amido resistente

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Abbreviato con l’acronimo di RS, dall’inglese resistant starch, rappresenta quella frazione dell’amido che resiste al processo di idrolisi (digestione) da parte degli enzimi salivari (ptialina) o dagli enzimi pancreatici (amilasi) rilasciati a livello dell’intestino tenue; nell’intestino crasso, generalmente, va incontro a fermentazione, parziale o integrale, da parte del microbiota, con produzione di acidi grassi a corta catena (SCFA).

L’amido è un polisaccaride, caratterizzato da un gran numero di unità di glucosio polimerizzate unite tra loro da legame α-glicosidico e costituito da amilopectina e da amilosio: il grado di resistenza alla degradazione enzimatica è dipendente dal rapporto amilosio/amilopectina all’interno della molecola di amido; l’amilopectina è sensibile alle amilasi, mentre l’amilosio, essendo uno zucchero dalla struttura più lineare, è meno sensibile alla idrolisi e più difficilmente attaccabile dagli enzimi digestivi, e come tale, meno digeribile (α-amilasi resistenza).

La frazione dell’amido, costituito da amilosio, è equiparabile all’amido resistente ed è parte sostanziale della fibra alimentare solubile o delle componenti funzionali, costituendo circa il 10 % dell’amido consumato nella dieta media occidentale: talvolta la resistenze è determinata dall’irraggiungibilità dell’amido, che non potendo essere aggredito dagli enzimi, raggiunge il colon praticamente intatto, come accade nel caso dei cereali e dei legumi interi, cotti ma non opportunamente masticati.

Sia i cereali, sia i legumi, per essere digeriti, necessitano prima un trattamento termico che favorisce la gelatinizzazione, rendendo l’amido contenuto più digeribile, anche se quando sono surriscaldati, il processo si inverte: infatti la concentrazione di amido resistente può aumentare negli alimenti se questi vengono cotti e poi lasciati raffreddare: questo processo, che viene definito chimicamente come retrogradazione, fa sì che una parte dell’amido digeribile, quello che viene trasformato in glucosio, diventi amido resistente attraverso la cristallizzazione, abbassando l’apporto calorico del piatto.

L’amido resistente è naturalmente contenuto, in percentuali differenti, in tutti i cibi ricchi di amido come i cereali, in particolare nell’orzo e nell’avena, nei semi e nei legumi, (in particolare i fagioli ne contengono una discreta percentuale)e nei tuberi; nei frutti amidacei come le banane o le castagne; nelle patate, la percentuale è elevata, ma si riduce molto quando vengono cotte; le patate cotte contengono il 2-3% di amido resistente, ma se consumate fredde possono arrivare al 6%. I cereali crudi, non macinati, ne contengono più del 10%, ma solitamente non vengono consumati, mentre tra i cereali cotti, ne contengono quantità importanti soprattutto i cereali integrali (2-3%), oppure i prodotti ricchi di amido retrogradato, come i prodotti da forno secchi (crackers, cornflakes, cereali soffiati, gallette di cereali, muesli, pane integrale, pasta e riso freddi) che possono arrivare a contenerne fino al 6%. Le banane contengono un’elevata quantità di amido resistente, intorno al 5%, così come i platani cotti, le banane amidacee poco conosciute e poco consumate in Italia.

Pur non essendo digeribile, l’amido resistente interagisce positivamente con l’organismo umano poiché, gelificando assieme alle altre componenti della fibra viscosa, modula l’assorbimento dei carboidrati, abbassandone l’indice glicemico, e quello dei lipidi e del colesterolo, rallentandone o impedendone l’assorbimento; inoltre, l’amido resistente, sottoposto a fermentazione anaerobica dal microbiota intestinale produce acidi grassi a corta catena, che rappresentano sia un valido substrato di crescita per i batteri della flora microbica intestinale, fungendo da prebiotico, sia svolgendo funzioni regolatrici e metaboliche nell’organismo.

La produzione di acido butirrico, conseguente alla fermentazione dell’amido resistente, riduce l’infiammazione e la permeabilità intestinale che possono rallentare il metabolismo; la sua presenza nel cibo sembra aumenta la sensibilità dei tessuti all’insulina, con effetto preventivo nei confronti di disturbi metabolici e diabete. Inoltre abbassando l’impatto glicemico del pasto, riduce i picchi iperglicemici postprandiali, diminuendo la lipogenesi, e incrementando il senso di sazietà, favorisce la riduzione dell’apporto glicemico alimentare.

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