apoptosi

« all'indice del glossario

definizione

Termine coniato nel 1972 da John F. Kerr, Andrew H. Wyllie e A. R. Currie per descrivere la caduta delle foglie e dei petali dei fiori, viene utilizza per descrivere una forma di morte cellulare programmata che differisce, per alcune peculiarità morfologiche, dalla necrosi conseguente ad alterazioni patologiche della cellula. Dal greco ἀπό (apó → da) e πτῶσις (ptòsis → caduta). 

Oggi la maggior parte degli autori è concorde nel definire l’apoptosi come un meccanismo di morte cellulare programmata che presenti coinvolgimento delle caspasi (proteasi contenenti cisteina nel sito attivo, in grado di lisare una sequenze proteiche nel punto seguente ad un acido aspartico).

L’apoptosi, pur determinando la morte della cellula, contribuisce al mantenimento dell’omeostasi, giacché  mantiene pressoché eguale il rapporto tra numero di nuove cellule e cellule eliminate: se non esistesse l’apoptosi ogni organismo accumulerebbe un gran numero di cellule ormai non vitali o, in casi particolari, perfino nocive.

A monte dell’apoptosi vi è sempre un segnale, che può essere esterno (via estrinseca → la cellula termina il proprio percorso vitale a seguito di uno stimolo) o interno (via intrinseca → il segnale che avvia l’apoptosi è prodotto internamente alla cellula): questo segnale si propaga lungo una serie di intermedi enzimatici, che hanno il ruolo di “controllare” l’apoptosi per evitare che venga innescata senza una ragione o troppo precocemente.

« all'indice del glossario