello del fegato: la mancata coniugazione di tale pigmento biliare si accompagna a iperbilirubinemia e ittero.
L'UDP-glucuronato è utilizzato come substrato da una famiglia di...
- glucuronide
definizione
Qualsiasi sostanza che si ottiene dal legame di una molecola con acido glucuronico attraverso legame glicosidico: la glucuronidazione è è la reazione biochimica che porta alla formazione di glucuronidi, sostanze di solito maggiormente idrofile e quindi maggiormente eliminabili dall'organismo rispetto alle molecole non glucuronate.
- glucuronazione
definizione
Detta anche glucuronidazione, è una reazione enzimatica, che avviene nel fegato, che permette la coniugazione di sostanze chimiche con acido glucuronico: è la più importante reazione di disintossicazione dell'organismo, che si verifica prevalentemente durante la fase II della detossicazione epatica; l'enzima responsabile della glucuronazione è la glucuronil-transferasi.
I farmaci e le sostanze tossiche esogene (xenobiotici) o endogene, come ad esempio la bilirubina, vengono combinati con l'acido glucuronico per formare prodotti inattivi idrosolubili e più facilmente eliminabili dal rene (con le urine) o dal fegato (con la bile); farmaci che vengono glucuronati l'acido salicilico, la morfina, il cloramfenicolo.
- xenobiotico
definizione
Sostanze metabolicamente attive, estranee all’organismo, al suo normale metabolismo e alla nutrizione; con questo termine si possono indicare sia sostanze naturali (ed in tal caso la nozione di xenobiotico è legata al tipo di organismo, come nel caso della nicotina, che è xenobiotica per l’uomo ma non per la pianta di tabacco), sia sostanze biologicamente attive sintetizzate ex-novo in laboratorio o semi-sintetiche (come ad esempio i sulfamidici, l’eroina, la saccarina): dal greco ξένος (ksénos → straniero, estraneo, ospite) e -βιωτικός (-biôtikos → relativo alla vita).
Queste sostanze possono essere considerate, spesso, veleni oppure farmaci, assunti per ottenere un effetto terapeutico o per alterare i normali processi organici dell’organismo oppure possono essere in grado di avere effetti tossici sui patogeni che infestano chi li assume; alcuni xenobiotici non devono essere considerati pericolosi e spesso non creano alcun problema se vengono rapidamente eliminati od escreti dall'organismo, come nel caso degli additivi alimentari che vengono comunemente usati nei prodotti di lavorazione industriale e che, normalmente, non vengono ingeriti dall'uomo come nutrienti.
Xenobiotici sono ad esempio gli antibiotici, l'etanolo, i pesticidi: queste sostanze possono creare problemi all'organismo se non vengono espulse rapidamente e la loro permanenza nel corpo è prolungata; solitamente lipofili, sono caratterizzati dalla quasi totale assenza di cariche elettriche a pH fisiologico, cosa che ne facilita l'assorbimento, ma ne ostacola l'eliminazione: se manca una serie di enzimi che li trasforma in sostanze maggiormente polari, eliminabili per escrezione, si crea un effetto accumulo tossico.
Gli enzimi che catalizzano queste reazioni chimiche fanno parte dei processi di detossicazione e sono classificati in fase I (funzionalizzazione), fase II (coniugazione) e fase III (trasporto ed eliminazione); la maggior parte degli agenti chimici cancerogeni sono ad...
- disintossicazione
definizione
L'insieme dei processi o dei fenomeni biochimici e/o fisico-chimici, che consentono all’organismo di liberarsi delle sostanze nocive, definite comunemente col nome di tossine; il termine viene utilizzato anche per designare quell’insieme dei provvedimenti terapeutici atti a eliminare, neutralizzare o metabolizzare sostanze, esogene o endogene, responsabili di condizioni tossiche, ovvero liberare l'organismo da presenze o influenze nocive.
Il termine disintossicazione è composto del prefisso dal greco δυσ- (dys- prefisso peggiorativo) e intossicazione che rappresenta l'azione di intoxicare, derivato del latino in (→ dentro) e toxĭcum (→ tossico, veleno), dal greco τοξικόν, che sottintende ϕάρμακον, propriamente «veleno per la freccia (τόξον)».
Spesso, disintossicazione viene utilizzato, erroneamente, come sinonimo di detossicazione: in realtà, con questo termine si indica l'idea della rimozione delle sostanze tossiche dall'organismo umano, mentre con detossicazione (o detossificazione) si intende l'azione di eliminazione dei veleni corporei o esogeni, per mezzo dell'attivazione della via metabolica della detossificazione epatica.
Infatti la disintossicazione può essere ottenuta artificialmente da tecniche come l'emodialisi o, quando appropriato, con la terapia chelante; con questo termine ci si può anche riferire al periodo di disassuefazione, durante il quale l'organismo ritorna all'omeostasi (equilibrio) dopo un lungo periodo di uso di sostanze che provocano dipendenza.
disintossicazione metabolica
Con questa definizione si sottintende la detossicazione: infatti, a causa del metabolismo, l'organismo può produrre sostanze nocive o entrare in contatto con xenobiotici, che devono essere neutralizzate attraverso la riduzione, l'ossidazione (reazioni redox), la coniugazione e l'escrezione dalle cellule e dai tessuti.
I processi enzimatici assumono un ruolo fondamentale nel metabolismo della disintossicazione: i più importanti sono le ossidasi...
- detossicazione epatica – fase I
definizione
Con il termine detossicazione o detossificazione
Fase I di detossicazione.
Le reazioni di Fase I dipendono principalmente dagli enzimi citocromo P450, ossidasi a funzione mista (CYP450). Tali enzimi aggiungono un gruppo funzionale al substrato (tossina), in genere un gruppo idrossilico (OH).
Quest’ultimo potrà ricevere un composto trasferito dagli enzimi di Fase II per far sì che la tossina acquisisca una idrosolubilità più accentuata, necessaria per la sua eliminazione.
Gli enzimi CYP450 si trovano essenzialmente nel reticolo endoplasmatico e nei mitocondri. La Fase I si svolge prevalentemente a livello epatico, tuttavia si può osservare un’attività significativa dei CYP450 a livello di altri tessuti del corpo come la parete intestinale, i reni, i polmoni ed il cervello. I prodotti intermedi della detossicazione sono
spesso sostanze radicaliche pro-ossidanti in grado di provocare un danno cellulare, in particolar modo alle membrane o al DNA (11). Perché la detossicazione sia efficace e avvenga senza effetti collaterali è dunque essenziale che la Fase II segua la Fase I in modo da non accumulare sostanze reattive.
Determinate predisposizioni genetiche combinate con l’esposizione a sostanze tossiche (fumo, alcol…) possono aumentare lo squilibrio fra una Fase I troppo attiva e una Fase II insufficiente. Ciò può determinare l’accumulo di sostanze reattive intermedie deleterie.
- scialorrea
definizione
Detta anche ptialorrea, è una condizione clinica caratterizzata da un anomalo ed eccessivo accumulo di saliva nella cavità orale per difficoltà alla deglutizione associata o meno ad una aumentata secrezione salivare; dal greco σίαλον (sialon → saliva) e ῥέω (reo → scorrere).
L'eccessivo accumulo e la fuoriuscita della saliva dalla bocca, può dare luogo ad una serie di complicazioni fisiche come fissurazioni, ragadi e screpolature intorno alle labbra che si possono sovra-infettare; la scialorrea tende ad associarsi ad alitosi, che spesso porta a repulsione e stigmatizzazione sociale con un impatto psicosociale spesso devastante per il paziente ed i familiari.
- putrefazione
definizione
Processo di decomposizione prodotto da batterî saprofiti, cui vanno soggette, in determinate condizioni, le sostanze organiche: ha la funzione di ridurre a composti estremamente semplici, alcuni dei quali volatili ed emananti un fetore caratteristico, le sostanze proteiche complesse; dal latino putrefactio, derivato di putrefacĕre, (marcire, corrompersi), composto di puter o putris (→ marcio, dalla cui radice deriva anche putrido col significato di infetto, malsano, fracido) e facĕre (fare).
Nel processo putrefattivo le sostanze di natura proteica sono trasformate, solitamente, da batteri anaerobi saprofiti in composti più semplici, alcuni dei quali sono volatili e hanno un odore caratteristico: tra i principali prodotti della putrefazione si ricordano i derivati dalla deaminazione degli amminoacidi, l’indolo, lo scatolo, il cresolo, gli ossiacidi aromatici, gli acidi grassi inferiori, le ammine biogene (cadaverina, putrescina) e vari gas (idrogeno, idrogeno solforato, metano, ammoniaca ...).
Nell’intestino crasso, per opera dei batteri saprofiti o commensali, hanno luogo processi di putrefazione che permettono di scindere le sostanze proteiche che non sono state digerite, le proteine delle cellule di desquamazione, dei secreti ed altre ancora presenti nel lume intestinale: i prodotti della putrefazione, di norma, non superano di norma la barriera intestinale anche se alcuni metaboliti possono essere assorbiti e raggiungere, per via ematica, il fegato ove, per mezzo della detossicazione, vengono neutralizzati a prodotti dotati di scarsa tossicità ed inviati agli organi emuntori per l'eliminazione (in particolare tramite le urine); in alcuni casi, come nei processi infiammatori cronici dell'intestino, nelle M.I.C.I., nella sindrome dell'Intestino Irritabile, solo per citarne alcuni, si può verificare una eccessiva produzione di tossine come conseguenza dell'incremento dei processi putrefattivi, accompagnata da disturbi locali (diarrea, ecc.) e/o...
- fermentazione
definizione
Serie di processi chimici di trasformazione o parziale demolizione di una sostanza organica, con accumulo di composti più semplici; tali processi possono essere spontanei o operati, attraverso enzimi, da microrganismi viventi che così traggono l’energia necessaria per il loro accrescimento o ai fini riproduttivi: può essere spontanea o enzimatica. Dal latino fermentatio., derivata dalla radice da una radice affine a fervere (→ bollire, muoversi): il processo di fermentazione, rilasciando spesso anidride carbonica (CO2), provoca il formarsi di bolli, da cui il ribollire delle sostanze fermentanti.
Si osservano processi fermentativi aerobici, che corrispondono alla fermentazione ossidativa, dove l'ossigeno assume un ruolo fondamentale essendo basati prevalentemente con l'intervento di questa molecola che agisce su substrati differenti: non sempre, infatti, il reagente è un carboidrato e può essere considerata una reazione demolitiva (più che trasformativa) dove il reattivo (ossigeno), per mezzo di ossidazioni o perossidazioni produce metaboliti ossidati; è presenta anche una fermentazione anaerobica (fermentazione anossidativa) dove le reazioni biochimiche avvengono in assenza di ossigeno, su un substrato (generalmente un carboidrato): a seconda del tipo di reazione prende il nome di fermentazione alcolica, fermentazione glicerica ...
- fermento
definizione
Termine usato in passato per indicare ogni microrganismo capace di indurre una fermentazione: attualmente si tende ad utilizzarlo per indicare gli enzimi che provocano la fermentazione; dal latino fermentum, derivato di una radice affine a fervēre (bollire, essere in moto).
- vitamine
definizione
Composti organici essenziali necessari per la regolazione di varie funzioni vitali dell’organismo: il termine è utilizzato per indicare un gruppo eterogeneo di sostanze organiche indispensabili e insostituibili per la vita, che possono essere considerate cofattori e/o appartenenti ai cosiddetti bio-regolatori; le vitamine, solitamente, devono necessariamente essere introdotte con la dieta, sia nella forma di biologicamente attiva, sia in quella di provitamina, in quanto non possono essere sintetizzate ex novo dall'organismo.
Il termine, coniato dal biochimico polacco, naturalizzato statunitense, Kazimierz Funk, nel 1912, per designare un composto aminico presente nello strato esterno della cariosside del riso e avente la proprietà di curare il beri-beri: in seguito il nome venne esteso ad altre sostanze non classificabili come alimenti plastici o energetici ma indispensabili, sia pure in minima quantità, per la vita, non sempre contenenti gruppi aminici; composto del latino vita (→ vita) e amine (→ amina), significa letteralmente «amina di vita» o «amina vitale».
Il primo sistema di classificazione designava le vitamine attraverso l’uso delle lettere dell’alfabeto (A, B, C, D, E, K): in seguito, alcune delle sostanze sono state rinominate e altre, inizialmente ritenute vitamine (a cui era stata assegnata una lettera) sono state riclassificate e, di conseguenza, non sono più considerate tali. Oggi la denominazione con lettere dell’alfabeto appare discontinua e, attualmente, si preferiscono termini che si riferiscono alla struttura chimica, anche se le denominazioni storiche sono state conservate; le vitamine sono suddivise idrosolubili (vitamina C e quelle del gruppo B) e liposolubili (vitamina A, vitamina D, vitamina E, vitamina K).
Attualmente tredici vitamine sono universalmente riconosciute: per convenzione, il termine vitamina non comprende altri nutrienti essenziali, come i sali minerali, gli acidi grassi essenziali o gli amminoacidi...
- U.E.S.
definizione
Acronimo di «upper esophageal sphincter», ovvero sfintere esofageo superiore, l'area del tratto digerente superiore, con funzioni sfinteriali, che forma una barriera tra l'esofago e la faringe, ma che si apre e si chiude a intermittenza per consentire il passaggio del contenuto durante vari eventi fisiologici: l'area esofagea superiore che agisce come sfintere viene talvolta definita “zona di alta pressione esofagea superiore” (U.E.H.P.Z.).
fisiologia dello U.E.S.
I cambiamenti di fase nel tono dello U.E.S. si verificano durante vari riflessi o negli stati fisiologici e, nella maggior parte delle situazioni, sono dovuti ai cambiamenti di tono dell'esofago cervicale, del muscolo crico-tiroideo o del muscolo tireo-faringeo; l'apertura dello U.E.S. dipende da tre azioni: il rilassamento dei muscoli ad azione costrittiva, la distrazione della laringe rispetto all'esofago l'una ed il movimento ortodromico del bolo alimentare. Le forze di distrazione sono in grado di aprire lo sfintere esofageo superiore, potendo superare il tono generato dai muscoli che lo costringono: l'esofago cervicale, il muscolo crico-tiroideo ed il muscolo tireo-faringeo si rilassano durante l'apertura dello sfintere, operata dai muscoli ioidei superiori (muscolo genio-ioideo, muscolo milo-ioideo, muscolo stilo-iodeo, muscolo io-glosso ed il ventre anteriore muscolo del digastrico: sollevano antero-superiormente l'osso ioide), dai muscoli ioidei inferiori (muscolo tireo-ioideo, muscolo sterno-ioideo, muscolo sterno-tireo-ioideo e muscolo omo-ioideo: tirano l'osso ioide e la cartilagine tiroidea infero-anteriormente) e dai muscoli faringei posteriori (muscolo stilo-faringeo, il muscolo palato-faringeo, il muscolo pterigo-faringeo ed altri) che forniscono le principali forze di distrazione.
Sebbene la maggior parte dell'azione di questi muscoli di apertura UES anteriore sia sull'osso ioide, occorre ricordare che il muscolo tireo-ioideo costituisce la connessione principale tra lo...
- sfintere esofageo superiore
definizione
Comunemente abbreviato con l'acronimo U.E.S. («upper esophageal sphincter») indica l'apparato muscolare, situato tra l'esofago cervicale e l'ipofaringe, che svolgendo una funzione sfinteriale, controlla il transito di gas e sostanze dalla bocca allo stomaco, opponendosi al passaggio di aria dalle vie aeree superiori all'esofago (aerofagia), ed al rigurgito o al reflusso del contenuto gastro-esofageo verso il faringe o le vie aeree.
fisiologia dello sfintere esofageo superiore
A differenza del L.E.S. (sfintere esofageo inferiore), che è una valvola puramente funzionale, lo sfintere esofageo superiore deve essere considerato uno sfintere anatomico per la presenza di una componente strutturale vera e propria, data dal muscolo crico-faringeo, porzione caudale del muscolo costrittore inferiore della faringe.
Le fibre striate del muscolo costrittore (muscolo crico-faringeo), in corrispondenza del margine inferiore della cartilagine cricoidea, formano anello muscolare che regola il transito: il controllo sfinterico viene effettuato sul materiale ingerito che procede verso lo stomaco grazie al movimento anterogrado promosso dalla peristalsi, ma anche sulla potenziale risalita di chimo in senso retrogrado, vigilando sull'eruttazione e contenendo il rigurgito.
Normalmente, lo U.E.S. in condizioni di riposo, cioè ad esclusione di quando avviene la deglutizione, rimane chiuso: durante l'ingestione, il bolo alimentare viene spinto all'indietro, per la contrazione della lingua contro la parete posteriore della faringe: come conseguenza, si osserva la comparsa di un'onda peristaltica promossa dai muscoli costrittori del faringe contemporaneamente all'interruzione del ciclo respiratorio, alla chiusura delle vie aeree (rinofaringe e laringe) ed all'apertura dell'U.E.S. cioè il rilassamento sfinterico del muscolo crico-faringeo. Una volta completata la deglutizione, si verifica un'ipertonia transitoria che corrisponde a una ripresa della contrazione dei muscoli e...
- riflesso eruttativo
definizione
Riflesso fisiologico, dipendente dalla necessità di espellere i gas presenti a livello dell'esofago, dello stomaco o, raramente, dell'intestino tenue attraverso l'eruttazione, cioè l'emissione di gas dalla bocca sotto forma di rutti. Il nome deriva dal latino eructāre, originato da ērūgō (→ eruttare), un comporto frequentativo di ĕx- rafforzativo e ructāre, la cui radice è ἐρυγγάνω (erungánō → emettere aria rumorosamente, ruggire, buttare fuori dalla bocca ).
meccanismi fisiologici
Il processo di distensione del lume del tratto superiore dell'apparato gastro intestinale induce, tramite i barocettori presenti nelle pareti, l'attivazione non solo di riflessi locali, coordinati dal plesso mioenterico di Auerbach e dal plesso sottomucoso di Meissner, ma anche risposte mediate dal nervo vago.
In particolare, la distensione gastrica aumenta, in via riflessa, la secrezione di enzimi digestivi ed acido, ma può incrementare la forza e la frequenza delle contrazioni antrali che, al fine di favorire il rimescolamento del chimo indigesto, producono movimenti antiperistaltici (antidromia): questo fenomeno favorisce la risalita di gas verso la bolla gastrica, che possono derivare dall'ingestione assieme al cibo (aria simile all'atmosfera), dalla liberazione di anidride carbonica presente nelle bibite effervescenti o gassate o gas derivanti fa processi fermentativi o putrefattivi (aerogastria) o dalla deglutizione ansiosa di aria (aerofagia).
La miscela gassosa, provocando la distensione della parte alta dello stomaco e del mediastino, in quanto, vista la parziale incontinenza fisiologica del L.E.S., risale anche nell'esofago; il risultato è l'attivazione di riflessi vago-vagali lunghi (riflesso eruttativo) che, da un lato azionano la contrazione simultanea del muscolo diaframma e del torchio addominale, dall'altro favoriscono il rilascio del muscolo crico-faringeo, porzione del muscolo costrittore inferiore della faringe, che funge da sfintere esofageo...
- deplezione
definizione
Riduzione, diminuzione, perdita, svuotamento, impoverimento: il decremento (e la condizione che ne deriva) della quantità di liquido o di un componente generale dell’organismo, o anche, con riferimento a un particolare organo, del contenuto di una determinata sostanza organica; dal latino deplēre (→ svuotare).
Si parla di deplezione proteica (qualore ci sia una diminuzione della concentrazione delle proteine nell'organismo: la diminuzione delle proteine, che in condizioni normali nel siero umano hanno valori di 6,5-8,5 g/dl, può essere dovuta ad uno stato di denutrizione, con conseguente diminuzione di sintesi dei protidi, o alla perdita di componenti proteici; la deplezione proteica è responsabile della riduzione della sintesi del collagene e dell'angiogenesi. L'abbassamento dell'albumina, in condizioni estreme, porta ad edema.
La deplezione sodica o di potassio, indica la perdita eccessiva dei corrispondenti sali: la diminuzione porta a una sindrome caratterizzata da astenia, mialgie, nausea, vomito e oliguria con possibilità di acidosi metabolica; si può avere in seguito a una sudorazione profusa, a un abuso di diuretici, a una grave diarrea, a nefriti croniche. Regredisce in seguito alla somministrazione mirata di sali e contenimento delle perdite.
- replezione
definizione
Letteralmente «essere pieno» o «riempito»: il termine viene utilizzato per indicare la pienezza di un organo, come lo stomaco o la vescia urinaria; dal latino repletiōnem, derivato da replēre (→ riempire).
⇒ replezione gastrica - se non causata da un pasto pletorico, generalmente, è l'espressione di dispepsia, che, causando una lunga permanenza del cibo nello stomaco, favorisce l'insorgenza di eruttazione, bloating e, in alcuni casi, aerogastria.
⇒ replezione vescicale - se eccessiva può essere dovuta all'abitudine di ignorare lo stimolo minzionale e trattenere l'urina: spesso associata alla sensazione di pienezza, può essere causa di cistiti, cisto-pieliti, distonie neuro-vegetative e incontinenza urinaria che si rivela iscuria paradossa cioè una perdita urinaria da eccessiva dilatazione vescicale, soprattutto in caso di ritenzione cronica d’urina.
- distonia dell’eruttazione
definizione
Con il termine “distonia” si descrive un'alterazione del tono e della tensione: per “distonia dell'eruttazione” si intende la mancanza di controllo e coordinazione oppure l'incapacità di ruttare, nonostante l'urgenza di doverlo fare; anche se non è un fenomeno non così frequente, spesso misconosciuto, che oltre a favorire l'insorgenza di bloating, distensione addominale o flatulenza e meteorismo, si può manifestare con un dolore retrosternale ingravescente, spesso debilitante, gorgoglii provenienti dal petto.
Il riflesso eruttativo è un riflesso fisiologico, dipendente dalla necessità di espellere i gas presenti a livello dell’esofago, dello stomaco o, raramente, dell’intestino tenue attraverso l’eruttazione: distonie di questo fenomeno naturale possono portare all'insorgenza della cosiddetta “burping reflex dysfunction syndrome” (D.B.R.S.), detta anche “dysfunction of the belching reflex” (belcing e burping, in inglese sono sinonimi di eruttazione), cioè a quella sindrome definita anche “distonia del riflesso eruttivo”.
fisiopatologia dell'eruttazione
L'eruttazione è un atto fisiologico ed una necessità del corpo per diminuire la pressione sotto-diaframmatica derivante dall'ingestione di aria, bevande carbonate o gas derivanti dai processi fermentativi o putrefattivi; il processo, attivato da riflessi vago-vagali, è mediato da fibre sensitive e risposte motorie veicolate dal nervo vago: non deve essere considerato un mero rilascio di una miscela gassosa, ma deve essere visto come una attività controllata dal sistema nervoso.
Il L.E.S. non può essere considerato, a tutti gli effetti, un vero e proprio sfintere, in quanto resta parzialmente beante per permettere il passaggio (incompleto) dei gas presenti a livello del fundus gastrico; questi, dilatando il lume dell'esofago, inducono risposte vagali che portano all'eruttazione, che si manifesta nel momento in cui lo U.E.S., viene rilassato attivamente, per permettere il passaggio repentino dei...
- telarca
definizione
Lo sviluppo delle ghiandole mammarie e quindi del seno; dal greco θηλή (thelḗ → mammella) e e ἀρχή (arkhḗ → inizio, principio, punto di partenza, origine).
Nella femmina, solitamente, il telarca ha inizio verso gli 8 anni d'età e si accompagna alla fase di pubarca e alla fase di adrenarca: indica il corretto funzionamento del sistema ormonale della femmina; a consentire l'accrescimento delle ghiandole mammarie sono gli estrogeni prodotti dalle gonadi femminili (ovaia). Il maschio pur possedendo le mammelle non è interessato dalla fase del telarca.
- pubarca
definizione
La fase dello sviluppo sessuale caratterizzata dalla comparsa di peli a livello pubico e dei caratteri sessuali secondari: di norma il pubarca precede il menarca nel sesso femminile e la spermatogenesi in quello maschile; composto di pūbes (→ «i peli che compaiono sul corpo all'età della pubertà, i genitali», assumendo il significato di «cresciuto», «maturo», ma, allo stesso tempo, inguine, area dei genitali) e ἀρχή (arkhḗ → inizio, principio, punto di partenza, origine).
Nel sesso femminile, in genere preceduta dall'adrenarca, si verifica in media tra gli 8 ed i 12 anni di età, seguita solitamente dal telarca (sviluppo delle ghiandole mammarie) e dal menarca: tutti questi cambiamenti possono avvenire senza la concomitanza del pubarca e viceversa.
Nel sesso maschile, i primi segni di sviluppo puberale tendono a ritardare, rispetto al sesso femminile, spostando le prime manifestazioni verso i 10÷14 anni: lo sviluppo dei peli pubici si associa all'ingrossamento testicolare: la crescita e la maturazione del pene è generalmente contemporanea allo sviluppo dei peli pubici, poiché in entrambi i casi lo sviluppo è dipendente dagli androgeni.
- menarca
definizione
La prima mestruazione che segna l’inizio dell’attività ovarica e della vita riproduttiva della donna: denominazione del primo flusso mestruale che rappresenta l'inizio del periodo fertile; dal greco μήναρχή (menarchè), composto di μήν (mén → mese) e ἀρχή (arkhḗ → inizio, principio, punto di partenza, origine), indica, già dal nome la ciclicità mensile che assumerà il flusso mestruale dopo l'evento di esordio. Il nome ricorda la dea Mena (anche detta Mene), che nella mitologia romana rappresenta il nume protettore della ciclicità femminile, delle mestruazioni e della fertilità.
fisiologia
La prima mestruazione, solitamente, compare tra i 10 e i 16 anni, influenzata da molteplici fattori: essa dà segnale della raggiunta maturità della donna, che, cessando di essere ragazza, diviene potenzialmente fertile; è la fase che dà inizio alla pubertà, preceduta dalle fasi di adrenarca, pubarca e telarca. Il menarca è un importante indicatore sullo stato di salute della donna durante l'età della crescita, oltre che indicare il buon funzionamento dell'apparato riproduttore: a provocare lo sfaldamento dell'endometrio, quindi il menarca, è la notevole quantità di androgeni liberati dall'ovaio a sua volta stimolato sempre per via ormonale dall'ipofisi; gli androgeni, in genere, provocano anche un forte scatto nella crescita in altezza.
- rinorragia
definizione
Sinonimo di epistassi, indica un'emorragia originatasi all'interno delle fosse nasali; dal greco ῥινός (rinós → naso) e ραγία, derivato di un tema affine a ῥήγνυμι (rígnymi → rompere).
- epistassi
definizione
Emorragia originatasi all'interno delle fosse nasali con fuoriuscita del sangue o anteriormente, attraverso le narici, o posteriormente, attraverso le coane: in questo secondo caso, oltre a fuoriuscire dalla bocca, il sangue può scendere nella faringe e di qui alle vie aeree, con attivazione frequentemente della tosse, oppure nell'apparato digerente, con insorgenza di vomito o, in alcuni casi, di ematemesi o melena; detta anche rinorragia, deriva dal greco ἐπίσταξις (epístaksis → gocciolamento), derivato, per estensione, da ἐπί (epi → sopra) e στάζω (stázō → gocciolare).
In genere è dovuta a cause locali (congestione o erosione della mucosa, traumi del naso) o sistemiche (diatesi emorragiche, ipertensione, infezioni); nei bambini si presenta spesso in caso di allergia con la rottura dei capillari.
Tipica è l'epistassi della donna gravida, non necessariamente segno di patologia.
- enterorragia
definizione
Emissione di sangue proveniente dal tratto gastroenterico inferiore, aboralmente al legamento del Treitz, frammisto a feci; dal greco ἔντερον (énteron → intestino) e ραγία, derivato di un tema affine a ῥήγνυμι (rígnymi → rompere).
L'enterorragia è caratterizzata dalla presenza di sangue solo parzialmente digerito e macroscopicamente visibile nelle feci; il sangue può essere ben visibile o frammisto a feci, accompagnato a muco, rosso rutilante o più scuro, anche se le emorragie intestinali minori o intermittenti possono essere difficilmente individuate senza ricorrere a metodiche di laboratorio come la ricerca del sangue occulto nelle feci.
L'emissione di sangue rosso vivo con l'atto della defecazione è più specificatamente definito ematochezia, mentre la presenza di sangue digerito, caratterizzato dalla formazione di feci picee maleodoranti, tipico delle emorragie del tratto superiore del tubo digerente, viene chiamata melena.
L'eziopatogenesi dell'enterorragia è spesso sovrapponibile all'ematochezia, potendo essere espressione di angiodisplasia intestinale (responsabile anche di melena), emorroidi e/o ragadi anali, diverticolosi, polipi, colite pseudomembranosa, colite ischemica, morbo di Crohn, retto-colite ulcerosa, enterocoliti di origini batteriche o protozoarie.
- conato
definizione
Impulso all’emesi, caratterizzato dall’assenza di emissioni, definito anche “vomito sine materia”: è un tentativo abortivo di vomitare, a glottide chiusa, preceduto da ipersalivazione, causati dalla contrazione della muscolatura respiratoria; possono essere acuti, brevi o prolungati. Derivato dal latino conāri (→ tentare, sforzarsi).
- peritoneo
definizione
Membrana sierosa, liscia, trasparente, sottile, che riveste la cavità addominale, costituito da due foglietti continui, di cui uno riveste gli organi addominali (peritoneo viscerale) e l’altro le pareti dell’addome (peritoneo parietale), delimitando una cavità virtuale (cavità peritoneale), in cui si trova una scarsissima quantità di liquido sieroso che facilita lo scorrimento delle superfici degli organi addominali tra loro e contro le pareti della cavità stessa; dal greco περιτόναιον (peritónaion → disteso intorno), composta da περι (peri- → intorno) e τείνω (teíno → tendere).
descrizione
Nell'uomo la cavità peritoneale è completamente chiusa, mentre nella donna comunica indirettamente con l'esterno attraverso i due orifizi tubarici interni.
A seconda dei rapporti che gli organi della cavità addominale hanno col peritoneo, si distinguono in intra- ed extraperitoneali: la definizione dipende dal fatto che siano ne siano ricoperti per una grande estensione, soltanto parzialmente o non ne siano rivestiti affatto.
Il peritoneo viscerale, oltre a rivestire gli organi endoaddominali, ne assicura anche la fissazione alle pareti addominali mediante plicature, dette mesi, contenenti nella loro compagine gli elementi vascolo-nervosi destinati agli organi; attraverso plicature tese tra gli organi, denominate epiploon, assicura i reciproci rapporti intercorrenti fra i vari organi.
Un cenno a parte merita il grande epiploon, detto anche grande omento, o mesogastrio, che, sempre costituito da una duplicatura del peritoneo viscerale, si estende dalla grande curvatura gastrica al colon trasverso, ricoprendo la massa intestinale a guisa di grembiule (grembiule omentale o epiploico).
Al pari di tutte le membrane sierose, anche il peritoneo è costituito da uno strato epiteliale, ovvero il mesotelio, e da un tessuto connettivo lasso di sostegno: il mesotelio è uno strato di epitelio pavimentoso estremamente sottile e molto permeabile al liquido interstiziale...
- F.A.N.S.
definizione
Acronimo dell'espressione «farmaci anti-infiammatori non steroidei» e individua una classe di farmaci dall'effetto antinfiammatorio, analgesico e antipiretico: sono definiti “non steroidei” mira a distinguere queste sostanze dal cortisone e derivati, appartenenti, appunto, alla classe degli steroidi.
descrizione
Solitamente svolgono un'azione analgesica a livello periferico, agendo metabolismo dell'acido arachidonico e dell'acido eicosapentaenoico, precursori di molecole coinvolte nel processo infiammatorio quali le prostaglandine, le prostacicline, i trombossani e i leucotrieni: i F.A.N.S. bloccano, in maniera più o meno reversibile, le ciclo-ossigenasi, enzimi appartenenti alla classe delle ossidoreduttasi, esistenti in due isoforme: COX-1, prodotto costitutivamente e ubiquitario in condizioni fisiologiche e COX-2, sintetizzato in maniera inducibile e quasi assente se non in attiva fase infiammatoria.
Per questo si parla di sostanze antinfiammatorie ad azione selettiva per l'enzima di tipo COX-2 ( COX-2 inibitori) o di prodotti non selettivi che, pur riducendo l'infiammazione e l'aggregazione piastrinica, aumentano il rischio di ulcere e sanguinamenti gastrointestinali per la loro azione gastro-lesiva; i COX-2 inibitori, pur avendo meno effetti gastro-intestinali, promuovono la trombosi e aumentano sostanzialmente il rischio di infarto. Gli effetti collaterali dipendono dal farmaco specifico, ma includono in gran parte un aumento del rischio di ulcere e sanguinamenti gastrointestinali, infarto e malattie renali: il motivo per cui è consigliabile assumerli a stomaco pieno per minimizzare la lesività verso le mucose del sistema gastrointestinale.
L'utilizzo cronico può avere gravi effetti gastrolesivi, con incrementato rischio di emorragia per la riduzione della produzione di muco e della secrezione di bicarbonato, che contrasta l'acidità gastrica: le lesioni ulcerose delle mucose gastro-intestinali possono perforazione del viscere; in caso di...
- feci picee
definizione
Feci che si presentano di colore particolarmente scuro, nerastre: di aspetto simile al catrame, untuose, viscose e di consistenza appiccicosa, ovvero nere come la pece, con la tipica lucentezza resinosa di questa sostanza; “picea” deriva dalla somiglianza alla pece, un liquido molto viscoso, di colore nero, ricavato dalla distillazione del bitume o del catrame di carbon fossile, dal latino piceus, derivato di pix (→ pece).
Le feci picee sono un tipico segno di emorragia digestiva, in particolare di melena, cioè contenete sangue digerito: per avere un melena visibile con feci picee occorre un'emorragia importante della parte alta del tratto digestivo, nell'ordine di almeno 80-100 cc di sangue; le feci possono continuare a presentarsi picee per 48-72 ore dal termine dell'emorragia.
Il colore piceo è dovuto alla digestione dell'emoglobina in ematina acida, principalmente per effetto dell'acido cloridrico, pertanto, le feci picee sono un segno comune delle emorragie del tratto gastro-intestinale superiore, in genere posta oralmente alla flessura duodeno-digiunale, in particolare di quelle dell'esofago, dello stomaco e del duodeno; possono anche essere presenti in caso di emorragie dei tratti intestinali inferiori, purché queste siano sufficientemente lente da consentire la digestione del sangue da parte della flora batterica locale (microbiota intestinale): secondo una stima approssimativa, sono necessarie circa 14 ore affinché il sangue sia digerito dagli enzimi nel lume intestinale.
Anche importanti emorragie del rino-faringe o del cavo orale, se accompagnate dalla deglutizione del sangue, possono originare feci picee e melena.
Potenzialmente responsabili di feci picee sono i farmaci gastrolesivi come i salicilati, i F.A.N.S., i corticosteroidi, il fenilbutazone, l'indometacina, la reserpina per la formazione di stillicidio ematico; l'assunzione di integratori contenenti ferro, di sanguinaccio, di liquirizia o di particolari farmaci, come quelli...
- melena
definizione
Emissione di feci nere, per la presenza di pigmenti ematici derivanti dalle trasformazione dell’emoglobina operata dei fermenti digestivi, durante la permanenza nel tubo gastroenterico; dal greco μέλαινα (mèlaina) derivato dall'aggettivo μέλας (mèlas → nero), sottintendendo νόσος (nòsos → malattia).
È un tipico segno di emorragia gastrointestinale e può conseguire a malattie dell’apparato digerente come la rottura di varici esofagee, conseguenti a stasi portale oppure ulcera gastrica o duodenale, cancro dello stomaco, malattie emorragiche della parte alta dell’apparato digerente; anche il sangue ingerito a seguito di epistassi può esserne responsabile.
Si manifesta come una diarrea putrida di colore nero pece: le feci assumono un colorito nerastro, appaiono untuose con un aspetto catramoso (feci picee); si caratterizzano per essere decisamente fetide con un tipico odore molto acido. Il colore nero è causato dalla ossidazione del ferro dell'emoglobina, per azione dei succhi gastrici che proseguono la propria azione, durante il suo passaggio attraverso l'ileo; il sangue agisce come un agente lassativo, promuovendo la peristalsi ed il passaggio di feci.
La melena presuppone un versamento di sangue nel lume gastro-enterico di almeno 50 ml; non è considerata un'emergenza medica, poiché generalmente associata ad un sanguinamento lento, tuttavia, spesso, è necessaria l'ospedalizzazione per escludere cause gravi e prevenire l'evoluzione del problema.
Si differenzia dall'ematochezia e dall'enterorragia, che rappresentano la manifestazione di un sanguinamento proveniente dal tratto gastrointestinale inferiore (sigma o retto), perchè è generalmente associato con il passaggio di sangue rosso; solo il sangue che proviene dal tratto esofageo, gastrico o dall'intestino tenue, ed il sanguinamento da una zona più bassa che si verifica abbastanza lentamente da permettere la digestione enzimatica, sono associati a melena.
Secondo una stima approssimativa sono...
- vomito caffeano
definizione
Si definisce caffeano un particolare tipo di vomito che consegue ad un'emorragia gastrica e che, per effetto della digestione del sangue nello stomaco, ha un colore molto scuro, i fondi del caffè.
Il colore nerastro dipende dal fatto che, a differenza dell'ematemesi che segnala un versamento recente di sangue o addirittura in corso, il sangue rimane per qualche tempo nello stomaco facendo si che l'emoglobina del sangue venga convertita in ematina, per azione dell'acido cloridrico contenuto nei succhi gastrici: l'emorragia che causa la perdita di sangue solitamente è dovuta ad un'emorragia del tratto gastrointestinale superiore che si è ridotta o interrotta; talvolta si accompagna a melena.
Il sangue potrebbe essere causato da esofagite, gastrite, ulcera gastrica e altri disturbi e traumi fisici oppure da un uso prolungato di farmaci antinfiammatori.
- ematemesi
definizione
Manifestazione di vomito ematico, cioè caratterizzato dalla presenza di sangue proveniente dai primi tratti del canale digerente, generalmente sopra il legamento di Treitz, come l'esofago, lo stomaco o il duodeno: qualora l'emorragia riguardi la porzione più alta del canale alimentare e il sanguinamento sia di una entità tale da venire espulso con l'emesi prima di venire ossidato dal pH acido dello stomaco, il sangue appare di colore rosso vivo, come avviene, ad esempio, come conseguenza del sanguinamento di varici esofagee, ulcera peptica o esofagite con ulcerazioni; parola composta da emato-, dal greco αἷμα (aíma → sangue), ed emesi, dal greco ἔμεσις (émesis → vomito).
Anche in corso di epistassi, il sangue deglutito può anche causare vomito ematico.
Se il tempo di emorragia si prolunga e la perdita non è di entità tale da stimolare immediatamente il vomito per stiramento delle pareti gastriche, l'emoglobina presente nello stomaco viene degradata ad ematina ad opera dell'acido cloridrico e il sangue assume un colorito più scuro, simile alla colorazione del caffè (vomito caffeano): segni associati all'ematemesi possono essere enterorragia e melena.
L'ematemesi è sempre un segno importante, ma la sua gravità dipende dalla quantità, dall'origine e dalla rapidità dell'emorragia: una manifestazione massiva, con vomito di volumi superiori ai 500 ml di sangue, può essere potenzialmente letale.
- adrenarca
definizione
Con questo termine si fa riferimento a quella fase dell'età evolutiva in cui si verifica la progressiva maturazione della corteccia surrenale che precede e si fonde con la pubertà vera e propria; composto dalla parola latina ad- (→ vicino) renes (→ rene), letteralmente «vicino al rene», utilizzato per indicare la ghiandola surrenale e, dal greco, ἀρχή (arkhḗ → inizio, principio, punto di partenza, origine).
In genere la maturazione della ghiandole surrenali volge al termine con la comparsa di peli pubici e ascellari, sotto lo stimolo degli ormoni androgenici cortico-surrenalici: può essere considerata un normale cambiamento fisiologico, che si verifica poco prima della maturazione sessuale, all'incirca all'età di 9/10 anni, in cui si verifica un aumento dell'attività della corteccia surrenale con rilascio di ormoni della famiglia degli androgeni, quali testosterone e di-idro-testosterone.
adrenarca e pubertà
Per pubertà si intende, solitamente, lo sviluppo dei caratteri sessuali: nelle bambine, la prima tappa fondamentale della pubertà è tipicamente lo sviluppo delle mammelle (telarca), seguito subito dopo dalla comparsa di peli pubici (pubarca) e ascellari e, successivamente, dalla prima mestruazione (menarca) che solitamente inizia 2-3 anni dopo il telarca; nei ragazzi, è generalmente la crescita testicolare, seguita dalla crescita del pene e dalla comparsa dei peli pubici e ascellari.
Se la maturazione sessuale inizia prima degli 8 anni di età nelle femmine e prima dei 9 nei maschi, si parla di pubertà precoce: indicatori del cambiamento possono essere la valutazione, tramite RX del polso e della mano sinistra, dell'età ossea oppure controllando l'accelerazione della crescita ed i dosaggi dei livelli sierici delle gonadotropine e degli steroidi gonadici e surrenalici.
L'adrenarca può avvenire prima del gonadarca in circa il 10% dei bambini (adrenarca prematuro); sebbene il gonadarca e l'adrenarca possano avere segni sovrapposti, sono...
- sine materia
definizione
Locuzione latina che significa, letteralmente, “senza causa”, utilizzata in ambito medico per indicare “patologie” disfunzionali, cioè caratterizzate dall’assenza di lesioni strutturali, di particolari alterazioni morfo-strutturali od organiche, identificabili come causa della malattia.
Potrebbe essere considerata sinonimo di “sine causa”, ma in realtà, pur avendo la stessa traduzione, quest’ultima è utilizzata in ambito giuridico, specialmente in materia contrattuale, per indicare situazioni di fatto che non abbiano una giustificazione di diritto.
- feto
definizione
Il termine rappresenta l'addivenire all'esistenza: deriva dal latino foetus, che possiede la radice etimologica foē- comune a foecundus ed a foemina: il lemma nasce dal greco antico φυτος (phytos → fecondato) che a sua volta discende da φυτa (phyta → vita) e dalla radice φυω (phyo → essere, generare, divenire).
In termini scientifici si intende il prodotto del concepimento dei mammiferi, considerato durante il suo sviluppo intrauterino; in passato, il termine veniva usato per descrivere un soggetto in via di sviluppo, dal momento in cui si riconoscono i caratteri morfologici della specie, mentre si definisce embrione lo stadio precedente.
Il feto è un organismo vulnerabile, la cui vitalità può essere seriamente compromessa dalle alterazioni delle condizioni di omeostasi materne e dalle sostanze assunte dalla madre; anche gli stati emotivi materni influenzano lo sviluppo fetale.
- riflesso
definizione
L’etimologia della parola ci aiuta a comprendere meglio il significato del termine: il lemma deriva dal latino reflexus, participio passato di reflectĕre, che significa letteralmente volgere indietro, cioè rimandare indietro; il riflesso, in neurofisiologia, è una risposta automatica ed involontaria ad uno stressor. Quando uno stimolo provoca l’eccitazione di un recettore, attraverso le vie sensitive afferenti, l’informazione giunge a un organo centrale di elaborazione (midollo spinale o cervello) che, al di fuori della volontà, come conseguenza mette in atto un metaprogramma che, come conseguenza, tramite le fibre nervose efferenti produce una risposta motoria (muscolo) o secretoria (ghiandola): i riflessi hanno generalmente lo scopo di mantenere l’omeostasi o la postura dell’organismo.
riflessi nervosi – endocrini – neuro-endocrini
Ovviamente i riflessi che coinvolgono il sistema nervoso, sono quelli che coinvolgono gli organi di senso: attraverso i neuroni sensitivi gli impulsi afferenti generati dalla percezione delle variazioni ambientali giungono ai centri di integrazione costituito dagli interneuroni del sistema nervoso centrale, siti o nel cervello o nel midollo spinale (arco riflesso spinale); le vie efferenti (neuroni motori o eccito-motori) attivano risposte a livello del tessuto muscolare, delle ghiandole e del tessuto adiposo. Le vie riflesse nervose sono identificate anatomicamente in base al nervo interessato, che determina anche la velocità di attuazione del riflesso stesso, anche se di norma sono di rapida insorgenza e di breve durata: l'intervallo di tempo dallo stimolo alla risposta in un riflesso nervoso è dell'ordine dei centesimi o dei millesimi di secondo.
I riflessi endocrini, che riguardano il sistema ormonale, sono generalmente più lenti rispetto ai riflessi nervosi, sfruttando una serie di molecole, che viaggiano attraverso l'apparato circolatorio, in grado di garantire la comunicazione cellulare a grande distanza;...
- E.F.A.
definizione
Acronimo per « Essential Fatty Acids», ovvero acidi grassi essenziali
- antiperistalsi
definizione
Contrazioni del tubo digerente, in senso antidromico; dal greco ἀντί- (antí- → contro) e περισταλτις (peristaltis), derivato da περιστέλλω (peristéllo → involgere, comprimere).
descrizione
I movimenti peristaltici intestinali si instaurano con un meccanismo riflesso (riflesso mioenterico), per opera del Plesso sotto-mucoso di Meissner e del Plesso mio-enterico di Auerbach, situati nello spessore delle pareti intestinali: la loro intensità è anche influenzata dal nervo vago e dal Sistema Nervoso Simpatico.
Alcuni movimenti antiperistaltici possono essere considerati fisiologici: il rimescolamento del chimo gastrico o del chilo intestinale, può dipendere dall'alternanza della motilità retrograda e dei movimenti ortodromici del contenuto luminale dell'organo, che, in associazione con la rotazione assile in senso antiorario, garantiscono l'amalgama del materiale indigesto con i succhi digestivi ed un suo migliore contatto con la mucosa assorbente; i movimenti peristaltici retrogradi hanno importanza particolare nel duodeno, poiché il reflusso del contenuto duodenale verso la stomaco permette la neutralizzazione dell'acidità gastrica.
In seguito all'insorgenza di stimoli di natura psichica, tossica, infiammatoria, meccanica si possono invertire i movimenti fisiologici, assumendo il carattere di contrazioni disordinate o antidromiche, spesso accompagnate da crampi e dolori spastici. Il vomito è una forma di movimento antiperistaltico.
- brachiesofago
definizione
Abnorme brevità dell’esofago che può essere congenita, per insufficiente sviluppo in lunghezza dell’organo, o acquisita; composto di βραχυ– (brachy → corto, breve) assieme ad esofago, οἰσοϕάγος (oisophágos), composto di οἰσ- (ois → portare) e dalla radice ϕαγ (phag → mangiare).
La conseguenza della presenza di un brachiesofago è la risalita del tratto addominale dell’esofago e di parte dello stomaco all'interno della cavità toracica attraverso lo iato esofageo, con al formazione di una cosiddetta ernie iatale: tale condizione, se di grado lieve, può non dare alcun sintomo nel bambino o manifestarsi solo con disturbi lievi come rigurgiti, gastralgia o vomito, per l'appiattimento dell'angolo di His; in genere i sintomi tendono a scomparire col tempo, col passaggio alla posizione eretta e a un’alimentazione solida.
Il brachiesofago può svilupparsi come forma reattiva alla presenza di fenomeni flogistici del L.E.S. o di esofagite: la forma più frequente è una complicanza di un’infiammazione dell’esofago dovuta a reflusso gastro-esofageo (M.R.G.E.); spesso si verifica una modificazione patologica del rivestimento mucoso del basso esofago, che viene progressivamente sostituito da una mucosa identica a quella gastrica. Le principali complicanze sono l’insorgenza di un’ulcerazione, detta ulcera di Barrett, e soprattutto il cancro del basso esofago.
- antro del cardias
definizione
Detto anche antro cardiale o «antrum cardiacum», è la porzione addominale dell’esofago che, dilatandosi, forma una sorta di vestibolo del cardias.
- antrum cardiacum
definizione
L'antro cardiaco (o cardiale) è l'ingrandimento a forma di fiala che assume l'esofago dopo il suo passaggio attraverso il diaframma; secondo alcuni autori corrisponde al cardias, secondo altri è la zona esofagea subito prima di entra nel cardias dello stomaco (L.E.S), perchè con il termine cardias (o cardia) si intende l'ingresso dello stomaco, chiamato anche bocca dello stomaco, detta appunto l'apertura cardiaca o parte cardiaca dello stomaco, ovvero quella parte dello stomaco che circonda la giunzione esofago-gastrica, caratterizzata dalla presenza di ghiandole cardiache.
Il termine latino «antrum», dal greco ἄντρον (ántron → grotta), assume il significato di vestibolo; nell’immaginario degli antichi, il «kardía» localizza fisicamente in un distretto corporeo, le qualità morali di sopportazione, coraggio, coscienza e determinazione, pertanto la definizione cardias dell’orifizio che permette lo sbocco dell’esofago nello stomaco, prende pertanto il nome dalla zona dove si trova anche la punta del cuore.
- sfintere esofageo inferiore
definizione
Struttura anatomica dell'esofago, chiamata frequentemente L.E.S. (dalle iniziali del termine inglese «lower esophageal sphincter»), che viene spesso fatto coincidere con il cardias, è un apparato sfinteriale situato tra esofago terminale e stomaco, che si oppone al passaggio in esofago del succo gastrico acido: la disposizione delle fibre muscolari in questo segmento dell'esofago, non presenta una morfologia tipicamente sfinteriale, simile ad altri tratti del tubo digerente come ad esempio il piloro, ma il meccanismo di contrazione conferiscono a quest'area le caratteristiche di uno sfintere di tipo funzionale.
La sua incontinenza o la beanza della struttura, spesso associata a ipertono del muscolo diaframma e tendenza all'ernia iatale, è responsabile della sindrome dello sfintere esofageo inferiore e del reflusso gastro-esofageo (M.R.G.E.).
- antidromia
descrizione
Termine utilizzato per descrivere “ciò che si propaga in senso opposto a quello fisiologico o abituale”, che si muove in direzione opposta; dal greco ἀντί- (antí- → contro) e δρόμος (drómos → corsa, sentiero). Il termine opposto è ortodromia.
Usato per descrivere la trasmissione di impulsi nervosi, in senso retrogrado, oppure adoperato per illustrare i movimenti antiperistaltici di alcuni tipi di contrazioni intestinali, che si producono in corrispondenza della metà del colon traverso, permettendo così un ulteriore rimescolamento del contenuto intestinale; è impiegato per delineare le alterazioni della motilità, conseguenti a disturbi funzionali gastro-enterici.
- anterogrado
definizione
Termine utilizzato per descrivere “ciò che si muove in direzione anteriore”, “ciò che cammina in avanti”, cioè ortodromica, ovvero che si muove che può considerarsi normale; dal latino ante- (→ prima, davanti), indicante il movimento in direzione anteriore, in senso spaziale o temporale, e -grădus (→ cammino), col significato di “che cammina”.
Utilizzato anche per indicare avvenimenti successivi ad un fatto morboso o a un evento di riferimento; il termine contrario è retrogrado.
- retrogrado
definizione
Termine utilizzato per descrivere “ciò che si muove in direzione posteriore”, cioè antidromica, ovvero che va a ritroso, che si muove in senso contrario a quello che può considerarsi normale; utilizzato anche per indicare un tempo che si estende a una fase immediatamente precedente all'avvenimento, al trauma o all'evento che l’ha prodotta. Il termine contrario è anterogrado; dal latino retro- (→ dietro, indietro), indicante l'essere davanti o il precedere, associato a -grădus (→ cammino), col significato di “che cammina”.
- reflusso
definizione
Variante di riflusso, derivato direttamente dal latino refluĕre (→ scorrere all’indietro): abnorme passaggio, in senso retrogrado, del contenuto liquido o semiliquido di un organo cavo a un altro.
Si parla di reflusso gastro-esofageo, riferendosi a quello del contenuto gastrico nell’esofago, di significato talvolta fisiologico ma più frequentemente patologico, per disfunzione o lesione del tratto distale dell’esofago, nella quale evenienza si possono instaurare lesioni esofagee di varia gravità (malattia da reflusso o M.R.G.E.).
- M.R.G.E.
definizione
Con questo acronimo si suole indicare l'insieme delle cosiddette “malattie da reflusso gastro-esofageo”, ovvero una sindrome caratterizzata dalla risalita dei succhi gastrici in esofago con la conseguente formazione di fenomeni flogistici e dispepsie, in genere con al tendenza alla cronicizzazione.
Bruciore retrosternale (pirosi), dolore epigastrico, rigurgito e percezione della risalita di materiale acido lungo l'esofago sono i sintomi tipici della malattia: si parla di M.R.G.E. quando il reflusso causa non solo questi sintomi ma quando si evidenziano contestualmente esofagite o gastriti con la possibilità di evoluzioni ulcerose o trasformazioni metaplastiche della mucosa (esofago di Barrett); molte persone sperimentano occasionalmente episodi di reflusso gastro-esofageo, ma solo alla presenza di episodi ricorrenti, almeno due volte alla settimana e per un periodo di varie settimane, allora si può parlare di una sindrome da reflusso, vista la persistenza a lungo termine.
eziopatogenesi
La possibilità che si sviluppi una M.R.G.E. non ha una relazione diretta con età, sesso o pregresse problematiche gastro-intestinali, ma riconosce comunque una serie di cause predisponenti o fattori scatenanti che debbono essere prese in considerazione nel valutare le modalità di insorgenza di questa condizione: la causa determinante, da un punto di vista fisiopatologico è la beanza dello sfintere esofageo inferiore (L.E.S.) a livello del cardias, che, indebolendosi, perde elasticità e funzionalità, aprendosi quando non dovrebbe, creando una vera e propria sindrome dello sfintere esofageo inferiore.
Cofattori eziologici o cause favorenti sono:
⇒ ernia iatale - in questi soggetti si osserva un aumentato rischio di insorgenza di questo disturbo, a causa dello spostamento verso l’alto dello stomaco, dovuto alla formazione di brachiesofago e/o allo spasmo del muscolo diaframma che esercita una trazione incongrua a livello del cardias, creando le condizioni per la...
- causa predisponente
definizione
Nell'ambito dei fattori causali alla base della patogenesi di un processo morboso o di una malattia, spesso è possibile identificare differenti tipologie di stressor, cioè di stimoli in grado di indurre, in modo acuto o cronico, un'alterazione dell'equilibrio dell'organismo; pertanto è possibile, spesso più concettualmente che oggettivamente, identificare cause determinanti o da fattori scatenanti, in grado cioè di svolgere un ruolo fondamentale nella genesi del processo dis-funzionale o nell'alterazione morfologica. Allo stesso modo ci sono fenomeni che, agendo da cause coadiuvanti, svolgono un ruolo favorente o si comportano da cofattori eziologici o da spine irritative, drenando l'organismo delle proprie energie e rendendolo più sensibile o vulnerabile.
considerazioni
I fattori disponenti alla patologia sono tutte quelle condizioni o tutte quelle cause, intrinseche, come la genetica, la razza, il sesso o l'età, ed estrinseche, quali il lavoro, l'ambiente l'alimentazione, che determinano una diminuzione dei normali poteri difensivi dell’organismo verso uno o più agenti morbosi, provocando da un lato un’aumentata suscettibilità dell’organismo ad ammalarsi, e dall'altro una diminuita capacità di reazione di fronte ai processi morbosi, che presentano perciò frequentemente un decorso più grave; predisponente è il participio passato del verbo predisporre, composto di pre- (dal latino prae-, che indica anteriorità nel tempo rispetto a un dato termine) e disporre, che a sua volta deriva dal latino dispōnĕre (→ collocare in un certo ordine): una causa predisponente è un fattore che prepara e stabilisce in precedenza, secondo un dato ordine, in vista di uno scopo futuro, in pratica una sorta di predestinazione.
Occorre pensare alla presenza di cause predisponenti come a fattori che rendono più suscettibile il corpo a un particolare effetto negativo ovvero gli elementi che "rendono propensi" alla malattia; in genere, i fattori più significativi sono...
- causa coadiuvante
definizione
Detta anche causa favorente (o fattore) può essere considerata come la causa che facilita l'azione di altre cause, anche se in genere sarebbe più corretto parlare di "cause coadiuvanti" in quanto, raramente ve n'è solamente una: potrebbe essere assimilato al concetto di cofattore eziologico nella patogenesi delle malattie.
L'aggettivo coadiuvante è il participio presente del verbo latino coadiuvare, composto di co-, forma abbreviata nelle parole composte di cum (→ con, assieme) ed adiuvare «(→ aiutare) e presuppone l'azione di prestare la propria opera di collaborazione, cooperare o concorrere a un determinato effetto: un aiutante che lavora assieme ad un altro per favorirne l’azione.
Ugualmente il termine favorente esprime il concetto di concausa, cioè di fattori che collaborano con le cause essenziali al manifestarsi della malattia: talvolta gli agenti causali, pur essendo necessari per l’insorgenza della malattia, possono dimostrarsi insufficiente, perché incapaci, da soli, di determinare la malattia e solo in presenza di altre concause o fattori favorenti, predisponenti o coadiuvanti, si potrà sviluppare effettivamente la malattia; participio presente di favorire (favere), a sua volta derivato dal latino favor, esprime il concetto di agevolare, facilitare, (non com.) favoreggiare, incoraggiare, promuovere, sostenere.
considerazioni
Benché risulti evidente che le cause coadiuvanti partecipino solo mediatamente alla genesi del processo patologico, non si deve sottovalutare la loro importanza dato che, se si devono all'agente determinante le modificazioni anatomiche o fisiologiche di una certa alterazione o disfunzione, i fattori favorenti determinano l'incidenza della malattia ed eventualmente ne condizionano il decorso e la gravità o ne condizionano la prognosi. Per molti agenti causali, poi, si può osservare un interscambio di azione, comportandosi talvolta da cause determinanti e talaltra da fattori favorenti: il discriminante, spesso è...
- causa determinante
definizione
Detta anche causa efficiente, può essere definito come ogni elemento che concorra a causare il realizzarsi di un evento, ovvero che svolga un ruolo decisivo o risolutivo nella sua genesi: in particolare l'aggettivo determinante sottolinea, identifica e caratterizza un principio che deve essere considerato come un fattore scatenante, l'agente causale la cui presenza assume un ruolo fondamentale per il manifestarsi del processo stesso.
Determinante è il participio presente del verbo latino determinare, derivato di termĭnus (→ limite, confine), che mira ad assegnare esattamente i termini, a delimitare confini e, per estensione, ha la finalità di stabilire, fissare con esattezza o indicare con precisione qualche cosa, sia direttamente, sia fornendo o sfruttando i dati che concorrono a renderla nota. I determinanti della salute sono i fattori la cui presenza modifica in senso positivo o negativo lo stato di salute di una popolazione: i fattori socio-economici e gli stili di vita; lo stato e le condizioni dell'ambiente; l'eredità genetica.
Il concetto di causa efficiente deriva dall'aristotelismo ed è finalizzato a descrivere ciò che produce direttamente il suo effetto, la cosa o il fatto che provocano l’azione subita dal soggetto, e può essere fatta coincidere col concetto di connessione causale, ovvero rapporto causa-effetto (nesso causale); etimologicamente efficiente deriva dal latino efficiens, participio presente di efficĕre (→ portare a compimento), composto di ex- e facĕre (fare), cioè che produce una conseguenza essendo la causa in senso più proprio, in quanto direttamente e attivamente produttiva del suo effetto.
- cardias
definizione - cenni storici
Dal greco καρδία (kardía → cuore): la radice «cardia» risulta ambivalente, indicando non solo il cuore in parole composte come “cardiaco”, ma anche stomaco, sottintendendo gli aspetti emozionali della capacità di resistere a situazioni o cose spiacevoli, che ripugnano (sia in senso fisico e sensoriale, sia a livello morale); prende anche il significato di “mente”, nell'accezione di entità incorporea e immateriale, sede della fantasia, che rappresenta la coscienza, la riflessione, l'intuizione e la volontà.
Nell'immaginario degli antichi, il «kardía» localizza fisicamente in un distretto corporeo, le qualità morali di sopportazione, coraggio, coscienza e determinazione: la definizione cardias (“antrum cardiacum”) dell’orifizio che permetto lo sbocco dell’esofago nello stomaco, prende pertanto il nome dalla zona dove si trova anche la punta del cuore.
descrizione
Il nome utilizzato attualmente, che sottolinea anche la sua funzione fisiologica, è “sfintere esofageo inferiore” (L.E.S. → lower esophageal sphincter), anche se alcuni tendono a considerare il cardias come parte superiore dello stomaco ed il L.E.S. come la zona posta subito sopra esso, nell'esofago.
Localizzato a sinistra della XIa vertebra toracica, da cui rimane separato per l'interposizione dell'aorta, è situato al di sotto del diaframma respiratorio, a livello dello iato esofageo; è caratterizzato, esternamente, dalla presenza dell'incisura cardiale, che forma un angolo molto acuto, rivolto verso l’alto, con il margine sinistro dell’esofago, dando origine alla grande curvatura dello stomaco.
A livello del cardias non vi è uno sfintere ed anche il L.E.S. non è in grado di svolgere una reale funzione contenitiva, pertanto la funzione di controllo dell’apertura e della chiusura del cardias è data soprattutto dal muscolo diaframma con i suoi pilastri: la sua funzione biologica è facilitata dall'angolo di His, dal tratto sottodiaframmatico dell'esofago, dai «crura...
- emesi
definizione
Termine utilizzato frequentemente come sinonimo di vomito, dal greco ἐμέω (eméō → vomitare): può indicare anche un disturbo caratterizzato da una tendenza all'espulsione violenta del contenuto gastrico attraverso la bocca, generalmente preceduto dalla nausea. Le sostanze che provocano il vomito sono chiamati emetici.
emesi come difesa
Può essere considerato una atto riflesso di difesa, con il quale viene allontanato dal corpo il contenuto dello stomaco o, eccezionalmente quello dell’intestino; attraverso la combinazione della contrazione del torchio addominale, dei muscoli intercostali e del diaframma, con la contemporanea chiusura della glottide ed il sollevamento del palato molle, si innesca l'apertura del cardias ed il contestuale spasmo del piloro ed una serie di contrazioni antiperistaltiche della parete gastrica: si ottiene, così, il riflusso del contenuto gastrico nell'esofago e la sua successiva emissione dalla bocca.
il riflesso emetico
Nell'organizzazione anatomo-funzionale del riflesso emetico sono identificabili tre componenti maggiori:
⇒ i sistemi di rilevamento degli stimoli emetogeni, composti da fibre vagali afferenti, il sistema labirintico-vestibolare, la Chemoreceptor Trigger Zone (CTZ) nell'area postrema del tronco encefalico;
⇒ le aree di integrazione (CTZ e centro del vomito nella formazione reticolare parvicellulare del tronco dell'encefalo);
⇒ i sistemi effettori, costituiti da vie afferenti del sistema nervoso autonomo, coadiuvate da fibre motorie diretti alla muscolatura toraco-addominale.La Chemoreceptor Trigger Zone, detta anche zona grilletto del vomito, è più facilmente raggiungibile da eventuali stimoli che viaggino per via ematica e svolge una duplice funzione:
⇒ il rilevamento della presenza di sostanze emetogene circolanti e la trasmissione dell'informazione al centro del vomito;
⇒ l'integrazione degli impulsi nervosi afferenti e la modulazione dell'attività del centro del vomitoIl centro del vomito, è...
- deiezioni
defezione
Termine utilizzato per descrivere la “scarica del ventre”, ovvero volto a descrivere la defecazione intesa sia come l'atto del defecare, sia come il prodotto, ovvero, gli escrementi; dal latino deiectio, derivato da deicĕre (→ gettare giù o fuori), composto di de- (→ da) e iacĕre (→ gettare).
- escrementi
definizione
Sinonimo di feci, sostanza di rifiuto dell'organismo, rappresenta ciò che deve essere espulso in quanto non assimilato dagli alimenti, che viene evacuato dagli intestini, per via anale; dal latino excrementum, derivato da excernĕre (→ evacuare), composto da ex- (fuori da) e cernĕre (→ separare col setaccio, fare la cernita).
- feci
definizione
Chiamate anche escrementi, rappresentano ciò che non è stato digerito e che si accumula nell'intestino, per poi esserne spinto fuori, attraverso la deiezione: sono normalmente composte da residui alimentari non digeribili, come cellulosa e cheratina, da residui di acidi gastrici, da pigmenti biliari modificati, che agiscono principalmente sul colore, da enzimi, muco, da cellule epiteliali intestinali e, in parte considerevole, da batteri e acqua; dal latino faex [faecis] (→ feccia, impurità, residuo).
Le sostanze solide sono costituite prevalentemente da fibre che determinano la struttura e la consistenza delle feci, avendo la capacità di adsorbire grandi quantità di acqua, determinandone la consistenza; la diminuzione della componente fibrosa, riduce il contenuto acquoso del materiale fecale, con conseguente formazione feci di tipo caprino.
Il 30% del peso delle feci è costituito da microorganismi, prevalentemente batteri saprofiti, costituenti il microbiota, mentre il 15% è rappresentato da sostanze inorganiche, in particolare fosfati e calcio, che sono normalmente assunti in eccesso e quindi in parte eliminate attraverso l'intestino; una piccola parte è formata da sostanze lipidiche e derivati, mentre la rimanente componente è prodotta da muco, cellule di desquamazione ed enzimi digestivi: la composizione fecale dipende in minima parte dal cibo assunto, non avendo origine alimentare; le feci si continuano a formare anche in caso di digiuno.
- emetico
definizione - classificazione
Letteralmente, che provoca emesi: in genere il termine è riferito a sostanze capaci di stimolare il vomito senza causare altri notevoli effetti collaterali: dal greco ἐμετικός (emetikós → emetizzante, vomico), derivato da ἐμέω (eméō → vomitare).
Possono essere classificati in:
⇒ emetici centrali - agiscono sul centro bulbare del vomito (apomorfina, un derivato della morfina, e gli oppioidi in genere);
⇒ emetici periferici - stimolano le terminazioni nervose sensitive del nervo vago (elementi nervosi sensitivi della mucosa gastrica) o del nervo glossofaringeo, causando il vomito per via riflessa (tartaro stibiato, solfato di rame, tossine alimentari e microbiche, chinina, cloruro di ammonio, ferro ...).
Un emetico ad azione mista, a livello centrale e locale, è l’ipecacuana, detta anche emetina, droga che si ricava dalle radici di Cephaelis Ipecacuanha, una rubiacea del Brasile.
funzioni
Le sostanze emetiche trovano indicazione nei casi in cui sia necessario sbarazzare lo stomaco da veleni, sostanze nocive, o avvelenamento acuto provocato dalla recente assunzione orale di sostanze tossiche: se la sostanze tossiche sono stata assunte da molto tempo, sono probabilmente riuscite a superare lo sfintere pilorico che divide lo stomaco dall'intestino e quindi non possono essere rimosse con efficacia da un emetizzante, visto che esso permette l’espulsione del contenuto dello stomaco e non dell’intestino.
Nell'ambito delle discipline olistiche, la vomicazione, cioè la pratica di indurre emesi, viene considerata una forma di disintossicazione; ad esempio il panchakarma, un antico trattamento ayurvedico, rappresenta uno dei passaggi più importanti della medicina ayurvedica per riequilibrare l'intero sistema dei dosha.
Gli emetici sono controindicati nelle cardiopatie scompensate, nell'ulcera gastroduodenale, nelle ernie addominali, in gravidanza e negli stati di ipotensione.
pericolo
I principi vomici sono usati impropriamente come...
- vomito
definizione
Sinonimo di emesi, corrisponde all'emissione rapida e forzata, attraverso l'esofago, il faringe e la bocca del contenuto stomacale, provocata dalla sovradistensione del ventricolo gastrico, da aerogastria o dalla presenza di sostanze sviluppatesi come conseguenza di un processo digestivo abnorme oppure per le influenze eccitanti i centri nervosi capaci di provocare una reazione emetica: spesso, è preceduto da nausea ed accompagnato da pallore, aumento di sudorazione e salivazione, ipotensione e bradicardia; dal latino vomĕre (→ vomitare). L'azione del vomitare è detta anche vomizione (o vomicazione), per effetto del vomicare.
Il vomito si distingue dal rigurgito, perché in quest'ultimo manca la contrazione dei muscoli addominali e del diaframma e il riflusso avviene per incontinenza del cardias o per alterazioni esofagee; talvolta si può manifestare l'emissione di materiale biliare o di origine intestinale, come alimenti o altre sostanze ingerite, succhi gastrici, muco, sangue, feci.
fisiologia del vomito
Atto riflesso difensivo, che interviene senza alcuna partecipazione della volontà, che si produce per una contrazione attiva dei muscoli della parete addominale e per una speciale attività motoria dello stomaco, diretta in senso opposto a quella che ha luogo nel normale processo della digestione gastrica (movimento antiperistaltico): si verifica una chiusura energica dell'orifizio pilorico, seguita da contrazioni che si propagano verso l'alto, verso il corpo dello stomaco, mentre la regione del cardias si dilata e il contenuto è costretto a prendere la via dell'esofago; allo stesso tempo la glottide si chiude, per evitare che il materiale emetico invada le vie respiratorie.
L'atto del vomito è comandato dal Chemoreceptor Trigger Zone (CTZ) e dal centro del vomito, posti nell'area del tronco encefalico e bulbo.
Le sedi donde può originarsi lo stimolo emetico sono numerose: Sistema Nervoso Centrale, mucosa faringea e nasale, labirinto non...
- emocateresi
definizione
Processo di distruzione fisiologica delle cellule del sangue “invecchiate”, cioè che hanno superato la propria “vita”, particolarmente evidente per i globuli rossi (la cui vita media è di 120 giorni): le cellule vengono distrutte per un 20% all'interno dei vasi, mentre la maggior parte viene fagocitata dalle cellule reticoloendoteliali nella milza; dal greco αἱμο- (→ sangue) e καϑαίρεσις (katháiresis → distruzione).
Il processo di emocateresi implica il riutilizzo dei componenti: l'emoglobina che si libera dalla distruzione dei globuli rossi, viene immediatamente fagocitata e digerita dalle cellule del sistema reticoloendoteliale: dall'eme viene liberato il ferro che viene temporaneamente depositato all'interno dei macrofagi e poi rilasciato alla transferrina che lo trasporta al midollo osseo (per venire utilizzato per la produzione di nuovi globuli rossi), al fegato (principale organo di deposito) o ad altri tessuti, dove viene stoccato sotto forma di ferritina; la restante parte del gruppo eme, facente parte della molecola dell'emoglobina, viene degradato, attraverso tutta una serie di tappe, in bilirubina e come tale viene trasportata al fegato che provvederà alla sua eliminazione attraverso la bile.
- ipocloridria
definizione
Riduzione della produzione di acido cloridrico da parte delle cellule ossintiche, contenute nelle ghiandole parietali del corpo e del fondo dello stomaco, con conseguente ipoacidità gastrica: la totale assenza escretiva è detta acloridria; dal greco ὑπο- (hypo- → scarso) e cloridria, derivato da χλωρός (chlorós → verde o contenente cloro) e ὕδωρ (ýdor → acqua).
La secrezione acida dello stomaco rappresenta un'ottima difesa contro i germi introdotti con il cibo, partecipa alla digestione delle proteine e degli alimenti in genere, facilitando l'assorbimento dei cationi bivalenti e trivalenti (calcio, zinco, rame, ferro, magnesio, selenio, boro) a livello intestinale: l'acidità del chimo gastrico assume una notevole importanza nel predisporre un adeguato svuotamento gastrico; paradossalmente chi soffre di ipocloridria può manifestare sia disturbi della motilità, sia acidità gastrica, accompagnata o meno da reflusso gastroesofageo e pirosi, causate dai lunghi tempi di permanenza del contenuto nel lume gastrico.
La sintomatologia che si accompagna alla ipocloridria è determinata dal fatto che in tali condizioni la digestione gastrica degli alimenti è incompleta o assente, per cui si appesantisce il lavoro digestivo dell'intestino; ne scaturisce una tendenza diarroica dell'alvo, associata ad inappetenza, repulsione verso alcuni cibi, senso di gonfiore epigastrico post-prandiale, digestione lunga e faticosa (dispepsia ipocloridrica).
Possono manifestarsi aerogastria, alitosi, rigurgiti, il bruciore di stomaco o retrosternale e, talvolta, senso di compressione precordiale.
La mancata attivazione della pepsina (a partire dal pepsinogeno, per azione dell'acido cloridrico) si ripercuote negativamente sulla digestione delle proteine, sovraccaricando i sistemi digestivi intestinali; spesso l'ipocloridria è complicata da una contemporanea riduzione della secrezione di pepsina, creando un quadro di dispepsia: malassorbimento, Leacky Gut Syndrome;...
- acloridria
definizione
Totale mancanza dell’acido cloridrico nel succo gastrico, che si manifesta con aerogastria, inappetenza, dispepsie, squilibri digestivi e disturbi dell'assimilazione; dal greco ἀ- (á- → prefisso privativo/inversivo) e cloridria, derivato a sua volta da χλωρός (chlorós → verde o contenente cloro) e ὕδωρ (ýdor → acqua). Acloridria o anacidità vengono usati, talvolta, come sinonimi.
Può essere considerato un sintomo di processi patologici propri della parete gastrica, come le gastriti atrofiche o le gastriti croniche, l'anemia perniciosa, o in alcune forme tumorali, in quanto queste patologie sono in grado di causare l'atrofia delle ghiandole parietali, contenenti le cellule ossintiche che secernono l’acido cloridrico. Anche cause organiche come lo stress cronico e l'insufficienza cortico-surrenalica possono essere causa della sua insorgenza; deve essere considerata una patologia infrequente, mentre l'ipocloridria è un fenomeno più diffuso.
La carenza di acido cloridrico provoca alterazioni nell'assorbimento dei sali minerali, in particolare ferro e calcio, e la mancanza della disinfezione degli alimenti, con possibile insorgenza di allergie o infezioni intestinali; la dispepsia e una digestione particolarmente lunga e difficile, l'alitosi, i rigurgiti, la pirosi e il bruciore di stomaco, il meteorismo, la flatulenza, le diarree, ma anche la "Sindrome del Intestino Irritabile" sono frequentemente associate alla mancanza o riduzione di cloro nell'escreto gastrico.
- rigurgito
definizione
Ritorno di cibi dalla faringe o dall’esofago in bocca: escrezione del contenuto esofagico sino alla gola, alla bocca o alle vie aeree, che frequentemente si manifesta in posizione di decubito e non contiene né acido né bile, perché il contenuto rigurgitato non ha ancora raggiunto lo stomaco; il rigurgito non è preceduto da nausea poiché quest'ultima è causata da alimenti presenti nello stomaco e non è associato alla contrazione della muscolatura addominale.
L'emissione dalla bocca può riguardare non solo la saliva o il materiale alimentare deglutito ma non pervenuto nello stomaco, ma anche quello subito rifluito dallo stomaco prima di avere subito l’azione del succo gastrico, potendo pertanto essere un sintomo di alterazioni funzionali o organiche dell’esofago; in alcuni casi si può osservare la presenza di .rigurgito acido, assimilabile, per certi versi, al reflusso.
Per rigurgito del lattante si intende l'emissione di una parte del latte, ancora liquido, subito dopo la poppata, causata da eccesso di latte ingerito, da aerofagia o da ipersensibilità della mucosa gastrica.
Il rigurgito incontrollato del cibo è il sintomo primario della sindrome di ruminazione.
- achilia
definizione
Condizione patologica caratterizzata dalla mancata produzione di enzimi digestivi; in genere, parlando di achilia, si sottintende la forma gastrica, contraddistinta dalla totale mancanza di secrezione dei normali componenti del succo gastrico (acido cloridrico e pepsina); dal greco ἀ- (a- privativo) e χῦλος (chylós → succo, chilo).
In genere è più comune una riduzione della secrezione, per cui si parla di ipochilia, mentre viene definita acloridria, la sola assenza del solo acido cloridrico; talvolta può manifestarsi, anche se più raramente, a livello pancreatico: l’achilia pancreatica è una delle conseguenze della fibrosi cistica (mucoviscidosi) e causa malassorbimento intestinale.
Le alterazioni del chimismo gastrico si accompagnano spesso ad altre alterazioni dello stomaco, sia funzionali che anatomiche come l'atonia (insufficienza motoria), l'aerogastria e la dilatazione gastrica.
I sintomi dell’achilia sono legati alla deficiente digestione dei cibi essendo caratterizzata da accentuati fenomeni dispeptici: per mancanza dell’azione digestiva e antisettica dell’acido cloridrico e per la conseguente atonia gastrica, si verificano inappetenza (fino all’anoressia), senso di peso all'epigastrio, pirosi gastrica, aerogastria, alitosi, spesso con lingua bianca e patinosa o glossite atrofica; poiché il più delle volte vi è insufficienza motoria e quindi ristagno del cibo nello stomaco, dove manca d'altra parte l'azione antisettica dell'acido cloridrico, si producono fenomeni di fermentazione abnorme (dispepsia putrida) con eruttazioni acide, rigurgiti di materiale acido, dovuti alla presenza di acidi organici (acido lattico, butirrico, acetico, ecc.) nei prodotti della decomposizione. Questi prodotti, passando nell'intestino, lo irritano, e producono, meteorismo, flatulenza, alvo irregolare, frequentemente diarree (dispepsia intestinale gastrogena) talvolta alternate a stipsi e costipazione; possono esercitare un'azione tossica su tutti gli organi e...
- nausea
definizione
Stato di malessere caratterizzato da un senso di fastidio e di oppressione a livello della faringe e dell'epigastrio, accompagnato da propensione al vomito, disgusto e ripugnanza al cibo, affiancati, spesso, da manifestazioni dovute ad alterata attività del sistema nervoso autonomo (specie parasimpatico), come il pallore, la sudorazione e la scialorrea; queste sensazioni possono essere abbinate a vertigine ed all’obnubilamento del sensorio, oltre che ad un senso di astenia generalizzata; dal latino nausea (→ mal di mare) derivato dal greco ναυσία (nafsía), che origina da ναῦς (nafs → nave).
Talvolta sono evidenti movimenti antiperistaltici o peristalsi antidromica a livello gastrico od esofageo, caratteristici del vomito, ma senza emissione di materiale alimentare: spesso si rilevano eruttazioni, espressione della contrazione combinata e ritmica dei muscoli respiratori e addominali, finalizzata a ridurre il bloating gastrico ed il senso di pressione che può verificarsi a livello del L.E.S. o del U.E.S.; si possono verificare segni dell’interessamento dell’apparato cardio-circolatorio con ipotensione, tachicardia ed extra-sistoli o, all'opposto, bradicardia paradossa (sincope vaso-vagale), anche in risposta all'insorgenza di aerogastria o di una sindrome gastro-cardiaca.
La nausea può essere stimolata da centri del tronco encefalico e del sistema vestibolare, spesso coinvolto nei fenomeni di cinetosi, ma anche da vie neurali afferenti dagli organi digestivi (tra cui faringe, stomaco ed intestino tenue): queste terminazioni nervose sembrano essere in grado di attivare il senso di nausea incrementando il rilascio di serotonina e dopamina, creando la sensazione di disagio e malessere. Indipendentemente dalle cause, che possono essere molteplici, i meccanismi neurofisiologici che controllano la nausea sono numerosi e complessi e, a tutt'oggi poco conosciuti; ciò che è noto, allo stato attuale, è l'influenza dei neuroni serotoninergici e dopaminergici...
- cardiospasmo
definizione
Può essere considerato un sinonimo di acalasia esofagea: descrive un disturbo funzionale del L.E.S., a cui consegue irregolarità del transito del cibo, che provoca ristagno del bolo alimentare, dilatazione e allungamento dell’esofago; dal greco καρδία (kardía → cuore), con riferimento al cardias, e σπασμός (spasmós → spasmo).
Può essere di natura malformativa congenita o, più spesso, acquisita e dovuta a un particolare disturbo neuro-muscolare detto, appunto, acalasia: la disfagia, di varia entità, è un sintomo fondamentale, accompagnato nel senso di arresto del bolo avvertito dietro lo sterno a cui, spesso, segue il rigurgito di cibo indigerito, assunto ore prima; la difficoltà di ingestione degli alimenti porta, nel lungo periodo ad una sensazione di fame e deperimento.
- ptialorrea
definizione
Spesso usato come sinonimo di ptialismo o ipersalivazione, indica la scialorrea, ovvero un notevole aumento della quantità di saliva contenuta nel cavo orale, associata o meno ad un incremento della produzione salivare; dal greco πτύαλον (ptýalon → saliva» e e ῥέω (reo → scorrere).
La quantità di saliva emessa nelle 24 ore può arrivare a parecchi litri; l'eccessiva quantità di saliva che permane nella bocca e tende a colare dalle labbra.
Si osserva nelle infiammazioni o irritazioni meccaniche della cavità orale; in molte malattie croniche gastrointestinali o nei casi di intossicazione organica (specialmente da mercurio); come fenomeno riflesso per eccitazione della sfera dell'apparato genito-ormonale (come in caso di gravidanza); in differenti tipi di encefalopatie (paralisi bulbare, ecc.), e come una neurosi simpatica primitiva (scialorrea essenziale), o sintomatica di una nevrosi generale (isterismo, epilessia, neurastenia).
- inflamm-aging
definizione
Termine che unisce le due parole inglesi «inflammation» (infiammazione) e «aging» (invecchiamento), che descrive la connessione esistente tra i processi che portano all’invecchiamento e l'infiammazione cronica a bassa intensità: attualmente, si utilizza “inflamm-aging” (o “inflammaging”, termine ideato dal Prof. Claudio Franceschi, nel 2000), per evidenziare il ruolo l’infiammazione cronica subclinica dell’organismo («chronic low-grade inflammation») assume nei processi senescenziali, sottolineando come la presenza di fattori (esogeni ed endogeni) ad azione pro-infiammatoria contribuiscano a creare una serie di modificazioni che accelerano i fenomeni dell’invecchiamento, che a loro volta alimentano l’inflamm-aging, generando un circolo vizioso: la glicazione e le glicotossine, lo stress cronico ed il danno ossidativo da radicali liberi debbono essere annoverati fra i principali agenti causali o fattori predisponenti.
cronicizzazione del processo infiammatorio
L’infiammazione acuta rappresenta un meccanismo difensivo che l’organismo mette in atto per contrastare situazioni di pericolo, per lo più provocate da agenti causali o fattori scatenanti quali alterazioni metaboliche o disfunzioni, patogeni esterni o eventi traumatici: per definizione il processo flogistico è transitorio e, una volta risolta la causa, l’infiammazione non dovrebbe lasciare esiti o conseguenze nell'organismo; qualora, però, lo stato infiammatorio persista e divenga cronico, le conseguenze a carico dei tessuti possono divenire rilevanti. Talvolta lo stato infiammatorio, anche se cronico, continua a manifestare i sintomi classici che lo caratterizzano, cioè rubor (rossore) calor (calore), dolor (dolore) tumor (gonfiore) e functio lesa (alterazione funzionale), tutti in vario grado: in alcuni casi i sintomi sono evidenti e massicci, coinvolgendo distretti anche distanti dalla zona del processo flogistico, altre volte le manifestazioni possono essere subcliniche.
definizione
Imbrunimento della frazione zuccherina di un alimento sottoposto a trattamento termico che conferisce un colore ambrato allo stesso, trasformandolo così in caramello: coinvolge gli zuccheri quali, ad esempio, il glucosio ed il fruttosio o il disaccaride che li contiene, cioè il saccarosio: è un imbrunimento non enzimatico che avviene a temperature superiori ai 100 °C, con formazioni di aromi e pigmenti; la caramellizzazione è un processo non enzimatico che, come la reazione di Maillard, porta alla formazione di composti di colore bruno.
La caramellizzazione è una reazione di degradazione termica ed ossidativa degli zuccheri che porta alla formazione di sostanze volatili che conferiscono il tipico aroma e a composti brunastri tipici del caramello e si verifica durante il riscaldamento di prodotti alimentari con una elevata concentrazione di zuccheri: durante il processo avviene la rimozione dell’acqua sotto forma di vapore dallo zucchero seguita da una complessa serie di reazioni chimiche non del tutto note che coinvolgono una isomerizzazione e una polimerizzazione; bisogna tener presente che negli alimenti sono spesso presenti più zuccheri e altri componenti che possono influenzare la temperatura caramellizzazione nonché le diverse reazioni, e quindi i sapori finali e colori che vengono prodotti.
Il fruttosio che ha la temperatura di caramellizzazione minore e il miele che contiene prevalentemente fruttosio sono quindi le specie che danno luogo per primi al fenomeno dell’imbrunimento; la reazione di frammentazione degli zuccheri durante il riscaldamento dà luogo alla formazione di composti a basso peso molecolare volatili che conferiscono il tipico aroma, mentre le successive reazioni di polimerizzazione portano alla formazione di composti ad alto peso molecolare che contribuiscono al colore marrone scuro.
Poiché il processo di caramellizzazione inizia con la fusione dello zucchero e inizia a temperature relativamente elevate rispetto alle...
- glicazione
definizione
Detta glicosilazione non-enzimatica, è il processo che genera un legame tra un monosaccaride, un singola molecola di zucchero, come ad esempio glucosio o fruttosio, ed una molecola proteica o lipidica, senza l'azione diretta di un enzima: la glicazione è un processo casuale e spontaneo, che può verificarsi sia all'interno sia all'esterno dell'organismo, prendendo i nomi di glicazione endogena e glicazione esogena.
Mentre la glicosilazione enzimatica è un processo che genera l'unione delle molecole bersaglio dell'enzima specifico ATP-dipendenti, in corrispondenza di siti ben definiti, e che, di conseguenza richiede l'apporto di energia (importante forma di modifica delle proteine, necessaria per il loro funzionamento) la glicosilazione non-enzimatica non richiede un acceleratore specifico per avvenire e non si genera con consumo di energia ma è il frutto dell'interazione fra sostanze in elevata concentrazione o per effetto termico.
Per glicazione endogena si intende un processo che avviene all'interno del corpo: queste reazioni si manifestano principalmente nel sangue, come conseguenza dei livelli del glucosio, del fruttosio o del galattosio superiori ai parametri fisiologici; il fruttosio ha un'attività di glicazione circa dieci volte superiore a quella del glucosio; la glicazione è il primo passo di una complessa serie di reazioni che portano alla sintesi di prodotti finali di glicazione (AGEs) o glicotossine.
La glicazione esogena avviene per effetto termico, durante la cottura degli alimenti che contengono zuccheri, proteine e grassi: temperature superiori a 120 °C tendono ad accelerare il processo che può comunque verificarsi anche a temperature inferiori ma con tempi più lunghi; tipico esempio di questi processi è la reazione di Maillard (reazione di imbrunimento) in grado non solo di conferire una maggior palatabilità agli alimenti, esaltando il gusto e conferendo al cibo un aspetto più gradevole per mezzo della cosiddetta...
- melanoidine
definizione
Classe di sostanze organiche, che solitamente si formano durante la cottura dei cibi per l'interazione degli zuccheri e degli amminoacidi o delle proteine, attraverso la reazione di Maillard; hanno un colore bruno scuro ed un aroma caratteristico degli alimenti come il pane appena sfornato, il caffè torrefatto, il malto tostato per la produzione della birra.
Nei cibi tostati, torrefatti o nei quali è necessario un trattamento termico per l'acquisizione di colore, gusto ed aroma caratteristici, la formazione di melanoidine costituisce un fattore determinante alla buona riuscita della preparazione finita mentre, al contrario, in altri alimenti come il latte sterilizzato, la loro presenza altera negativamente il gusto, l'aroma e il colore naturali del cibo finito.
Le melanoidine, contrariamente all'acrilamide, all'acroleina, alla formaldeide e ad altre molecole che si possono formare come prodotti finali della reazione di Maillard, possono avere un'importante ruolo nella conservazione a breve termine dei cibi cotti, esercitando un potere antiossidante; tale azione antiossidante viene trasferita dal cibo all'organismo; in alcuni vegetali, anche se la cottura provoca una perdita nutrizionale per la distruzione delle vitamine termolabili e dei polifenoli, la presenza delle melanoidine conferisce loro, anche solo parzialmente, un potere antiossidante: per mantenere questo potere è necessario che la temperatura di cottura non superi certi valori, per evitare la formazione di molecole tossiche quali l'idrossimetilfurfurale (HMF) e l'acrilamide. La frutta disidratata per mezzo di calore, come le albicocche e le prugne, possiedono un notevole quantitativo di melanoidine, che esercitano una notevole azione protettiva contro gli stress ossidativi che si verificano normalmente nelle cellule e che sono alla base di molte disfunzioni del sistema cardiovascolare
- incapienza
definizione
Il termine è mutuato dal lessico economico finanziario e viene utilizzato per descrivere incapacità, inadeguatezza, insufficienza, inettitudine, inabilità, inidoneità a “contenere”; parola composta da in (→ prefisso negativo di origine latina) e capiente, derivato a sua volta dal latino capĕre (→ prendere, contenere): esprime la discrepanza fra le richieste a cui è sottoposto l'organismo e la reale disponibilità "energetica". L'incapacità o l'impossibilità di fare fronte e garantire una risposta adeguata all'incremento delle esigenze (componente fisica) o delle aspettative (componente emozionale) : può essere considerata come la principale causa dell’insorgenza dello stress e dell’attivazione di una “risposta generalizzata di adattamento”.
- sindrome generalizzata di adattamento
un po' di storia
Si deve al neuro-endocrinologo Hans Hugo Bruno Selye l’utilizzo e la definizione, nel 1936, del termine “stress” per descrivere la “Sindrome Generale di Adattamento”, ovvero la risposta funzionale con cui l’organismo reagisce a uno stressor: alla presenza di una sollecitazione, più o meno violenta, ogni essere vivente mette in atto una sequenza di risposte adattative, indipendentemente dalla natura dello stimolo, cioè dell’agente causale. Per questo Hans Selye è considerato, a ragion veduta, il padre fondatore delle ricerche sullo stress; a lui va il merito di aver “portato alla luce” il fenomeno e averlo trasferito alla comunità scientifica: non avrebbe mai pensato, probabilmente, di attivare un interesse di ricerca che, nata in un contesto biologico, avrebbe dato e ricevuto poi grandissimi apporti dalla psicologia e dalle scienze del comportamento umano.
Occorre chiarire che, da un punto di vista etimologico, il termine “stress” (in realtà utilizzato per la prima volta da Walter Bradford Cannon) è passato dal significato iniziale di avversità, difficoltà, afflizione, a quello più recente di pressione, sollecitazione, tensione o sforzo; oggi viene frequentemente usato per indicare una “spinta a reagire” esercitata sull'organismo da diversi stimoli sia di origine ambientale, provenendo dall'ecosistema in cui vive l’individuo, sia interni: ciò che portò il “padre dello stress” a formulare la sua definizione scientifica del termine.
L’idea di Hans Selye, poi confermata da innumerevoli studi, era che esistessero meccanismi biologici che presiedono alle risposte di adattamento di un organismo a fronte di un agente in grado di perturbarne l’equilibrio biochimico (milieu intérieur), uno stressor potenzialmente nocivo (noxa); un insieme di segni e di sintomi tra loro correlati e coerenti tale da far pensare all'esistenza di una costellazione di risposte, denominata, successivamente,...
- soglia
etimologia - significato
Il limite minimo che un determinato agente o una determinata grandezza deve raggiungere perché si determini un certo fenomeno: spesso si utilizza anche la locuzione valore (di) soglia.
Ancora una volta l'etimologia ci aiuta, visivamente, a comprendere il significato: il termine latino sŏlea (→ pianta del piede; suola), veniva utilizzato anche per indicare la lastra di pietra, striscia di legno che unisce al livello del pavimento gli stipiti di una porta o di altri vani d'ingresso; la pianta del piede, per entrare nella casa, deve superare il limen (confine), da cui superare un limite, un ingresso.
fisiologia - fisiopatologia
Il termine soglia, nell'ambito di queste discipline serve ad indicare valori di riferimento o set-point omeostatici: si parla di soglia di eccitabilità per descrivere l’intensità minima che uno stimolo (tattile, termico, gustativo) deve raggiungere per produrre un eccitamento. Ugualmente è di uso comune parlare di soglia della percezione olfattiva per descrivere l'intensità di odori o profumi percepibili oppure di soglia di udibilità ovvero l’intensità energetica minima che un suono deve avere per produrre una sensazione acustica. Alla presenza di stimoli subliminali, non esiste percezione.
Altro uso comune di questo lemma è quando si parla della “soglia del dolore” intendendo la capacità di sopportazione, da parte dell'organismo, di uno sollecitazione: oltre il valore soglia, la sensazioni percettiva è sostituita da sensazioni dolorose: non solo esiste una significativa variabilità individuale nella gestione del dolore ma, in presenza di fenomeni quali iperestesia, disestesia, parestesia o alliestesia, le alterazioni percettive possono essere responsabili di manifestazioni di iperalgesia o allodinia che modificano sensibilmente tale “soglia”.
Il valore minimo di concentrazione ematica che determinate sostanze (tipicamente il glucosio) devono raggiungere per superare la barriera renale ed essere eliminate con...
- sinergia
definizione
Azione combinata e contemporanea, collaborazione, cooperazione di più elementi in una stessa attività, per il raggiungimento di uno stesso scopo o risultato; in genere comporta un rendimento maggiore di quello ottenuto dai vari elementi separati; dal greco συνέργεια, derivazione di συνέργω (synérgō → cooperare, collaborare), formato da σύν (sýn → con, insieme) e da ἔργω (érgō → opero, agisco).
Reazione di due o più agenti che lavorano insieme per produrre un risultato non ottenibile singolarmente: la sinergia fra sostanze si verifica quando uno o più elementi possono aumentare i propri effetti, positivi o collaterali.
Il concetto è applicato in tutte le discipline, dalla biologia alla sociologia; il lavoro di squadra ottiene risultati superiori a quelli derivanti dalla somma del lavoro dei suoi singoli componenti.
- linea temporale
definizione
Detta anche linea del tempo, è un modo per rappresentare, in ordine cronologico, il succedersi di una serie di eventi: una linea temporale è una rappresentazione visiva di una sequenza cronologica di eventi all'interno di una storia, di un processo o di una cronologia.
Può essere anche definita come il modo con cui sono posizionati nello spazio e nel tempo i ricordi del passato, ma anche le informazioni relative alle memorie del futuro; la nostra parte razionale concepisce il tempo come successione di istanti e crede che tutte le memorie vengano archiviate secondo una consequenzialità cronologica ma, in verità, l'inconscio colloca le memorie secondo un tempo proprio che non coincide con il tempo terreno e li localizza nello spazio secondo precisi significati che solo l'inconscio stesso riconosce.
- elemento causale
definizione
Dal latino elementum, parola che si soleva utilizzare per descrivere il concetto greco di στοιχεῖον (stoicheion → principio, rudimento, lettera dell’alfabeto): un componente primo, minimo, non ulteriormente riducibile o analizzabile; secondo Empedocle e degli antichi naturalisti, le sostanze semplici di cui sono formati i corpi, mentre per la chimica l'elemento è la sostanza pura, i costituenti di tutte le sostanze conosciute.
nesso di causalità e sincronicità
Ogni volta che si verifica un evento, che “accade qualcosa”, è possibile osservarlo come un "momento" di una linea temporale, caratterizzata da una serie di circostanze precedenti e prodromiche, rispetto al fatto, ed una serie di risultati che esistono grazie all'avvenimento: in questo senso è possibile parlare di “nesso di causalità”, intendendo che esiste una relazione che lega in senso naturalistico un atto (o un fatto) e l'evento che vi discende, secondo la diversa prospettiva dinamica dalla quale si osserva il fenomeno; la nozione base si riferisce al principio logico e fenomenologico per il quale tutte le cose e tutti i fatti hanno una “causa” (cosa, persona o fenomeno) che li ha creati, originati o modificati rendendoli così come osservabili al momento di riferimento.
- stimolazione subliminale
definizione
Stimolo neuro-sensoriale d’intensità inferiore ad un valore di soglia, cioè non in grado di essere percepita a livello corticale, ma che comunque può attivare le vie afferenti sensitive: anche se la stimolazione sensoriale, sia esso olfattiva, gustativa, visiva, uditiva o tattile, non raggiunge la consapevolezza, la sua presenza viene percepita dai recettori e, di conseguenza, dal sistema nervoso; Dal latino sub (→ sotto) e limen (→ soglia, limitare).
In psicologia, termine introdotto verso la fine del XIX° secolo dal filosofo e psicologo A. H. Pierce, per designare le sensazioni sotto il livello della coscienza, troppo deboli per essere riconosciute, ed esteso successivamente a indicare tutta l’attività psichica che si svolge a tale livello; il concetto corrisponde parzialmente a quello psicanalitico di inconscio.
Esistono forme di comunicazione definite subliminali: il termine è utilizzato per indicare quelle forme di persuasione occulta che potrebbero attuarsi attraverso messaggi inseriti nelle proiezioni cinematografiche o soprattutto nelle trasmissioni televisive, consistenti in immagini e voci di brevissima durata che, pur non essendo percepite coscientemente dagli spettatori, sono tuttavia in grado di agire nel loro subconscio.
- morbo
considerazioni sulla malattia
Si potrebbe definire il morbo come una manifestazione equivalente malattia, ed il termine come un sinonimo della stessa parola malattia, considerandolo quasi un vezzo linguistico, magari un po' arcaico: viceversa il lemma deve essere considerato come un'entità dotata di una propria dignità ed un significato specifico, che sottintende un processo evolutivo, nello specifico, infausto.
Ancora una volta l'etimologia ci viene in aiuto, per comprendere meglio queste sottili, ma significative differenze: la malattia è la tribolazione che affligge il malato, cioè chi è «male habĭtus», ovvero che possiede l'attitudine e l'aspetto di chi soffre, modellato sulla locuzione greca κακῶς ἔχων (kakós échon → che sta male), ma morbus, possiede una connotazione decisamente più incisiva, perchè la radice (proto-indoeuropea) è comune con mors (→ morte), mori (→ morire) descrivendo un male, una cosa dannosa e, allo stesso tempo, qualcosa di fetido (si veda come l'aria è ammorbata, cioè ripiena di morbo, che conferisce cattivo odore), che mostra segni di putrefazione; non a caso, in medicina il termine viene accostato a malattie croniche e inguaribili, o pestilenze, come il colera o la peste.
Il morbo richiama in sé non solo l'idea del disfacimento fisico, ma anche l'impressione del decadimento intellettivo e della corruzione morale; Albert Camus, nel suo romanzo "La peste", scrive
«... ciascuno porta in sé, il morbo (la peste), e che nessuno, no, nessuno al mondo ne è immune. E che bisogna sorvegliarsi senza tregua per non essere spinti, in un minuto di distrazione, a respirare sulla faccia d’un altro e a trasmettergli il contagio. Il microbo, è cosa naturale. Il resto, la salute, l’integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà che non si deve mai fermare.»
Il morbo potrebbe essere assimilato, in un certo senso, al peccato originale, inteso come l'elemento di potenziale decadenza che è in ognuno di noi poiché, in fondo, siamo...
- stroma
definizione
La trama fondamentale di un organo, di cui costituisce il sostegno di natura mesenchimale, o di un tessuto, di cui forma la matrice all'interno della quale è contenuto il parenchima, composto da tessuto connettivo, ospitando vasi sanguigni e nervi: dal greco στρῶμα (stróma → strato, tappeto, ciò che si stende).
Possiamo considerare lo stroma come una struttura costituita da setti e reticoli di tessuto connettivo fibroso, formati per la maggior parte da fibre di collagene e povero di vasi sanguigni e quindi resistente alla trazione, utili a mantenerne la struttura; in alcuni casi, il tessuto stromale è ricco di fibre elastiche o miocellule lisce, conferendo una maggiore adattabilità di forma al tessuto. La disposizione delle strutture dello stroma permette di individuare lobi e lobuli, ovvero parti organiche reciprocamente indipendenti in merito all'irrorazione sanguigna e linfatica, l'innervazione e anche per quanto riguarda possibili drenaggi di materiali secreti.
Lo stroma ha una grande importanza funzionale, non solo per le sue funzioni trofiche e strutturali, ma anche perché permette la modulazione del rapporto parenchima-vasi, fondamentale per molti organi quali fegato, rene, polmoni e svariate ghiandole endocrine.
- stamina
definizione
Il termine viene considerato un anglismo ed è poco usato nella lingua italiana, anche se, in realtà, la parola “stamina” o "stamigna", nella forma più arcaica, deriva dal latino stāmĕn (→ stame), cioè filamento dell’ordito o della trama, oppure, come sineddoche, potendo acquisire anche il significato di tessuto: l’ordito rappresenta la premessa, il filato base per la realizzazione di un arazzo, il supporto che sottostà al tessuto e lo sostiene, definendo la linea essenziale di svolgimento dell’immagine; grazie alla sua azione fondamentale permette, alla trama, di costituire l’architettura e la narrazione rappresentata dal tessuto stesso.
il filo della vita
Per i latini, lo stame era il filo della vita, che decretava la sorte di ogni uomo, le sue fortune o le sue disgrazie: tenuto nelle mani delle Parcæ, divinità che stabilivano il destino degli uomini, veniva imposto, in una certa quantità, al momento della nascita e svolto fino al suo esaurimento, pur potendo, in ogni istante essere reciso per volere del Fato ed è per questo che il termine «stamina» è utilizzato come analogo di «trama del destino»; d’altro canto, avvalendoci di questo lemma descriviamo anche la struttura costituente dell’individuo, la sua essenza, ed in questo senso, spesso viene utilizzato per indicare la resistenza dell’organismo, la sua fibra costitutiva, l’energia vitale posseduta, anche se, in realtà, il suo uso deve essere visto in un’ottica più ampia.
Dobbiamo immaginare e definire la stamina come la costituzione dell’essere vivente, l'insieme delle sue qualità fisiche e morali, il complesso delle caratteristiche morfologiche, funzionali e psichiche, tra loro correlate, che caratterizzano specificamente ogni individuo: la struttura essenziale che predispone le basi affinché la forza vitale possa confrontarsi con la sorte; è una caratteristica specifica e singolare che comporta una “pre-disposizione”, un filo di Arianna (altro significato di stame), in grado di definire...
- capienza
definizione
Il termine indica la capacità di “far fronte” alle richieste energetiche, funzionali o biologiche a cui viene sottoposto l'organismo: capienza, per associazione con il significato attribuito alla parola in ambito finanziario, suggerisce l'attitudine e l'idoneità a “garantire” una risposta adeguata, con la sicurezza di un “risultato positivo” come esito dell'evento; sostantivazione del participio presente latino capiĕnte, derivato da capĕre (→ prendere, contenere), descrive la possibilità di “contenere” l'evento o la richiesta a cui è sottoposto l'organismo, indicando, allo stesso tempo, la “misura”, il “limite”, la “tolleranza”.
Per certi versi il concetto può essere assimilato a quello di resilienza, ma, mentre quest'ultima descrive la capacità di assorbire in maniera elastica le forze agenti sul sistema somato-emotivo, la capienza rappresenta il “limite di sopportazione”, divenendo il parametro organico che determina quali stressor si comportino da stimoli sopraliminali, cioè quali sollecitazioni siano in grado di superare la capacità di tollerare dell'individuo, generando dis-confort e dis-stress.
Pertanto la capienza può essere descritta come la capacità dell'organismo di gestire gli stress, come avviene, per esempio, nel sistema degli shock absorber, il complesso osteo-arto-mio-fasciale (ma anche emozionale) che permette di “ammortizzare” i traumi; può essere assimilato all'isteresi elastica del corpo nel suo insieme, inteso come complesso fisico-emotivo-spirituale: se lo “spirito di resilienza” rappresenta la capacità di sopravvivere ai traumi, la capienza indica il limite “garantito” oltre il quale il corpo potrebbe non essere in grado di “sopportare ulteriori” carichi, divenendo, di fatto, incapiente.
- convitato di pietra
definizione
Presenza incombente ma invisibile, muta, e perciò inquietante e imprevedibile, che tutti conoscono ma che nessuno nomina: il termine deriva dal fantasma nascosto in una marmorea statua sepolcrale, ospite di Don Giovanni al suo ultimo banchetto, nella commedia «El burlador de Sevilla y convidado de piedra» (1630), attribuita allo scrittore spagnolo Tirso de Molina.
Una «muta presenza inquietante e minacciosa»: una persona (o una situazione) intimidatoria o spiacevole, che si cerca di dimenticare o non affrontare, ma che si ripresenta costantemente, esercitando una influenza occulta sugli eventi, le situazioni o gli accadimenti.
- ex juvantibus
esegesi etimologica
Usata alternativamente a «ad juvantibus», o «ex adiuvantibus» o nelle locuzioni «diagnosi ex juvantibus» e «criterio ad juvantibus», indica una diagnosi ottenuta in base al risultato di una data terapia: se la terapia (o l’azione) intrapresa migliora la sintomatologia o si induce la remissione della patologia, si ritiene confermata l’esattezza dell’ipotesi diagnostica iniziale; dal verbo latino juvāre (→ giovare, trarre benefico, giovare, aiutare, soccorrere, favorire, essere utile) preceduto dalla preposizione ex-, che indica un cambiamento, col significato di “modificato (sottinteso) da ciò che fa bene”, mentre la preposizione ad-, che indica moto a luogo con senso di avvicinamento, esplicita il concetto “che induce un miglioramento, che aiuta”.
considerazioni
Il sillogismo alla base del ragionamento non può essere sempre considerato attendibile nonostante possa essere veritiero: ammesso che la somministrazione di un rimedio specifico sia in grado di portare ad un’evoluzione positiva, non necessariamente questo cambiamento è ascrivibile a quanto utilizzato/prescritto/suggerito, e di conseguenza non si può invocare un nesso di causalità. L’argomento non è specioso poiché non solo nella pratica medica convenzionale ma anche nella cosiddetta “medicina alternativa” o nelle “discipline olistiche” si tende ad effettuare una “diagnosi patognomonica” o una “valutazione energetica”, basandosi sul fatto che un eventuale “miglioramento sintomatologico” sia riconducibile incontrovertibilmente alla “terapia” applicata.
Il sillogismo risulta sicuramente vero nel caso in cui, una volta effettuata una «diagnosi ex juvantibus», eliminando lo stressor identificato come agente causale, venga fatta una controprova reintroducendo la noxa, a cui deve conseguire un ritorno della sintomatologia confermando, «ex nocentibus», la prognosi.
Ugualmente importante è la comprensione della...
- ex nocentibus
ex juvantibus – ex nocentibus
Il termine nocentibus potrebbe essere tradotto dal latino con la perifrasi “verso il peggioramento”: deriva dal participio presente del verbo nocĕre (→ nuocere), nocens cioè nocente, parola poco usata dal significato “che nuoce”, “che danneggia”, “nocivo”, ma anche “colpevole”; interessante notare che se si aggiunge a nocens il prefisso negativo latino in-, si ottiene la parola "innocente".
Il lemma «ex juvantibus» (o il suo equivalente «ad juvantibus») può essere considerato l’antonimo di «ex nocentibus»: il medico italiano Giovanni Rasori, all'inizio dell'ottocento, sostenne che la diagnosi poteva essere fatta con sicurezza solo per mezzo del criterio «ex adiuvantibus et nocentibus», ovvero, che occorreva trovare il rimedio in grado di neutralizzare la malattia e poi rimuoverlo, per vedere se si verificava un peggioramento in grado di confermare il “colpevole”.
Se si preferisce, una volta effettuata una «diagnosi ex juvantibus», eliminando lo stressor identificato come agente causale, venga fatta una controprova reintroducendo la noxa, a cui deve conseguire un ritorno della sintomatologia confermando, «ex nocentibus», la prognosi.
ex nocentibus: lisi o crisi?
Un limite concettuale nell'uso del «criterio ex nocentibus» per la formulazione di una diagnosi, consta nel fatto che non necessariamente ogni apparente esacerbazione dei sintomi, conseguente all'applicazione di un rimedio, sia riconducibile ad un reale peggioramento del dis-stress organico o della malattia: qualche volta, l’aggravamento di un sintomo o l’acutizzazione di una manifestazione devono essere considerati segni di un cambiamento positivo e non il fallimento dell’intervento terapeutico, l’inasprimento della disfunzionalità o un ulteriore deteriorarsi dello stato di salute
La riacutizzazione dei sintomi che può verificarsi dopo avere intrapreso un percorso di riequilibrazione non è obbligatoriamente un fatto negativo o l’indicatore «ex nocentibus» utile a...
- poussée
definizione
Termine utilizzato per descrivere l'insorgenza improvvisa di una manifestazione, spesso patologica, che si esprime come un attacco, un accesso (come nella tosse), un'ondata (tipo nelle eruzioni cutanee); dal latino pellĕre (→ spingere), passando per la forma intensiva pulsare, giunge al francese pousser.
Si parla di andamento a poussée nelle malattie cronicizzanti, per descrivere le ricadute, le recrudescenze o i peggioramenti progressivi, intervallati da fasi quiescenti o di apparente remissione sintomatologica: in pratica l'insorgenza di fasi di peggioramento acuto alternate a periodi di miglioramento spontaneo.
- spina irritativa
definizione e significato
L’immagine di un aculeo conficcato che tormenta, può essere considerata sufficientemente eloquente per autodefinirsi, ma vale la pena approfondire il concetto ad essa collegata: una spina irritativa altro non è che una qualunque noxa o un qualsiasi cofattore eziologico che, con continuità, induce una stimolazione subliminale in grado di irritare, provocare o stimolare uno stato di sensibilizzazione; l’effetto che ne scaturisce è una condizione di iperestesia, cioè una predisposizione all'iperreattività o all'ipertono.
La propensione dei sistemi corporei a reagire in modo eccessivo, rispetto agli stimoli a cui è sottoposto, rende possibile un coinvolgimento di altre strutture, anche se non direttamente irritate: da un punto di vista neurologico, si osserva l’insorgenza di facilitazione segmentale, cioè il coinvolgimento di distretti viscerali, aree dermo-cutanee o muscoli che hanno un’innervazione comune con le zone su cui agiscono gli stressor .
spina irritativa - agente causale
A differenza di un fattore scatenante, che deve essere considerato il trigger che innesca la reazione del corpo, qualsiasi elemento che agisca sotto traccia, un qualunque stressor che, più o meno costantemente, favorisce il perdurare di uno stato di mal-essere, è la spina irritativa: talvolta è in grado di contribuire ad esacerbare periodicamente condizioni patologiche pregresse, talaltra diviene un coattore, in grado di impoverire la forza vitale dell’organismo, in altre occasioni, invece, si comporta come l’elemento causale di una dis-funzione che, se non corretta, può portare al dis-ease ed allo sviluppo della malattia (morbo).
Come conseguenza della loro azione, le spine irritative (spesso, ci sono più “comparse” che agiscono all'unisono) hanno la possibilità di logorare la stamina e la capienza corporea; tutto ciò, diminuendo l’energia a disposizione, riduce la capacità allostatica e l’abilità omeostatica, mantenendoci in uno stato di stress cronico....
- anamnesi
etimologia - definizione
Dal greco ἀνάμνησις (ànámnēsisḗ → reminiscenza), derivato da ἀναμιμνήσκω (anamimnéskó → ricordare); nella “gnoseologia platonica”, processo di reminiscenza, per cui l’anima ritrova in sé le idee, ossia la verità che trascende l’esperienza dei sensi. Per estensione assume il significato di “ricordo“: il termine è stato adottato dalla pratica medica, per indicare la raccolta di tutte le notizie riguardanti i precedenti fisiologici e patologici, personali ed ereditari, di un paziente, assumendo nel tempo il significato di “storia clinica“, elemento utile per la formulazione della diagnosi.
La locuzione, composta da ἀνά- (ana- → ritorno) e –μνησις (-mnēsi → ricordo), può essere utilizzata, semplicemente, per descrivere la raccolta dei ricordi, delle esperienze, sia individuali sia familiari, che permettono di inquadrare la “vita” nella sua significatività soggettiva; sinonimo di storia personale.
Il lemma è in contrapposizione a catamnesi, che rappresenta la biografia clinica successiva al momento in esame.
- biocidico
definizione
Il termine viene utilizzato specificamente per indicare sostanze ad azione inibitoria sulla vita e sull'energia corporea, in particolare riferito agli alimenti: le sostanze ad azione biocidica possono essere considerate stressor alimentari, il cui effetto è il dis-stress organico; Dal greco βίος (bíos → vita, che vive) con il suffisso -cida, derivato dal tema del verbo latino caedĕre (tagliare, uccidere).
A livello legislativo europeo, si intende qualsiasi sostanza o miscela, costituita da (o contenente, o capace di generare) uno o più principi attivi, allo scopo di distruggere o eliminare e rendere innocuo qualsiasi organismo nocivo, con qualsiasi mezzo diverso dalla mera azione fisica o meccanica. (art. 3 del Regolamento (UE) n. 528/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio)
- patogenesi
definizione
Il processo attraverso cui avvengono le alterazioni dello stato fisiologico, che portano allo stabilirsi e allo svilupparsi di una malattia ovvero la sequenza di eventi che ha la capacità di provocare fenomeni morbosi: dal greco πάθος (pathos → sofferenza) e γένεσις (génesis → origine), dalla radice γεν- da γίγνομαι (gígnomai → nascere).
La patogenesi non deve essere confusa con l'eziologia (o etiologia), che indica, viceversa, lo studio delle cause della malattia.
- eziologia
definizione
Detta anche etiologia, è una scienza che indaga le cause di una data classe di fenomeni; in linea generale, si tratta dello studio dei motivi per cui alcune circostanze o determinati processi si verificano: l'analisi delle ragioni che si nascondono dietro determinati avvenimenti o l'approfondimento cognitivo delle dinamiche che sottostanno alla genesi degli eventi. Dal greco αἰτιολογία (aitiología), da αἰτία (aitía → causa) e λόγος (lógos → discorso, trattazione, ragione).
Nell'ambito medico assume il significato dell studio delle cause morbose: la diagnosi eziologica precisa l’agente causale di una malattia, mentre la diagnosi differenziale mira a discriminare quale processo patologico, fra più possibilità che causano sintomi simili, è responsabile delle manifestazioni; la terapia eziologica è mirata a rimuovere o combattere la causa dello stato morboso. La generica suscettibilità di un organismo a contrarre malattie è detta disposizione o predisposizione, nel caso in cui esista un’abnorme tendenza ad ammalarsi: si parla di esposizione quando l’organismo stesso è messo in condizione di risentire più facilmente di uno stimolo dannoso.
Le motivazioni per le quali un individuo passa dallo stato di salute e normalità a quello di malattia o morbosità sono molteplici e rivestono diversa importanza nel determinismo e nell'evoluzione del processo patologico: si tende a distinguere fra "cause determinanti" (o efficienti) e "cause coadiuvanti" (o favorenti); in questa ottica assumono particolare rilevanza i concetti di fattore scatenante, cofattore causale ed elemento sincronico.
- eziopatogenesi
definizione
Deriva dalla fusione dei lemmi eziologia e patogenesi: può essere definita come l'analisi del processo di insorgenza di una patologia e del suo sviluppo (patogenesi), con particolare attenzione alle sue cause (eziologia); può essere certa (determinabile con esattezza), multifattoriale (riconducibile a diversi fattori), incerta, sconosciuta o misconosciuta. La maggior parte delle malattie più diffuse riconosce un'eziopatogenesi multifattoriale, dal momento che origine e sviluppo sono spesso dovuti all'interazione fra i fattori genetici e quelli ambientali.
dalla disfunzione alla malattia
Al fine di comprendere il processo che porta alla disfunzionalità ed all'ammalarsi, ovvero alla perdita del ben-essere, diventa importante prendere in considerazione i concetti di "locus minoris resistentiæ", "cofattore eziologico", "elemento sincronico" e "fattore scatenante", che devo essere visti come coattori fondamentali, in quanto in grado di ridurre la capienza del sistema somato-emozionale, andando a inficiare le capacità allostatiche o l'omeostasi corporea.
Occorre ricordare che il ben-essere, può essere considerato come l'esistere “bene”: una nozione in costante evoluzione, che presuppone una visione decisamente più ampia di quella del passato, intendendo non solo uno stato complessivo di buona salute fisica, mentale e psichica, ma anche uno stato di armonia verso sé ed il mondo che ci circonda.
Possiamo affermare che il ben-essere, più che una condizione, dovrebbe essere considerato un processo di evoluzione, un continuo divenire, un adattamento a molteplici fattori che incidono sulla qualità di vita: una crescita ed una trasformazione che porta ad una armonizzazione degli aspetti emotivi, mentali, fisici, sociali e spirituali, consentendo ad ogni persona di raggiungere e mantenere il proprio potenziale personale; l'eziopatogenesi può essere considerata come lo studio delle cause che rallentano o interrompono il cambiamento e lo sviluppo personale e...
- fattore scatenante
definizione
Può essere rappresentato come un evento o uno stimolo in grado di fungere da trigger (grilletto), equiparabile, in un certo senso ad uno stressor; nonostante il concetto di fattore scatenante appaia scontato, merita di essere approfondito, in quanto elemento determinante e non secondario dell’eziopatogenesi, alla base di qualunque disfunzionalità e patologia.
Innanzitutto parliamo di fattore (factor) un lemma latino derivato dal participio passato di facĕre (→ fare), che sottolinea come l’azione sia già avvenuta, per cui l’elemento agente ha già svolto un ruolo di attivazione e noi vediamo i risultati di questo atto: la disquisizione non è speciosa, poiché ci mostra come la cascata di eventi che sono stati messi in moto, per portare all'esito attuale, siano già avvenuti e, perciò, non sono più modificabili; noi possiamo intervenire solo sul processo in atto (patogenesi) o sugli effetti (dis-funzione versus morbo), non più sull'eziologia. Per quanto riguarda il verbo scatenare, letteralmente significa “liberare dalla catena“, cioè eliminare i vincoli che impediscono un evento, dando libero corso alla sequela di “esiti” che derivano direttamente dalla perdita dei freni inibitori, cioè di quelle condizioni, dipendenti dall'omeostasi corporea e dalla attitudine allostatica, in grado di limitare il subitaneo prodursi di effetti violenti o incontenibili, conseguenti allo squilibrio improvviso delle forze in gioco.
una “catena di eventi”
Una volta che la capacità cibernetica dell’organismo di contrastare le noxæ venga meno, quando gli stressor, agendo come fattori biocidici, saranno stati in grado di saturare i sistemi difensivi o adattativi dell’organismo, per effetto dello stress, cioè dell’incapacità di tollerare ulteriori “pressioni” o carichi”, il sistema somato-emozionale subirà una disfunzione che invariabilmente agirà sul “locus minoris resistentiæ“, cioè sulle nostre fragilità somatiche o emozionali.
Quando viene meno la capacità cibernetica...
- semeiologia
definizione
La scienza dei segni clinici, la branca della medicina che si occupa del rilievo diagnostico dei sintomi delle singole malattie e dello studio dei metodi manuali e strumentali atti a rilevarli; dal greco σημεῖον (sēmêion → segno) e -λόγος (lógos → discorso) è un sinonimo di semeiotica.
- semeiotica
definizione
Disciplina medica che ha per oggetto il rilievo e lo studio dei segni, cioè dei sintomi e delle manifestazioni delle malattie, che orientano verso la diagnosi: dal greco σημειωτική (sēmeiōtikḗ → studio, esame dei segni, derivato dal greco antico σημεῖον (semèion → segno) e dal suffisso ική (-iké → relativo a) o τέχνη (téchne → arte); detta anche semeiologia, da σημετον (simeton → segno) e λόγος (lógos → discorso).
la semeiotica nella valutazione multidimensionale
I criteri clinici di indagine non sono metodi diretti esclusivamente allo studio dei fenomeni morbosi, ma sono anche diretti allo studio dei fenomeni normali, perché la constatazione degli eventi fisiologici e dei segni usuali, cioè non patologici o eccezionali, ha una grande importanza diagnostica, per permettere una valutazione differenziale fra le manifestazioni.
L'osservazione dei segni, assieme all'anamnesi, sono tasselli fondamentali per il professionista del ben-essere, per effettuare una corretta valutazione multidimensionale: permettono di cogliere la presenza di spine irritative, cofattori eziologici, agenti causali o fattori scatenanti in grado di depauperare le risorse dell'organismo.
- test muscolare kinesiologico
definizione
Indicato più specificamente come “test muscolare manuale” (TMM) è una modalità manuale di valutazione funzionale delle risposte neuro-muscolari di singoli muscoli o gruppi muscolari scheletrici; i muscoli sono utilizzati come “indicatori”, per evidenziare gli effetti somato-emozionali o energetici indotti da differenti tipi di stress: per questo viene talvolta definito anche test del muscolo indicatore (TMI).
In questo tipo di valutazione neuro-muscolare, i muscoli, rappresentano effettori, cioè strumenti per riscontrare le modalità espressive ed adattative del sistema nervoso, utilizzabili come mezzi diagnostici: minore è il numero di “unità motorie” attivate, maggiore sarà la precisione nella valutazione delle reazioni “neuro-muscolari”, fermo restando che la sensibilità dell'operatore è essenziale per la riuscita e la lettura delle risposte. Quest'ultimo aspetto rende evidente il fatto che il test muscolare, pur essendo una scienza è, al contempo, un'arte dove la capacità del testante e la sua relazione col testato sono un elemento imprescindibile: il test, perciò, offrirà valutazioni soggettive e non oggettive.
Tecnica di semeiotica neurologica, utilizzata in passato, è stata riorganizzata in epoca moderna, attraverso il lavoro di ricerca e sperimentazione dai fisioterapisti statunitensi, Henry O. Kendall e Florence P. Kendall, ai quali si unì negli anni successivi Gladys L. Wadsworth; dopo un periodo di oblio, dovuto allo sviluppo della diagnostica per immagini, è stata rivalutata e riportata agli onori della cronaca dal chiropratico americano George Joseph Goodheart Jr., che ne fece l'elemento caratterizzante della Kinesiologia Applicata.
È lo “strumento” principale utilizzato dalla Kinesiologia Transazionale®.
- vis medicatrix naturæ
definizione
La «forza guaritrice della natura»: la massima, attribuita a Ippocrate (νονσων φνσεις ιητροι), enuncia l’idea che la natura offra gli strumenti ed i mezzi agli organismi viventi affinché, attraverso il potenziamento dell'energia vitale e l'attivazione degli innati strumenti di auto-guarigione, presenti in ognuno di noi, per raggiungere la miglior qualità di vita possibile, il ben-essere e la salute.
la malattia come disarmonia
Questa concezione fondamentale della “medicina ippocratica“, nasce nel solco delle antiche tradizioni della medicina babilonese ed egiziana, che considerano l’individuo come un elemento inserito nel suo ecosistema somato-emozionale, energetico, spirituale ed universale: l'idea cardine di questa visione postula che la malattia nasce dalla disarmonia fra l’individuo ed il mondo in cui vive, come espressione della dissonanza fra la persona e le energie che lo circondano; la filosofia che sta alla base del concetto di salute e malattia, non è molto dissimile dai concetti della medicina tradizionale cinese o da quella vedica, dove l’influenza delle energie celesti si intrecciano con le forze creatrici dell’uomo.
“Ut supra, sic infra, sicut supra, et infra„ è una frase che, generalmente, viene fatta risalire a Thoth, il dio della magia conosciuto anche come Ermete Trismegisto (“Hermes il tre volte grande“): un’affermazione che ci vuole ricordare come esista una interrelazione fra il mondo esteriore e quello interiore; quando si crea dissonanza fra le due manifestazioni, nasce la malattia.
il ben-essere come espressione della forza vitale
Il corpo, inteso come entità somato-emozionale e spirituale, possiede in sé i mezzi della guarigione: la "Natura è il medico delle malattie" e non bisogna dimenticare che molte malattie possono regredire, se la nostra energia vitale risanatrice, cioè la vis medicatrix naturæ, ha la possibilità di agire autonomamente e liberamente, seguendo la naturale tendenza a ritrovare il benessere e...
- flogosi
definizione
Complesso dei processi locali ed eventi, a carattere reattivo, con i quali l'organismo risponde alla presenza di noxæ, irritazioni o agenti lesivi di varia natura (detti agenti flogogeni), che prendono contatto con i tessuti organici: sinonimo di infiammazione, descrive l'aspetto "urente", cioè il bruciore ed il calore, spesso associati al dolore; dal greco ϕλόγωσις (flógosis → combustione, infiammazione) derivato da ϕλέγω (flégo → bruciare, bollire) o ϕλογόω (flogóo → ardere, incendiare).
descrizione
Con il termine flogosi, in genere, ci si riferisce ad una infiammazione, che si manifesta in una zona definita del nostro organismo: questo processo fisiopatologico ha il compito di neutralizzare l’agente lesivo o di delimitare la lesione da esso prodotta; la finalità è proteggere l'organismo ed eliminare la causa iniziale del danno cellulare o tissutale (fattore scatenante), in modo da poter avviare il processo riparativo. Può manifestarsi in forma acuta, spesso caratterizza da un inizio molto brusco e doloroso ma con una guarigione in tempi brevi, o in forma cronica: quest'ultima tende a perdurare, esprimendo decorsi che tendono a prolungarsi come conseguenza dell'attivazione di fenomeni tissutali interstiziali o la concomitante formazione di manifestazioni granulomatose.
Sintomi tipici del processo flogistico sono aumento della temperatura corporea, calore o bruciore nella zona interessata (calor), iperemia e arrossamento (rubor), gonfiore (tumor), dolore, algia e ipersensibilità (dolor), torpore e difficoltà di mobilità della zona infiammata (functio lesa): la flogosi deve essere considerata, a sua volta, più un sintomo che una causa, potendo essere il segnale di una patologia potenzialmente dannosa per l'organismo. Il processo infiammatorio può evolvere verso la necrosi dei tessuti colpiti, per azione degli enzimi lisosomiali; cronicizzazione, come conseguenza della mancata rimozione degli agenti eziopatogenetici; guarigione, se gli...
- intermedi di Amadori
definizione
Definiti comunemente come prodotti o composti, sono sostanze (α-cheto-amine) che si creano nel corso della reazione di Maillard e che, essendo intermedi, sono, per definizione, entità molecolari formatasi dai reagenti (o intermedi precedenti)che reagiscono ulteriormente per dare ulteriori intermedi o i prodotti finali, nell'ambito di una reazione chimica; essendo la reazione di Maillard una reazione di glicazione non enzimatica che porta all'imbrunimento degli alimenti come conseguenza della reazione fra monosaccaridi riducenti (glucosio, fruttosi, galattosio ..) e proteine, amminoacidi liberi o lipidi, i composti d Amadori si degraderanno originando altre molecole reattive ed instabili che a seconda della loro interazione saranno i responsabili della comparsa o della variazione di colore oppure dell'aroma (o di entrambi) negli alimenti: durante lo stadio finale della reazione si formeranno anche diverse sostanze, come le melanoidine, che rappresentano il prodotto finale della reazione corrispondenti allo sviluppo definitivo di aromi, colori e strutture tipici dei prodotti alimentari coinvolti.
I prodotti di Amadori possono indurre una riduzione dell'assorbimento degli aminoacidi essenziali.
- glicotossina
definizione
Sostanze insolubili e non digeribili, conosciute anche come AGEs (advance glycation end-products), sono il risultato di una serie di reazioni chimiche mediante le quali alcuni zuccheri, dotati di capacità riducenti, come il glucosio o il fruttosio, si legano ad una proteina; sono in grado di accumularsi nel collagene, principale componente del tessuto connettivo, e nella mielina, la guaina lipidica che avvolge e protegge il tessuto nervoso, potendo condizionare la funzione e l'attività del corpo: la loro presenza spiegherebbe la progressiva perdita di elasticità e la conseguente rigidità riscontrabili nei tessuti ricchi di collagene, come il cristallino, le articolazioni, i muscoli scheletrici e le pareti vascolari.
veleni endogeni o esogeni
Le glicotossine possono essere endogene, cioè formarsi all'interno dell'organismo, derivando dalla complessazione (detta glicazione) delle proteine da parte degli zuccheri più rappresentativi, cioè il glucosio ed il fruttosio (quest'ultimo ha capacità di glicazione superiori al glucosio): si formano fisiologicamente nel nostro organismo, come una normale conseguenza del metabolismo, ma la loro formazione è accelerata in condizioni di iperglicemia; in condizioni di stress cronico, come conseguenza della maggiore produzione di cortisolo, si ha un aumento persistente della glicemia con conseguente incremento della formazione degli AGEs.
Derivano anche da fonti esogene come la dieta, come conseguenza dei processi di cottura degli alimenti, come conseguenza di reazioni di Maillard, durante i processi di abbrustolimento, tostatura, grigliatura, doratura, caramellizzazione o frittura: vengono assorbite dal corpo in seguito alla digestione: anche se insolubili ed indigeribili, vengono assimilate dall'organismo; l'azione di queste tossine esogene è pro-infiammatoria e amplifica gli effetti delle endotossine, sia saturando i processi di detossicazione, sia per azione diretta, venendo coinvolti nella genesi di svariati...
- palatabilità
definizione
Gradevolezza del gusto di una sostanza, da assumere per via orale: potrebbe essere definita come la capacità di un cibo di evocare un senso di piacere e godimento quando viene mangiato, una sorta di “ricompensa edonica”; può essere considerato un sinonimo di appetibilità, fattore che dipende in gran parte dalle preferenze dell'individuo, anche se alcuni fattori come gusto, consistenza, olfatto e aspetto influenzano fortemente il fatto che un alimento sia considerato desiderabile, appetibile o, appunto, palatabile.
Le persone tendono a mangiare grandi quantità di un cibo appetibile prima di decidere che sono “piene” di quel particolare alimento (ovvero satolle), anche se quelli più appetibili non sono sempre altamente nutrienti: infatti assumono spesso i connotati di confort-food più che le caratteristiche che ci si aspetterebbe da un nutraceutico: un alimento “appetibile” apporta, solitamente, un intenso senso di piacevole soddisfazione, agendo sulle aree cerebrali del piacere. Talvolta questo fenomeno può indurre “dipendenza”, in quanto attiva il desiderio di rinnovare l'esperienza, una situazione spesso riconosciuta coscientemente come “voglia”. In genere sono coinvolti in questi meccanismi i circuiti neurali dopaminergici che, proprio in considerazione del piacere come “reward” ovvero “ricompensa edonica”, tendono a ripetersi quando si presentano gli stessi stimoli associati al cibo, agendo da potenziamento condizionato dell’alimentazione, in particolare per il consumo di cibi palatabili, ricchi di zuccheri semplici e grassi.
Anche se il livello di appetibilità percepito è soggettivo, in quanto dipende dalle preferenze personali, esistono diversi fattori che influenzano la palatabilità degli alimenti che, per quanto suggestionati dalle preferenze individuali, in una certa misura, ne contraddistinguono le caratteristiche; uno dei più ovvi è il sapore o il gusto del cibo: questo include le sensazioni di base come salato, acido o dolce, nonché i...
- reazioni di Maillard
definizione
Serie di processi chimico-fisici, piuttosto complessi ed eterogenei, in grado di produrre glicotossine come effetto dell'interazione fra gli zuccheri e gli amminoacidi contenuti nel cibo, che si verificano durante i processi di cottura: per la pigmentazione che assumono i prodotti finali è conosciuta come reazione di imbrunimento non enzimatico (reazione di glicosilazione); deve il suo nome al chimico francese Louis Camille Maillard, che la studiò per la prima volta, nel 1912.
In genere nell'ambito della trasformazione si creano prodotti intermedi come le α-cheto-amine (composti di Amadori), prima che si generino i prodotti finali quali, ad esempio, le malanoidine, caratterizzati da un colore bruno ed hanno l'odore di “cotto” o gli aromi caratteristici di crosta di pane appena sfornato oppure, se il processo è stato più intenso, di tostato come la frutta secca, il cacao o il caffè; questa reazione assume un ruolo fondamentale nella preparazione dei cibi in quanto conferisce agli alimenti colore ed aroma: avviene in tutti i prodotti in funzione del tempo e della temperatura di cottura, a patto che vi siano proteine (aminoacidi) e zuccheri riducenti: questi ultimi sono quegli zuccheri che in soluzione esistono in una forma a catena aperta con un gruppo aldeidico, come il glucosio o il fruttosio. (il saccarosio, un disaccaride, viene scisso in glucosio e fruttosio, in presenza di sostanze acide come il succo di limone o il vino)
importanza della reazione di Maillard
Indipendentemente dagli effetti sulla palatabilità dell'alimento o sul suo aspetto cromatico, a livello nutrizionale questo processo comporta un indurimento del prodotto e la diminuzione della digeribilità delle proteine coinvolte a causa della formazione di legami chimici covalenti, la formazione di ammine eterocicliche complesse, ma anche un'inibizione, mediata dai prodotti di Amadori, dell'assorbimento degli aminoacidi essenziali.
Un altro aspetto importante da considerare è la...
- diarrea
definizione
Disturbo della defecazione, caratterizzato da emissione di feci liquide o semiliquide, che da luogo, di solito, a più scariche giornaliere, ma può manifestarsi, anche con un’unica evacuazione; talvolta si manifesta con un aumento della quantità giornaliera di feci emesse e con un incremento della frequenza delle scariche dell'alvo intestinale. Dal greco διάρροια, (diárroia → diarrea), derivato dal dal verbo διαρρέω (diarréo → scorrere attraverso, filtrare), composto da δια (diá → attraverso, per mezzo di) e ῥέω (réo → scorrere).
La diarrea dev'essere interpretata come una risposta difensiva dell'organismo, in quanto le scariche alvine hanno l'obiettivo di rimuovere dal lume intestinale i microrganismi patogeni, le tossine o le sostanze irritanti, il materiale che potrebbe portare a infezioni o infiammazioni: non è una vera e propria malattia ma un sintomo aspecifico, comune a numerose patologie, in genere gastro-intestinali, ma presente anche in condizioni non patologiche; spesso si accompagna al continuo stimolo di evacuare, anche in assenza di materiale fecale, fenomeno detto tenesmo rettale.
conseguenze del processo diarroico
Qualunque sia l'eziologia, una diarrea profusa o continuativa può dare luogo a delle complicanze quali disidratazione e perdita di elettroliti (sodio, potassio e magnesio) potendo causare lipotimia, sincope vaso-vagali o collasso cardio-circolatorio. Altre possibili complicanze comprendono acidosi metabolica (per deplezione di bicarbonati); l'ipokaliemia che si verifica in particolare in presenza di feci mucose, con perdita massiccia di potassio, può essere responsabile di astenia generalizzata così come si può manifestare ipomagnesiemia, con la formazione di fenomeni clonico-tetanici; nei casi più gravi si può giungere alla cachessia.
classificazione
In base alla frequenza, è possibile suddividere la diarrea, in:
⇒ ricorrente - si manifesta, cioè, con andamento ciclico ed episodi ravvicinati tra loro;
⇒ acuta - dalla...
- stipsi
definizione
Disfunzione caratterizzata dalla diradata e insufficiente evacuazione fecale, dovuta a una rallentata progressione del contenuto fecale del grosso intestino, spesso associata ad alterazioni dello svuotamento dell'ampolla rettale; dal greco στῦψις (stýpsis), derivato da στύϕω (stýfo → restringere, condensare, contrarre, accatastare, ammucchiare insieme): spesso si utilizza il termine stipsi come sinonimo di stitichezza, dal greco στυπτικός (styptikós → astringente) o costipazione, dal latino constipatiō, composto da cum (→ insieme) e stipere (→ premere).
classificazione della stipsi
Esistono due forme di stipsi: la prima può essere definita “stipsi da propulsione”, comunemente definita stitichezza, legata effettivamente al rallentato transito, per alterazione della motilità dell’intestino crasso, riferibile ora a scarsa validità delle contrazioni del colon (stipsi atonica), ora a contrazioni eccessivamente prolungate o troppo energiche (stipsi spastica), che portano invariabilmente alla disfunzonalità neuro-muscolare delle cellule pace-maker dell'intestino.
La seconda è la “stipsi da espulsione”, tecnicamente definita da “deflusso”, dove il problema è riconducibile ad una alterata capacità di evacuazione e ad un'alterazione delle funzioni neuro-enteriche del tratto finale del retto.
- stitichezza
descrizione
Disturbo della defecazione causato dal rallentato transito intestinale, accompagnato o meno da ridotta frequenza dell'alvo e disturbi addominali imputati, che si manifesta come una difficoltosa ed insufficiente evacuazione; derivato dal greco στυπτικός (styptikós → astringente).
La stitichezza è il risultato di un'alterazione nella propulsione del bolo fecale e/o della evacuazione dello stesso: i disturbi della progressione possono essere correlati ad una ridotta massa fecale, ad affezioni organiche del colon che meccanicamente impediscono il passaggio del bolo fecale, oppure ad alterazioni funzionali intestinali, quali la stipsi cronica a lento transito o l'atonia del colon.
I disturbi della evacuazione sono anche correlabili ad alterazioni organiche della regione ano-rettale o ad alterazioni funzionali, quali la dischezia rettale o la sindrome del perineo discendente: in questi casi sarebbe più corretto utilizzare il termine “disturbi da evacuazione”.
La stitichezza dà sintomi locali, come modesti dolori locali o diffusi, che possono riacutizzarsi fino a diventare una colica, alcune volte possono portare a modificazioni dell'alvo con encopresi.
La stitichezza può influire sullo stato generale: mal di testa, cardiopalmo, insonnia, alitosi; possono comparire difficoltà digestive e una diminuzione dell'appetito. Sono frequenti le dermatosi (orticaria, eczema, acne), causate probabilmente da autointossicazione dovuta all'assorbimento di sostanze che avrebbero dovuto essere eliminate, ma che invece permangono troppo a lungo nell'intestino.
Stipsi e costipazione sono spesso utilizzati come sinonimi.
- xerostomia
definizione
Secchezza della mucosa boccale per riduzione o, nei casi più gravi, per soppressione della secrezione salivare oppure causata da un'eccessiva eliminazione, come quando si respira attraverso la bocca in modo eccessivo e forzato; associata a dolore alla lingua (glossodinia) e difficoltà della masticazione o della deglutizione, può indurre una alterazione del gusto, con modificazione del normale sapore dei cibi; dal greco ξηρός (xero → secco) e στόμα (stóma → bocca), viene chiamata anche anche «dry mouth syndrome» (sindrome della bocca secca): generalmente è localizzata alla bocca, ma può colpire anche il naso e la gola, divenendo responsabile di frequenti faringiti; può accompagnarsi a riduzione della secrezione sudorale e lacrimale.
sintomatologia e manifestazioni associate
La secchezza delle fauci può rendere difficile la fonazione.
In molti casi può comportare anche alitosi, venendo a meno l'azione detersiva della saliva nei confronti dei residui proteici, ed un importante aumento di carie dentali dovuto alla riduzione della rimineralizzazione dello smalto, facilitata dalla saliva; la xerostomia può rendere la mucosa del tessuto parodontale e della bocca più vulnerabile alle infezioni batteriche ed alle micosi (candidosi orale o mughetto) ed alla formazione di afte del cavo orale, spesso accompagnate da dolore urente: in alcuni casi è possibile che si sviluppi la cosiddetta sindrome della bocca urente.
La xerostomia è un sintomo cardine della Sindrome di Sjögren, assieme alla xeroftalmia (secchezza oculare) e alla xerotrachea (secchezza delle vie aeree); può essere un sintomo in presenza di diabete mellito scompensato o in presenza di disidratazione, spesso sottovalutata se la causa primaria è un ipertermia elevata, una diarrea profusa o come conseguenza di importanti emesi.
patologia iatrogena
Molti anziani provano una sensazione più o meno grave di xerostomia, anche se più che dipendere da una relazione diretta con i processi di...
- aerofagia
definizione
Disturbo caratterizzato dalla deglutizione involontaria di aria, talvolta in quantità notevole, tanto da poter produrre un forte aerogastria o meteorismo gastro-intestinale: viene definita anche “malattia dei mangiatori d'aria”, spesso è caratterizzata dalle eruttazioni ripetute, che l'aerofagico effettua per ridurre la tensione epigastrica; dal greco αερο (aero → aria) e -ϕαγία (fagía), derivato da ϕαγεῖν, (fageín → mangiare).
L'aria introdotta con gli atti della deglutizione attraversa in parte l'esofago e viene poi riemessa, mentre una parte può essere ritenuta all'interno dello stomaco; l'aerofagia non dipende dalla produzione di gas da parte dello stomaco ma è l'esasperazione di un fenomeno fisiologico: tutte le persone ingoiano piccole quantità di aria, durante la masticazione, la deglutizione della saliva, di cibi e bevande, ma nei soggetti aerofagici, spasmi combinati dei muscoli della respirazione e della deglutizione ne comportano una introduzione eccessiva.
Nell'infanzia una modica aerofagia è fisiologica, in quanto si produce nel lattante durante la suzione o essere indotta dalla suzione del dito o della tettarella; negli individui adulti è frequentemente di origine nevrotica, tipicamente nei soggetti ansiosi. Spesso associata alla dispepsia nervosa, generalmente è seguita da eruttazioni, tensione addominale dolorosa, borborigmi, meteorismo ed aumentata flatulenza.
Nei soggetti particolarmente ansiosi, l'aerofagia e la conseguente aerogastria possono determinare dilatazione acuta dello stomaco, seguita da senso di soffocamento, ansia, tachicardia ed iperventilazione, cardiopalmo e talora aritmia extrasistolica: quando non è psicogena, può dipendere da affezioni delle vie digestive e biliari; nella gravidanza, le modificazioni ormonali associate a stimoli pressori esercitati dal feto possono essere responsabili del fenomeno.
In tutti i casi di deglutizione di notevoli quantità di saliva si può verificare aerofagia oppure nei processi...
- chimo
definizione
Il prodotto semidigerito degli alimenti, giunti allo stomaco per mezzo della deglutizione del bolo alimentare: in genere si definisce chimo gastrico il risultato della combinazione, nell'ultima fase della digestione gastrica, fra acidi ed enzimi; dal greco χυμός (chymós → succo).
descrizione
Il chimo è quella sostanza liquida, presente nello stomaco, è prodotto della digestione degli alimenti ed è composto dai succhi gastrici e dagli alimenti da questi modificati; si presenta come sostanza lattiginosa, ricca d'acqua: è il risultato del rilascio nel lume gastrico di sostanze chimiche che si miscelano con il bolo alimentare, grazie all'azione meccanica dei movimenti peristaltici, ed è costituito da cibo parzialmente digerito, acqua, acido cloridrico e svariati enzimi digestivi.
Lo stomaco digerisce il cibo in chimo in un periodo variabile da 40 minuti a poche ore, a seconda della quantità di cibo ingerito: presenta un pH intorno a 2 e, qualora la sua acidità non fosse sufficientemente elevata, grazie alla secrezione della gastrina, viene stimolato il rilascio di acido cloridrico da parte delle cellule ossintiche; il chimo è acido nello stomaco a causa dell'elevata cloridria ivi esistente ma, dopo alcune ore dall'assunzione, una volta raggiunta la corretta osmolarità, si osserva il rilascio del piloro per permettere al chimo di riversarsi nel duodeno nella forma di una massa semiliquida che viene inondata dai succhi epato-pancreatici, secreti nel lume duodenale attraverso lo sfintere di Oddi, a livello della papilla di Vater; viene immesso a piccoli fiotti nel tratto duodenale, dove diventa alcalino grazie all'azione del succo pancreatico e della bile, così che la miscela che si forma nel canale intestinale in seguito alla digestione gastro-duodenale degli alimenti formi il chilo, destinato a prosegue il suo percorso nell'apparato digerente, nel digiuno.
Nel duodeno, la stabilizzazione dell'acidità viene raggiunta a causa della secrezione di...
- triangolo della salute
considerazioni
Se affrontiamo il problema stress dal punto di vista della riduzione della dispersione energetica e dell’incremento delle risorse disponibili, non possiamo esimerci dal mantenere una visione olistica del disagio individuale, che si traduce, da un punto di vista “clinico” nell'applicare una valutazione multidimensionale al problema.
L’idea di fondo che guida il professionista in Kinesiologia Transazionale® è che sia necessario equilibrare i differenti “pilastri” che sostengono il benessere in modo proporzionale; già nel 1895 il chiropratico americano Daniel David Palmer ipotizzava che il corpo fosse governato da tre sistemi in grado di condizionarsi vicendevolmente: la “struttura”, caratterizzata dalla componente muscolo-scheletrica, la “chimica organica”, cioè quell'insieme di funzioni metaboliche influenzate dall'ambiente, e la “psiche”, l’insieme dei sistemi di credenza, delle rappresentazioni mentali della realtà e dell’attitudini relazionali.
Per poter essere in buona salute, i tre fattori dovrebbero bilanciarsi reciprocamente, formando un triangolo equilatero detto il “triangolo della salute”: quando un qu
- unità di proteasi acida spettrofotometrica