cultivar

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Etimologicamente derivato dalla crasi delle parole inglesi culti(vated) e var(iety), la parola nasce nel 1923, coniata da Liberty Hyde Bailey, orticultrice americana, per descrivere le varietà agrarie di piante selezionate intenzionalmente, per evidenziare particolari caratteristiche della pianta o dei frutti, e mantenute attraverso la coltivazione sistematica. Cultivar è il termine col quale in agronomia s’intende una varietà di pianta coltivata, ottenuta con il miglioramento genetico, che riassume un insieme di specifici caratteri morfologici, fisiologici, agronomici e merceologici di particolare interesse e trasmissibili con la propagazione, sia per seme sia per parti di pianta: da un punto di vista pratico, può essere considerato come analogo alla razza di una specie animale realizzata con la domesticazione e la selezione. Con cultivar s’identifica un particolare genotipo, isolato artificialmente con la selezione massale o la selezione individuale, i cui caratteri sono fissati e ripetibili con la propagazione gamica.

Più in generale, con il termine cultivar ci si riferisce alla classificazione delle differenti categorie di piante coltivate, registrate nel International Code of Nomenclature for Cultivated Plants (ICNCP); anche se molti cultivar sono stati selezionati attraverso la coltivazione ed incroci mirati, alcune sono presenti in natura, in forma selvatica. Il termine talvolta viene confuso con cultigen, altro lemma creato da Liberty Hyde Bailey, nel 1918, per descrivere una pianta deliberatamente alterata o selezionata dall’uomo in modo artificiale, mentre nel caso dei cultivar il processo avviene per mezzo di selezione naturale. Si può dire che cultigen, derivato da culti(vated) e gen(e), si riferisce a termini generalisti, mentre cultivar è più finalizzato ad una categorizzazione commerciale; cultivar e cultigen non sono utilizzati per la classificazione tassonomica.

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