patomimia

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definizione

Il termine, composto delle parole greche παϑο– (pato– → sofferenza) e μιμία (mimía → imitazione), indica l’imitazione, più o meno intenzionale, dei sintomi di una malattia organica, e a volte anche mentale, allo scopo di essere considerato malato; può essere definita come la provocazione artificiale di alterazioni morbose o la simulazione, più o meno cosciente, di malattie.

In un certo senso può essere associata al moderno concetto di nocebo, che viene esteso anche agli effetti negativi derivati da autosuggestione a seguito di qualsiasi evento percepito erroneamente come dannoso, come nel ricevimento di un referto medico sbagliato che diagnostica una malattia inesistente, di cui si incomincia a manifestarne i sintomi.

malingering

Letteralmente, in inglese, «darsi malato»: può essere considerata una patomimia caratterizzata dalla simulazione o dall’esagerazione dei sintomi di una malattia, cioè dalla creazione cosciente di segni riconducibili a disturbi mentali o a patologie fisiche, al fine di ottenere dei “guadagni secondari”, che possono consistere, ad esempio, in una compensazione finanziaria (rimborsi assicurativi), nell’evitamento della scuola, per giustificare assenze del lavoro (assenteismo),  per eludere il servizio militare o per ottenere uno sgravio in caso di detenzione o condanna penale. A volte lo scopo è l’ottenimento di farmaci, in particolare sostanze antidolorifiche, oppiacei o farmaci psicoattivi.

La simulazione risulta, dal punto di vista nosografico, diversa dal disturbo di somatizzazione e dal disturbo fittizio: il suo esatto contrario è la dissimulazione, rappresentata dal nascondere, minimizzare, non far trasparire la propria sofferenza o i segni della malattia mentale/fisica in corso.

patomimie cutanee

Con questo termine si fa riferimento, solitamente, ad una serie di quadri dermatologici caratterizzati da lesioni autoindotte della pelle: si tratta molto spesso di situazioni in cui la componente psicologica ed emotiva è fondamentale nel determinare la patologia; questa forma di patomimia deve essere inserita nel più ampio contesto dei comportamenti di autolesionismo, riconducibili sostanzialmente alla sindrome di Munchausen o alla cosiddetta «repetitive self-harm syndrome» (sindrome da auto-lesionismo ripetuto).

Deve essere considerata una patomimia in quanto i sintomi espressi sono “falsi”, nel senso che non sono gli indicatori della vera malattia, che non è quella che si vede, o che si vorrebbe far vedere, tramite ciò che si mostra: chi è affetto da questo disturbo mette in atto azioni mirate a causare intenzionalmente un danno al proprio corpo, tipicamente, tagliandosi con una lametta, bruciandosi con una sigaretta, graffiandosi, strappandosi i capelli, sbattendo contro qualcosa.

Solitamente la “vera” malattia è riconducibile a situazioni di dis-confort somato-emozionale o dis-stress, associati ad uno spiccato perfezionismo, una bassa autostima, una marcata impulsività, difficoltà di socializzazione oppure una difficoltà gestione delle emozioni; la funzione del gesto autolesivo serve per esprimere il proprio malessere, per far si che possa essere visto e notato dall’esterno, per manifestare una richiesta di aiuto o di attenzione: la sofferenza emotiva è connotata di invisibilità, e questo può generare ulteriore malessere per la sensazione di non vederla considerata adeguatamente,  a meno che non si traduca in qualcosa di tangibile. Un’altra funzione del gesto autolesivo è quella di sentire il corpo, proprio attraverso il dolore: la sensazione di non percepire distintamente la propria corporeità può essere molto angosciante, causando stati di forte malessere associati a momenti di stress emotivo intenso.

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